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Autore: Katty Fantasy    17/01/2024    0 recensioni
Un mondo in declino, dove l'umanità non ha più speranza per sopravvivere. Cinque ragazzi sono destinati a lottare contro entità potenti.
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𝐀𝐧𝐧𝐨 𝟐𝟎𝟐𝟕
La Terra è ormai devastata dai continui disastri climatici alterati e guerre civili. L'umanità, quasi del tutto inerme contro gli assalti di attacchi terroristici e conquiste territoriali su tutti i fronti, è stata quasi interamente decimata per sette lunghi anni.
Ora c'è solo una lotta continua sulla sopravvivenza.
I destini dei cinque protagonisti, apparentemente non hanno nessun collegamento tra di loro, finiranno per intrecciarsi quando un uomo li assolda per affrontare la vera causa. I protagonisti si accorgeranno presto di essere coinvolti in un conflitto contro entità più grandi di loro.
Questa è la storia della 𝐶𝑜𝑚𝑝𝑎𝑔𝑛𝑖𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑆𝑒𝑟𝑝𝑒𝑛𝑡𝑒.

✶ ©𝐂𝐨𝐩𝐲𝐫𝐢𝐠𝐡𝐭 𝟐𝟎𝟐𝟒 :: 𝐓𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐢 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐢 𝐫𝐢𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐭𝐢.
✶ 𝐈𝐝𝐞𝐚𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐞 𝐜𝐨𝐥𝐥𝐚𝐛𝐨𝐫𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 :: @Kait_001 e @Pier_swaggon (Wattpad)
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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𝟕 𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐚, 𝐈𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚


L'acquazzone incessante, cominciato la mattina presto, infieriva sui fiori riducendoli a nudi steli e foglie, sull'asfalto e sui marciapiedi, rivoli d'acqua correvano per le strade; nei campi da gioco e nei prati si formavano grandi pozzanghere. Il suono della pioggia ticchettava scrosciante contro il vetro, come un rovesciarsi di biglie sul pavimento. Il maltempo aveva causato un cortocircuito alla centralina elettrica.

Un lampo squarciò il cielo, assieme al rombo del tuono e al vento, fece tremare gli infissi.

Era ormai da diverse e buone ore che la ragazza se ne stava rintanata sotto la cattedra, la tensione percorreva in tutto il suo corpo. Si abbracciava le gambe poggiando il mento sulle ginocchia, dondolandosi avanti e indietro, gli occhi intrisi di puro terrore, come una bambina spaventata da un temporale che invocava disperatamente l'aiuto dei suoi genitori. Quel giorno, però, non c'era nessuno ad aiutarla. Trema-va come una foglia. Voleva piangere, ma non poteva; voleva scappare, ma non poteva comunque.

La ragazza sbirciò dalla fessura nella cattedra, uno spazio abbastanza sufficiente per guardare, e scrutò l'ambiente circostante.

L'aula era un po' impolverata, colma di banchi in legno impregnati anch'essi di polvere. Sulla superficie c'erano scatoloni ancora sigillati dal nastro adesivo e altri ancora da disfare. Flauti, clarinetti, violini, e altri strumenti erano nelle loro custodie non utilizzati da tanto tempo e infine un pianoforte di medie dimensioni, anch'esso non utilizzato. L'aula di musica veniva utilizzata raramente, al punto che venne abbandonata diventando automaticamente un deposito. Si poteva trovare qualsiasi oggetto o documento, anche quelli più inutili e futili. Lei non aveva mai suonato, era una frana e lo ammetteva, ma aveva un buon orecchie ed era capace di riconoscere le note musicali. Aveva tentato di imparare a suonare degli strumenti una volta, però, con pessimi risultati. Si nascondeva in quell'aula durante gli intervalli, era un posto tranquillo e pacifico, nel quale nessuno sarebbe venuto a infastidirla. Non voleva essere disturbata o subire bullismo dai suoi compagni di classe, come succedeva da mesi. Quello era il suo posto, il suo rifugio, il suo santuario. Eppure, ora, era diventata la sua trappola.

Quella mattina, la ragazza si era svegliata con un certo malessere nelle viscere e un gelo così penetrante da arrivare fino alle ossa. Non si spiegava il motivo, non aveva l'influenza. Aveva uno strano presentimento, come se qualcosa di brutto stesse per accadere. La cosa le aveva procurato ansia, anche se fece di tutto per scacciarla via. Aveva paura di scoprire di cosa si trattasse quella sensazione. La perseguitava ogni volta che la scacciava dalla mente. La concentrazione era andata a farsi benedire durante compito d'italiano – la materia odiata da lei e metà della classe. La professoressa non era da meno. Tutti potevano la odiavano parecchio, soprattutto la ragazza.

Era la quarta ora quando avvenne il massacro.

