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Autore: Yssis    17/03/2024    0 recensioni
Fra problematiche figure genitoriali, amici-bulli molto affezionati, le splendide cotte delle scuole medie e l'affetto per sua sorella, il goffo e magro orfanello Yuuto diventerà l'arrogante regista e capitano Kidou.
*
Dai capitoli...
1: Le abilità di problem solving di Yuuto lasciano a desiderare.
2: Kageyama Reiji e Kidou Honzo giocano a scacchi da tutta la vita. Yuuto però non capisce chi vince e chi perde.
3: Kidou conquista autorevolezza nella sua squadra rotolando giù dalle scale.
4: Kidou e Genda condividono il compleanno.
5: Kidou pensa che la mamma di Sakuma sia molto bella.
6: Genda chiede aiuto ai suoi amici per affrontare un evento familiare intollerabile.
7: Kageyama Reiji è un professore delle scuole medie a cui non piace portare i ragazzini in gita: tuttavia, lo fa lo stesso.
8: Gouenji è il risveglio sessuale di Kidou, ma non il suo primo bacio.
9: Yuuto organizza la festa di compleanno della sua sorellina.
10: In ogni trio c’è un duo e Genda pensava di farne parte.
11: Kidou soffre per l'improvvisa morte di Kageyama e Fudou gli resta accanto.
12: A Fudou non piacciono i ragazzi della Inazuma né quelli della Teikoku: però gli piace molto Kidou.
Genere: Angst, Comico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: Altri, David/Jiro, Joe/Koujirou, Jude/Yuuto, Kageyama Reiji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Kidou! Eccoti qua, ti cercavo. Allora, che si fa? Hai presente che è fra una settimana, il nostro compleanno?

-Il … nostro compleanno?-

Quella conversazione (avvenuta salendo le scale in direzione delle aule, con annessa spallata da parte di Genou, che, per amore di cronaca, non aveva perduto il suo potenziale di annientamento nei miei confronti) fu un altro fondamentale turning point nella storia del consolidamento della nostra amicizia. Si tratta di un aneddoto divertente, che va spiegato dall’inizio.

Ebbene, chiariamolo fin da subito: io e Genda siamo nati lo stesso giorno dello stesso mese dello stesso anno, in altre parole condividiamo il giorno del compleanno. Curioso, direte voi, e carino: due amici e compagni di squadra che fanno gli anni lo stesso giorno. Quante probabilità ci sono che succeda? Alte, in realtà: secondo il cosiddetto paradosso del compleanno, per quanto possa sembrare incredibile, in un gruppo di 57 persone, le probabilità che due siano nate lo stesso giorno supera il 98%. Vi dirò di più: in un gruppo di 23 persone, com’era il gruppo classe all’epoca, la probabilità che due abbiano lo stesso compleanno si aggira intorno al 51%... La teoria della probabilità e i suoi paradossi mi hanno affascinato fin da piccolo e vi illustrerei volentieri il grafico che dimostra questi numeri, ma cercherei di non perdere il focus del discorso, per il momento. Se vi interessa ci torniamo più tardi!

Vorrei chiarire, anche se forse è una specificazione superflua, che, quando realizzai questo fatto, non il paradosso del compleanno, ma il fatto che io e Genda compivamo gli anni lo stesso giorno, non ne rimasi particolarmente scosso. A dire il vero, nei miei ricordi di bambino, non ricordavo festeggiamenti in occasione del mio compleanno: quando vivevo ancora con i miei genitori non so (ahimé ero troppo piccolo per conservare ricordi di qualche tipo) e quando ero in orfanotrofio non era prassi festeggiare ogni singolo compleanno di ogni bambino, le maestre procedevano diversamente, ovvero periodicamente veniva organizzato un pomeriggio di giochi speciali e di festa, veniva cucinato del cibo che non veniva servito di solito alla nostra mensa, e si festeggiava il compleanno di tutti i bambini che avevano compiuto gli anni in quel periodo. La vita era all’insegna del collettivo, nell’istituto, e io a lungo conservai quell’approccio, pur essendo diventato un Kidou.

Il primo compleanno festeggiato a casa Kidou fu una giornata incredibile, la ricordo come fosse ieri. Naturalmente conoscevo la mia data di nascita, ma nei giorni precedenti ero stato timoroso all’idea di comunicarlo al mio genitore e al personale di casa. Mi ero interrogato, fra me e me, sulle modalità più congeniali per informare gli adulti attorno a me di questo imminente evento, qualora non ne fossero già al corrente. Non sapevo se potevo darlo per scontato o meno: insomma, quel signore mi intimava con gentilezza di chiamarlo “papà” e provvedeva alle mie necessità, ma sapeva qual era il giorno del mio compleanno? Glielo dovevo forse ricordare io? Nessuno diceva nulla e io ero davvero confuso a riguardo.

