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Autore: DirceMichelaRivetti    04/04/2024    0 recensioni
Affascinata dal rapporto tra Heathcliff e Hareton e un po' delusa dal fatto che nel romanzo originale non ci sia un confronto tra i due (o per lo meno non davanti a Nelly e quindi lei non ce lo racconta), ho deciso di scrivere un dialogo per sviscerare i pensieri e i sentimenti dei due personaggi. Sono partita da una scena del capitolo 33, quella che secondo me segna il punto di svolta per Heathcliff, dopo quel momento a pranzo il suo atteggiamento cambia radicalmente. Ho immaginato quindi cosa lui ed Hareton possano aver pensato e si siano detti pochi minuti dopo quel momento, celati alle orecchie di Nelly.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hareton Earnshow, Heathcliff
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La porta si chiuse. Tutti i piagnistei, le parole spavalde, erano cessati. Heathcliff era finalmente solo, immerso nel silenzio. Assordato dal cuore che pulsava dannatamente veloce.

Cos’era successo?

I fatti erano chiari: quell’insolente ragazzina aveva trovato la forza di alzare la voce e pronunciare parole arroganti. Dopo tutto quello che aveva subito, lei non si era del tutto abbattuta. Heathcliff credeva di averla privata di ogni speranza, di aver confinato il suo animo alla rassegnazione, invece lei non si era ancora arresa. Quello non era certo lo spirito di Edgar Linton, bensì quello di Chaty. La vera Chaty. La sua Chaty.

Avrebbe potuto apprezzarla, in quel frangente. Sarebbe stato divertente sentirla recriminare per il trattamento subito, perfino ammirare quella forza nella disperazione, e poi schiacciarla, mandare in frantumi le speranze e ricordarle che lei era di fatto sua prigioniera, che poteva scegliere solo tra l’essere mantenuta lì, alla sua mercè, o l’andarsene via a mendicare, poiché priva d’ogni denaro.

In fondo, era molto più divertente tormentare chi ancora spera. I rassegnati davano poco piacere.

La ragazzina, però, aveva osato troppo: tentava di sottrargli Hareton. Questo non sarebbe successo mai: un Linton non gli avrebbe sottratto, di nuovo, un Earnshaw.

Quella strega aveva deciso di sfruttare il proprio fascino per abbindolare Hareton e metterglielo contro: illusa.

Hareton era suo, non di quella sfacciata. Lo aveva dimostrato, no?

Lì, a tavola, Catherine aveva cercato di aizzare Hareton contro di lui, di farli scontrare fisicamente, ma il giovane non aveva alzato un dito e, anzi, aveva sollecitato quell’oca ostinata ad allontanarsi.

Heathcliff, però, gli aveva ordinato di portarla via di peso ma lui si era limitato a cercare di convincerla con le parole. Hareton gli aveva disobbedito.

L’ira era avvampata in tutto il suo corpo. Nelle settimane, nei mesi prima, Hareton l’aveva mandato più volte in bestia, prendendo le difese della piccola strega. Quand’erano soli e lui si riprometteva di inasprire la fin troppo comoda vita della ragazzina, Earnshaw tentava in ogni modo di mitigarlo. Più volte era stato sul punto di prendere a schiaffi quello zoticone, qualcuno gli era anche scappato: nessuno doveva intromettersi nella sua vendetta. Poi, però, pensava al fatto che la ragazzina ignorava che il rozzo cugino che tanto disprezzava, era il suo più strenuo difensore; questa poteva essere un’ottima punizione per il figlio di Hindley: essere costantemente umiliato e deriso dalla creatura che devotamente proteggeva.

L’amore calpestato e svilito. Proprio com’era stato il suo amore per Chaty Earnshaw.

Non aveva mai sospettato che la strega potesse mutare opinione su Hareton e coltivare dell’affetto per lui; eppure, poco fa, a tavola, lei aveva sfacciatamente detto che ora erano amici. Era una menzogna. Doveva esserlo. Quella ragazzina doveva essere più scaltra di quanto pensasse e aveva deciso di imitarlo: come Heathcliff aveva approfittato dei sentimenti di Isabella per compiere la propria vendetta, così Catherine stava sfruttando quelli del cugino per liberarsi. Era di certo così. Doveva essere così.

Non avrebbe permesso a quella strega di togliergli Hareton. Non avrebbe permesso ad altri di ferire quel ragazzo. Sì, inizialmente Heathcliff aveva ravvisato in lei uno strumento per infierire su Earnshaw, affinché si rendesse conto della propria ignoranza e rozzezza e scoprisse quanto era inferiore, inferiore soprattutto a colei che amava. Aveva voluto che il figlio di Hindley patisse il medesimo tormento che aveva allontanato lui per tre anni da Wuthering Heights.