Avvenne all'improvviso e silenziosamente, poi degli strani rumori si avvicinarono pian piano. Dei tonfi, simili a qualcosa di pesante caduto a terra facendo eco nei corridoi. Sia lei che alcuni dei suoi compagni avevano alzato lo sguardo dal foglio, nel bel mezzo del compito. La docente, in un primo momento, sembrava non interessarsi dei rumori e aveva ringhiato a tutti di ritornare al compito.

Rumori di oggetti andati in frantumi, abbastanza vicini.

La ragazza ebbe dei lunghi brividi sulla schiena, i peli dietro la nuca si raddrizzarono come quelli di un gatto. La sensazione cresceva sempre di più, facendogli salire il cuore in gola, era sbiancata. Tutti avevano alzato la testa, verso la porta. La professoressa si era alzata dalla sedia, producendo un fastidioso stridio sul pavimento, puntando i suoi occhi scuri sulla classe e raccomandava nuovamente di continuare con il compito, poi era uscita, pronta a sbraitare contro chi stava producendo quei rumori.

Poi delle grida orribili e penetranti, così forti da far trasalire gli studenti. Che non si sarebbero mai potuti immaginare il caos giunto all'interno della scuola. Molti ragazzi avevano tentato di scappare, in ogni direzione senza alcuna metà precisa, tuttavia alcuni scappavano in direzione delle uscite d'emergenza, dove si ammassarono come dei animali in gabbia; invece, alcuni si nascosero. Le urla di terrore degli studenti e degli insegnanti, le penetrarono i timpani. La stordivano, faticavano a fare un pensiero preciso. Il rumore delle ossa che scricchiolavano sinistramente, carne che si strappava in ogni punto del corpo. Si era aggregata senza accorgersene con un gruppo di ragazze, correndo e scivolando, strillando come delle matte fino a perdere la voce. Quello che la ragazza non si sarebbe riuscita a togliersi dalla mente era di aver assistito alla decapitazione del preside, un uomo tarchiato e rozzo, i capelli grigi e le sopracciglia folte. La sua testa era rotolata fin sotto ai suoi piedi, l'espressione di puro orrore dipinto sul volto, e gli occhi vitrei a fissarla. La ragazza stava lì, difronte all'orrore, ad occhi spalancati; le pupille fisse e piccole. Si era risvegliata dal suo shock solo dopo essere stata spintonata. Vomitò tutto ciò che aveva mangiato nella magra colazione di quella mattina. Si ricompose e riprese a correre, prendendo però la direzione opposta.

All'interno dell'edificio c'era un mare di sangue: le pareti, il soffitto, i corridoi e le vetrate erano imbrattati di rosso, come una tela pitturata da un bambino. Corpi di ragazzi e ragazze che un tempo conosceva erano ammassati, uno sopra l'altro, ridotti a brandelli. Le ferite erano profonde, aperte, si intravedevano i muscolo e le ossa, mentre gli organi erano esposti e riversati sul pavimento; quei poveri malcapitati avevano tutti la sua stessa età – o erano poco più grandi di lei – assassinati come delle bestie da macello, lei non voleva fare la stessa fine. La sua famiglia era là fuori, ignara di tutto ciò. Desiderava di essere con loro. Se non fosse stata per quella maledetta insufficienza, si sarebbe inventata una scusa plausibile per rimanere a casa: avrebbe continuato a dormire nel suo caldo e morbido letto e fare per finta di non aver sentito la sveglia. Tuttavia pensò, con un briciolo di razionalità, di allontanarsi e nascondersi. L'unica opzione per una via di salvezza era l'aula inutilizzata.

Ritornò di nuovo nella stessa posizione, in quel minuscolo angolo, tremante. Nella stanza era calato un tetro e denso silenzio; le urla erano cessate da bel pezzo. Era sola in quella classe polverosa di musica. Non sapeva cosa fare. L'unica opzione era rimanere quatta quatta sotto la vecchia cattedra, al punto da farsi venire i crampi, oppure correre finché non avrebbe trovato un uscita e gettarsi per strada a gridare aiuto. In entrambi i casi, non sarebbe mai riuscita a sopravvivere con un pazzo che si aggirava per la struttura, uscire da lì sarebbe stato un suicidi. Rabbrividì non appena formulò una domanda.

'E se mi avesse vista...?'

Fu il primo pensiero che le venne in mente. L'acido era salito fino in bocca, che coprì subito con le mani. Al pensiero di essere trovata e fatta a pezzi come tutti gli altri le venne di nuovo da vomitare. Aveva paura, tanta. Mandò tutto giù a fatica.

'Papà...' Gli occhi le cominciarono a pizzicarle, rimandando indietro le lacrime a forza. '...ti prego, vieni ad aiutarmi!'

La ragazza alzò la testa verso la finestra, macchiata e sporca di polvere.

