La
porta si chiuse. Tutti i piagnistei, le parole spavalde, erano cessati. Heathcliff era finalmente solo, immerso nel silenzio. Assordato
dal cuore che pulsava dannatamente veloce.
Cos’era
successo?
I
fatti erano chiari: quell’insolente ragazzina aveva trovato la forza di alzare
la voce e pronunciare parole arroganti. Dopo tutto quello che aveva subito, lei
non si era del tutto abbattuta. Heathcliff credeva di
averla privata di ogni speranza, di aver confinato il suo animo alla
rassegnazione, invece lei non si era ancora arresa. Quello non era certo lo
spirito di Edgar Linton, bensì quello di Chaty. La vera Chaty. La sua Chaty.
Avrebbe
potuto apprezzarla, in quel frangente. Sarebbe stato divertente sentirla
recriminare per il trattamento subito, perfino ammirare quella forza nella
disperazione, e poi schiacciarla, mandare in frantumi le speranze e ricordarle
che lei era di fatto sua prigioniera, che poteva scegliere solo tra l’essere
mantenuta lì, alla sua mercè, o l’andarsene via a mendicare, poiché priva d’ogni
denaro.
In fondo,
era molto più divertente tormentare chi ancora spera. I rassegnati davano poco
piacere.
La
ragazzina, però, aveva osato troppo: tentava di sottrargli Hareton.
Questo non sarebbe successo mai: un Linton non gli
avrebbe sottratto, di nuovo, un Earnshaw.
Quella
strega aveva deciso di sfruttare il proprio fascino per abbindolare Hareton e metterglielo contro: illusa.
Hareton era suo, non di
quella sfacciata. Lo aveva dimostrato, no?
Lì,
a tavola, Catherine aveva cercato di aizzare Hareton
contro di lui, di farli scontrare fisicamente, ma il giovane non aveva alzato
un dito e, anzi, aveva sollecitato quell’oca ostinata ad allontanarsi.
Heathcliff, però, gli aveva ordinato
di portarla via di peso ma lui si era limitato a cercare di convincerla con le
parole. Hareton gli aveva disobbedito.
L’ira
era avvampata in tutto il suo corpo. Nelle settimane, nei mesi prima, Hareton l’aveva mandato più volte in bestia, prendendo le
difese della piccola strega. Quand’erano soli e lui si riprometteva di inasprire
la fin troppo comoda vita della ragazzina, Earnshaw
tentava in ogni modo di mitigarlo. Più volte era stato sul punto di prendere a
schiaffi quello zoticone, qualcuno gli era anche scappato: nessuno doveva
intromettersi nella sua vendetta. Poi, però, pensava al fatto che la ragazzina ignorava
che il rozzo cugino che tanto disprezzava, era il suo più strenuo difensore;
questa poteva essere un’ottima punizione per il figlio di Hindley:
essere costantemente umiliato e deriso dalla creatura che devotamente proteggeva.
L’amore
calpestato e svilito. Proprio com’era stato il suo amore per Chaty Earnshaw.
Non
aveva mai sospettato che la strega potesse mutare opinione su Hareton e coltivare dell’affetto per lui; eppure, poco fa,
a tavola, lei aveva sfacciatamente detto che ora erano amici. Era una menzogna.
Doveva esserlo. Quella ragazzina doveva essere più scaltra di quanto pensasse e
aveva deciso di imitarlo: come Heathcliff aveva approfittato
dei sentimenti di Isabella per compiere la propria vendetta, così Catherine stava
sfruttando quelli del cugino per liberarsi. Era di certo così. Doveva essere così.
Non avrebbe
permesso a quella strega di togliergli Hareton. Non
avrebbe permesso ad altri di ferire quel ragazzo. Sì, inizialmente Heathcliff aveva ravvisato in lei uno strumento per
infierire su Earnshaw, affinché si rendesse conto
della propria ignoranza e rozzezza e scoprisse quanto era inferiore, inferiore
soprattutto a colei che amava. Aveva voluto che il figlio di Hindley patisse il medesimo tormento che aveva allontanato
lui per tre anni da Wuthering Heights.
