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Autore: Joy    27/01/2024    0 recensioni
[Un professore]
È facile fare del male a Simone.
È facile quanto amarlo.
[Simone/Mimmo]
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Un Professore

Personaggi: Mimmo/Simone

Genere: Hurt/Comfort

Warning: Riferimenti a episodi di omofobia.

Ambientazione: Seconda stagione, what if dove la vicenda di Ernesto non si è risolta.

 

 

 

Di dolore si tace

 

 

 

È facile fare del male a Simone.

È facile quanto amarlo.

Mimmo comincia a rendersene conto a un mese dal loro primo bacio; anche se a dirla tutta, già quella volta, il modo in cui aveva rinunciato ad una spiegazione, gli aveva lasciato intravedere quell'ombra, che ora lo sa, lo sta avvelenando lentamente: il pensiero costante di non valere niente. Per nessuno. Nemmeno una risposta.

Mimmo è sempre stato bravo a leggere le persone. Ha dovuto imparare a farlo, perché in carcere un mezzo sguardo o un gesto, possono costargli la giornata. O peggio.

Per questo, in piedi sulla soglia della sua stanza, si maledice per non aver dato peso a quella prima sensazione, per non aver provato a invertire la rotta dei pensieri di Simone, e peggio ancora per aver consolidato lo stesso meccanismo con il suo eludente “Significa che ti fai troppe domande”.

“Simò, che ti è successo?”

Il Simone riflesso nello specchio solleva gli occhi dal fianco arrossato, scioglie la torsione del busto utile a guardarsi la schiena e lo fissa stupito.

“Pensavo che dovessi rimanere in biblioteca fino a tardi...” esterna.

“E io che tu fossi agli allenamenti.”

“C'ero infatti” replica svelto Simone, “ma ho avuto un imprevisto.”

“Quindi quei lividi non te li sei fatti giocando.”

Simone abbassa lo sguardo e si siede sul bordo del letto; trattiene una smorfia mentre lo fa, Mimmo riesce a vedere il guizzo della sua mascella serrata a forza.

“Il professor De Angelis è stato convocato dalla preside e siccome era una cosa lunga mi ha detto che potevo andare, ma...”

“Non volevi tornare subito in carcere” conclude per lui Simone, il sorriso di chi lo conosce abbastanza da prevedere le sue mosse, gli piega le labbra verso l'alto.

“No”conferma, “e tua nonna mi ha fatto entrare.”

“Ha fatto bene” allunga la mano in un muto invito e quando lui gli si avvicina, nasconde il viso contro il suo stomaco. “Fortuna che c'è nonna.”

Dall'alto, i lividi che ha sulla schiena sono anche peggiori e Simone è così abbandonato contro di lui e sembra così stanco che Mimmo non sa se avvolgerlo in una coperta e baciarlo fino a quando non verrà a cercarlo la polizia, o se farsi dire il nome di chi l'ha ridotto così, fargli la festa e dalla polizia andarci spontaneamente.

“Allora” ritenta, respirando profondamente, “me lo dici cos'è successo?”

Simone si scosta da lui in fretta: “Non ne vale la pena. Davvero.”

E c'è quel sottinteso: Io non valgo la pena, che trasforma la saliva di Mimmo in fiele e gli rende impossibile anche deglutire.

“Ti fa male?” riesce a chiedergli.

“Non è niente. Passerà in pochi giorni.”

E il modo in cui sospira ed estrae a colpo sicuro dal cassetto una crema per le contusioni è così abitudinario che Mimmo sente un macigno affondare nel suo petto, schiacciargli lo sterno e togliergli il respiro.

“Quante volte è successo?” alita.

Sa che la risposta non gli piacerà nel momento in cui Simone decide di tramutarla in un'incurante alzata di spalle.

“Dovresti dirlo a tuo padre, Simò.”

Ma quello scuote la testa e si richiude a guscio infilandosi sotto le coperte.

Simone ha anche ferite invisibili.

Sono lente a guarire e sembra che nessuno le abbia mai curate. E adesso che Mimmo conosce il figlio, sente un po' meno venerazione per quel padre che si è ritirato a leccare le proprie, lasciando che quelle di suo figlio s'infettassero.

Mimmo non sa un cazzo della vita, ma sa che per quanto gli è possibile, il dolore di Simone, vuole scacciarlo.

Recupera il tubetto di crema abbandonato e ne svita il tappo.

“Vieni qua” mormora scostando le coperte dalla testa di Simone. “ Ti aiuto a spalmarti questa roba.”