Era stato Heathcliff stesso a soffiare sulle braci di quel sentimento, a rafforzare in Hareton il desiderio per Chaty. Lei era un suo inconsapevole strumento. Doveva restare uno strumento.

Invece, la strega aveva capito di poter sfruttare la situazione, aveva deciso di tentare di prendere il controllo, ma era stata tanto sciocca da rivelare con troppa fretta le sue intenzioni.

Credeva davvero che qualche moina bastasse a spezzare il legame tra lui e Hareton? Un legame forgiato in quasi vent’anni?

‘Non ti obbedirà più’ aveva detto la strega ‘Presto ti odierà quanto ti odio io’.

Non doveva dirlo. Non doveva!

Quelle parole gli avevano fatto perdere il controllo. L’avrebbe fulminata in quel preciso istante, se solo ne avesse avuto il potere.

Hareton, però, non lo aveva deluso: le aveva intimato di stare zitta, le aveva detto chiaramente: ‘Non voglio che gli parli così’.

Il furore acceso dall’insolenza, dal dichiarato tentativo di sottrargli l’unica persona che gli voleva bene, era stato ancora troppo forte in Heathcliff, aveva avuto ancora bisogno di essere sfogato.

Aveva afferrato la strega, le aveva stretto i capelli. Le sonore sberle che già le aveva elargito in passato, le sarebbero parse carezze al confronto di ciò che avrebbe voluto farle. Meritava un’atroce punizione anche solo per aver pensato di instillare in Hareton odio per lui.

In quel frangente, l’avrebbe fatta a pezzi; era stato pronto a distruggere l’ultimo residuo di Edgar Linton.

Alle sue orecchie, però, erano giunte le suppliche di Earnshaw. Il ragazzo era lì accanto, robusto e in forze, avrebbe potuto facilmente almeno tentare di fermarlo con la forza. Avrebbe potuto colpirlo, spintonarlo, calciarlo perfino, pur di liberare la cugina; invece non alzava un dito contro di lui e si limitava a far uscire dalla bocca appelli alla sua pietà. Hareton, per quanto ammaliato dalla strega, era ancora suo. Non si ribellava per lei.

Quest’ulteriore conferma aveva acquietato un poco l’ira di Heathcliff ma non abbastanza. Era ancora pronto punire l’insolente.

Le preghiere di Earnshaw continuavano a richiamare la sua mente.

Lo spirito di vendetta schiumava rabbioso: “Perfetto, perfetto! Picchiala! Rendi il suo volto livido. Il figlio di Hindley soffrirà tremendamente nel vedere la sua cara cugina percossa. Colpiscila! Soffriranno entrambi: lei nel corpo, lui nell’anima. Vogliamo vendicarci di Hindley e di Liton, no? Questa è un’occasione perfetta. Sarà uno strazio per lui.”

Era proprio così. Il cuore del figlio di Hindley si sarebbe frantumato.

Lo voleva davvero?

In quel momento, qualcosa nel profondo della sua anima aveva gridato: NO!

D’improvviso si era aperto davanti ai suoi occhi un orrore: se avesse picchiato, ucciso, quella ragazzina, Hareton non lo avrebbe perdonato.

Non ne era sicuro. Il ragazzo gli aveva già visto commettere molte crudeltà, ma nessuna diretta verso qualcosa o qualcuno che amava. Perfino da bambino, quando Heathcliff tormentava suo padre, Hareton non ne era mai stato turbato, poiché spesso vittima dell’ubriachezza e della rabbia di Hindley. Quella era la prima volta che Heathcliff colpiva gli affetti di Hareton e il giovane confidava tanto in lui da credere che le suppliche potessero servire.

Hareton credeva in un residuo di bontà in lui. Era proprio uno sciocco.

Come avrebbe reagito, se lo avesse deluso?

Hareton gli avrebbe ancora voluto bene, dopo aver constatato fino a dove si spingeva la sua crudeltà?

Heathcliff stava per punire ferocemente chi aveva osato tentare di togliergli Hareton e, forse, proprio quella punizione avrebbe allontanato per sempre il ragazzo da lui.

Allora Heathcliff si era fermato. Aveva lasciato i capelli della ragazzina e aveva ordinato a tutti d’uscire dalla stanza.

Era rimasto lì, solo, e rimuginava su quanto accaduto, ancora incredulo: la paura di perdere l’affetto di Hareton era stata più forte del suo odio e della sua vendetta.