Era stato
Heathcliff stesso a soffiare sulle braci di quel sentimento,
a rafforzare in Hareton il desiderio per Chaty. Lei era un suo inconsapevole strumento. Doveva
restare uno strumento.
Invece,
la strega aveva capito di poter sfruttare la situazione, aveva deciso di tentare
di prendere il controllo, ma era stata tanto sciocca da rivelare con troppa
fretta le sue intenzioni.
Credeva
davvero che qualche moina bastasse a spezzare il legame tra lui e Hareton? Un legame forgiato in quasi vent’anni?
‘Non
ti obbedirà più’ aveva detto la strega ‘Presto ti odierà quanto ti odio io’.
Non doveva
dirlo. Non doveva!
Quelle
parole gli avevano fatto perdere il controllo. L’avrebbe fulminata in quel
preciso istante, se solo ne avesse avuto il potere.
Hareton, però, non lo
aveva deluso: le aveva intimato di stare zitta, le aveva detto chiaramente: ‘Non
voglio che gli parli così’.
Il furore
acceso dall’insolenza, dal dichiarato tentativo di sottrargli l’unica persona
che gli voleva bene, era stato ancora troppo forte in Heathcliff,
aveva avuto ancora bisogno di essere sfogato.
Aveva
afferrato la strega, le aveva stretto i capelli. Le sonore sberle che già le
aveva elargito in passato, le sarebbero parse carezze al confronto di ciò che
avrebbe voluto farle. Meritava un’atroce punizione anche solo per aver pensato
di instillare in Hareton odio per lui.
In quel
frangente, l’avrebbe fatta a pezzi; era stato pronto a distruggere l’ultimo
residuo di Edgar Linton.
Alle
sue orecchie, però, erano giunte le suppliche di Earnshaw.
Il ragazzo era lì accanto, robusto e in forze, avrebbe potuto facilmente almeno
tentare di fermarlo con la forza. Avrebbe potuto colpirlo, spintonarlo, calciarlo
perfino, pur di liberare la cugina; invece non alzava un dito contro di lui e
si limitava a far uscire dalla bocca appelli alla sua pietà. Hareton, per quanto ammaliato dalla strega, era ancora suo.
Non si ribellava per lei.
Quest’ulteriore
conferma aveva acquietato un poco l’ira di Heathcliff
ma non abbastanza. Era ancora pronto punire l’insolente.
Le preghiere
di Earnshaw continuavano a richiamare la sua mente.
Lo spirito
di vendetta schiumava rabbioso: “Perfetto, perfetto! Picchiala! Rendi il suo
volto livido. Il figlio di Hindley soffrirà
tremendamente nel vedere la sua cara cugina percossa. Colpiscila! Soffriranno
entrambi: lei nel corpo, lui nell’anima. Vogliamo vendicarci di Hindley e di Liton, no? Questa è
un’occasione perfetta. Sarà uno strazio per lui.”
Era proprio
così. Il cuore del figlio di Hindley si sarebbe
frantumato.
Lo voleva
davvero?
In
quel momento, qualcosa nel profondo della sua anima aveva gridato: NO!
D’improvviso
si era aperto davanti ai suoi occhi un orrore: se avesse picchiato, ucciso,
quella ragazzina, Hareton non lo avrebbe perdonato.
Non
ne era sicuro. Il ragazzo gli aveva già visto commettere molte crudeltà, ma nessuna
diretta verso qualcosa o qualcuno che amava. Perfino da bambino, quando Heathcliff tormentava suo padre, Hareton
non ne era mai stato turbato, poiché spesso vittima dell’ubriachezza e della rabbia
di Hindley. Quella era la prima volta che Heathcliff colpiva gli affetti di Hareton
e il giovane confidava tanto in lui da credere che le suppliche potessero
servire.
Hareton credeva in un
residuo di bontà in lui. Era proprio uno sciocco.
Come
avrebbe reagito, se lo avesse deluso?
Hareton gli avrebbe
ancora voluto bene, dopo aver constatato fino a dove si spingeva la sua crudeltà?
