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Autore: Placebogirl_Black Stones    28/01/2024    1 recensioni
Per un attimo immaginò che quell’acqua avesse poteri magici, capaci di cancellare la maschera che le avevano cucito addosso e che a volte le stava talmente stretta da non farla quasi respirare.
Si asciugò il volto con i foglietti di carta del dispenser e fissò per qualche istante la sua immagine riflessa nello specchio.
“Ci sei, Jodie? Sei ancora lì?”
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jodie Starling
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IDENTITÁ PERDUTA


 
 
Me miro al espejo y la imágen que reflejo
simplemente no soy yo
Mi mente se confunde fantasia y realidad
necesito algo real

 
 (Mi guardo allo specchio e l’immagine che rifletto
semplicemente non sono io
La mia mente confonde fantasia e realtà
ho bisogno di qualcosa di vero)
 
 
Camminò lungo il corridoio gremito di studenti che, come lei, si apprestavano a recuperare dai rispettivi armadietti i libri necessari per la lezione che stava per iniziare. Cheerleader dall’aria frivola che flirtavano con i loro fidanzati giocatori della squadra di basket, l’angolo dei goth vestiti e truccati di nero, i secchioni, i freak, gli emarginati: tutti gli stereotipi tipici dei licei americani erano davanti ai suoi occhi. Lei vedeva loro, ma loro (probabilmente) non vedevano lei. Doveva cercare di non dare nell’occhio, di non attirare troppo le attenzioni su di sé, per evitare che la popolarità soffiasse via quel fragile castello di carte che il Programma di Protezione Testimoni le aveva costruito intorno. Avrebbe potuto classificarsi negli emarginati, ma in fondo non era nemmeno quello. Non esisteva una categoria per quelli come lei, perché quelli come lei non esistevano.
Aprì il suo armadietto, la cui combinazione del lucchetto era la data di morte di suo padre. Quella era l’unica cosa della sua vita reale che le era stato concesso di portare all’interno della scuola: tutto il resto non erano altro che bugie e segreti inventati dall’FBI.
Prese il libro di letteratura inglese e lesse il nome sull’etichetta in copertina.
“Veronica Edwards”.
Questo era il nome che avevano scelto per lei, senza nemmeno chiederle se le piacesse o meno. Un bel giorno James le aveva detto “Da oggi in poi ti chiamerai Veronica, d’accordo? Non devi rivelare a nessuno il tuo vero nome, mai”. E così era stato. Eppure a lei Jodie piaceva, perché quello era il nome che suo padre aveva scelto per lei.
Richiuse l’armadietto quasi sbattendolo, come se volesse intrappolarci dentro tutti quegli odiosi dettagli di quella vita che non voleva. Sentì il bisogno di andare a sciacquarsi il viso prima di andare in classe, così si diresse verso i bagni. Una volta entrata, posò la borsa e il libro ai suoi piedi e fece scorrere l’acqua fresca, passandosela delicatamente sulle guance, sulla fronte e sul collo. Per un attimo immaginò che quell’acqua avesse poteri magici, capaci di cancellare la maschera che le avevano cucito addosso e che a volte le stava talmente stretta da non farla quasi respirare.
Si asciugò il volto con i foglietti di carta del dispenser e fissò per qualche istante la sua immagine riflessa nello specchio.
“Ci sei, Jodie? Sei ancora lì?”
La voce del suo vero io risuonò nella sua testa, cercando di riprendere possesso di quella vita che gli spettava di diritto. Guardò contrariata i lunghi capelli biondi che le scendevano dalle spalle fino al seno: non le erano mai piaciuti. A Jodie piacevano i capelli più corti, ma Veronica doveva portarli lunghi, perché se li avesse tagliati sarebbe emersa la somiglianza con quella bambina che nove anni prima era miracolosamente scampata all’incendio che aveva distrutto la sua casa e ucciso i suoi genitori.
Li raccolse in una coda alta, sperando che modificando un po’ il suo aspetto si sarebbe sentita meno alienata da se stessa. Si mise un velo di lucidalabbra e immaginò di essere come quelle sue compagne di classe che si facevano carine per fare colpo sui ragazzi che gli piacevano. Sognava solo una vita normale, come ogni diciassettenne, ma la normalità non faceva più parte della sua vita da tempo.
Veronica non era solo un alias, una copertura o un modo per sfuggire all’assassina di suo padre.
Veronica era diventata una prigione.
“Ci sei, Jodie? Sei ancora lì?” ripeté a voce alta le parole che poco prima aveva sentito solo nella sua mente.
Si chinò per raccogliere il libro di letteratura e la borsa e da quest’ultima estrasse una custodia per occhiali nera. La aprì, rivelando un paio di vecchi Ray-ban dall’aria vissuta che un tempo appartenevano a suo padre: l’unico memento che si era salvato nell’incendio oltre a lei e al suo orsacchiotto di pezza.
Esclusa la combinazione del lucchetto, quelli erano la sola altra cosa ad essere reale lì dentro, ma a differenza della prima non gli era stato concesso dall’FBI di portarseli appresso. A dirla tutta James non voleva; tuttavia lei li aveva presi comunque a sua insaputa. Potevano obbligarla a portare i capelli come volevano loro e a chiamasi con un nome che non le piaceva, ma non le avrebbero mai tolto quel tesoro così prezioso.
“Sì, sono qui” le sembrò che le rispondessero a quella domanda che si era fatta poco prima.
La campanella che suonò all’esterno del bagno sancendo l’inizio delle lezioni la riportò alla realtà. Rimise gli occhiali nella borsa e uscì in corridoio, affrettandosi verso l’aula.
 
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Oggi ascoltavo “No te quiero ver mas” dei Silicon Fly e la strofa che ho riportato all’inizio della fanfiction mi ha fatto pensare a Jodie (anche se il significato generale della canzone è tutt’altro). Mi sono immaginata Jodie durante i suoi anni adolescenziali mentre era nel Programma di Protezione Testimoni, costretta a vivere un’identità che non era la sua, e ho voluto provare a dare vita ai suoi pensieri.
Spero vi piaccia.
   
 
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