Mesi prima, parlando con Nelly, Heathcliff si era vantato affermando che se Hindley fosse tornato dal Regno dei Morti per rimproverargli come ne trattava il figlio ‘avrei la soddisfazione di vedere il ragazzo scagliarsi indignato contro chi osa offendere il suo unico amico!’

In quel momento si era fatto beffa dell’ingenuità di Hareton che considerava unico amico l’uomo che si era premurato di privarlo delle terre, del denaro, dell’istruzione, delle buone maniere, delle virtù e che aveva impedito che diventasse il grand’uomo che, in potenza, avrebbe potuto essere.

Ora si rendeva conto che il ragazzo era l’unico che non lo considerasse un demonio, il solo che non desiderava fargli del male, l’unico in vita ad amarlo. Heathcliff era stato amato solo dall’anziano Signor Earnshaw, da sua figlia Catherine e da Hareton. Dopo la morte di Catherine si era convinto che di nulla gli importasse più se non la vendetta, se non la sofferenza dei propri nemici. Non gli importava di avere qualcosa di buono per sé, pur di esser certo di scatenare il male sugli altri.

Eppure, ora, l’affetto di Hareton era qualcosa che non voleva sacrificare.

Era Hareton ad essere l’unico amico che lui aveva.

***

«Perché gli hai permesso di afferrarmi?» Chaty rimproverò Hareton, appena furono in cucina «Stava per massacrarmi!»

«Beh, non l’ha fatto!» borbottò Hareton, con le mani in tasca.

«Non di certo grazie a te. Credevo che t’importasse di me.»

Il giovane si offese mestamente: «M’importa, certo!»

«Perché, allora, lo hai lasciato fare? Perché non mi hai sostenuta e hai cercato di allontanarmi?»

«Lo stavi facendo arrabbiare. E infatti poi ci sei riuscita. Devi rispettarlo e starai bene.»

Chaty lo guardava con gli occhi chiari spalancati dall’incredulità: «Come puoi prendere le sue difese, dopo tutto quello che t’ha fatto? Joseph l’ha raccontato a me e di certo te l’avrà spiegato tante volte: questa dimora, tutte le terre e il denaro, dovrebbero essere tuoi e …»

«Zitta! Sta’ zitta!» urlò Hareton «Tu non sai. Tu non capisci … nessuno può capire…»

Chaty gli prese le mani e ritrovò dolcezza: «Spiegami, allora.»

«Un’altra volta. Lasciami solo.»

Chaty guardò ancora una volta il cugino, gli fece una carezza sulle guance arrossate e salì la scala, seguita da Nelly.

Nella cucina, Hareton rimase solo coi suoi pesanti sospiri.

Sapeva quel che Chaty voleva dirgli. Lei non si sbagliava a supporre che Joseph le avesse raccontato più volte di come era stato privato del patrimonio di famiglia. Quel che la cugina ignorava era come lui avesse altrettante volte percosso il vecchio per farlo tacere.

Era ingiusto accusare Heathcliff di averlo derubato. Hindley si ubriacava e giocava d’azzardo ben prima che Heathcliff tornasse a Wuthering Heights. Avrebbe comunque sperperato il patrimonio, avrebbe comunque ipotecato la casa. Che cosa aveva fatto di male Heathcliff? Gli aveva prestato del denaro. Qualcuno si illudeva, forse, che Hindley non l’avrebbe cercato altrove? O che se Heathcliff l’avesse invitato alla morigeratezza, Hindley lo avrebbe ascoltato?

Per come la vedeva Hareton, era un bene che Heathcliff si fosse assicurato che le proprietà degli Earnshaw finissero a lui e non a uno o più estranei. Era quello che avrebbe preferito il nonno, giusto?

Ricordava quando, da bambino, dopo che Heathcliff era tornato a casa, si nascondeva per fuggire al padre ubriaco. Era troppo grande per stare nella credenza, dove lo infilava un tempo Nelly, quindi strisciava sotto i mobili o si appiattiva contro il muro negli angoli oscuri, quando non era abbastanza rapido da raggiungere la propria camera. Allora era costretto ad ascoltare i deliri e i turpiloqui del genitore: i liquori ingeriti gli cavavano fuori tutta la rabbia e la frustrazione. Malediceva il fato, la vita e, soprattutto, Heathcliff e spesso, dopo un po’ che lo nominava, ecco che avvampava di maggior furore e s’augurava che l’anima del padre bruciasse all’inferno per aver portato quel demonio in casa loro. Hindley, ignaro d’essere ascoltato, inveiva contro il proprio genitore per l’amore con cui aveva trattato quell’orfano, per i vezzi e le cure che gli aveva riservato.

Hareton aveva così imparato che il nonno considerava Heathcliff un figlio; dunque lui doveva considerarlo uno zio. In fondo, pure zia Catherine era sempre felice di ricevere Heathcliff, gli era parso di capire.