Heathcliff stava per punire
ferocemente chi aveva osato tentare di togliergli Hareton
e, forse, proprio quella punizione avrebbe allontanato per sempre il ragazzo da
lui.
Allora
Heathcliff si era fermato. Aveva lasciato i capelli
della ragazzina e aveva ordinato a tutti d’uscire dalla stanza.
Era
rimasto lì, solo, e rimuginava su quanto accaduto, ancora incredulo: la paura
di perdere l’affetto di Hareton era stata più forte
del suo odio e della sua vendetta.
Mesi
prima, parlando con Nelly, Heathcliff si era vantato affermando
che se Hindley fosse tornato dal Regno dei Morti per
rimproverargli come ne trattava il figlio ‘avrei la soddisfazione di vedere il
ragazzo scagliarsi indignato contro chi osa offendere il suo unico amico!’
In
quel momento si era fatto beffa dell’ingenuità di Hareton
che considerava unico amico l’uomo che si era premurato di privarlo
delle terre, del denaro, dell’istruzione, delle buone maniere, delle virtù e che
aveva impedito che diventasse il grand’uomo che, in potenza, avrebbe potuto
essere.
Ora
si rendeva conto che il ragazzo era l’unico che non lo considerasse un demonio,
il solo che non desiderava fargli del male, l’unico in vita ad amarlo. Heathcliff era stato amato solo dall’anziano Signor Earnshaw, da sua figlia Catherine e da Hareton.
Dopo la morte di Catherine si era convinto che di nulla gli importasse più se
non la vendetta, se non la sofferenza dei propri nemici. Non gli importava di
avere qualcosa di buono per sé, pur di esser certo di scatenare il male sugli
altri.
Eppure,
ora, l’affetto di Hareton era qualcosa che non voleva
sacrificare.
Era
Hareton ad essere l’unico amico che lui aveva.
***
«Perché
gli hai permesso di afferrarmi?» Chaty rimproverò Hareton, appena furono in cucina «Stava per massacrarmi!»
«Beh,
non l’ha fatto!» borbottò Hareton, con le mani in
tasca.
«Non
di certo grazie a te. Credevo che t’importasse di me.»
Il
giovane si offese mestamente: «M’importa, certo!»
«Perché,
allora, lo hai lasciato fare? Perché non mi hai sostenuta e hai cercato di
allontanarmi?»
«Lo
stavi facendo arrabbiare. E infatti poi ci sei riuscita. Devi rispettarlo e
starai bene.»
Chaty lo guardava con gli occhi chiari
spalancati dall’incredulità: «Come puoi prendere le sue difese, dopo tutto
quello che t’ha fatto? Joseph l’ha raccontato a me e di certo te l’avrà spiegato
tante volte: questa dimora, tutte le terre e il denaro, dovrebbero essere tuoi
e …»
«Zitta!
Sta’ zitta!» urlò Hareton «Tu non sai. Tu non capisci
… nessuno può capire…»
Chaty gli prese le mani e ritrovò
dolcezza: «Spiegami, allora.»
«Un’altra
volta. Lasciami solo.»
Chaty guardò ancora una volta il cugino,
gli fece una carezza sulle guance arrossate e salì la scala, seguita da Nelly.
Nella
cucina, Hareton rimase solo coi suoi pesanti sospiri.
Sapeva
quel che Chaty voleva dirgli. Lei non si sbagliava a
supporre che Joseph le avesse raccontato più volte di come era stato privato
del patrimonio di famiglia. Quel che la cugina ignorava era come lui avesse altrettante
volte percosso il vecchio per farlo tacere.
Era
ingiusto accusare Heathcliff di averlo derubato. Hindley si ubriacava e giocava d’azzardo ben prima che Heathcliff tornasse a Wuthering
Heights. Avrebbe comunque sperperato il patrimonio,
avrebbe comunque ipotecato la casa. Che cosa aveva fatto di male Heathcliff? Gli aveva prestato del denaro. Qualcuno si
illudeva, forse, che Hindley non l’avrebbe cercato
altrove? O che se Heathcliff l’avesse invitato alla
morigeratezza, Hindley lo avrebbe ascoltato?
