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Autore: lady capuleti    31/01/2024    1 recensioni
[I fantastici 5]
Gli atleti della Nova Lux si sono classificati agli Europei, si respira aria di gioia e serenità.
Riccardo Bramanti, il loro allenatore, si è guadagnato la fiducia dei suoi ragazzi... ma se non fossero gli unici ad aver sempre creduto in lui?
[ Riccardo Bramanti x Sofia Calabresi]
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Perchè l'aria brucia solo quando hai paura

___ . ___

Il frastuono che ti circonda è talmente assordante che quasi ti stordisce, e quando Freddie stappa la miglior bottiglia di spumante che tu abbia mai visto quasi sobbalzi, voltandoti verso di lui per prepararti ad una eventuale parata di fortuna. I ragazzi, al contrario, ridono di gusto; già... ridono, finalmente. Dopo tutto quello che hanno passato continui a stupirti ogni giorno della forza che dimostrano, della tempra che tirano fuori, della solidità mentale che spesso temi possa cedere sotto il peso degli eventi.
Si sono qualificati. Gareggeranno, e non riescono a pensare ad altro.
Ogni crudele ricordo legato al passato sembra cancellato, finito, archiviato, sebbene nella loro mente e nel loro cuore esso bruci più forte di prima ed è impossibile che possa scomparire con uno schiocco di dita.

Elia chiacchiera fitto fitto con tua figlia Giorgia, Christian appare pensieroso, Laura e Marzia siedono di fronte a Freddie e gli chiedono di raccontare loro dei vecchi aneddoti legati alla sua professione.
Sono sollevati, ce l’hanno fatta, e nulla potrebbe rovinare quel clima festoso e goliardico; nulla, eccezion fatta per la Calabresi, che algida appare all’orizzonte con ogni desiderio di interrompere quel momento per rimandarli tutti a letto.

«è colpa mia, giuro che finito questo bicchiere li rimando tutti a dormire!» metti le mani avanti, come hai imparato a fare con lei ogni qualvolta decide di incenerirti con quello sguardo di ghiaccio.
Eppure qualcosa sembra mutare, qualcosa appare diverso sin dal principio: sul suo volto si disegna lentamente un sorriso distensivo, incredibile a dirsi eppure non sembra affatto il riflesso dato da un gioco di luci.

«Farò un’eccezione per stasera, consideratelo il mio regalo... ed un modo per congratularmi con tutti voi! Una bottiglia... e a letto... anche lei, Riccardo!» ti rimprovera chiamandoti per nome, eppure riesci a cogliere dietro quella severità un briciolo di soddisfazione, ma anche di dispiacere per non averti creduto da subito.
Se hai imparato a conoscerla non lo ammetterà mai, ma ad essere onesti quelle discrete sfumature valgono più di ogni spiegazione verbale.
«... questo lo prendo io...» conclude a voce più bassa, rubando un flute e scomparendo dopo averlo riempito.

Vi raggiunge anche Alessandra e la lasci avvicinare aspettandoti, come minimo, delle scuse per come ti ha trattato la sera prima. Continua ad insistere per portare avanti gli incontri clandestini che iniziano e finiscono a casa sua, quelli che ama chiamare dopocena per non dover utilizzare il termine sveltina; perché questo sono, niente di più.
Rimembri di averle quasi dichiarato il tuo amore qualche sera prima. La verità è che ti sei lasciato prendere senza pensare, o riflettere; ti sei innamorato, forse, troppo in fretta, idealizzando un rapporto che fa fatica a decollare, togliendo quei brevi incontri che vi regalate a casa sua.

Ascolti ancora per un po’ i racconti di Freddie, Anna e Giorgia non sembrano voler abbandonare la festa ma tu sei stanco e provato... è come se la tensione stesse abbandonando il tuo corpo, causandoti uno strano intorpidimento.
Mandi giù l’intero contenuto del flute, e nell’esatto momento in cui Elia accende lo stereo della sala relax, tu attraversi il corridoio diretto verso la tua camera.
Ti passi la mano sul volto, chiudi gli occhi; procedi quasi a tentoni mentre la musica diventa sempre più lontana.
Una porta si spalanca e sobbalzi, tornando con le braccia lungo i fianchi; torni a mettere a fuoco ciò che ti sta intorno, e il profilo della Calabresi si staglia dinnanzi ai tuoi occhi, sorpresa quanto te per quella fortuita coincidenza.

