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Autore: aelfgifu    29/03/2024    0 recensioni
Un esercito di Sudroni con i loro mûmakil marcia verso l’Ithilien. Faramir, capitano di Gondor, aspetta lo scontro nel rifugio di Henneth Annûn, pensando al fratello morto, alla durezza di suo padre e alla situazione disperata del Regno del Sud. Non sa che il giorno dopo non solo lui e i suoi riusciranno a sgominare l’esercito proveniente da sud con un attacco a sorpresa, ma si imbatteranno anche in due viaggiatori molto particolari.
Genere: Guerra, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Faramir
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sulla soglia di Henneth Annûn
 
Da quanto tempo era seduto lì, perso nei pensieri,  sulla soglia di Henneth Annûn? 
Faramir fissò il mobile muro d’acqua che scendeva cantando davanti a lui, tra lampi di luce e minuscoli arcobaleni. Probabilmente, quando si era seduto vicino alla cascata per riposare un po’ dopo le esplorazioni di quella giornata, il rumore dell’acqua lo aveva rapito in una specie di trance e gli aveva fatto dimenticare il passare del tempo. Il canto di Henneth Annûn, come sempre, gli aveva cantato una suadente ninna nanna. Ora si sentiva sereno. Eppure non ce n’era motivo:   truppe fedeli al Nemico erano ovunque a est del Grande Fiume, la guarnigione di Osgiliath era esposta, lui aveva il cuore gonfio di tristezza e timore, e quello che aveva vissuto, o visto in sogno, una settimana prima, non lo abbandonava. 
Sette giorni prima, nell’ora più cupa della notte, mentre era di sentinella, aveva visto una piccola barca elfica passare nella corrente, davanti a lui. Affascinato, si era spinto sulla riva, e la barchetta, come chiamata, aveva lasciato il centro del fiume e s’era avvicinata a lui. Dentro, immerso in una limpida luce, giaceva suo fratello Boromir, morto. Era stato composto con amore e rispetto, ma il suo viso addormentato portava le tracce di ferite d’arma da taglio; le braccia erano incrociate sul petto, le mani erano posate sull’elsa della sua spada, la cui lama era spezzata in due. Boromir non aveva appeso al collo il suo fedele corno dal suono potente, ma era avvolto in uno splendido mantello chiuso sulla spalla destra da una bella fibula d’argento a forma di foglia. Una magnifica cintura con foglie d’oro intrecciate gli cingeva la vita. Faramir non aveva mai visto addosso a suo fratello quel mantello, quella fibula e quella cintura. Aveva steso la mano e trattenuto per qualche istante la piccola imbarcazione, contemplando il morto che vi riposava, sereno nel viso come mai era stato in vita; ma quasi subito, con uno strappo gentile, la barca si era sottratta alla sua presa ed era tornata al centro del fiume, continuando a scendere verso sud, portata dalla corrente. E a quel punto Faramir si era riscosso - si era svegliato? -, immerso nell’acqua fino alle ginocchia, nel buio, nell’ora fredda che precede l’alba. Un terrore gelido lo aveva afferrato: era stata forse una visione ingannatrice inviata dal Nemico? Cosa stava succedendo nel frattempo? Faramir aveva risalito l’argine di corsa, era rientrato nella fortezza col cuore in gola: non era successo nulla. La notte era trascorsa tranquilla. 
La mattina dopo, il capitano aveva interrogato i suoi uomini, se mai avessero visto o sentito qualcosa di strano durante la notte. Nessuno aveva notato niente; tutti avevano fatto i loro turni di guardia e poi erano andati a dormire. 
 
*** 
 
Nei giorni seguenti venne avvistato e recuperato il corno di Boromir. Era spezzato in due; un primo moncone era stato trovato lungo l’Entalluvio, incagliato tra le canne della riva; un altro fu recuperato da un esploratore di Gondor nelle acque dell’Anduin. I due frammenti erano stati immediatamente riconsegnati al Sovrintendente. E negli occhi di suo padre, Faramir aveva letto l’estremo rimprovero: perché lui? Perché non tu? 
Il capitano di Gondor sospirò e chiuse gli occhi. Attraverso la cascata gli arrivava lo splendore del sole al tramonto, un sole bello e caldo anche se era solo il principio di marzo; perché il rigoglioso Ithilien ricco di acque, anche se oggi era una terra contesa e non sicura, non ne voleva sapere di cedere al gelo e all’aridità di Mordor. 
 
*** 
 
Mentre era ancora preso dai suoi pensieri, percepì la presenza di qualcuno alle sue spalle. 
“Mio signore” era la voce profonda di Anborn, l’arciere. “Mablung e Damrod sono tornati”. Faramir non ebbe la forza di voltarsi: immaginava già quello che gli avrebbero detto i due esploratori. Uno spostamento d’aria gli fece capire che Anborn si tirava di lato per cedere il passo a Mablung e Damrod. 
“Mio signore” questo era Damrod. 
“Capitano” salutò Mablung. “Le voci che corrono sono confermate. C’è un esercito che sta avanzando da sud lungo l’Antica Via. Hanno con sé anche i mûmakil”. 
A Faramir mancò il respiro. I mûmakil! 
Sì girò finalmente verso i suoi uomini e li fissò attentamente. 
“Siamo cinquanta contro duemila” spiegò Mablung.
Il capitano emise un lungo respiro, poi stese le braccia, le mani con i palmi rivolti all’insù.
“Tra un giorno passeranno a nemmeno dieci miglia da qui” osservò Damrod.
“Possiamo solo cercare di coglierli di sorpresa” e questa era la voce profonda di Anborn. 
“Andiamo, ora” disse Faramir “pensiamo a rimetterci in forze prima, poi ne parleremo con i vostri compagni e discuteremo sul da farsi”. 
E fece strada verso la caverna che sorgeva sotto Henneth Annûn: il rifugio più sicuro degli esploratori dell’Ithilien. 
 
***
 
Quella sera, Faramir faticò ad addormentarsi. 
“Oh, Elbereth” pregava. “Proteggici, Elbereth!”
Come venire a capo del dolore per la morte di Boromir, del disgusto di suo padre nei suoi confronti, il dovere nei confronti dei suoi uomini e del suo popolo, la stanchezza, la paura per la battaglia imminente? Come trovare la forza per essere un capitano, per essere un esempio, quando tutto quello che desiderava era mettersi a dormire cullato dalla melodia di Henneth Annûn e non svegliarsi mai più?
Dopo due o tre ore passate a girarsi da un lato all’altro, non ne poté più, si alzò e andò a sedersi vicino al muro cantante della cascata. Come quel pomeriggio, il rumore dell’acqua ebbe il potere di tranquillizzarlo; mentre lo ascoltava, come ipnotizzato, reclinò la testa contro la parete di roccia e si addormentò. 
Anborn, che lo aveva visto alzarsi, lo trovò così; il cuore gli si gonfiò al vedere quel giovane così gravato di responsabilità e così buono, a cui nessuno diceva grazie. Prese un mantello pesante, foderato di pelliccia, e glielo drappeggiò addosso, perché mentre dormiva non soffrisse del freddo notturno.
 
  
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