Dunque, ancora con quel ricordo nella mente, si chiedeva che cosa ci fosse di male se lo zio era diventato il proprietario della tenuta. Perché gli dicevano che lui aveva subito un torto?

Quelle terre sarebbero finite di sicuro in altre mani. Mani di uomini che non gli volevano bene e che lo avrebbero cacciato da lì, che lo avrebbero costretto a finire tra gli orfani o chissà dove. Era stato solo per la benevolenza di Heathcliff che era potuto rimanere nella propria casa.

Heathcliff lo aveva cresciuto, gli aveva fatto da padre, anche quando Hindley era ancora in vita.

Dopo che Nelly era stata mandata a Thrushcross Grange, Hareton era rimasto solo, senza che nessuno lo difendesse dagli scoppi d’ira del padre, dalle sue follie dettate dall’ubriachezza.

Non voleva rammentare quei momenti orribili. Anche a distanza di così tanti anni, il cuore tremava di paura e d’angoscia. Preferiva ripensare a quando Heathcliff era tornato e aveva iniziato a proteggerlo. La prima volta che lo aveva visto con dei lividi sul viso, lo aveva preso in braccio e confortato, aveva frugato tra i barattoli nella credenza alla ricerca di un qualche unguento che gli desse sollievo e poi, appena Hindley si era ripresentato, gli si era scagliato contro, rimproverandolo aspramente e colpendolo.

Da quella volta, Hareton sapeva di avere in Heathcliff un protettore. Quand’era in casa, si frapponeva tra lui e le mani del padre. Quand’era fuori e non poteva intervenire, lo vendicava.

Non era solo quello. Giocava con lui. Lo portava nella brughiera a correre, inseguire animali. Gli aveva insegnato tante, tante cose sulle piante e le bestie che li circondavano, i segreti della natura. Appena aveva avuto l’età giusta, gli aveva anche insegnato come adoperare un fucile e andare a caccia. Prima ancora, gli aveva fatto scoprire come addestrare i cani.

Lo aveva lasciato libero, senza imposizioni, senza le botte per qualche disobbedienza. Sapeva che molti in paese lo additavano come selvaggio ma non gli era mai importato, poiché era felice. O, almeno, lo era stato per molti anni.

La prima volta che aveva provato vergogna e vera rabbia, era stato quando aveva conosciuto la cugina, tredicenne. All’inizio erano stati bene e si erano divertiti, ma poi lei lo aveva scambiato per un servo e, peggio ancora, lo aveva insultato ed era scoppiata in lacrime al pensiero che fossero imparentati.

Era stato un solo pomeriggio, però, presto era tutto passato.

Poi, però, era arrivato Linton.

Hareton, alla notizia, era stato contento: un nuovo amico, un ragazzo con cui giocare. Nonostante si fosse un po’ offeso, quando Heachcliff gli aveva ordinato di obbedire al nuovo arrivato, lasciandogli così capire che non sarebbero mai stati alla pari e che Linton sarebbe stato il suo padrone, aveva continuato a nutrire buone speranze. Nei primi giorni si era illuso che il ragazzetto avesse solo bisogno di adattarsi alla nuova casa e alla nuova vita, ma poi si era dovuto rassegnare: non aveva guadagnato un amico ma solo un petulante e lagnoso intruso, pronto a dargli ordini e a schernirlo per le sue maniere rudi e i suoi toni da zotico.

Prima dell’arrivo di Linton, non aveva mai pensato di essere disprezzabile.

Era stato estremamente confuso a lungo: a quanto pareva, lui era privo di tante virtù e qualità, eppure Heathcliff pareva disprezzare molto di più il proprio raffinato e colto figlio, anziché lui.

Nonostante evidenziasse apertamente le debolezze del figlio, Heathcliff continuava a tenerlo al primo posto a sottolineare che lui era il padroncino. Hareton ci rimaneva male: tutti gli anni trascorsi assieme, i giochi e i servizi che aveva reso parevano un legame più debole di quello del sangue.

Linton era praticamente uno sconosciuto e nemmeno simpatico, eppure Heathcliff lo preferiva.

O, almeno, così aveva creduto Hareton per mesi e mesi finché una sera, dopo aver portato l’ennesima tazza di latte caldo con miele a Linton costretto a letto, mentre camminava lungo il corridoio, aveva notato una fioca luce sgusciare fuori da una porta socchiusa, risaltando parecchio nell’oscurità. Era la stanza che il padrone teneva quasi sempre chiusa e impediva a chiunque di entrarvi. Hareton aveva esitato: da una parte desiderava stare un poco con Heathcliff da soli, dall’altra temeva di farlo infuriare. Anche se non era mai stato picchiato dal padrone, a parte qualche scappellotto o tirata di capelli quand’era bambino, non voleva farlo adirare. Non era la paura di Heathcliff a trattenerlo, bensì la paura di dargli un dispiacere.