Sai che meno ti vede e meglio sta, glielo leggi negli occhi ogni volta che la incontri o che le presenti le tue proposte, i tuoi dubbi, così come i problemi della squadra. Riusciresti quasi a leggere la sua mente, profilando la serie di preoccupazioni alle quali sta pensando; le vedi disegnarsi tutte, una per una, sottoforma di sottili rughette d’espressione ai lati degli occhi, e della bocca.

«Non dirmi che hanno messo la musica...» ti sussurra esasperata, dandoti del tu senza probabilmente accorgersene. Fai spallucce, domandandoti che differenza faccia a quel punto della serata.
«Penso proprio di sì.»
«Detesto dover fare la guastafeste, ma--» inizia, facendo per misurare a grandi passi il corridoio che conduce alla sala relax. Tu, tuttavia, le posi una mano sulla spalla e, seppur appaia interdetta, riesci a fermarla; ti guarda torva, ma tu sorridi conciliante sospirando brevemente.
«Aspetta dai—hanno appena dato tutto su quella pista. Lascia che si scarichino, poi ti prometto che andremo a rispedirli a letto insieme!» le proponi.

Mentre dapprima appare scettica i suoi piedi restano inchiodati al pavimento, segno che ti sta dando ragione forse per la prima volta da quando sei lì.
La seconda, invero: lei, quell’iscrizione, non l’ha mai annullata, come ci ha tenuto a ribadirti in piena notte con la voce piena del sonno che tu stesso hai interrotto.
Si appoggia con la schiena al muro portante del suo ufficio, nel pieno del corridoio ed in penombra; la musica arriva come un silenzioso sottofondo quasi ineludibile, se non fosse che le parole che avete da scambiarvi sono poche. All’inizio, almeno.

«Hai fatto un... un discreto lavoro con i ragazzi.» ti dice incrociando le braccia al petto. Non ti guarda, probabilmente farti un complimento appare più complesso che gestire l’intero corpo sportivo che alleni con tanta attenzione e pazienza.
Ti sfugge un sorrisetto, non sai se per prenderti gioco di lei o per farle capire che avevi ragione sin dall’inizio.
«Mi sta dando ragione, per caso?»
«Le sto dando atto della sua tempra. Chiunque altro avrebbe mollato, in una situazione del genere...»
Torna a darti del lei. Delle volte ti chiedi se stia parlando la Calabresi o semplicemente Sofia, la stessa donna che hai visto sorridere davanti ai progressi dei suoi ragazzi.

«Lei aveva mollato prima del mio arrivo, dottoressa...»
«Non sento di aver mollato...»
«Ne è sicura?» insisti, voltandoti per cercare il suo sguardo.
Sospira rumorosamente; il tuo ragionamento ha fatto centro, lo noti dal suo volto tirato e dal fatto che si stia sforzando di non battere le palpebre per non concederti la ragione che sai di avere. Sa di aver dato precedenza ai suoi numeri, ai suoi contratti, agli sponsor, ma non all’animo dei suoi atleti; sa di aver trascurato una serie di problematiche che hanno rischiato di compromettere non solo le performance, ma perfino la loro resa sotto stress e la loro stessa psiche.

«Lei ha mollato... con Alessandra?» ti chiede, sferrando a sorpresa quel fendente che teneva dentro chissà da quanto tempo. Non vi siete mai permessi di indagare il privato dell’altro, eppure complice quella serata di piccoli successi ha quasi dimenticato che il vostro rapporto non sia mai andato oltre l’ambito puramente lavorativo.
Lei, tuttavia, mostra di averti osservato attentamente perfino quando non ti accorgevi di averla intorno.
«Che c’entra Alessandra adesso?» domandi stranito.
«Non faccia finta di non capire. Questo centro sportivo è mio, devo tenermi informata su tutto quel che vi capita all’interno!» spiega quasi didascalica, facendo spallucce.
Il suo volto non tradisce una sola emozione, sembra fatto di cera mentre ti racconta che le tue relazioni sono affar suo poiché accadono sotto un tetto che pare essere di sua proprietà.

«Continuo a non capire...»
«A performare al loro massimo non devono essere solo gli allievi, ma anche l’equipe. Non vorrei mai che qualcosa andasse storto per delle... incomprensioni.» conclude ponendo particolare enfasi sull’ultima parola, dandoti ad intendere che potresti divenire la ragione primaria di un errore della fisioterapista che lei stessa ha assunto.