Naturalmente desideravo avere Haruna al mio fianco, lei sicuramente si ricordava che era il compleanno del suo fratellone e avrebbe senz’altro preparato un bel disegno e mi avrebbe cantato una canzoncina appena sveglio... Invece Haruna non c’era e io quel giorno mi svegliai in quell’immenso letto a baldacchino, con la luce del giorno che filtrava dalle tende e quel piacevole profumo di primavera nell’aria che si sente sempre in aprile. Scesi come al solito per fare colazione e mi ritrovai l’ampia sala da pranzo addobbata in maniera curiosa: un grande palloncino tutto blu appeso alla mia sedia, con scritto “buon compleanno”, la tavola apparecchiata con leccornie speciali per l’occasione… Ricordo mio padre, che mi raggiunge da dietro, mi accarezza sul capo e mi intima di sedermi. Raramente facevamo colazione insieme, spesso mi svegliavo e mi preparavo per andare a scuola con solo il personale di casa presente, lui era già uscito per andare a lavoro. Invece quel giorno era con me e io ero senza parole dalla sorpresa.

I primi compleanni a casa Kidou vennero condotti in solitaria, c’era il personale di casa che addobbava sempre la mia stanza e la sala da pranzo, preparavano i miei piatti preferiti, e naturalmente c’erano i regali. Papà non badava a spese e io, che avevo passato anni a non possedere nulla di mio, scoprivo la fascinazione del veder esaudito ogni desiderio. Beh, non proprio ogni desiderio, in realtà. Forse fu la mia ostinazione nel chiedere ogni anno, con risolutezza e persistenza, di mia sorella, a convincere mio padre e Kageyama a stilare il patto: già alle elementari imparai che avere a disposizione tanti soldi non è sufficiente a sentirsi felici, amati e protetti. Forse per dissuadermi da quello che sembrava il mio pensiero fisso, in occasione del compleanno, un bel giorno, quando ero tornato dal lungo viaggio in Europa ed ero iscritto al primo anno di scuole medie inferiori, mio padre mi disse: -Perché non inviti i tuoi amichetti di scuola, prossima settimana? Possiamo fare una festa qui per il tuo compleanno.-

Ora, immaginate lo scenario più catastrofico, deprimente, mortificante e scoraggiante che riuscite. E moltiplicatelo per nove, ovvero gli anni che avevo vissuto fino a quel momento e che mi pentii di aver vissuto.

Mettetevi nei miei panni: avevo una spasmodica necessità di farmi bello agli occhi del mio genitore adottivo, sapevo che Kageyama evitava ogni possibile attrito mettendoci di tanto in tanto buone parole – nonostante il suo comportamento nei miei confronti fosse ambivalente e oscuro per il me bambino di quegli anni, che passava dal sentirsi venerato, al centro del mondo, meritevole di attenzioni e un trattamento speciale, a venire sistematicamente escluso, ignorato e maltrattato. A livello verbale sia chiaro, nessuno mi ha mai picchiato in quella casa, papà non era tipo da alzare le mani e il Comandante al massimo alzava la voce (e fidatevi se vi dico che faceva paura, avrei preferito uno schiaffo a volte). In ogni caso, non volevo far sfigurare papà e raccontargli che venivo bullizzato a scuola: non era esattamente un grande biglietto da visita da offrirgli, per presentarmi come candidato perfetto al ruolo di futuro dirigente aziendale della sua attività. Dovevo essere molto meglio di così e ci stavo lavorando, sul serio: come ho avuto già modo di raccontare, Kageyama purtroppo in quella fase mi aiutava poco e Genda era un avversario temibile. Già non mi apprezzava a livello personale - chissà perché poi -, aveva sviluppato una forte avversione nei miei confronti a livello calcistico - ero molto orgoglioso del ruolo di capitano che Kageyama mi aveva assegnato, le sue lodi erano così rassicuranti alle mie orecchie di bambino, però non si può dire che Genda condividesse la mia gioia - e quella faccenda del compleanno lo stesso suo giorno non era esattamente l’ideale per farmelo amico. O per farmi degli amici, più in generale.