Per
come la vedeva Hareton, era un bene che Heathcliff si fosse assicurato che le proprietà degli Earnshaw finissero a lui e non a uno o più estranei. Era quello
che avrebbe preferito il nonno, giusto?
Ricordava
quando, da bambino, dopo che Heathcliff era tornato a
casa, si nascondeva per fuggire al padre ubriaco. Era troppo grande per stare nella
credenza, dove lo infilava un tempo Nelly, quindi strisciava sotto i mobili o
si appiattiva contro il muro negli angoli oscuri, quando non era abbastanza
rapido da raggiungere la propria camera. Allora era costretto ad ascoltare i
deliri e i turpiloqui del genitore: i liquori ingeriti gli cavavano fuori tutta
la rabbia e la frustrazione. Malediceva il fato, la vita e, soprattutto, Heathcliff e spesso, dopo un po’ che lo nominava, ecco che
avvampava di maggior furore e s’augurava che l’anima del padre bruciasse all’inferno
per aver portato quel demonio in casa loro. Hindley,
ignaro d’essere ascoltato, inveiva contro il proprio genitore per l’amore con
cui aveva trattato quell’orfano, per i vezzi e le cure che gli aveva riservato.
Hareton aveva così imparato
che il nonno considerava Heathcliff un figlio; dunque
lui doveva considerarlo uno zio. In fondo, pure zia Catherine era sempre felice
di ricevere Heathcliff, gli era parso di capire.
Dunque,
ancora con quel ricordo nella mente, si chiedeva che cosa ci fosse di male se lo
zio era diventato il proprietario della tenuta. Perché gli dicevano che lui
aveva subito un torto?
Quelle
terre sarebbero finite di sicuro in altre mani. Mani di uomini che non gli
volevano bene e che lo avrebbero cacciato da lì, che lo avrebbero costretto a
finire tra gli orfani o chissà dove. Era stato solo per la benevolenza di Heathcliff che era potuto rimanere nella propria casa.
Heathcliff lo aveva
cresciuto, gli aveva fatto da padre, anche quando Hindley
era ancora in vita.
Dopo
che Nelly era stata mandata a Thrushcross
Grange, Hareton era rimasto solo, senza che
nessuno lo difendesse dagli scoppi d’ira del padre, dalle sue follie dettate
dall’ubriachezza.
Non
voleva rammentare quei momenti orribili. Anche a distanza di così tanti anni,
il cuore tremava di paura e d’angoscia. Preferiva ripensare a quando Heathcliff era tornato e aveva iniziato a proteggerlo. La
prima volta che lo aveva visto con dei lividi sul viso, lo aveva preso in braccio
e confortato, aveva frugato tra i barattoli nella credenza alla ricerca di un
qualche unguento che gli desse sollievo e poi, appena Hindley
si era ripresentato, gli si era scagliato contro, rimproverandolo aspramente e
colpendolo.
Da
quella volta, Hareton sapeva di avere in Heathcliff un protettore. Quand’era in casa, si frapponeva
tra lui e le mani del padre. Quand’era fuori e non poteva intervenire, lo
vendicava.
Non
era solo quello. Giocava con lui. Lo portava nella brughiera a correre,
inseguire animali. Gli aveva insegnato tante, tante cose sulle piante e le
bestie che li circondavano, i segreti della natura. Appena aveva avuto l’età
giusta, gli aveva anche insegnato come adoperare un fucile e andare a caccia. Prima
ancora, gli aveva fatto scoprire come addestrare i cani.
Lo
aveva lasciato libero, senza imposizioni, senza le botte per qualche disobbedienza.
Sapeva che molti in paese lo additavano come selvaggio ma non gli era mai
importato, poiché era felice. O, almeno, lo era stato per molti anni.
La
prima volta che aveva provato vergogna e vera rabbia, era stato quando aveva
conosciuto la cugina, tredicenne. All’inizio erano stati bene e si erano
divertiti, ma poi lei lo aveva scambiato per un servo e, peggio ancora, lo
aveva insultato ed era scoppiata in lacrime al pensiero che fossero
imparentati.
