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Autore: Little Firestar84    20/01/2024    0 recensioni
Raul, Gwen, Pete, Liz e compagnia bella - un gruppo di amici, ed un inverno in una scalcinata palazzina, in un tugurio di appartamento, mentre a New York nevica...
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ramon non riusciva a credere a quanto fosse stato stupido  ma soprattutto sfortunato: da ragazzo era vissuto a Miami, aveva affrontato la stagione degli Uragani non sapeva nemmeno lui quante volte, era a New Orleans quando la città era stata sferzata dalla forza bruta di Katrina, e ne era sempre uscito incolume. 

E adesso, che viveva a New York, si era fatto male in una giornata d’inverno soleggiata- e tutto perché il marciapiede era leggermente ghiacciato e lui era caduto sul culo come una pera matura. 

Non riusciva a credere alla sfiga - e sopratutto all’imbarazzo. Stava ancora cercando una scusa da raccontare alla ciurma di amici per giustificare la sua assenza dal gruppo di studio nei giorni successivi, perché non esisteva che ammettesse che si era rotto le chiappe. 

L’osso del coccige, si ripetè, passandosi una mano sugli occhi e stringendo i denti. Erano ormai giorni - da quando era successo - che non riposava perché non c’era una sola posizione che non gli provocasse fitte di dolore immane. 

Lo stomaco gli brontolò, e lui mise il broncio e gemette: era dal giorno prima che non mangiava perché non riusciva ad alzarsi dal letto, ma non se ne parlava di chiamare la madre a Miami per dirle di raggiungerlo - facilmente avrebbe deciso di trasferirsi a New York in pianta stabile per prendersi cura del suo chico - e non aveva intenzione di farsi sfottere a vita perchè si era rotto il culo. 

Aveva una reputazione da difendere, lui - e comunque, era a New York da sì e no un anno, non era certo che ci fosse qualcuno che tenesse così tanto a lui da volersene prendere cura.

Ramon sentì il cigolio della porta d’ingresso - quel taccagno del padrone di casa non l’aveva ancora fatta riparare, anche se era quasi un anno che lui, ogni mese, alla consegna dei (tanti, troppi) soldi dell’affitto del bilocale gli rammentava tutte le varie ed eventuali riparazioni che era tenuto a fare - e cercò di alzarsi dal letto, tuttavia venne percosso da una scossa che partiva proprio dalla parte invalidata, e ricadde sulle lenzuola con un pesante tonfo, col risultato che si fece ancora più male. 

¡Mierda! imprecò in spagnolo, insieme a tutta una serie di dichiarazioni di guerra a santi vari che riteneva colpevoli delle sue tante, troppe, sfortune nella vita. 

“Cazzo, Ramon, ma che ti sei fatto?” Ramon sgranò gli occhi ed ammutolì quando si rese conto che un altro essere umano aveva parlato- Peter, ex coinquilino, ex collega al giornale dove aveva fatto da grafico per un po’ di tempo, lo stava fissando, pallido come un lenzuolo e col fiato corto: era una scena così pazzesca, per qualche motivo, che il latino scoppiò a ridere, gettando il capo all’indietro, sull’enorme cuscino di piume. 

“ma che cazzo hai da ridere?!” Peter gli ringhiò contro. “Sono due giorni che ti cerchiamo e non ti fai sentire, cazzo! Avevo paura fossi crepato dopo aver bevuto troppi Mojito in qualche bettola, e invece ti trovo qui che, che, che….” Petre si grattò il capo. “Esattamente, cosa stai facendo?”

No, Ramon non poteva resistere: scoppiò a ridere, e rise così forte che gli venne male allo stomaco e dovette tenersi lo stomaco. Magari la sua situazione era pazzesca, ma Peter? Peter sapeva davvero essere comico quando voleva, ma soprattutto era tenero, e si preoccupava sempre degli altri. La sola idea di fargli torto, di dirgli una bugia, lo metteva a disagio e lo faceva sentire in colpa. 

“Mi sono rotto il culo,” ammise Ramon, ridacchiando leggermente.

“Ah,” Peter impallidì, e deglutì a vuoto, facendo qualche passo indietro. “Uh, non avevo capito che tu avessi certi interessi. Credevo ti piacessero le donne. Ma, ma è ok, davvero.”

“Non mi sono rotto il culo scopando, cretino.” Ramon scoppiò di nuovo a ridere. “Sono caduto sul marciapiede ghiacciato e mi sono fatto male alle chiappe. Rottura dell'osso coccigeo, è il termine medico.”

“Cazzo, che sfiga!” Peter si passò una mano nella zazzera bionda che aveva in testa, e si sedette sul pouf che Ramon aveva al fondo del letto, e dove solitamente gettava alla rinfusa i vestiti che una volta ogni morte di Papa andava a lavare alla lavanderia all’angolo, quella gestita da una delle famiglie cinesi più stereotipate che avesse mai visto in tutta la sua vita. “E quindi, cosa fai?”

