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Autore: pampa98    15/03/2024    0 recensioni
[Questa storia partecipa alla challenge “Gruppo di scrittura!” indetta da Severa Crouch sul forum “Writing Games - Ferisce più la penna” – aggiornamenti ogni 15 del mese]
What-if? 1x10 ~ Aegon/Jace, Aemond/Luke.
Quando Jace si presenta al cospetto di Borros Baratheon per ricordargli il giuramento fatto a sua madre, Aemond decide di sottrarre ai Neri ciò che hanno di più prezioso: il loro erede. Jace diventa prigioniero nella Fortezza Rossa, dove i Verdi sentono di avere la vittoria in pugno – purché lui accetti di inginocchiarsi al cospetto di Aegon, che, da parte sua, è più propenso a rivedere in lui l’amico di infanzia che non il figlio della sua nemica.
La vicinanza forzata tra Aegon e Jace riuscirà a ricucire il loro rapporto? E che conseguenze avrà per il futuro del regno?
(Warning: Character death)
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aegon II Targaryen, Aemond Targaryen, Jacaerys Velaryon, Lucerys Velaryon
Note: What if? | Avvertimenti: Incest, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 12



 

Aegon si fermò un momento di fronte al corridoio che conduceva alla stanza di Jace. Gli sarebbe piaciuto vederlo, ma temeva che il ragazzo non sarebbe stato dello stesso parere, soprattutto se si fosse presentato da lui senza una prova concreta della sua decisione di incontrare Rhaenyra – e di lasciarlo andare.

Sospirò, e proseguì per la sua strada, guidato dall’impulso di sciogliere quel nodo allo stomaco attraverso un lungo sorso di vino, solo per ricordarsi che non ve n’era più nemmeno una goccia nella sua stanza. 

Si fermò davanti alla porta, passandosi le mani sul volto. Avrebbe potuto chiedere a una delle cameriere di portargli un calice pieno: in fondo, che male poteva fargli? Si era disintossicato ormai. La ricerca di conforto per l’imminente partenza di Jace nell’alcol era solo un gesto abitudinario.

Sbuffò, lasciandosi sfuggire un’imprecazione. Doveva resistere. Doveva riuscirci.

Entrò nella stanza e l’odore che lo avvolse gli fece capire che qualcuno si era occupato di rinfrescarla durante la sua assenza. Fu una bella scoperta – a differenza di quella che i suoi occhi incontrarono di fronte al camino.

«Che cazzo ci fai tu qui?»

Aemond si voltò lentamente, fissandolo con il suo unico occhio.

«Ciao anche a te, fratello» rispose, un piccolo sorriso di scherno a incurvargli le labbra.

Aegon si morse le guance per non urlare. Pregò che fosse solo un crudele scherzo della sua mente e decise di ignorarlo, aggirandosi per la stanza in cerca di carta e penna. Credeva di averne, anche se non aveva idea di dove potessero essere. In tutta onestà, non ricordava nemmeno l’ultima volta in cui aveva scritto qualcosa di suo pugno. 

«Sono lieto di vederti di nuovo tra noi.»

Aegon sbuffò, inginocchiato di fronte alla cassapanca ai piedi del letto, e proseguì la sua ricerca – il cui unico risultato fu portare a galla vecchi giocattoli e alcuni oggetti che avrebbero fatto venire un infarto a sua madre se avesse scoperto il loro utilizzo.

«Non avevo mai visto la stanza così ordinata» continuò suo fratello, imperterrito. Aegon prese in considerazione l’idea di mostrare uno di quei giocattoli erotici ad Aemond. Forse la minaccia di usarlo su di lui lo avrebbe convinto ad andarserne. «Non c’è nemmeno il tuo tipico tanfo, il che è sorprendente. Quasi quanto la totale assenza di vino.»

Aegon strinse le palpebre, elencando nella sua mente tutti gli insulti che avrebbe voluto riversargli addosso. Non gli sembrava una buona idea iniziare una rissa in quel momento, ma il desiderio di prenderlo a pugni stava salendo ogni secondo di più. 

E voleva anche bere. 

Richiuse la cassapanca, sfogando in quel gesto una parte della sua frustrazione, e si alzò con uno sbuffo simile al ringhio di un animale ferito. Decise di provare a cercare il materiale per scrivere in uno degli armadi, ma appena si voltò, si ritrovò a scontrarsi con il corpo di Aemond.

Sollevò lo sguardo verso di lui, che ancora si ostinava a indossare la sua maschera di perfetta compostezza.

«Il tuo silenzio sta diventando fastidioso» disse Aemond.

Aegon non ci vide più. Lo spinse indietro, incurante del rischio di fargli male – sperandolo, anzi –, ma suo fratello non si fece trovare impreparato. Nonostante un primo barcollamento, si afferrò alle sue braccia e fu Aegon a rischiare di perdere l’equilibrio. Mosse un passo indietro per cercare di stabilizzarsi, ma il suo polpaccio colpì la cassapanca e lui si ritrovò a cadere verso il letto. Strinse i denti quando la sua schiena impattò contro la pediera, togliendogli il fiato. Il legno si era conficcato a metà della sua colonna vertebrale e gli sembrava che il suo corpo si fosse fatto flaccido, nemmeno le braccia avevano abbastanza forza per tirarlo su. Si sorprese quando si ritrovò con il sedere sulla cassapanca e il resto del busto appoggiato scompostamente contro la pediera.

«Sei patetico.» 

L’insulto gli scivolò addosso, ma la voce di suo fratello gli fece aprire gli occhi. Aveva una mano stretta sulla sua giacca. Aegon sollevò un braccio per cercare di allontanarlo, ma fu inutile. Aemond non sembrava intenzionato a lasciarlo e, anzi, gli diede uno scossone che gli fece sfuggire un lamento di dolore.

«Hai finito di fare il bambino?» sbottò suo fratello, la voce carica di disgusto. Niente di diverso dal solito. «Se ti rimetto in piedi, pensi di essere in grado di sostenere una conversazione adulta?»

Aegon fu tentato di negare. Non aveva voglia di parlare con lui, né con qualunque altro membro della loro famiglia. Non prima di aver scritto a Rhaenyra. Non prima di aver rivisto Jace.

Il suo silenzio fece allontanare Aemond, che lo mollò con un gesto secco. Aegon ebbe la prontezza di fare leva sulle sue braccia, così da non sbattere la schiena ancora una volta. Lentamente, si mise seduto e allungò il braccio destro dietro di sé per tastare il punto in cui immaginava si stesse formando un ematoma. 

«Hai fatto una scenata davanti ai tuoi consiglieri,» Aemond si era spostato verso la finestra, ma non sembrava ancora intenzionato ad andarsene, «e poi sei sparito per giorni. Helaena dice che c’è una buona ragione per il tuo comportamento.»

Aegon sbuffò. «Se lo dice lei, sarà vero, no?»