Era
stato un solo pomeriggio, però, presto era tutto passato.
Poi,
però, era arrivato Linton.
Hareton, alla notizia,
era stato contento: un nuovo amico, un ragazzo con cui giocare. Nonostante si
fosse un po’ offeso, quando Heachcliff gli aveva
ordinato di obbedire al nuovo arrivato, lasciandogli così capire che non
sarebbero mai stati alla pari e che Linton sarebbe
stato il suo padrone, aveva continuato a nutrire buone speranze. Nei primi
giorni si era illuso che il ragazzetto avesse solo bisogno di adattarsi alla
nuova casa e alla nuova vita, ma poi si era dovuto rassegnare: non aveva guadagnato
un amico ma solo un petulante e lagnoso intruso, pronto a dargli ordini e a
schernirlo per le sue maniere rudi e i suoi toni da zotico.
Prima
dell’arrivo di Linton, non aveva mai pensato di
essere disprezzabile.
Era
stato estremamente confuso a lungo: a quanto pareva, lui era privo di tante
virtù e qualità, eppure Heathcliff pareva disprezzare
molto di più il proprio raffinato e colto figlio, anziché lui.
Nonostante
evidenziasse apertamente le debolezze del figlio, Heathcliff
continuava a tenerlo al primo posto a sottolineare che lui era il padroncino. Hareton ci rimaneva male: tutti gli anni trascorsi assieme,
i giochi e i servizi che aveva reso parevano un legame più debole di quello del
sangue.
Linton era praticamente
uno sconosciuto e nemmeno simpatico, eppure Heathcliff
lo preferiva.
O,
almeno, così aveva creduto Hareton per mesi e mesi
finché una sera, dopo aver portato l’ennesima tazza di latte caldo con miele a Linton costretto a letto, mentre camminava lungo il
corridoio, aveva notato una fioca luce sgusciare fuori da una porta socchiusa,
risaltando parecchio nell’oscurità. Era la stanza che il padrone teneva quasi
sempre chiusa e impediva a chiunque di entrarvi. Hareton
aveva esitato: da una parte desiderava stare un poco con Heathcliff
da soli, dall’altra temeva di farlo infuriare. Anche se non era mai stato
picchiato dal padrone, a parte qualche scappellotto o tirata di capelli quand’era
bambino, non voleva farlo adirare. Non era la paura di Heathcliff
a trattenerlo, bensì la paura di dargli un dispiacere.
Alla
fine aveva deciso di avvicinarsi in punta di piedi, sbirciare dentro e valutare
se poteva osare farsi vedere, oppure no. Era quasi arrivato all’uscio, quando
era stato raggiunto dai mormorii lamentosi di Heathcliff.
Ne era stato impressionato: non aveva mai sospettato che quell’uomo potesse piangere,
potesse provare dolore.
Era
difficile distinguere le parole, tra il volume basso e i singhiozzi. In generale
aveva capito che stava parlando con la zia Catherine. Non per davvero, lei era
morta da tempo; parlava col suo spirito. Le confidava segreti, le prometteva
vendetta. La gran parte delle parole si perdevano.
Solo
una frase, però, era giunta nitida alle sue orecchie: ‘Perché non è Hareton mio figlio? Ne sarei fiero. Assieme potremmo fare
grandi cose …’
Tanto
gli era bastato a rassicurarsi sull’affetto di Heathcliff
e a renderlo contento. Solo giorni più tardi, cercando conforto in quelle
parole, dopo l’ennesimo sberleffo di Linton, si era
domandato perché Heathcliff non lo aveva cresciuto
come un figlio?
Lui
si era illuso per anni che il padrone lo avesse trattato come sangue del
proprio sangue, invece aveva scoperto che non era così. Se fosse stato il
frutto di Heathcliff, avrebbe ricevuto un’altra
istruzione, altri compiti, sarebbe stato diverso.