Stai per risponderle, quando in fondo al corridoio compare proprio Alessandra. Forse ti cercava per darti la buonanotte, o forse voleva solo scusarsi per come ti ha trattato poco prima; non conoscerai mai la ragione che l’ha spinta a correre da te poiché si allontana nuovamente, scomparendo con la medesima velocità lasciandoti basito e privo di qualsiasi iniziativa di reazione.
Fossi stato il personaggio di una fiaba le saresti corso dietro, precedendo ogni sua richiesta con un lungo, sofferto bacio e confermando il tuo sentimento a gran voce.
Ma quella non è una fiaba, e tu non sei il principe azzurro.
Scompare sotto il tuo sguardo distaccato; pensi che possa aver creduto qualunque cosa, ma non sembra importarti affatto cosa realmente l’abbia spinta ad andarsene senza degnarti di uno sguardo.

La Calabresi dà un lieve colpetto di tosse per attirare la tua attenzione, ma quando ti volti lei ha ripreso a camminare intenzionata a lasciarti da solo in quel corridoio oramai divenuto silenzioso e vuoto.
Prima che tu possa ragionare sul da farsi la tua mano prende iniziativa e, sollevatasi, afferra il suo braccio per fermarla prima che possa continuare nel suo incedere. Capisci di aver osato troppo quando il suo corpo si irrigidisce di colpo per quell’intromissione; diviene di ghiaccio, proprio come il suo sguardo, che ora tenta di scrutare l’imperturbabile che dipinge i tuoi.
Ritrai la mano come se ti fossi scottato; noti che lei riprende a respirare, e abbassato il capo interrompe il contatto tra i vostri occhi.

«Ha paura di me?» domandi d’istinto.
«No!» risponde fiera quasi subito, senza guardarti. «... ma non condivido i suoi... metodi...» aggiunge pronunciando quasi con disprezzo la parola finale.
«Eppure mi sembra che abbiano funzionato meglio dei suoi. O mi sbaglio?»
Si volta, e il suo sguardo severo torna a posarsi sul tuo ma stavolta appare diverso, quasi rassegnato. Sospira, leggermente, e quella rassegnazione ti colpisce allo stomaco come un pugno.
«Non sbaglia.» esala piano.

Ti sarebbe piaciuto conoscerla di più se avesse, in qualche modo, deciso di rinunciare ai suoi muri dal principio. Ti sembra di dover fare tutto di corsa, come se il tempo ti stia correndo alle spalle per fare in modo che tu possa correre più veloce di lui.
Si volta, tornando ad appoggiare la schiena al muro stavolta con meno esitazione; il tuo corpo segue i movimenti del suo, e senza accorgertene ti ritrovi con il palmo della mano appoggiato alla parete, ad un passo dal suo volto.
Non abbandona la sua austerità, sebbene appaia meno impostata di quanto lo fosse stata solo pochi istanti prima. Non ti avvicini molto, sebbene la sua mano si sollevi per prevenirlo adagiandosi gentile sul tuo petto, proprio al di sotto dell’attaccatura del collo.

«Alessandra non soffrirà?» ti chiede a mezza voce senza riuscire a guardarti negli occhi.
«Perché me lo sta chiedendo?» proferisci stranito, ma prima che tu possa domandarle altro senti le sue labbra violare le tue.
Un bacio delicato, di porcellana, proprio come te la sei immaginata; resti incantato dalla gentilezza con la quale ti sta trascinando nel suo mondo, ma commetti l’errore di riconnetterti troppo presto con la realtà e sollevate le mani in aria allontani il volto come se ti fossi, nuovamente, scottato.
Le tue labbra vibrano, ancora, forse non paghe di quel contatto troppo fugace ma la tua testa ti sta urlando di fermarti, di non andare oltre.

Mentre ti stai chiedendo quale voce ascoltare lei ti è già sfuggita, allontanandosi a grandi passi verso il suo ufficio; si vergogna, probabilmente, e si sente ferita per quel rifiuto inaspettato. Ti chiedi cosa abbia visto di te in quei giorni; l’hai sempre vista disinteressata, distaccata, eppure comprendi che forse era un modo per imparare a conoscerti studiandoti da lontano, senza intromissioni.
Ha imparato ad apprezzare quelle tue sfumature caratteriali pur tenendoti a distanza, pur non condividendole del tutto; forse ti ha conosciuto più di quanto abbia fatto Alessandra che, in quelle settimane, ha voluto frequentarti assiduamente.

Ti volti, misurando i suoi stessi passi e dirigendoti verso il suo ufficio. Il tempo continua a correre alle tue spalle ma stavolta lo ignori.
Entri, lei sta infilando rapidamente alcuni oggetti nella borsa preparandosi per abbandonare la struttura prima che tu possa fermarla, ma tu sei già lì e richiudendoti la porta alle spalle le mostri di non volerle lasciare alcun margine di fuga.
Quando rialza lo sguardo l’ombra di una lacrima le sfugge, rigandole la guancia; vorresti cancellarla con le dita ma lei lo fa prima di te quasi con rabbia. Forse non desidera mostrarsi a te in quelle condizioni... fragile... debole... umana.