Aemond si voltò verso di lui. La luce del Sole splendeva alle sue spalle, adombrandogli il viso. 

«Posso conoscerla anch’io?» chiese. Ad Aegon sembrò di avvertire una nota di tristezza in quella domanda, ma probabilmente l’aveva solo immaginata. «Ho già qualche sospetto, ma vorrei la tua conferma» aggiunse subito dopo, con più durezza.

Aegon si massaggiò le tempie. Non aveva alcuna intenzione di affrontare l’argomento con lui. Prima o poi avrebbe dovuto, questo lo sapeva; ma preferiva farlo dopo aver già parlato con Rhaenyra.

«Mi dispiace, per il momento devi accontentarti dei sospetti.» Si alzò in piedi e impiegò qualche secondo a raddrizzare la schiena. «Se proprio muori dalla curiosità, puoi sempre chiedere a Helaena.»

Si avviò verso il suo armadio, maledicendo il dolore alla schiena a ogni passo. 

«Hai intezione di sottometterti a Rhaenyra?»

Si arrestò, serrando le palpebre. Sperava che i suoi attuali sospetti lo vedessero coinvolto in qualcosa di losco e depravato – non era quella l’immagine che soleva restituire al suo occhio?

«Jace doveva inginocchiarsi a te, ma sembra che sia riuscito a ottenere il contrario.»

Aegon si voltò verso di lui, fulminandolo con lo sguardo.

«Non ti azzardare a parlare di lui» tuonò. 

Aemond lo ignorò. «Cosa ti ha offerto? Quali promesse ha fatto per convincerti a barattare il trono con la vita della tua famiglia?»

«Jace non c’entra niente. Non mi ha convinto a fare niente, men che meno a “sottomettermi”» – mimò le virgolette con le dita – «a sua madre.» Poi sospirò, passandosi una mano tra i capelli. «Non mi lascerai in pace finché non ti avrò detto tutto, vero?»

Aemond annuì.

«Bene. Appena ti sarai deciso a levarti dal cazzo, ho intenzione di scrivere a Rhaenyra per chiederle un incontro.»

Aemond aggrottò le sopracciglia, ma rimase in silenzio.

«Se accetterà, e se avrò la certezza che la nostra famiglia sarà al sicuro, le restituirò il trono.»

Finora aveva espresso chiaramente le sue intenzioni solo a Helaena. Questa era la prima volta che dichiarava di voler abdicare di fronte a qualcuno che avrebbe potuto opporsi con fermezza. Si chiese se non fosse stato avventato – considerando soprattutto che, per la riuscita del suo piano, Jace avrebbe dovuto lasciare la Fortezza Rossa. Adesso cos’avrebbe fatto Aemond? Sarebbe corso ad avvisare Alicent? Gli avrebbe impedito di contattare Rhaenyra? 

Avrebbe attaccato Jace, come aveva già fatto in passato?

Si avvicinò a lui. Aemond teneva lo sguardo basso, assorto nei suoi pensieri. Aegon era deciso a far prendere loro un’unica direzione.

Lo afferrò per il bavero della giacca, strattonandolo affinché lo guardasse. Lui lo fece.

«Quello che ti ho detto non uscirà da questa stanza, se non quando io lo deciderò. Noi due non abbiamo mai avuto questa conversazione. Sono stato chiaro?»

Aemond assottigliò la palpebra. Poteva sentire la sua mente vorticare mentre si interrogava sulla possibilità di obbedirgli o meno. 

Aegon strinse la presa. «Non ho intenzione di mettere nessuno di voi in pericolo» continuò, «né di perdere Jace. So che a te non importa più niente di loro, ma iniziare una guerra sarebbe un pericolo per tutti! E nostro padre non ha mai voluto me…»

Sospirò, e quel momento di debolezza permise ad Aemond di allontanarsi da lui, fermandosi però solo un passo indietro, in modo da evitare di essere afferrato ancora. 

«E se Rhaenyra rifiutasse?» Non era la domanda che si era aspettato, ma vi trovò un senso di conforto – nonostante le tetre implicazioni della sua risposta. Aveva messo in conto quella possibilità, insieme al rischio che Rhaenyra mentisse per convincerlo ad abdicare; ma sperava che non si verificasse.

«Non lo so» rispose, facendo spallucce per forzare una tranquillità che non possedeva. «Suppongo che il conflitto sarà inevitabile, in quel caso.»

Strinse i pugni. Una guerra non lo spaventava più di tanto: i suoi figli erano troppo piccoli per prendervi parte e Aemond, con la sua abilità di spadaccino e il drago di Visenya Targaryen, poteva ritenersi al sicuro. 

Ma Jace sarebbe stato in pericolo. 

E lo avrebbe odiato, per sempre.

«Potrebbe proseguire questa situazione di stallo.» Aegon sollevò lo sguardo, inarcando un sopracciglio. Aemond era stranamente collaborativo verso il suo piano. «I Neri non ci attaccheranno, finché avremo Jacaerys. Ammesso che continueremo ad averlo» aggiunse, inclinando la testa di lato.

Aegon sospirò. Andò a sedersi sul letto, prendendosi la testa tra le mani. 

«Rhaenyra accetterà di incontrarmi se Jace resta qui?» 

«No.» Una risposta secca, che annullò le speranze che ancora si ostinavano ad albergare nella sua mente. 

Si lasciò sfuggire una mezza risata: non avrebbe potuto avere la certezza che la vita delle persone che amava sarebbe stata salva finché non fosse rimasto solo un Targaryen con una corona in capo. E, anche in quel caso, sarebbe servito del tempo per provare che tutti loro sarebbero stati al sicuro. 

«Quando partirà?» chiese Aemond.

Lui sospirò. «Non ho ancora deciso» disse, anche se non era del tutto vero. Ma, in quel momento, non era quella la sua principale preoccupazione.

Si alzò in piedi, scrutando attentamente suo fratello. 

«Quindi tu sei d’accordo?» domandò. «Ti sta bene che io voglia restituire il trono a Rhaenyra?»

Aemond rimase in silenzio per qualche istante.

«Non ti ho mai considerato degno di indossare la corona» disse, infine. «E non sono certo che nemmeno nostra sorella lo sia.»

Aegon sbuffò. Però credi di esserlo tu, pensò. 

«So, per esperienza, che non le importa niente di noi» continuò, «ma non posso nemmeno giurare che ci ucciderebbe. Di certo l’opinione che i suoi figli hanno di lei cambierebbe, se si rivelasse una fratricida.»

«Arriva al punto» lo incalzò Aegon. 

Aemond sollevò lo sguardo verso di lui. 

«Fa’ ciò che devi. Io non ti tradirò. Voglio solo una promessa da parte tua.»

Il sospiro di sollievo che stava lasciando le sue labbra si interruppe a metà. Inarcò un sopracciglio, guardingo.

«Quale?»

«Se arriveremo comunque alla guerra, tu combatterai per questa famiglia.»