Alla fine aveva deciso di avvicinarsi in punta di piedi, sbirciare dentro e valutare se poteva osare farsi vedere, oppure no. Era quasi arrivato all’uscio, quando era stato raggiunto dai mormorii lamentosi di Heathcliff. Ne era stato impressionato: non aveva mai sospettato che quell’uomo potesse piangere, potesse provare dolore.

Era difficile distinguere le parole, tra il volume basso e i singhiozzi. In generale aveva capito che stava parlando con la zia Catherine. Non per davvero, lei era morta da tempo; parlava col suo spirito. Le confidava segreti, le prometteva vendetta. La gran parte delle parole si perdevano.

Solo una frase, però, era giunta nitida alle sue orecchie: ‘Perché non è Hareton mio figlio? Ne sarei fiero. Assieme potremmo fare grandi cose …’

Tanto gli era bastato a rassicurarsi sull’affetto di Heathcliff e a renderlo contento. Solo giorni più tardi, cercando conforto in quelle parole, dopo l’ennesimo sberleffo di Linton, si era domandato perché Heathcliff non lo aveva cresciuto come un figlio?

Lui si era illuso per anni che il padrone lo avesse trattato come sangue del proprio sangue, invece aveva scoperto che non era così. Se fosse stato il frutto di Heathcliff, avrebbe ricevuto un’altra istruzione, altri compiti, sarebbe stato diverso.

Questo di nuovo lo aveva rattristato. Era stato tentato di chiedergli perché non lo avesse cresciuto come un figlio ma gli era sempre mancato il coraggio e alla fine si era risposto da solo: lui era il figlio di Hindley e, se era vera anche solo la metà delle cose che gli aveva raccontato di Joseph sui primi anni di Heathcliff lì, non c’era da meravigliarsi che gli avesse riservato lo stesso trattamento che Hindley gli aveva impartito. Anzi, si era comportato molto meglio. Hindley aveva tolto gli studi a Heathcliff e poi lo aveva sempre maltrattato e umiliato. Heathcliff, invece, a parte il non farlo studiare, era sempre stato buono con lui. In fondo, a lui nemmeno gli importava di saper leggere.

Ognuno aveva abilità diverse, no? Alcuni sapevano leggere, altri andare a caccia, chi lavorava nei campi, chi in bottega, chi in un ufficio. Ognuno al suo. Mica si poteva tutti saper fare tutte le cose.

Così si era confortato e aveva scacciato quel fastidioso dubbio circa come Heathcliff lo avrebbe allevato, se fosse stato generato da lui e si era accontentato d’essere felice che il padrone in realtà lo preferisse al proprio figlio.

I guai erano ricominciati quando Chaty era ritornata nella sua vita. Non che lei ci volesse entrare. Lei andava lì per far visita a Linton e nessun altro le interessava.

Hareton aveva imparato a sopportare gli insulti di Linton, in fondo il disprezzo era reciproco, ma si trovava completamente disarmato di fronte alle asprezze che la bocca di Chaty gli riservava.

Era solo un bifolco per lei. Un vile servo indegno della sua considerazione. Poco più che una bestia da soma di cui ridere.

Si sbagliava! Lui non era nato idiota. Il suo cervello funzionava. Gli mancavano le parole, però. Gli mancavano quelle conoscenze che si trovano al di fuori dei campi e della brughiera.

Aveva iniziato a rivalutare i libri. Aveva chiesto a Joseph di aiutarlo a imparare a leggere e scrivere. Si era impegnato, aveva finalmente letto l’iscrizione sulla porta di casa, scoprendo con stupore che era il suo nome e cognome. Eppure, Chaty aveva riso dei suoi sforzi.

Aveva continuato a imparare da solo, dopo che Joseph si era stufato. Un po’ per curiosità, in fondo adorava ascoltare leggere, dunque poteva essere bello riuscire a farlo da solo, un po’ per scoprire se davvero poteva arricchirsi o crescere con quelle pagine, un po’ per compiacere la cugina, aveva continuato ad arrancare tra le scritte.

Dopo che Chaty aveva sposato Linton e si era stabilita a Wuthering Heights, Hareton aveva sentito l’impulso di essere un buon cugino per lei: erano soli al mondo. Anzi, lei era sola, lui aveva Heathcliff.