Questo
di nuovo lo aveva rattristato. Era stato tentato di chiedergli perché non lo
avesse cresciuto come un figlio ma gli era sempre mancato il coraggio e alla
fine si era risposto da solo: lui era il figlio di Hindley
e, se era vera anche solo la metà delle cose che gli aveva raccontato di Joseph
sui primi anni di Heathcliff lì, non c’era da
meravigliarsi che gli avesse riservato lo stesso trattamento che Hindley gli aveva impartito. Anzi, si era comportato molto
meglio. Hindley aveva tolto gli studi a Heathcliff e poi lo aveva sempre maltrattato e umiliato. Heathcliff, invece, a parte il non farlo studiare, era
sempre stato buono con lui. In fondo, a lui nemmeno gli importava di saper
leggere.
Ognuno
aveva abilità diverse, no? Alcuni sapevano leggere, altri andare a caccia, chi
lavorava nei campi, chi in bottega, chi in un ufficio. Ognuno al suo. Mica si
poteva tutti saper fare tutte le cose.
Così
si era confortato e aveva scacciato quel fastidioso dubbio circa come Heathcliff lo avrebbe allevato, se fosse stato generato da
lui e si era accontentato d’essere felice che il padrone in realtà lo preferisse
al proprio figlio.
I
guai erano ricominciati quando Chaty era ritornata
nella sua vita. Non che lei ci volesse entrare. Lei andava lì per far visita a Linton e nessun altro le interessava.
Hareton aveva imparato a
sopportare gli insulti di Linton, in fondo il disprezzo
era reciproco, ma si trovava completamente disarmato di fronte alle asprezze
che la bocca di Chaty gli riservava.
Era
solo un bifolco per lei. Un vile servo indegno della sua considerazione. Poco più
che una bestia da soma di cui ridere.
Si
sbagliava! Lui non era nato idiota. Il suo cervello funzionava. Gli mancavano
le parole, però. Gli mancavano quelle conoscenze che si trovano al di fuori dei
campi e della brughiera.
Aveva
iniziato a rivalutare i libri. Aveva chiesto a Joseph di aiutarlo a imparare a
leggere e scrivere. Si era impegnato, aveva finalmente letto l’iscrizione sulla
porta di casa, scoprendo con stupore che era il suo nome e cognome. Eppure, Chaty aveva riso dei suoi sforzi.
Aveva
continuato a imparare da solo, dopo che Joseph si era stufato. Un po’ per
curiosità, in fondo adorava ascoltare leggere, dunque poteva essere bello
riuscire a farlo da solo, un po’ per scoprire se davvero poteva arricchirsi o
crescere con quelle pagine, un po’ per compiacere la cugina, aveva continuato
ad arrancare tra le scritte.
Dopo
che Chaty aveva sposato Linton
e si era stabilita a Wuthering Heights, Hareton aveva sentito
l’impulso di essere un buon cugino per lei: erano soli al mondo. Anzi, lei era
sola, lui aveva Heathcliff.
Nelle
prime settimane, aveva cercato di concederle un po’ di sollievo e di riposo
dalle faticose veglie sul moribondo Linton, ma il
padrone non aveva mai voluto. Gli aveva detto che quella sciocca ragazzina doveva
fare la moglie e patire e che lui non meritava di sprecare il proprio tempo
appresso a un ragazzetto inutile che aveva già servito al proprio scopo.
‘Torna
a pensare ai fatti tuoi e a goderti la vita’ gli aveva detto il padrone ‘Linton non merita le tue premure. Prendi i fucili e andiamo
a caccia.’
Poi
Chaty era rimasta vedova. Era piena di ira e di risentimento.
Hareton voleva farla sorridere, voleva che fosse
felice come lui, lì, o almeno non così triste. Visto che pareva che lei
apprezzasse solo i libri e il parlare delle cose che leggeva, si era messo di
maggior impegno per imparare ma era stato tutto vano.
Heathcliff lo aveva colto in
flagrante, una notte, mentre si sforzava di leggere una roba in latino. Prima era
parso curioso, si era fermato ad ascoltarlo, poi si era seduto accanto a lui e
lo aveva corretto qua e là; infine gli aveva chiesto come mai gli fosse venuta
la voglia di istruirsi.