Aegon strinse i pugni. Era una realtà che aleggiava minacciosa sulle loro teste e non poteva continuare a ignorarne l’esistenza. Avrebbe fatto ciò che poteva per evitarla, ma se non fosse stato possibile…

«Lo prometto.»

 

~

 

Schiuse le palpebre, prese un profondo respiro e si alzò dal letto. Finalmente, riusciva a vedere con chiarezza ciò che avrebbe dovuto fare – la vergogna per aver atteso tanto a lungo, riempiendosi il cuore di speranze e sentimenti che avrebbe dovuto seppellire da tempo, doveva essere rimandata. Adesso era tempo di agire.

Tutto sommato, era grato ad Alicent Hightower per avergli fatto visita: lo aveva aiutato a recuperare il senno, che sembrava aver smarrito, e, sebbene avesse ancora qualche riserva su Aegon, continuare a temporeggiare era inutile. Con la sua famiglia che premeva affinché fosse re, lui non avrebbe mai rinunciato alla corona. Era troppo debole per farlo.

Strinse i pugni, affranto; poi scosse la testa, mettendo da parte quel persistente affetto che avvertiva nei confronti di Aegon. Aveva bisogno di restare lucido e di ragionare in fretta.

Sapeva cosa dovesse fare – ma il come rappresentava un ostacolo non indifferente.

Ricordava che molte delle stanze nella Fortezza Rossa erano dotate di passaggi segreti, ma lui ne aveva percorso solo uno da bambino e non gli sembrava saggio rischiare di perdersi all’interno delle pareti del castello. Senza contare che, non conoscendo la strada, avrebbe corso il rischio di giungere nelle stanze dei Verdi – e, con la sua fortuna, di certo non sarebbero state quelle di Helaena.

Evitare le guardie di Aegon non era, però, l’unico problema. Una volta fuori, avrebbe dovuto raggiungere la Fossa del Drago – il suo aspetto non Targaryen, unito a un cappuccio ben calato in capo, supponeva che gli avrebbe facilitato il compito di passare inosservato tra la folla – e lì avrebbe dovuto liberare Vermax, prima di poter finalmente volare a casa. 

Ammesso che il suo drago fosse ancora vivo, ovviamente. 

Voleva credere che lo fosse, che Aegon non gli avesse mentito, ma la sua parte più cinica gli diceva di prendere in considerazione anche l’ipotesi peggiore. Che, in quel particolare frangente, non si limitava a un lutto, ma anche alla sua impossibilità di lasciare la capitale. Dubitava che avrebbe trovato una nave pronta a salpare per Roccia del Drago e, non conoscendo le attuali alleanze dei Verdi, non poteva sapere con esattezza quale luogo, oltre a casa, sarebbe stato sicuro. L’unico sulla cui lealtà non dubitava era Cregan, ma lui si trovava dall’altra parte del regno. Anche fuggire a cavallo sarebbe stato inutile, soprattutto perché era un pessimo cavalcatore e non era così ingenuo da credere che la sua assenza sarebbe rimasta ignota tanto a lungo.

Si passò una mano dietro il collo, sospirando. Da qualunque punto di vista la guardasse, una sua eventuale fuga gli sembrava destinata a fallire. La principessa Rhaenys si era trovata in una situazione simile, ma probabilmente il caos generato dall’imminente incoronazione aveva fatto abbassare la guardia a tutti quanti, permettendole così una fuga più tranquilla. 

Sgranò gli occhi, mentre il suo sguardo saettava verso la porta. 

Rhaenys era stata aiutata. 

Dal gemello del cavaliere a cui era stata affidata la sua sorveglianza.

Jace aggrottò le sopracciglia. Aveva instaurato un buon rapporto con Arryk, il quale lo aveva anche difeso da Criston Cole, a rischio della sua posizione. Ma, fino a quel momento, non aveva mai dovuto disobbedire al suo re. Se Jace gli avesse chiesto aiuto per fuggire, Arryk lo avrebbe assecondato? O, almeno, coperto abbastanza a lungo da offrirgli un vantaggio sui Verdi? 

Prima che potesse concludere le sue supposizioni, la porta cigolò, aprendosi. Jace raddrizzò le spalle, mentre la sua mente vorticava in cerca delle parole da usare con Arryk per convincerlo a seguire le orme del fratello. Ma non fu il cavaliere a entrare nella stanza.

Jace strinse i pugni, trattenendosi dal cacciarlo all’istante mentre Aegon si chiudeva la porta alle spalle. Non portava più la corona e indossava una semplice giacca nera, senza alcun rimando alla sua famiglia. Era molto diverso dall’ultima volta in cui lo aveva visto. 

«Scusa il disturbo» disse, sollevando appena lo sguardo verso di lui. Sembrava nervoso e poco incline ad affrontarlo a viso aperto.

«Che succede?» chiese Jace, temendo che avesse con sé brutte notizie, forse portate dalla lettera che stringeva in mano.

Aegon strinse le palpebre, lasciando andare un lungo sospiro. Le sue labbra si mossero, ma Jace non riuscì a udire le parole che vi uscirono. Non ebbe però il tempo di chiedere: il ragazzo raddrizzò le spalle e si avvicinò a lui, tendendogli la lettera. Sul sigillo, intatto, svettava il drago a tre teste.

«È per Rhaenyra» spiegò Aegon, e allungò ulteriormente il braccio per invitarlo a prenderla. Guardingo, Jace lo fece. 

Se la rigirò tra le mani, ma, essendo chiusa, non poteva sapere cosa vi fosse all’interno. Tuttavia, lo incuriosì il fatto che sua madre ne fosse la destinataria.

«L’hai scritta tu?» domandò. 

«Sì. Ho… Ho pensato molto, in questi giorni. E avevi ragione.» Jace inarcò un sopracciglio, ma non lo interruppe. «Devo conoscere Rhaenyra per capire se i timori di mia madre siano o meno fondati. Con questa le chiedo semplicemente un incontro, che spero accetterà.»

Jace spostò lo sguardo da lui – decise di focalizzarsi sulle parole, più che sul tono, deciso ma pregno di tristezza – alla lettera. Era una mossa che non si era aspettato, anche se aveva osato sperarci, un tempo. 

“Aegon ti darà presto la sua risposta.”

Jace sgranò gli occhi. Aveva completamente dimenticato la loro cena – il primo momento in cui la fortezza di serenità in cui si erano rinchiusi aveva iniziato a sgretolarsi, lasciando però intravedere tra le crepe la luce di una promessa. Non avrebbe osato sperare che Aegon la mantenesse.

«Ci hai pensato davvero» disse, dando voce ai suoi pensieri prima di poterli arginare. 

Aegon gli rivolse un mezzo sorriso. «Lentamente, ma sì.»