Nelle prime settimane, aveva cercato di concederle un po’ di sollievo e di riposo dalle faticose veglie sul moribondo Linton, ma il padrone non aveva mai voluto. Gli aveva detto che quella sciocca ragazzina doveva fare la moglie e patire e che lui non meritava di sprecare il proprio tempo appresso a un ragazzetto inutile che aveva già servito al proprio scopo.

‘Torna a pensare ai fatti tuoi e a goderti la vita’ gli aveva detto il padrone ‘Linton non merita le tue premure. Prendi i fucili e andiamo a caccia.’

Poi Chaty era rimasta vedova. Era piena di ira e di risentimento. Hareton voleva farla sorridere, voleva che fosse felice come lui, lì, o almeno non così triste. Visto che pareva che lei apprezzasse solo i libri e il parlare delle cose che leggeva, si era messo di maggior impegno per imparare ma era stato tutto vano.

Heathcliff lo aveva colto in flagrante, una notte, mentre si sforzava di leggere una roba in latino. Prima era parso curioso, si era fermato ad ascoltarlo, poi si era seduto accanto a lui e lo aveva corretto qua e là; infine gli aveva chiesto come mai gli fosse venuta la voglia di istruirsi.

Hareton aveva tentennato ma poi aveva confessato di voler far piacere alla padroncina. Un misto di emozioni contrastanti e impetuose si erano accalcate negli occhi di Heathcliff, rendendo impossibile il cogliere i suoi pensieri.

Poi si era alzato e aveva detto bruscamente: «Asino illuso! Pensi davvero che quella cretina cambierà idea su di te? Sei solo uno zotico ai suoi occhi. Ti odia e continuerà a odiarti. Se vuoi imparare dai libri, fallo per te stesso, non per quella sgualdrina per cui non sei altro che fango.»

Hareton aveva pensato che Heathcliff fosse stato troppo duro, ma poi il comportamento di Chaty durante l’ultima visita del signor Lookwood gli aveva fatto capire quanto l’amico avesse ragione. Il disprezzo di Chaty mentre scimmiottava e scherniva il suo impegno, lo aveva ferito immensamente di più di tutti gli insulti che Linton gli aveva lanciato per i cinque anni che era rimasto lì.

Aveva deciso di non farsi più scalfire da quella ragazza. Di ignorarla, di fingere che non esistesse.

Allora, era stata lei a cercare di avvicinarsi a lui. Hareton era rimasto a lungo fermo nella propria decisione, convinto che lei lo cercasse solo per poterlo umiliare di nuovo. Alla fine, però, Chaty aveva dimostrato di essere sincera e si era scusata per essere stata crudele con lui, confessando che la sofferenza che aveva patito l’avevano accesa di cattiveria.

«Per un po’ ho cercato di far soffrire gli altri con me» aveva detto «Convinta che il mio stesso dolore dovessero provarlo anche gli altri. Ora mi rendo conto che devo augurarlo solo a chi è causa della mia sofferenza, a Heathcliff, e non certo a te che hai sempre voluto essere buono.»

Ad Hareton non era piaciuto il cenno all’amico ma, per quella volta, aveva lasciato correre.

Chaty, però, doveva aver frainteso e quel giorno a pranzo era scoppiata in quella sfilza di vane minacce. Hareton non aveva alcuna intenzione di rivoltarsi contro Heathcliff, né tanto meno di odiarlo.

Il suo cuore uggiolava: vedere i suoi due affetti più cari litigare aspramente, era una tortura.

Lui voleva vivere lì, continuare la sua vita nel prendersi cura di Wuthering Heights e di Heathcliff e voleva anche che Chaty fosse lì con loro, felice.

Forse era impossibile.

Doveva, però, parlarne con Heathcliff. Bussò alla porta.

«Andate al diavolo, ho detto che voglio star solo.»

Hareton si voltò per obbedire. Ci ripensò. Aveva diritto di parlare con lui.

Si girò di nuovo, afferrò la maniglia e aprì l’uscio.

«Maledetti! Ho detto …» Heathcliff sollevò gli occhi e interruppe la calorosa accoglienza «Ah, sei tu. Mettiti qui.» e spinse la sedia che aveva accanto.

***

Hareton avanzò nella stanza e si accomodò sulla seggiola. Guardò Heathcliff dritto negli occhi scuri. Per un attimo, si sentì pari all’uomo che aveva di fronte; la vanità di pochi istanti, prima di ricordare quanto gli doveva e che, per quanto l’affetto possa unirli, tra due parenti il maggiore è sempre superiore, più rispettabile.

Era strano. C’era del disagio in quel frangente. Hareton si sentì di colpo a disagio. Lui e il padrone erano rimasti più volte in silenzio nella stessa stanza, eppure quel giorno c’era qualcosa di diverso.