Hareton aveva tentennato
ma poi aveva confessato di voler far piacere alla padroncina. Un misto di
emozioni contrastanti e impetuose si erano accalcate negli occhi di Heathcliff, rendendo impossibile il cogliere i suoi pensieri.
Poi
si era alzato e aveva detto bruscamente: «Asino illuso! Pensi davvero che
quella cretina cambierà idea su di te? Sei solo uno zotico ai suoi occhi. Ti odia
e continuerà a odiarti. Se vuoi imparare dai libri, fallo per te stesso, non
per quella sgualdrina per cui non sei altro che fango.»
Hareton aveva pensato che
Heathcliff fosse stato troppo duro, ma poi il comportamento
di Chaty durante l’ultima visita del signor Lookwood gli aveva fatto capire quanto l’amico avesse
ragione. Il disprezzo di Chaty mentre scimmiottava e
scherniva il suo impegno, lo aveva ferito immensamente di più di tutti gli
insulti che Linton gli aveva lanciato per i cinque
anni che era rimasto lì.
Aveva
deciso di non farsi più scalfire da quella ragazza. Di ignorarla, di fingere
che non esistesse.
Allora,
era stata lei a cercare di avvicinarsi a lui. Hareton
era rimasto a lungo fermo nella propria decisione, convinto che lei lo cercasse
solo per poterlo umiliare di nuovo. Alla fine, però, Chaty
aveva dimostrato di essere sincera e si era scusata per essere stata crudele
con lui, confessando che la sofferenza che aveva patito l’avevano accesa di
cattiveria.
«Per
un po’ ho cercato di far soffrire gli altri con me» aveva detto «Convinta che
il mio stesso dolore dovessero provarlo anche gli altri. Ora mi rendo conto che
devo augurarlo solo a chi è causa della mia sofferenza, a Heathcliff,
e non certo a te che hai sempre voluto essere buono.»
Ad
Hareton non era piaciuto il cenno all’amico ma, per
quella volta, aveva lasciato correre.
Chaty, però, doveva aver frainteso e
quel giorno a pranzo era scoppiata in quella sfilza di vane minacce. Hareton non aveva alcuna intenzione di rivoltarsi contro Heathcliff, né tanto meno di odiarlo.
Il
suo cuore uggiolava: vedere i suoi due affetti più cari litigare aspramente, era
una tortura.
Lui
voleva vivere lì, continuare la sua vita nel prendersi cura di Wuthering Heights e
di Heathcliff e voleva anche che Chaty
fosse lì con loro, felice.
Forse
era impossibile.
Doveva,
però, parlarne con Heathcliff. Bussò alla porta.
«Andate
al diavolo, ho detto che voglio star solo.»
Hareton si voltò per
obbedire. Ci ripensò. Aveva diritto di parlare con lui.
Si
girò di nuovo, afferrò la maniglia e aprì l’uscio.
«Maledetti!
Ho detto …» Heathcliff sollevò gli occhi e interruppe
la calorosa accoglienza «Ah, sei tu. Mettiti qui.» e spinse la sedia che aveva
accanto.
***
Hareton avanzò nella
stanza e si accomodò sulla seggiola. Guardò Heathcliff
dritto negli occhi scuri. Per un attimo, si sentì pari all’uomo che aveva di fronte;
la vanità di pochi istanti, prima di ricordare quanto gli doveva e che, per
quanto l’affetto possa unirli, tra due parenti il maggiore è sempre superiore,
più rispettabile.
Era
strano. C’era del disagio in quel frangente. Hareton si
sentì di colpo a disagio. Lui e il padrone erano rimasti più volte in silenzio nella
stessa stanza, eppure quel giorno c’era qualcosa di diverso.
«Bravo, fai bene a tacere» nella stanza
risuonò la voce rauca di Heatcliff che allungò la mano a prendere un bicchiere «Di
sciocchezze per oggi ne ho sentite abbastanza. Se ti metti a proferirne anche
tu … Ormai l’hai parato che vuol dire proferire, o no?»