Il volto di Jace si rilassò. Sentì che avrebbe anche potuto accennare un sorriso. Ma non doveva perdere la sua risoluzione ancora una volta. Non doveva cedere ai suoi sentimenti, non fino a quando non avesse avuto la certezza che l’eredità di sua madre e la vita della sua famiglia sarebbero state al sicuro. E, ripensando alle parole di Aegon, tale certezza non poteva ancora averla.

«Quindi vuoi… parlare con lei?» chiese, sperando che fosse disposto a dargli maggiori dettagli. «Restando ancora intenzionato a non rinunciare al trono, però.»

Aegon abbassò lo sguardo. Sembrava dispiaciuto.

«Se i miei figli e i miei fratelli morissero per causa mia, non me lo perdonerei mai» disse, tornando a guardarlo negli occhi. «Devo assicurarmi che siano al sicuro. Lo capisci, vero?»

Suo malgrado, Jace lo capiva. E non poteva nemmeno biasimarlo: lui aveva spronato sua madre a reagire in nome dello stesso desiderio. Odiava che gli fossero stati instillati nella mente tali dubbi riguardo a Rhaenyra, ma ormai era tardi per estirparli. Solo sua madre, e la fiducia che Aegon avrebbe dovuto riporre in lei, potevano metterli a tacere. 

«Vorrei poter proteggere anche te.»

Jace sbatté le palpebre. La voce di Aegon era giunta così timida, che si chiese se non l’avesse solo immaginata – ma il modo in cui lo stava guardando era così intenso e sincero che fece perdere un battito al suo cuore. 

C’era qualcosa di diverso in lui. Non solo nel vestiario o nell’assenza dell’odore di vino, ma nella sua stessa essenza. Sembrava più sicuro di sé, più deciso. E, anche se i suoi occhi continuavano a essere lucidi, emanavano una forza che Jace non ricordava di aver mai visto prima, nemmeno durante la loro infanzia. 

Avrebbe voluto sfiorarlo, anche solo per avere la conferma che fosse reale, ma non si fidava totalmente di se stesso in quel momento – e, inoltre, un cambiamento tanto repentino andava preso con le pinze. Non era trascorsa nemmeno un’ora da quando si era rimproverato per l’eccessiva fiducia che aveva dato ad Aegon; non poteva ripetere di nuovo lo stesso errore.

Abbassò lo sguardo sulla lettera, distogliendolo dal suo nella speranza che l’altro non avesse notato il tumulto di emozioni che gli aveva causato, e la strinse con entrambe le mani, annuendo.

«Voglio credere che non arriveremo a una guerra» disse, ma si fermò lì. Non aggiunse che era spaventato per i suoi fratelli, per Baela e per Rhaena, tutti troppo giovani e inesperti per affrontarne una. Non confessò che avrebbe voluto evitarla per risparmiare un inutile dolore a Helaena. 

Non ammise che avrebbe voluto proteggere anche chi aveva usurpato il trono di sua madre.

Sospirò, sollevando lo sguardo. 

«Ti ringrazio per aver fatto il primo passo. Vuoi che aggiunga un mio messaggio a questa?» domandò poi, indicando la lettera. In fondo, non sapeva ancora se Aegon gliel’avesse mostrata solo per informarlo o perché avesse bisogno di lui per inviarla.

Quella domanda sembrò sorprendere Aegon. Il ragazzo abbassò lo sguardo, grattandosi il mento.

«Pensi che basterebbe?» chiese, incerto. «Solo un tuo… un tuo messaggio?»

Jace aggrottò le sopracciglia.

«Non saprei» rispose. «Tu cos’avevi in mente?»

Lui sospirò.

«Pensavo che potresti consegnarlo di persona.»

Jace impiegò qualche secondo a capire il senso di quelle parole. Stava cercando un modo per liberarsi dalla sua condizione di prigioniero e adesso era il suo stesso carceriere ad aprirgli la gabbia. Gli sembrava una coincidenza troppo bella per essere vera.

«No, sicuramente devi.» Aegon sbuffò, passandosi le mani sul viso. «Rhaenyra non mi ascolterà finché tu sei qui, vero?» chiese. Poi si lasciò andare a una risata amara. Jace inarcò un sopracciglio: quell’atteggiamento lo stava confondendo. «Scusa» disse infine, con un sorriso triste sul volto. «Sei la terza persona a cui lo chiedo, nella speranza di ricevere una risposta diversa. Ma non ci sarà.»

«Aegon, non ti sto seguendo» confessò. «Vuoi che consegni questa lettera di persona oppure no?»

Lui sembrò rifletterci un momento, poi rispose:

«Puoi tornare a casa, Jace.»

Le sue spalle si rilassarono, mentre lasciava andare il respiro che gli era rimasto bloccato in gola sin da quando era arrivato nella capitale. Abbassò lo sguardo, cercando di trattenere le lacrime. Incredulità e gioia si mescolarono insieme, ed ebbe bisogno di conficcarsi le unghie nel palmo della mano libera per accertarsi di non stare sognando.

«Cerca di farmi avere una risposta quanto prima.» La voce di Aegon gli fece sollevare lo sguardo verso di lui. Non si era accorto che si fosse allontanato, dirigendosi verso la porta. 

Il suo corpo si mosse prima che potesse fermarlo. Jace gli strinse un polso, tirandolo piano verso di sé. Aegon guardò il punto in cui la loro pelle si toccava, poi sollevò gli occhi su di lui. 

Jace gli sorrise.

«Lo farò» promise. «Grazie, Aegon.»

Lui sgranò gli occhi, che in un attimo si riempirono di lacrime. Abbassò il volto e se li asciugò velocemente con la manica della giacca, mentre tentava di annuire. 

Jace aspettò che si calmasse – tempo che permise anche a lui di riordinare le sue emozioni. Non interruppe il loro contatto e, presto, avvertì la sua presa scivolare fino a raggiungere la mano di Aegon, che subito serrò le dita intorno a lui, quasi temesse che sarebbe svanito se lo avesse lasciato. E Jace realizzò solo in quel momento che Aegon non voleva lasciarlo andare – ma era necessario che lo facesse. 

«Io non ti ho mai chiamato bastardo.» 

Quelle parole lo sorpresero. Il suo primo istinto fu quello di allontanarsi, ma lo sguardo di Aegon, più della sua stretta, lo convinse a concendergli una possibilità.

«A volte magari faccio delle battute… che non tutti apprezzano.» Jace trattenne a stento uno sbuffo: un giorno avrebbe dovuto spiegargli la differenza tra una battuta scherzosa e un’offesa. «Ma non ho mai detto una parola contro di te o contro…» Non pronunciò il suo nome, ma capì di chi stesse parlando. «Un po’ ti invidiavo, questo lo confesso. Avevi due ottimi padri e io nemmeno uno.» Sospirò, passandosi una mano dietro la nuca. «Non che questo abbia importanza, ormai. Volevo solo, ecco, che sapessi…»

La porta si aprì, interrompendo la loro conversazione. Jace evitò di imprecare, a differenza di Aegon, ma non apprezzò comunque l’arrivo improvviso di Arryk nella stanza.