«Bravo, fai bene a tacere» nella stanza risuonò la voce rauca di Heatcliff che allungò la mano a prendere un bicchiere «Di sciocchezze per oggi ne ho sentite abbastanza. Se ti metti a proferirne anche tu … Ormai l’hai parato che vuol dire proferire, o no?»

«Sì, lo so» Hareton piegò, mesto, il capo «Vi ho mai infastidito con sciocchezze?»

«Un anno fa, t’avrei detto di no. Da quando c’è quella strega in casa, invece, ne hai dette parecchie.»

«L’avete costretta voi a star qui.»

«Taci, e andate al diavolo tutti e due!»

Il fiato e il dispiacere si rimestarono nella gola di Hareton che li mandò giù forzosamente per mantenere un tono calmo: «Prima avete minacciato di pestarmi fino a spedirmi all’Inferno, se non vi avessi obbedito.»

Heathcliff volse il viso verso di lui e un ghigno tra il beffardo e il divertito inclinò le sue labbra: «Già, ti avevo detto di trascinarla via e invece … Sei venuto a prenderti la punizione promessa? Lascia perdere: quella strega mi ha mandato in bestia, non dicevo sul serio.»

«Avete detto anche un’altra cosa. Avete detto che se avessi dato di nuovo retta a Chaty, mi avreste cacciato. Eravate serio, in quel momento?»

Un pesante respiro sfuggì dalla gola di Heathcliff: «Devo dire di sì, altrimenti a che servono le minacce?» gli appoggiò una mano sulla spalla e poi allungò le dita per tirare appena, come quando era bambino, i ricci che dondolavano sotto le orecchie di Hareton «Ti avevo avvertito: non fidarti di lei, ti porterà dolore. Hai visto? Voleva metterti contro di me.»

Le braccia di Hareton scattarono in avanti e lui si aggrappò alla mano libera di Heathcliff: «Non accadrà mai. Io vi voglio bene, non vi voglio lasciare … ma voglio anche essere amico di Chaty

«Perché? Ti ha sempre bistrattato e offeso. Non merita certo il tuo affetto.»

«Soffriva.»

«Lo faceva ben prima, quando veniva qui tutt’allegra per Linon. Hai dimenticato?»

«No. Ma era giovane e poi le sofferenze l’hanno fatta crescere in fretta. E poi mi sta anche acculturando.»

«L’ho notato. E ti sembra giusto che il suo affetto dipenda da quanti libri hai letto?»

«Non lo so … Voi me ne volete comunque, vero?»

Le labbra di Heathcliff tremarono e le iridi scure divennero lucide. Dopo qualche istante ritrasse la mano e ne sfregò il dorso sugli occhi: «Vorrei odiarti … Vorrei, guardandoti, vedere Hindley. Invece assomigli così tanto a tua zia … e a me.»

«A voi?»

«Hindley mi ha tenuto nell’ignoranza e io, che amavo tua zia, mi son ritrovato a non essere degno di lei: privo di denaro e di istruzione, non potevo aspirare a sposarla. Catherine, nonostante mi volesse bene, non poteva degradarsi per me, per quello che ero all’epoca. Allora partii, per elevarmi. Altrove mi procurai cultura e denaro.»

«Allora, concordate con me: faccio bene a cercare di imparare.»

Heathcliff chiuse gli occhi e per lunghi momenti restò in silenzio, finché un mormorio non gli sfuggì dalle labbra semichiuse: «Perché sei figlio di Hindley

Hareton tornò a stringergli la mano: «Hindley mi ha messo al mondo, ma mi avete cresciuto voi. Anzi, siete stato voi mio padre. A voi devo la vita più che a lui!»

La fronte di Heathcliff divenne tutta una ruga, mentre aggrottava gli occhi: «Ma cosa dici?!»

«Non ricordate? Io sì, anche se ero molto piccolo. È forse il ricordo più vecchio che ho, a volte ho temuto fosse stato un sogno, ma Nelly mi ha detto che è tutto vero.»

«Non farla tanto lunga e parla!»

«Nelly era ancora la mia balia e, quando Hindley tornava a casa ubriaco, lei si premurava di togliere le cartucce dai fucili e di nascondermi. Una volta, però, non fu abbastanza rapida e Hindley mi trovò e mi prese e salì su per le scale. Ero spaventato, piangevo. Lui mi sporse oltre la ringhiera: ero sospeso nel vuoto.»

Heathcliff trasalì ma rimase muto.

«E poi non lo so, se mi stavo agitando troppo io o se lui ha lasciato la presa, ma precipitai e sarei morto, se non ci fossero state le vostre mani a prendermi.»