«Bramanti mi faccia passare...» ti dice a voce bassa, venendo verso di te, ma tu ti ergi a muro ancora una volta e le impedisci di camminare ancora.
«Bramanti...!» ripete serafica tra i denti, non commettendo nuovamente l’errore di guardarti negli occhi per non cadere in tentazione.
Sollevi la mano fino al suo fianco, ma quando stai per appoggiarvi il palmo la sua mano si solleva e ti afferra il dorso, stringendolo con forza per impedirti di toccarla; torna a guardarti ma non sbatte le palpebre, la mascella è tesa e senti le unghie perforarti la carne.
Avverti dolore, ma finalmente i suoi occhi fieri tornano nei tuoi.
Premi le labbra contro le sue e la baci, tornando a respirare. Abbandona la borsa, che ricade rumorosamente sul pavimento, e con entrambe le mani si arpiona al tuo collo; quel contatto breve si trasforma in esigenza, le vostre labbra si cercano quasi disperatamente per alleviare le reciproche pene.

Le sfili la giacca scura mentre lei indietreggia e tu segui i suoi movimenti, lasciando scivolare il braccio intorno ai fianchi per non farla scappare ancora una volta. Si siede sulla scrivania arpionandoti il bacino con le gambe; le accarezzi i fianchi mentre i suoi polpastrelli pizzicano la tua barba rada per poi scomparire tra i tuoi capelli.
Le vostre labbra non intendono separarsi in alcun modo, lei pare il pezzo di quel puzzle che hai disperatamente cercato in lungo e in largo fin quando non è comparso nell’esatto istante in cui hai smesso di cercarlo.

In un istante la tua maglietta finisce sul pavimento; i suoi palmi si posano sul tuo petto mentre i tuoi finiscono sulla sua schiena e con l'ausilio dei polpastrelli lasci scivolare la cerniera in basso fino a sfilarle il tubino bianco con l’aiuto dei suoi stessi movimenti.
Le vostre labbra si cercano senza sosta mentre con indosso solo la biancheria scivolate supini sul pavimento del suo ufficio; la sormonti coprendola interamente con il tuo corpo e con la mano scivoli ad accarezzarle lo sterno, e al di sotto dei polpastrelli avverti un intoppo, un solco, qualcosa che contrasta con il liscio della sua pelle.
Abbassi gli occhi, lei sospira mentre sfiori quella lunga cicatrice e con le mani tenta di farti risollevare il capo per incontrare nuovamente i suoi occhi.
Il suo sguardo è mutato, ora appare più dolce, quasi rilassato; ti accarezza il mento e scuote brevemente la testa, una muta richiesta di non farle domande.
Non chiedi, e quando restate entrambi senza nulla indosso ti accoglie con un sospiro grato.

Il tempo passa ma ora non ti rincorre più, anzi cammina al tuo fianco lentamente; tra le tue labbra esala l’ultimo di una serie di gemiti, le sue gambe strette intorno al tuo bacino fanno quasi male ma te ne accorgi solo alla fine, quando allentano la presa rilassandosi e distendendosi lungo il pavimento freddo.
Sta tremando, e non sai se è per il freddo; le passi la sua giacca, e decide di indossare solo quella prima di tornare ad accoccolarsi sul tuo petto. È il contatto umano che cerca, e questo non ha nulla a che fare con la temperatura della stanza.

«Me la dici la verità, adesso?» le domandi in un soffio scostandole i capelli con il respiro, dandole forse per la prima volta del tu da quando sei giunto nel suo centro sportivo.
«Non ho mai voluto realmente mandarti via.» risponde senza mezzi termini, guardando un punto indefinito dinnanzi a sé mentre muove i polpastrelli lungo il tuo petto.
«Pensavo mi odiassi...»
«Non ti odio. Non ti ho mai odiato. La verità è che mi sento esattamente come loro...» solleva il capo, strofinando la tempia lungo la tua spalla. «Mi sento protetta quando ci sei tu.» ammette in un soffio, lasciando scorrere lo sguardo dai tuoi occhi alle labbra.
Ti sorride, facendoti sorridere a tua volta.

«Dovresti sorridere più spesso, Sofia. Sei molto più bella quando lo fai.»
Ride di gusto scuotendo il capo, forse per il tuo commento troppo smielato o forse perché non se lo sente dire da troppo tempo. 
   
 
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