All'esterno dell'edificio non c'era alcuna presenza di poliziotti, nessun segno delle forze dell'ordine, nessuna luce rossa e blu lampeggiare delle vetture. Nulla di nulla. Perché non era stata attenta a caricare la batteria del cellulare la sera precedente? Avrebbe chiamato le autorità, a suo padre. Sapeva che era in servizio, perché era uscito di casa prima che lei si svegliasse. Voleva sentire la voce calda e rassicurante del padre a tranquillizzarla mentre si dirigeva con le pattuglie a scuola. Perché stava accadendo tutto ciò? Perché un pazzo vorrebbe entrare in un liceo e compiere una strage? Magari era uno di quei terroristi comparsi dopo l'attacco in America? Per qualche ragione, il mondo stava piombando nel caos.

Uno scricchiolio e la porta si aprì.

La ragazza aveva spalancato gli occhi dal terrore. Il cuore le martellava nel petto, come se potesse uscire fuori dalla cassa toracica da un momento all'altro. I passi erano lenti, calmi, e non ci volle molto per capire che stava andando alla ricerca di superstiti nelle aule deserte, e che aveva raggiunto quella di musica. Si rese conto che la colpa era delle impronte lasciate dalle suole delle scarpe, sporche di sangue. Ora l'assassino  era lì, con chissà quale arma, pronto a ucciderla. I passi sembravano risuonare, si avvicinava lentamente, sembrava un eternità, specialmente da sotto la cattedra in cui era nascosta. Poi si fermò, probabilmente a guardarsi intorno, di fronte al suo nascondiglio. La ragazza udì qualcosa di ruvido esser trascinato sul pavimento, in modo lento. Non aveva visto in faccia l'aggressore, durante la strage. Anzi, non si era per nulla imbattuta in lui o sarebbe già stata in mezzo a quei cadaveri. Il labbro le tremava freneticamente. Cercava di darsi un contegno, rimanendo inchiodata a terra e senza sobbalzare ad ogni rumore per non farlo insospettire.

L'aggressore che aveva dato inizio alla strage, nel frattempo, si guardò attorno. Non c'era nessuno in quella stanza, perfetto per riposarsi dopo aver massacrato tutti quei ragazzi, non sembrava mostrare pentimento, proprio come non mostrò esitazione nel massacro. Si avvicinò a uno dei banchi, appoggiando l'arma, non badando alla polvere, si sedette. Prese qualcosa nelle sue tasche, un pacchetto di sigarette mezzo stropicciato, ne prese una e se la infilò tra le sottili e screpolate labbra, tirando poi fuori un accendino d'argento. Mentre litigava con quest'ultimo perché sembrava aver deciso a non funzionare, lui borbottava infastidito.

«Cazzo... E andiamo!»

Il timbro della voce sembrava appartenere a quello di un ragazzo della sua età, magari un anno in più, ma rauca e quasi gracchiante e sgradevole. Dopo vari tentativi, finalmente, si accese. La luce della fiammella aveva annerito la carta e il tabacco al suo interno. Diede una forte tirata alla sigaretta e ispirò il fumo grigiastro. Lei aveva sempre odiato il fumo, non lo sopportava. Dovette appellare tutte le sue forze nel trattenere il fiato. Ignaro che ci fosse qualcuno con lui nella stanza, si perse nei suoi pensieri.

«Credo che iniziare a fumare è stato davvero d'aiuto.», bofonchiò da solo il ragazzo.

Il cuore prese un colpo, un brivido inizio a percorrere lungo la schiena della ragazza. Quella voce... Dove l'aveva già sentita? Le era familiare, ma tremendamente familiare... Non può essere lui, pensò lei; si riferiva a un ragazzo che conosceva, un ragazzo che aveva aiutato. Qualcosa in lei la spingeva a voler sbirciare, solo quel poco per esserne sicura di sbagliarsi, di verificare che la persona che aveva causato la strage non fosse davvero lui. La curiosità vinse sulla ragione. Alla fine ciò che vide fu una figura scura, incurvata in avanti, solo una parte cerchiata di rosso, la sigaretta, era visibile in quel buio. Aguzzò la vista, concentrandosi al massimo per capire se la mente le stesse facendo un brutto scherzo.

Un altro lampo, e la stanza si illuminò per una frazione di secondo.

La figura maschile indossava indumenti sgualciti, come se non fossero lavati da giorni, ora sporchi di rosso, del sangue di tutte quelle persone. Le scappò un leggero sussulto tra le sottili labbra, aveva riconosciuto il colore della felpa. Non voleva crederci. Eppure, colui che considerava essere il suo migliore amico, era il responsabile di tutto. Come poteva esserlo? Lei scosse il capo, trattenendo a stento un singhiozzo. Cadde in lacrime, che scendevano delicatamente tra le sue lunghe ciglia.