«Lo ricordo.»

«Perché quella voce cupa? Capite, ora, perché dico che anche voi mi avete dato vita? Capite perché, guardandovi, vedo un padre?»

«HaretonHareton …» quasi gemette Heathcliff. Un sentimento a cui non sapeva dare nome, gli torturava il petto: il ragazzo era lì, tanto riconoscente, tanto amorevole, ignaro che lui, quel giorno, si era pentito all’istante del salvataggio. Dopo tanti anni, però, se ne riteneva felice.

Felice non perché poteva perpetrare la sua vendetta su Hindley attraverso suo figlio, felice per gli anni che aveva passato con lui.

Era stato tanto ingiusto! Abbruttire così Hareton, avrebbe avuto senso se Hindley fosse stato vivo e avesse potuto soffrirne, oppure se Edgar avesse mai mostrato interesse per il nipote. Invece aveva solo fatto del male al ragazzo. Perché non aveva considerato una sufficiente vendetta che Hareton lo amasse più del padre?

Aveva usato Hareton come surrogato di Hindley, ma lui non era Hindley!

Che fare, ora? Confessare ad Hareton quanto si fosse sbagliato su di lui? Ammettere i torti che gli aveva usato? A che scopo?

Hareton era felice, si era sentito amato, perché rovinargli i ricordi con la verità?

Se ora Heathcliff aveva riconosciuto di volergli bene, perché infliggergli la sofferenza dicendogli che lo aveva ingannato?

Ma lo aveva ingannato veramente? Heathcliff lo aveva sempre considerato uno strumento di vendetta, era vero, aveva pianificato di farlo soffrire, ma in fondo non lo aveva sempre fatto patire molto meno di quanto avrebbe potuto?

Mentre cresceva Hareton e pensava di ingannarlo simulando affetto, non aveva ingannato piuttosto se stesso, aggrappandosi all’idea di vendetta, negando di riconoscere il bene che sinceramente nutriva per il ragazzo?

Non aveva abbandonato già da tempo l’idea di confinarlo nella rozzezza e nell’ignoranza? Se avesse davvero che non migliorasse, gli avrebbe impedito di avvicinarsi ai libri. Non lo aveva incoraggiato ma nemmeno ostacolato.

Era come se nel suo petto litigassero due anime: una che reclamava vendetta e l’altra che tifava per Hareton. Già: da troppo tempo rivedeva se stesso nel giovane. Aveva voluto infliggergli le sue stesse sofferenze e così aveva finito per plasmarlo a sua immagine ma privo di quell’odio che lo lacerava.

Al funerale di Hindley, al pensiero che da quel giorno il bambino sarebbe stato del tutto suo, si era chiesto se un albero crescesse storto come un altro, se spazzato dallo stesso vento. Lì per lì, aveva pensato di riferirsi alla cattiva influenza che aveva avuto su Hindley negli ultimi anni, adesso invece si accorgeva che lui stesso era il primo albero storto e il vento era ciò che sia lui che Hareton avevano patito.

«Quindi» Earnshaw stava riprendendo il discorso «Per quanto io vorrei essere amico di Cathy, se voi me lo proibirete, io obbedirò. Non vorrei dover scegliere tra voi due ma, se devo, scelgo voi.»

«Ragazzo, mi chiedo da chi hai preso questa bontà.» un lungo sospiro «Dici che tua cugina è stata aspra con te perché soffriva. Ti prego di ricordarlo. Quando sentirai che mi accusano di crudeltà, ricordati quanto ho sofferto io. E conserva il bene che mi vuoi perché, nonostante le apparenze, tu sei il solo che ha ricevuto del bene da me. Bene mescolato a torti, non lo nego, ma per quanto mi sia ostacolato da solo, l’odio per Hindley non è mai riuscito a impedirmi del tutto d’amarti come un figlio. Ricordalo, ti prego.»

Heathcliff sospirò: la brama di vendetta gli aveva impedito di vivere. Avrebbe potuto godersi quella paternità ma, ostinato a credere che non vi fosse felicità per lui senza Cathrine, si era negato anche nata da altre fonti. Molti erano stati i momenti di gioco, di scherzo, di premura con Hareton, quei frangenti in cui scordava di doverlo odiare; quelli in cui, per quietare l'animo vendicativo, si diceva di star sol fingendo di essere amico ma in realtà lo era sinceramente. Ora, a ripensarsi, a dirsi quanto erano stati confortanti, si rendeva conto di quanti pochi erano stati, rispetto a quelli che avrebbe potuto avere. Progettare la disperazione altrui, aveva spento la sua felicità. Perpetrare la vendetta sui morti, gli avevano tolto la sua vita.

 

   
 
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