Ero consapevole che la situazione fosse disperata, ma non potevo certo andare da mio padre a dirgli: -Guarda, il compleanno con gli amici non si può fare, perché in effetti non ho amici, a scuola tutti mi bullizzano, generalmente sono odiato, guardato di sbieco, anche se al momento non ho ancora capito perché, e nel migliore dei casi non mi parlano. Per cui, grazie per il pensiero, come avessi accettato, ma davvero, lasciamo perdere, festeggiamo qua in casa come abbiamo sempre fatto fra di noi, anzi, perché non ne approfittiamo per cercare di incontrare mia sorella? Forse la sua famiglia adottiva non è distante e sarebbe bello passare la giornata tutti insieme-. Era fuori discussione, era un discorso da debole, da persona senza spina dorsale e io ero un Kidou, decisamente dovevo agire diversamente. Così, mi consultai con il mio maggiordomo Hakamada per i dettagli tecnici su come si invita degli amici a casa per una festa di compleanno e tentai quell’impresa che, a posteriori, non esito a definire patetica ed estrema, davvero disperata. Fu un fiasco totale, come facilmente avete potuto immaginare da questi preamboli.

Provo imbarazzo e vergogna anche semplicemente a rievocare il ricordo di quel pomeriggio, con la sala addobbata con i festoni, tutti i palloncini che affollavano il pavimento rendendo la scena ancora più vuota e silenziosa, la tavola apparecchiata con molto cibo che non avrebbe mangiato nessuno, i segnaposto con i nomi delle persone che non si erano presentate… Una scena davvero straziante, ne converrete. Fortunatamente mio padre non era in casa ad assistere a quella patetica ammissione del mio fallimento in termini di vita sociale: io mi sentivo ugualmente come se avessi avuto gli occhi di tutti puntati addosso, proprio perché non c’era nessuno. Anche Genda faceva una festa e naturalmente erano andati tutti da lui. E io non ero stato invitato. Triste? Oltremodo. Avevo ancora molto da imparare e in quel momento, di fronte a quella festa a cui non si era presentato nessuno, dubitai delle mie capacità di condurre quel genere di vita, forse Kageyama si era sbagliato e quella raccomandazione per la famiglia Kidou si sarebbe rivelato un fiasco totale.

Mentre ero perso in quel tipo di riflessioni, calciavo senza grande trasporto un palloncino contro il muro, in modo che rimbalzando mi tornasse vicino. Era un movimento che facevo quasi di riflesso, senza intenzione, ma con un colpo troppo forte direzionai il palloncino altrove e lo persi di vista – gli occhialini, pur permettendomi di concentrare lo sguardo sul gioco davanti a me, non garantivano una vista periferica eccellente. Così, non mi accorsi di Hakamada, che raccolse il palloncino e lo direzionò con un lancio verso di me: me lo rividi di fronte, con grazia aveva disegnato un arco sopra di me e mi cadeva ai piedi.

Raccolsi il palloncino fra le mani e mi voltai, insicuro: il maggiordomo si era avvicinato e stava davanti a me, conservando quella disinvoltura da maitre, ma qualcosa nella sua postura si era fatta più sciolta, disinibita, anche se non riuscivo esattamente a capire cosa fosse cambiato. La sua espressione era sempre alquanto indecifrabile e quel monocolo che indossava era talmente tanto antiquato, anacronistico perfino, da risultarmi simpatico: aveva senz’altro personalità e senso dell’umorismo, ma con mio padre era sempre molto rispettoso e serio, non riuscivo a capire come collocare quel suo eccentrico accessorio antidiluviano. Aveva folte sopracciglia cespugliose che gli coprivano per gran parte lo sguardo, nel complesso era un soggetto molto misterioso nella mia vita, ma c’era stato fin dal primo giorno e ritenevo di potermi fidare, aveva sempre provveduto a me con alacrità e premura.

Trovarmelo vicino mi mise di buon umore, nonostante la desolazione della situazione, e osai rilanciargli il palloncino, quella volta con intenzione, guardandolo negli occhi. Lui fece un leggero saltello e afferrò al volo il palloncino, ricadendo sui tacchetti delle scarpe che indossava tutto il personale domestico. Sorrisi, contento e stupito, e lui ricambiò con una lieve e affettuosa distensione delle labbra. Un altro maggiordomo, coetaneo di Hakamada o forse un poco più grande, raccolse un palloncino da terra e senza essere visto glielo tirò in testa. Ricordo il modo in cui rimbalzò sulla sua fronte, scompigliandogli alcuni ciuffi, e l’indefessa espressione di calma con cui si voltò in direzione del suo avversario, raccogliendo le braccia dietro la schiena. Io mi stavo piegando in due per non scoppiare a ridere, era davvero buffo il modo in cui gonfiava le guance quando si innervosiva.