«Nessuno ti ha detto di entrare!» sbottò Aegon. «Sparisci subito da qui!»

Il cavaliere abbassò lo sguardo, mortificato. 

«Chiedo perdono, Maestà, ma…»

«Ma un cazzo!»

«Aegon.» Jace gli strinse la mano, cercando di calmarlo. 

«Era importante» ribatté lui, più piano, forse per evitare che Arryk lo sentisse. «Davvero. A me importa solo di te. Di come sei tu, non…»

Jace sventolò la mano per farlo tacere, mentre il suo volto iniziava a farsi caldo.

«Sì, sì, l’ho capito» disse. «Ma se Ser Arryk è entrato in questo modo, deve avere anche lui qualcosa di importante da dire. Riprendiamo dopo» aggiunse, rivolgendogli un sorriso incoraggiante.

Aegon sbuffò. Si passò la mano libera sul viso, poi tornò a voltarsi verso Arryk.

«Cosa succede?» chiese, e Jace suppose che quello fosse il tono meno infastidito che potesse usare in quel momento.

«Non volevo interrompevi così bruscamente» si giustificò subito lui, «ma Ser Cole è qui e dice che ha urgente bisogno di parlarvi, Maestà.»

«Perché? È morto qualcuno?»

Arryk aggrottò le sopracciglia. «Non… Spero proprio di no.»

«Io invece mi auguro di sì, a questo punto!»

Jace strinse le labbra. Quella giornata aveva preso una piega così inaspettamente positiva, che iniziò a temere che fosse accaduto qualcosa di grave. Molto grave. 

«Vai a sentire cos’ha da dire» disse Jace, spingendolo verso l’uscita. «Io ti aspetto qui.»

Lui sospirò, ma non oppose resistenza. Quando passò accanto ad Arryk, si fermò un momento per fissarlo dall’alto in basso, gesto che sembrò mettere il cavaliere a disagio. Jace stava per chiedergli di smetterla, quando Aegon si voltò indietro e, facendo un cenno verso l’uomo, mimò con le labbra: “Diglielo pure”.

Uscì dalla stanza e Arryk si accinse a seguirlo.

«Ser Arryk.» Jace lo fermò.

«Principe, mi scuso ancora per l’interruzione.»

Jace scosse la testa. «Non preoccuparti. Resta un momento, per favore. Vorrei parlarti.»

 

~

 

Criston Cole era in fondo al corridoio, così lo costrinse a stare lontano da Jace per più tempo di quanto avesse preventivato. E gli stava anche dando le spalle. Per essere una “questione urgente”, non sembrava troppo interessato alla celerità. Avvicinandosi, però, realizzò che non era da solo – e si irrigidì, scorgendo Aemond insieme a lui. 

Per un momento, temette che suo fratello lo avesse tradito, andando a informare tutti gli alleati della regina circa il suo piano. E perché non avrebbe dovuto farlo? In questo modo, lui sarebbe stato fuori dai giochi e la corona sarabbe passata al suo parente più prossimo grande abbastanza per indossarla.

«Maestà.» Cole gli rivolse un inchino. Aegon lo ignorò, fissando lo sguardo su suo fratello.

«Che succede?» chiese, direttamente a lui.

«Il primo cavaliere ha indetto una riunione del Concilio Ristretto.»

Aegon aggrottò le sopracciglia.

«Potrei conoscerne la ragione?» disse, a metà tra l’infastidito e il preoccupato.

«Non l’ha detta» rispose Criston. «Ma sono certo che si tratti di qualcosa di importante.»

Aegon non riuscì a trattenere uno sbuffo divertito. «Naturale.»

Sospirò. Non aveva alcuna intenzione di affrontare il suo concilio adesso. Era la sua ultima occasione per stare con Jace, l’ultimo momento per chiarire con lui – anche se più o meno lo aveva già fatto; ma non era sufficiente. Voleva di più.

«Vai.» La voce di Aemond lo riscosse dai suoi pensieri. «Avranno molto di cui lamentarsi nei prossimi giorni. E tu, per ora, sei ancora il re

Aegon spostò lo sguardo verso Criston, che teneva la testa bassa, la mano stretta attorno all’elsa della spada, poi di nuovo su Aemond. Raramente parlavano in Valyriano in pubblico, soprattutto perché Alicent lo proibiva, dicendo che era una maleducazione nei confronti di chi stava loro intorno; ma, in quel momento, il gesto di Aemond lo aiutò a guadagnare fiducia in lui. 

«Va bene» disse. «Torno un momento da Jace, intanto voi andate.»

Aemond inarcò un sopracciglio, facendolo sbuffare.

«Vuoi venire a farmi da balia?» sbottò. Poi aggiunse: «Voglio solo assicurarmi che non parta prima che lo abbia salutato

«Perdonate l’intromissione» disse Criston, facendosi avanti. «Se avete bisogno di qualcuno che controlli il prigioniero, posso occuparmene io.»

«Non è un- Ci pensa già Arryk a controllarlo. E poi tu non fai parte del Concilio?»

«La mia presenza non è indispensabile come la vostra.»

Aegon sbuffò. «Devo solo dirgli una cosa, faccio presto.»

«Maestà…»

«Ser Criston» lo chiamò Aemond, «va’ a informare la regina e il Primo Cavaliere che arriveremo a momenti.»

Aegon lo ringraziò con un cenno del capo, e decise di lasciare il suo stupore per quel comportamento a un altro momento. Corse indietro ed entrò nella stanza di Jace, che stava mostrando ad Arryk la lettera per Rhaenyra. Il suo arrivo li fece voltare entrambi verso di lui.

«Allora? Cosa succede?» chiese Jace, avvicinandosi a lui.

Aegon sbuffò, passandosi una mano tra i capelli.

«Quello stronzo di mio nonno ha indetto una riunione. Non so cosa voglia, ma devo partecipare.»

«Certo che devi.» Abbassò lo sguardo, rigirandosi la lettera tra le mani. Aegon sperò che fosse infastidito quanto lui all’idea di venire, nuovamente, allontanati. Ma forse era sperare troppo.

«Intanto, Arryk si è offerto di accompagnarmi alla Fossa del Drago» disse Jace. «Ma pensa che sia meglio rimandare la partenza a domani.»

«Io non ne so molto di draghi» intervenne subito Arryk, «ma, qualunque sia il mezzo, reputo poco saggio viaggiare di notte. Però rimetto a voi questa decisione.»

Aegon lasciò andare un sospiro di sollievo. Non aveva mai apprezzato Arryk Cargyll come in quel momento. 

Si avvicinò alla finestra e notò che il Sole stava iniziando a tramontare. C’era ancora abbastanza luce, ma, nel tempo che fossero giunti da Vermax, si sarebbe fatta notte. E lui avrebbe dovuto dirgli addio in quel preciso istante.