“Mah, niente di che,” Ramon ammise. “Sopporto il dolore. Mi muovo il minimo possibile. Ma è da stanotte che mi fa un male cane e non ho voglia di alzarmi per farmi da mangiare, quindi non posso prendere le medicine…”

Pete si morse le labbra, e si guardò intorno: la casa dell’amico era un disastro già di suo, ma adesso sembrava un campo minato, e Ramon non aveva per nulla una bella cera. 

“Senti,” gli disse, massaggiandosi la mascella. “Ci penso io qua, va bene?”

Ramon fece segno di sì col capo, e guardò Peter alzarsi, spegnere la luce e chiudere la porta; sentì la voce leggera dell’amico, che parlava al telefono con qualcuno, ma la nebbia del dolore gli impediva di concentrarsi su qualsiasi cosa che non fosse la frattura - però sapeva che Pete era di là, lo sentiva muoversi, spostarsi, aprire e chiudere la porta, e la cosa era stranamente confortante, e riuscì persino ad addormentarsi. 

Non era certo di quanto avesse dormito, ma quando si svegliò, sentì rumore di stoviglie e di risate provenire dalla cucina. Provò ad alzarsi, di nuovo, e di nuovo fallì. 

Di nuovo, imprecò ad alta voce, a denti stretti. 

“E tu che credi di fare, genio della lampada?” Lo apostrofò Gwen. La rossa se ne stava in piedi dalla porta della sua camera da letto, una specie di cuscino in mano, vestita come sempre come una ragazzina uscita direttamente dalla swinging London - una creatura eterea, perfetta, di età imprecisata, che esisteva al di fuori del tempo. 

“Volevo vedere chi cazzo ha invaso casa mia, ma mi aspettavo dei barbari, mica una principessa.” Ramon ammise. Cercò di fare lo sguardo seducente, ma era quasi del tutto certo che l’unica espressione che gli potesse venire in quel momento fosse da triglia bollita: dolore e sesso a quanto pare non andavano così d’acordo come certi libri lasciavano intendere, e pure Gwen se ne rese conto, perchè scoppiò a ridere prima di raggiungerlo e lasicarsi cadere sul letto accanto a lui.

“Pranzo è quasi pronto, ho detto a Pete di far venire Liz, lei è l’unica che ne capisca qualcosa di fornelli.” Ramon sorrise, era vero: una volta aveva visto Gwen mandare a fuoco una pagnotta surgelata nel microonde. “Io sono andata in un’ortopedia e ti ho presa questa. Mi hanno detto che è fatto apposta per chi ha il tuo problema. Siediti e mettilo sotto al sedere.”

Gli fece vedere il cuscino: a ciambella, era gonfiato ad aria. Ramon lo afferrò con due dita, quasi vergognandosi, rosso in viso come un pomodoro, e stringendo i denti si sedette sulla ciambella, la schiena contro il cuscino. 

“Ah,” sospirò. “Sai che va già un po’ meglio?”

“Pete ha letto la cartella clinica, e ti ha preparato dei vassoi con le medicine da prendere per il dolore. Ti sei già fatto le iniezioni?"

“Sì, quelle sì, le ho nel comodino. Sono da fare nella pancia quindi non mi danno problema, le posso fare anche da solo…”

“Okay… io stasera sono di turno, ma passa Meg a vedere che vada tutto bene e non ti serva qualcosa. E domani mattina Miles ti porta da mangiare dalla sua trattoria…”  La ragazza gli sorrise, radiosa, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Fece per aprire bocca e continuare -ammettere cosa, Ramon non lo sapeva - ma fu interrotta dall’arrivo di Liz e Peter: l’amico aveva un grosso vassoio, di quelli da letto con le gambe, in mano, carico di piatti. 

“Ho fatto una zuppa che mi faceva sempre mia nonna in inverno,” ammise Liz, tutta soddisfatta, quando misero il vassoio davanti a Ramon,  passando una scodella a Gwen ed una a Peter. “Pollo e zafferano. So che sembra una cavolata, ma provala, ti rimetterà al mondo.” 

Guardando con affetto i suoi amici, mise in bocca il primo cucchiaio di zuppa: il pollo era morbido, burroso, e si scioglieva in bocca in un’esplosione di sapori. 

Era così buono che gli veniva da piangere.

Guardò i suoi amici, e si sentì il cuore crescere a dismisura: aveva creduto di essere solo, ma si era sbagliato: erano in tanti a volergli bene, ed a desiderare di prendersi cura di lui nei momenti bui. 

 
   
 
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