Sfrecciare
lungo le strade della vecchia Milano da bere, quel conglomerato da
yuppies ormai spento; sfrecciare per queste strade alla guida di una
Fiat Regata del '86. Tinte bianche della carrozzeria, come eroina
ancora da sciogliere in qualche discoteca della vecchia
città del peccato, che per troppo tempo ha infestato perfino
le crepe dei paesini limitrofi.
Even death may die; anche la morte può morire, e non è solo un detto per coloro che si fanno soprannominare gli immortali e i loro sottoposti, che tanto desiderano ucciderla.
Una cospirazione, un complottismo e io ci sono dentro fino al collo in questo strano schema di leggi imposte dai piani alti della ribellione divina:
1)Cattura la morte.
2)Uccidila.
3)L'umanità e gli angeli ribelli acquisiscono l'immortalità.
4)Profit!
Può un professore di scuola fermare una cospirazione del genere, un piano così contorto? Può davvero la morte morire? Non so.
La guardo, i denti aguzzi nascosti sotto un'espressione malinconica rischiarata dalle luci della strada.
"Ti ho messo nei casini, vero?"
"Vero, ma che ci vuoi fare? Ormai siamo in ballo e allora balliamo, non credi?"
"Come va la ferita?"
Per un attimo osservo la voragine calibro .44 nell'addome. Fa male eppure non mi sento debole; non sento il sentore della morte su di me.
"Quindi non posso morire finché non lo decidi tu?"
Annuisce.
"Non puoi, ma cerca di non farti beccare troppo spesso. I danni rimangono e non credo faresti molto nel caso tu venga fatto, che so, a pezzi".
"Ci proverò", mormoro nel tentativo di trattenere a stento un brivido.