«Concordo con lui» disse Aegon, voltandosi verso Jace. 

Il ragazzo sospirò, passandosi una mano dietro il collo.

«Sì, in effetti, avete ragione.» Sembrava dispiaciuto, ma Aegon cercò di non dargli troppo peso. Dopotutto, era anche normale che non vedesse l’ora di tornare dalla sua famiglia.

«Va bene, allora: partirò domani mattina.»

«Possiamo muoverci anche prima dell’alba, così daremo ancora meno nell’occhio» suggerì Arryk. 

Aegon mosse la testa in segno d’assenso. Picchiettò con l’indice sul davanzale della finestra.

«Posso accompagnarti anch’io?» chiese, osando lanciare solo una piccola occhiata verso Jace. Non voleva che vedesse la sua espressione, se avesse ricevuto un rifiuto.

Sentì dei passi avvicinarsi a lui, ma rimase immobile.

«Mi farebbe piacere.» 

Quella risposta gli scaldò il cuore e gli diede la forza per guardarlo negli occhi. Jace stava sorridendo.

«Avrei…» aggiunse, abbassando lo sguardo. «Avrei anche piacere a… Insomma, prima non abbiamo avuto modo di chiarirci a dovere.» Sollevò i suoi occhi nocciola su di lui. «Vorresti tornare dopo la riunione?»

«Sì. Sì, certo!» rispose prima ancora che Jace terminasse la domanda, entusiasmo che gli fece guadagnare una piccola risata da parte sua. 

Era da tempo che non udiva quel suono. Sarebbe voluto restare lì ad ascoltarlo. Per sempre.

 

~

 

«Sono lieto di vederti, Maestà. So che sei stato poco in salute ultimamente, ma adesso mi sembri-»

«Sì, sì.» Aegon agitò la mano verso suo nonno, mentre andava a sedersi al suo posto. «Evita le chiacchiere inutili, vecchio. Allora, cosa vuoi?»

I lineamenti del volto di Otto si indurirono, ma si limitò a scambiare un’occhiata con Alicent prima di tornare a sedersi. Aemond si accomodò a capo tavola, dal lato opposto rispetto ad Aegon. Il ragazzo aveva accettato di partecipare alla riunione, ma era chiaro che non vedesse l’ora di tornare da Jace.

«Bene, andrò dritto al punto» disse il Primo Cavaliere. 

«Non aspettiamo Ser Criston?» chiese Alicent. 

«È di guardia dai bambini» spiegò Aemond. «Lo sostituisco io.» Aveva trovato la sua richiesta un po’ strana, ma Aegon era tornato proprio in quell’istante e aveva preferito seguire lui. C’era Arryk insieme a Jace e Criston non era a conoscenza del piano di Aegon. 

Non aveva ancora deciso se lo approvasse oppure no; né se volesse confidargli del suo incontro con Luke. Non era accaduto niente di irreparabile, ma se Rhaenyra lo avesse considerato una minaccia, avrebbe potuto compromettere quella flebile speranza di pace. 

«Il figlio di Rhaenyra non si inginocchierà mai a te, ormai questo è chiaro.» La voce di Otto lo riscosse dai suoi pensieri. «Dobbiamo pensare a un piano alternativo.» 

Aegon spostò lo sguardo su di lui. Era una richiesta di aiuto, ma anche un tacito monito.

Non si fida di me. Lo supponeva, ma averne la conferma gli provocò un fastidiosa fitta al cuore. 

«Forse non siamo stati abbastanza persuasivi con lui» disse Alicent. Si stava tormentando le mani e aveva un’espressione preoccupata in volto. «Potremmo provare a rinchiuderlo nelle segrete. Lì è possibile che-»

«Jace sta bene dove sta» la interruppe Aegon. «E trattarlo come prigioniero non ci aiuterà a ottenerne la simpatia.»

«Finora è stato trattato con più onori di quanti ne riservi alla tua stessa famiglia» gli fece notare Otto, la voce che tradiva la sua impazienza, «eppure non mi sembra che abbia portato a qualche risultato. A meno che non ci sia qualcosa di cui non siamo stati informati.»

Aemond spostò lo sguardo su Aegon, nello stesso istante in cui lui fece lo stesso. Otto non poteva saperlo – ma, per sicurezza, sarebbe stato meglio non fargli sorgere alcun sospetto. Aemond non sapeva quando Jace sarebbe partito, anche se probabilmente sarebbe avvenuto l’indomani: nemmeno Aegon era così stupido da volerlo trattenere lì in un momento tanto delicato solo per il suo egoismo. 

«Temo che sia colpa mia» disse dunque, mentre una piccola idea si andava formando nella sua mente. Tutti, Aegon incluso, lo fissarono sorpresi. «Dopo il mio ritorno da Grande Inverno, sono andato a fargli visita. E potrei non essere stato troppo gentile con lui.»

«Che intendi dire?» chiese Alicent.

Aegon inarcò un sopracciglio.

«Sei serio?» domandò, in Valyriano. Fu talmente veloce che gli altri presenti nemmeno lo notarono. Aemond rispose scuotendo la testa una volta, sperando che Aegon capisse, poi si voltò verso sua madre.

«Credevo che non fossero stati fatti molti progressi, quindi volevo provare a convincerlo io. Ma, mi rendo conto adesso, che forse ero in errore. E toccare l’argomento “bastardi” con lui non è mai una buona idea. Temo di averlo fatto adirare con tutti noi.»

Aegon sbuffò, mentre Alicent sospirò, massaggiandosi la fronte.

«Sì. È un errore che ho commesso anch’io.»

«Cos’hai detto?» esclamò Aegon, fissandola.

Lei sembrò titubante, poi sollevò il mento verso di lui.

«Sia io che tuo fratello abbiamo dovuto agire come tu non sembravi in grado di poter fare. Ma non è stato un errore» aggiunse, accarezzando il braccio di Aemond. «Credo che stia cominciando a capire. Lasciamogli un altro po’ di tempo in solitudine per riflettere.»

Aegon si lasciò cadere contro lo schienale dello scranno. Prese a far ruotare la sua sfera, il volto contratto in un’espressione pensierosa. Aemond aspettò che fosse lui a prendere la parola. Non avrebbe nemmeno saputo in che direzione provare a spingerlo: non si fidava di Rhaenyra, ma non voleva la morte dei suoi figli e, se fossero scesi in guerra, anche la loro famiglia sarebbe stata in pericolo. 

«Potremmo fare un tentativo.» Otto fu il primo a rompere il silenzio. «Anche se abbiamo già mostrato troppa pazienza nei suoi confronti. Ma, forse, come diceva giustamente la regina, qualche giorno nelle segrete gli farà capire che il suo tempo è ormai agli sgoccioli.»