Guerra di palloncini fu, molto rapidamente per giunta; per quanto, con la lucidità di adesso, mi rendo conto che quell’atmosfera fu creata per me, per stemperare la tensione del momento, non ebbi la sensazione che si sforzassero troppo. Non fu costruito, come momento, anzi, furono molto giocosi: probabilmente, se ci fosse stato mio padre in casa sarebbe stato diverso, ma a conti fatti quel pomeriggio in casa c’era solo un bambino mortificato, la cui festa di compleanno era stata un fiasco e che doveva ispirare una certa tenerezza, se non pietà. Quelle persone mi avevano visto entrare nella famiglia Kidou e fin dal primo giorno avevano potuto osservare le difficoltà che vivevo e gli sforzi a cui mi sottoponevo per essere all’altezza delle aspettative. Probabilmente lanciarsi i palloncini fra loro, mangiare con me la torta che era stata ordinata dal miglior pasticcere della città, aiutarmi a montare la pista di automobili per farle correre sul tappeto fu un modo per dimostrarmi la loro vicinanza e farmi sentire a casa. Ci riuscirono: nonostante il grande imbarazzo e mortificazione di quel giorno, l’espressione di Hakamada mentre gli rimbalza il palloncino giallo in faccia mi è rimasta impressa e mi fa ridere ancora adesso.

In ogni caso, avevo deciso che con i compleanni avevo chiuso. Era decisamente troppo complicato e, finché la situazione in merito alla mia vita sociale non fosse migliorata in maniera significativa, non avrei rischiato di trovarmi in un’altra situazione altrettanto mortificante. Poi passò il primo anno di scuole medie inferiori, in cui vissi una vera rivoluzione dal punto di vista delle amicizie. Con tutto quello che era successo, in classe e in merito al club di calcio, non avevo certo più pensato all’incresciosa dinamica del compleanno condiviso con Genda: così, la sorpresa fu enorme quando mi sentii rivolgere quello che sembrava un invito a festeggiare insieme, io e lui.

-Kidou-kun! Eccoti qua, ti cercavo. Allora, che si fa? Hai presente che è fra una settimana, il nostro compleanno?

-Il … nostro compleanno?-

-Ascolta: patti chiari, amicizia lunga. Non ha senso continuare a litigarci così le cose: la posizione in classe, la fascetta da capitano… persino il compleanno mi vuoi rubare?-

Dovevo essere sbiancato di paura a quelle parole, perché mi fissò per un lungo momento e poi scoppiò a ridere di gusto. Io, senza idee, emisi un risolino di compiacenza, sentendo brividi lungo la schiena. Era terrificante non sapere se mi avrebbe preso a calci o se voleva solo burlarsi di me.

-A quanto pare ti piace avere più cose possibili in comunione con me, e lo posso capire, in effetti è comprensibile che tu mi prenda come modello.- alzò il mento con alterigia, appoggiando le mani sui fianchi e gonfiando il petto. Sembrava uno di quei grossi felini della savana, ma evitai di farglielo notare, non avevo ancora capito esattamente dove volesse andare a parare con quel suo strano discorso. Avrei voluto avere il suo ego.

-Ma capisci che la situazione sta cominciando a farsi problematica, non possiamo fare il compleanno seriamente lo stesso giorno.–, mi fissò con quei suoi occhi grigi così affilati e nel suo sguardo incisivo colsi qualcosa.

Finalmente, dall’inizio di quella conversazione, intuii le sue reali intenzioni: fino all’anno precedente era convinto di potermi battere facilmente e in effetti così era stato, aveva aizzato lungamente il bullismo nei miei confronti e aveva reso la mia festa di compleanno un trauma indicibile… Ma adesso era diverso. Adesso rischiava di essere lui, quello che si ritrovava senza invitati alla sua festa, perché tutti avevano preferito andare da un’altra parte. Non avevo considerato la dinamica da quel punto di vista: per un momento, scoprendo l’ansia nei suoi occhi, sentii il mio ego accarezzato da ciò.

Detto questo, con un’altezzosa scrollata di spalle, impersonai il capitano della Teikoku con disinvoltura e proferii: -Hai ragione, è oltremodo sconveniente contenderci la festa di compleanno, mettiamo in imbarazzo la squadra. E poi, non vorrai mica non venire alla mia festa, Genda-kun.- sibilai e vidi una luce bella, amichevole nei suoi occhi. Era grato della complicità che gli stavo offrendo, senza dover aggiungere nulla.

Concordammo giocosamente i dettagli e quello fu il primo anno di festeggiamenti condivisi: il 14 aprile divenne il “nostro” compleanno , mio e di Genda, e fu sempre una festa indimenticabile.

author's corner
Da quando ho scoperto che Kidou e Genda compivano gli anni lo stesso giorno sapevo che avrei dovuto scrivere qualcosa a riguardo.
Grazie a tutti e a presto <3
  
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