 

---

 

Ha la pelle calda, rossa e tumefatta su gran parte dei fianchi e della schiena; fa male a guardarla, ma Simone è così docile che se non fosse per l'impercettibile guizzo delle palpebre ad ogni passaggio delle sue dita, Mimmo lo penserebbe completamente anestetizzato.

“Me lo dici se ti faccio male, Simò, va bene?”

Quello ripiega un braccio sotto il cuscino e solleva un po' la testa: “Me lo sono meritato” risponde serio. E non è per niente semplice convincerlo del contrario.

“Non riesco a stare zitto e a farmi i fatti miei” seguita. “Manuel me lo dice sempre che non devo pretendere spiegazioni da tutti.”

Manuel.

Mimmo si prende un minuto buono prima di aprire di nuovo bocca. Gli massaggia il fianco e sfiora con dita leggere una zona già tinta di viola, lasciandoci sopra un abbondante strato di crema.

Per Manuel è stato più facile ferirlo che amarlo.

“A Manuel non piacciono le tue domande, perché lui certe risposte non se le vuole dare” sbotta, “ma a 'sti stronzi che si sentono in diritto di fare i viscidi con le ragazze e che ti prendono a pugni ogni volta che gli gira il cazzo, io manco il diritto di girare per la scuola gli darei. Ho visto al gabbio gente migliore.”

Simone risucchia l'aria tra i denti e si agita appena sotto le sue dita; Mimmo non sa se gli ha fatto più male con le dita o con le parole. Si pente di entrambi.

“Scusa” si affretta a dire, sollevando le mani e ridimensionando il tono. “Volevo solo dire che non sei tu quello sbagliato. Né con tuo padre né con Manuel, tanto meno con qualche bulletto omofobo del cazzo.”

E forse questa volta si è spinto decisamente troppo a largo, perché Simone lo fissa con due occhi lucidi che gli fanno più male delle botte che gli appioppa Molosso in cella per convincerlo che è ancora un poppante e che gli conviene obbedire.

Se almeno per una volta riuscisse a non fare casini...

Si china su di lui e gli passa le dita tra i capelli: “Scusami, non volevo farti la predica” sussurra mesto. “Proprio io poi.” Il re degl'idioti, pensa.

Ma Simone scuote la testa, ricaccia indietro le lacrime e stira le labbra quasi volesse sorridergli.

“Va tutto bene” gli dice prendendogli la mano.

Il punto è che Simone non è fragile -anzi è fin troppo forte-, ma lascia troppi punti scoperti.

È buono e si rende vulnerabile e Mimmo se lo ricorda bene, dagli anni di scuola che ha seguito a singhiozzi, che anche gli eroi muoiono se li colpisci nel loro punto debole.

Mimmo non vuole nemmeno pensarci; ha ancora la mano allacciata alla sua, ma improvvisamente la sente fredda.

“Sei gelido, Simò, ti devi vestire” decreta, recuperando una maglietta dalla sedia.

Simone annuisce e si solleva con tale fatica che Mimmo si sente in dovere sostenerlo con un braccio dietro la schiena.

“Piano” gli dice mentre allarga per lui il tessuto della manica perché non debba sollecitare troppo i muscoli già doloranti.

Simone mormora un grazie, posa di nuovo la fronte contro il suo petto e rabbrividisce, stringendosi di più a lui; Mimmo afferra una felpa e ce lo infila dentro.

“Va meglio adesso?” gli chiede.

Simone annuisce e sospira così forte che Mimmo quasi non sente il successivo sono tanto stanco, compitato dalle labbra di Simone proprio all'altezza del suo cuore.

“Va bene” gli dice, e davvero, davvero, fatica a staccarsi da lui, ma la sua testa è già scivola contro il suo addome e da come aumenta il peso contro di lui, capisce che Simone non ha più forze su cui contare.

“Sdraiati” sussurra, guidandolo sul cuscino.“Ti porto un antidolorifico?” aggiunge poi, “Così puoi riposare un po'.”

Simone si volta su un fianco, ha già gli occhi chiusi. “È nel cassetto” borbotta, la bocca impastata dalla stanchezza.

Mimmo cerca di non pensare al fatto che deve aver affrontato tutto questo da solo così tante volte, da decidere di tenere un piccolo pronto soccorso nel cassetto del comodino.

“Non devi andartene, vero?” gli chiede, sollevando appena le palpebre, dopo aver ingoiato la pillola senza neanche curarsi di accompagnarla da un sorso d'acqua.

Gli rivolge un sorriso incoraggiante: “Ancora no, Simò” mormora, poi s'infila sotto le coperte e se lo tira contro. “Riposati, resto con te.”

Per quanto lo riguarda, le guardie possono davvero venirlo a prendere quella sera.

 

 

Fine

 

  
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