Alicent annuì, poi scoccò un’occhiata verso Larys Strong, seduto di fronte a lei. Aemond non riusciva mai a capire cosa accadesse tra quei due – ma era sempre sua madre a cercarlo per prima, quindi probabilmente non aveva niente di cui preoccuparsi. Le parole di Otto, invece, sembravano celare una minaccia – nemmeno troppo velata.

«Sai chi altro ha terminato il suo tempo?» La voce di Aegon risuonò calma e gelida tra quelle quattro mura. L’attenzione di tutti si focalizzò su di lui. «Tu.»

Otto inarcò un sopracciglio.

«Maestà?»

Aegon si alzò, tendendo la mano destra verso di lui con il palmo aperto.

«Dammi quella spilla. È arrivato il momento di ritirarti, caro nonno. Lascia il posto a qualcuno più giovane di te.»

«Ma che stai dicendo?» esclamò Alicent. «Vuoi restare senza un Primo Cavaliere? In un momento così delicato?»

«Tranquilla, ho già un’alternativa» rispose lui, facendo spallucce.

Un piccolo sorriso di scherno si formò sul volto di Otto. L’uomo si alzò a sua volta, scoccando un’occhiata in tralice ad Aegon. Per essere appena stato licenziato dal suo re, non sembrava troppo preoccupato.

«E potrei sapere chi sarebbe, questa alternativa?» chiese.

Aegon spostò il suo sguardo su di lui. Aemond sgranò la palpebra. 

Possibile che…?

«Mio fratello» rispose, deciso. 

Aemond raddrizzò le spalle, avvertendo uno strano calore alla bocca dello stomaco. Sentiva gli sguardi dei presenti puntati su di lui, ma non distolse la sua attenzione da Aegon finché non sentì la mano di sua madre che stringeva la sua. Alicent stava sorridendo.

«Sono lieto che tu voglia offrire una posizione ad Aemond nel Concilio Ristretto, anzi avresti dovuto farlo da tempo. Non abbiamo ancora trovato un nuovo Maestro del Conio, perciò-»

Le sue parole furono bruscamente interrotte dalla mano di Aegon, che gli strappò la spilla di Primo Cavaliere dalla tunica.

«A quello penserò poi» sentenziò. «Adesso mi preme che tu sparisca dalla mia vista e che mio fratello prenda il tuo posto.» 

Fece scivolare la spilla lungo tutta la superficie del tavolo, fino a raggiungere la mano di Aemond. Lui la rimirò un momento, ancora incredulo per quanto accaduto. Poi se la appuntò sul lato sinistro della giacca.

«Pensi di essere in grado di ricoprire questo ruolo, ragazzo?» lo interrogò Otto.

«Farò del mio meglio per esserne degno.»

L’uomo annuì appena. Spostò lo sguardo intorno a sé, ma nessuno, nemmeno Alicent, si schierò in sua difesa. La rabbia per l’offesa subita era lampante sul suo volto.

«Adesso puoi andartene» gli disse Aegon con un sorriso divertito. Gli diede una pacca sulla spalla, che Otto rifiutò bruscamente.

«Spero che tu sappia cosa stai facendo» sibilò. Poi si voltò e uscì dalla stanza.

Aegon si stirò le braccia. «Finalmente!» esclamò. «Dai, ti sta anche bene» disse, guardando la spilla appuntata sulla sua giacca. «Bene. Direi che adesso possiamo andare.»

Si incamminò verso la porta e Aemond si alzò, pronto a seguirlo. Ma Alicent li fermò entrambi.

«Aegon, sono felice che tu stia finalmente riconoscendo il valore di tuo fratello» gli disse, «ma sei certo di ciò che hai fatto?» 

«Sì, madre, ne sono certo. E non fare quella faccia» aggiunse. «Anche tu sei contenta che lo abbia cacciato.»

Alicent si irrigidì. Era chiaro che stesse avendo luogo una battaglia nella sua mente, tra ciò che desiderava e ciò che avrebbe dovuto desiderare. Aemond la capiva – e decise di fermarla prima che andasse alla deriva.

«Andrà tutto bene, madre» le disse, posandole le mani sulle spalle. «Avere nostro nonno a Vecchia Città, in realtà, potrebbe rivelarsi utile per noi.»

«Perché?» chiese Aegon. Aemond gli scoccò un’occhiata in tralice; poi gli sovvenne un pensiero.

«Potremmo chiedergli di rimandare Daeron qui» disse. «Sono anni che non lo vediamo. Sarebbe una buona occasione per riunire la famiglia.»

Aegon ponderò la questione. «In effetti…»

«No.» Alicent scosse la testa. «Teniamo Daeron lontano da questa storia. Sarà più al sicuro se resta a Vecchia Città. Credo anche che debba ancora terminare i suoi studi.»

«Potrebbe fare una vacanza» propose Aegon.

«Una vacanza, sul serio?» sbottò Alicent. Si allontanò da Aemond, piazzandosi dritta davanti a lui, che la guardò con un sopracciglio inarcato. «Tu hai capito in che razza di situazione ci troviamo? Per colpa tua!»

Quell’accusa fece inclinare la testa di Aegon. Nel suo sguardo saettò una luce sinistra, che ad Aemond non piacque affatto.

«Per colpa mia?» ripeté.

«Hai fatto credere a Jacaerys che non vuoi la corona e che può vivere qui nella bambagia in eterno. Perché credi che un ragazzo intelligente come lui si ostini a rifiutare la realtà dei fatti?»

«Perché la realtà dei fatti è solo che tu sei una stronza manipolatrice del cazzo!» 

«Aegon.» Aemond lo afferrò per un braccio, ma lui si liberò, spingendolo via.

«Jace ha ragione a fidarsi ciecamente di Rhaenyra. Anch’io mi fiderei di mia madre, se ne avessi una vera!»

L’impatto di pelle su pelle risuonò nella stanza, riecheggiando tra le pareti fino a mescolarsi ai singhiozzi di Alicent. La donna si coprì la bocca con la mano che aveva appena schiaffeggiato suo figlio, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.

«Aegon…»

Lui si mise a ridere.

«Risparmia il fiato. Hai già detto abbastanza.»

Lei scosse la testa. Cercò di accarezzarlo, ma lui le diede le spalle e uscì dalla stanza.

Aemond serrò i pugni. Guardò verso Alicent, che stava cercando di arginare le lacrime, ormai già scese a rigarle il volto, e si precipitò al seguito di suo fratello.

Il ragazzo non era andato molto lontano. Lo trovò poco fuori dalla Sala del Concilio, appoggiato a una colonna con la mano sulla guancia colpita.

«Non ti ha fatto così male, idiota» lo rimproverò Aemond.

Lui gli scoccò un’occhiata in tralice. Notò che aveva gli occhi lucidi.

«Lo so. Ormai la mia faccia è diventata insensibile.»

Aemond strinse le labbra. Sapeva che loro madre era sempre stata più dura con lui – ma semplicemente perché Aegon si rifiutava di adempiere ai suoi doveri, preferendo ubriacarsi e portarsi a letto qualsiasi cosa respirasse. 