'N-No...', si disse, rifiutandosi di crederci, 'N-Non può essere...'

Tutto ciò era solo ed esclusivamente un sogno per lei, o meglio, un incubo.

La gamba ebbe uno spasmo e il piede sbatté accidentalmente contro una sedia, producendo un suono stridulo; il cuore le martellava nel petto, mandandola nel panico. Riportò il piede al suo posto, ma era troppo tardi, l'aveva sentita. Un altro tuono rimbombò nelle orecchie, scuotendo gli infissi.

«Ah, questa mi mancava.» Il sussurro era appena udibile per la ragazza. L'individuo si alzò dal posto, spegnendo la sigaretta sulla superficie legnosa del banco, lasciando il segno della bruciatura, rimettendo ciò che rimaneva nel pacchetto. «Esci fuori, chiunque tu sia. Voglio fare un piccolo giochino con te, non ti farò del male.»

Ovviamente non era vero. Sapeva che, se lo avesse fatto, non avrebbe più visto più la luce del giorno. Suo padre le aveva sempre detto di non fidarsi di qualcuno che dicesse la frase "non ti farò del male". Era quello il gioco, la falsa fiducia.

«Esci, avanti!» La sua voce, prima paziente, inizio a diventare nervosa e rabbiosa. «o preferisci che ti tiri io fuori?»

La ragazza era nel panico. Sobbalzò al suono di scatoloni che vennero rovesciati e presi a calci, per spronarla a uscire dal nascondiglio. Le sfuggì un singhiozzo, ma riuscì almeno a non urlare. Cominciava prendere in considerazione  l'idea di scappare e chiedere aiuto, anche se fuori c'era una tempesta. Forse, se fosse riuscita a correre abbastanza veloce, magari sarebbe riuscita a fuggire. Il respiro divenne irregolare e l'aria pesante, ebbe la consapevolezza di essere spacciata.

«Peggio per te...»

La cattedra venne ribaltata con una violenza inaudita. Il pavimento sotto di sé tremò, gli scatoloni, i banchi e gli strumenti incustoditi vennero distrutti dall'impatto, colpendo soprattutto il piccolo pianoforte. La tastiera produsse un suono disconnesso e rumoroso per le orecchie.

La ragazza si voltò di scatto, dalla bocca aveva lanciato uno strillo di paura. Indietreggiò fino a rimanere con le spalle al muro, era in trappola. Non aveva alcuna via di scampo. Gli occhi puntati su di lui: l'aggressore, l'assassino, il carnefice, che la fissava dall'alto. Le sue iridi sembravano brillare nell'oscurità come quelle di un felino, freddi e iniettati di sangue. La sua espressione cupa, irritata, coperta dalle ombre, il desiderio di ucciderla era grande; tuttavia c'era anche un velo di tristezza e delusione dietro la rabbia. Era serio.

Dalle labbra tremanti della ragazza, la quale si apriva e chiudeva come fosse un pesce fuor d'acqua, incapace di mettere insieme poche e semplici parole necessarie a formare una frase di senso compiuto. Solo singhiozzi. Il cuore batteva con forza tale che il suo petto sembrava sul punto di esplodere, di frantumarsi in migliaia di piccoli pezzi. Tuttavia, spinta da qualcosa che le diede di nuovo la voce, flebile e tremante, disse una singola parola. Un nome, ormai compromesso dal tragico evento.

«...Ulisse...»


 

𝐴𝑛𝑔𝑜𝑙𝑜 𝐴𝑢𝑡𝑟𝑖𝑐𝑒

Benvenuti a tutti!
Se state leggendo queste mie parole sappi che ti sei imbattuto in una nuova avventura! Dopo una lunga e movimentata odissea tra impegni e studio, finalmente posso ufficialmente essere attiva nella scrittura.  Riprendo in mano questa storia che ho pubblicato qui su 
EFP
Era qualcosa che già da tempo volevo fare, così, quando ho avuto abbastanza tempo di leggere libri (riletti nella mia libreria reale piena di fantasy e un pizzico di paranormale). Ho preso molto seriamente a cuore di voler scrivere tutta la serie

𝑊𝑎𝑟𝑟𝑖𝑜𝑟𝑠 è il primo capitolo del 𝐿𝑎 𝐺𝑢𝑒𝑟𝑟𝑎 𝑑𝑒𝑖 𝑀𝑖𝑙𝑙𝑒 𝑀𝑜𝑛𝑑𝑖, un'avventura ricca di innovazione e in fase di sperimentazione, un pò una rottura degli schemi classici del genere fantascientifico. Vi siete imbattuti e trattenuti a leggere questo prologo, spero che vi sia piaciuta e messo un pò di brivido.

Il prossimo capitolo arriverà presto presto!

A presto!
- Katty

   
 
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