«Sei stato ingiusto. E crudele. Ti è mancato un padre, non una madre.»

«A te e Helaena è mancato solo un padre» sputò. Si passò le mani sugli occhi, lasciando andare un sospiro tremulo. «Fanculo» mormorò. «Non ho intenzione di stare qui a piangere per lei. Torno da Jace.»

Fece per muoversi, ma Aemond lo afferrò per un braccio, fermandolo.

«Lei sta piangendo per te» gli fece notare. Poi aggiunse: «Jace non sarebbe felice di sapere che hai fatto soffrire tua madre.»

Aegon gli rivolse un sorrisetto sornione.

«Considerato che tutta questa situazione del cazzo è colpa sua, dubito che Jace si lamenterebbe.» 

Cercò di liberarsi dalla sua presa, ma Aemond lo respinse contro la colonna. Aegon imprecò.

«Ma che cazzo hai contro la mia schiena, oggi?!»

Aemond lo ignorò.

«Vai a scusarti con nostra madre. Jace può aspettare.»

«No, non può!» sbottò. «Domani se ne andrà e, anche se tutto si risolvesse per il meglio, non so quando potrò rivederlo! Ho bisogno di andare da lui.»

Aemond sbatté la palpebra. Aveva sempre creduto che Aegon vedesse Jace come un giocattolo, qualcosa da usare quando voleva divertirsi per poi metterlo da parte. Non credeva che tenesse davvero a lui. 

Ma, in fondo, non era proprio per lui che aveva smesso di trascinarsi attraverso la vita, iniziando ad affrontarla in prima persona?

Allentò la presa, dandogli così modo di liberarsi. 

«Parlale, però» disse solo.

Aegon sbuffò. 

«Sì, come vuoi» rispose, aggiustandosi la giacca. Aemond strinse le labbra, ma decise che ci sarebbe stato tempo per convincerlo ad andare a scusarsi.

Sentì dei passi alle sue spalle, accompagnati da un tintinnio metallico. Immaginò che fosse Criston, ma quando si voltò, vide che si trattava di Arryk Cargyll.

«Cargyll?» esclamò Aegon.

L’uomo stava camminando a testa bassa e non sembrava essersi accorto di loro fino al richiamo esplicito del suo re.

«M-Maestà» lo salutò, con un inchino. «Principe Aemond.»

«Che ci fai qui?» chiese, avvicinandosi al cavaliere. «Dov’è Jace? Doveva partire domani! Che cazzo avete fatto?» La sua voce si era fatta più allarmata a ogni parola. 

«Sì, lui è… è nella sua stanza» rispose Arryk. Aemond lo osservò con un sopracciglio inarcato: sembrava nervoso.

«Va tutto bene, ser?» indagò.

«Sì. Credo di sì, princ- Primo Cavaliere?» chiese, osservando la spilla che campeggiava sul petto di Aemond.

Lui sventolò una mano: non era il momento di discutere del suo nuovo status.

«Che intendi con “credo”? Dove sei stato?»

«Già.» Aegon, dopo un primo momento di panico, sembrava essersi tranquillizzato e adesso fissava il cavaliere con la sua stessa curiosità. «Perché non sei insieme a Jace?»

L’uomo abbassò lo sguardo, mortificato.

«Chiedo perdono, Maestà. Ser Criston mi ha informato di una voce circa un potenziale attentato alla vita della regina.»

Aemond sgranò la palpebra.

«Helaena?» esclamò Aegon.

«Sì. Dal momento che io conosco bene i passaggi segreti, mi ha chiesto di andare a controllare che fossero sicuri. Nella sua stanza non ho trovato niente, ma per sicurezza, se voi siete d’accordo, domani proseguirei a controllare tutte quante le stanze reali.»

Aegon si passò una mano tra i capelli. Aemond lo osservò in silenzio, cercando di capire se condividesse i suoi stessi timori. Timori che lui stesso non era certo fossero fondati. Dopotutto, uccidere Helaena avrebbe condannto Jace allo stesso destino, e Rhaenyra non avrebbe mai fatto del male a suo figlio. O, almeno, era ciò che sperava. Ciò su cui si basava l’intero piano di Aegon.

«È rimasto Cole insieme a Jace?» chiese Aegon. Quella domanda gli fece storcere la bocca, perché non sarebbe dovuto essere il suo primo pensiero dopo aver saputo che qualcuno voleva uccidere sua moglie.  

«Purtroppo sì» rispose Arryk. «Ma ha giurato che sarebbe rimasto solo di guardia e io non sono stato via molto. Stavo appunto tornando là.»

Aegon sembrò soddisfatto della risposta. 

«Bene. Allora muoviamoci.» Si incamminò verso la stanza di Jace, senza nemmeno controllare che loro lo seguissero.

Aemond si voltò un momento verso la Sala del Concilio, da cui sua madre e Larys Strong non erano ancora usciti. Il desiderio di rimproverare Aegon lo aveva spinto a seguirlo, lasciandoli soli, ma forse sarebbe stato meglio che fosse andato lui a confortarla.

«Principe?» Aemond si voltò. Arryk era ancora lì. «Posso parlarvi un momento?»

«Mmm.» 

«Confesso che questa storia non mi convince più di tanto» disse, stringendo la mano attorno all’elsa della sua spada. «Ma mi ha fatto preoccupare molto una frase pronunciata dalla regina Helaena.»

Aemond sbatté la palpebra.

«Cosa ti ha detto?»

Arryk si sforzò di ricordare la parole precise.

«Il sangue compare da dietro la tenda nera.» Annuì. «Sì, mi sembra proprio che fosse questo. Però non ci sono tende nere nella sua stanza.»

Aemond aggrottò le sopracciglia. Gli ricordò vagamente il monito che aveva detto a lui, prima che partisse per Grande Inverno. Anche se ancora oggi non era certo del suo significato, riconobbe che del sangue era stato effettivamente versato. 

Il sangue di Luke.

Trattenne il fiato, e iniziò a correre verso la stanza di Jace, pregando di essere in errore. Il fatto che ci fosse Cole vicino a lui non lo tranquillizzava, ma lui non avrebbe mai agito contro gli interessi della loro famiglia, e di certo nessuno – nemmeno sua madre – poteva avergli dato l’ordine di fare del male a Jace.

«Ma che cazzo…?»

L’esclamazione di Aegon lo colse mentre svoltava l’angolo. Il ragazzo era fermo in mezzo al corridoio. Deserto.

Si voltò un momento verso di lui, poi riprese a camminare. Aemond lo seguì.

«Spero per Cole che non sia dentro, altrimenti dovremo sostituire anche il Com-»

Le parole di Aegon vennero inghiottite da un tonfo, seguito da un urlo.

Entrambi provenienti dalla stanza di Jace.

  



 
   
 
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