«Sì, lo so» Hareton piegò, mesto, il capo «Vi ho mai infastidito con
sciocchezze?»
«Un anno fa, t’avrei
detto di no. Da quando c’è quella strega in casa, invece, ne hai dette
parecchie.»
«L’avete costretta
voi a star qui.»
«Taci,
e andate al diavolo tutti e due!»
Il
fiato e il dispiacere si rimestarono nella gola di Hareton
che li mandò giù forzosamente per mantenere un tono calmo: «Prima avete
minacciato di pestarmi fino a spedirmi all’Inferno, se non vi avessi obbedito.»
Heathcliff volse il viso
verso di lui e un ghigno tra il beffardo e il divertito inclinò le sue labbra: «Già,
ti avevo detto di trascinarla via e invece … Sei venuto a prenderti la
punizione promessa? Lascia perdere: quella strega mi ha mandato in bestia, non
dicevo sul serio.»
«Avete
detto anche un’altra cosa. Avete detto che se avessi dato di nuovo retta a Chaty, mi avreste cacciato. Eravate serio, in quel momento?»
Un
pesante respiro sfuggì dalla gola di Heathcliff: «Devo
dire di sì, altrimenti a che servono le minacce?» gli appoggiò una mano sulla
spalla e poi allungò le dita per tirare appena, come quando era bambino, i
ricci che dondolavano sotto le orecchie di Hareton «Ti
avevo avvertito: non fidarti di lei, ti porterà dolore. Hai visto? Voleva
metterti contro di me.»
Le
braccia di Hareton scattarono in avanti e lui si
aggrappò alla mano libera di Heathcliff: «Non accadrà
mai. Io vi voglio bene, non vi voglio lasciare … ma voglio anche essere amico
di Chaty.»
«Perché?
Ti ha sempre bistrattato e offeso. Non merita certo il tuo affetto.»
«Soffriva.»
«Lo
faceva ben prima, quando veniva qui tutt’allegra per Linon.
Hai dimenticato?»
«No.
Ma era giovane e poi le sofferenze l’hanno fatta crescere in fretta. E poi mi
sta anche acculturando.»
«L’ho
notato. E ti sembra giusto che il suo affetto dipenda da quanti libri hai
letto?»
«Non
lo so … Voi me ne volete comunque, vero?»
Le
labbra di Heathcliff tremarono e le iridi scure divennero
lucide. Dopo qualche istante ritrasse la mano e ne sfregò il dorso sugli occhi:
«Vorrei odiarti … Vorrei, guardandoti, vedere Hindley.
Invece assomigli così tanto a tua zia … e a me.»
«A
voi?»
«Hindley mi ha tenuto nell’ignoranza e io, che amavo tua
zia, mi son ritrovato a non essere degno di lei: privo di denaro e di
istruzione, non potevo aspirare a sposarla. Catherine, nonostante mi volesse
bene, non poteva degradarsi per me, per quello che ero all’epoca. Allora
partii, per elevarmi. Altrove mi procurai cultura e denaro.»
«Allora,
concordate con me: faccio bene a cercare di imparare.»
Heathcliff chiuse gli occhi
e per lunghi momenti restò in silenzio, finché un mormorio non gli sfuggì dalle
labbra semichiuse: «Perché sei figlio di Hindley?»
Hareton tornò a
stringergli la mano: «Hindley mi ha messo al mondo,
ma mi avete cresciuto voi. Anzi, siete stato voi mio padre. A voi devo la vita
più che a lui!»
La
fronte di Heathcliff divenne tutta una ruga, mentre
aggrottava gli occhi: «Ma cosa dici?!»
«Non
ricordate? Io sì, anche se ero molto piccolo. È forse il ricordo più vecchio
che ho, a volte ho temuto fosse stato un sogno, ma Nelly mi ha detto che è
tutto vero.»
«Non
farla tanto lunga e parla!»
«Nelly
era ancora la mia balia e, quando Hindley tornava a
casa ubriaco, lei si premurava di togliere le cartucce dai fucili e di
nascondermi. Una volta, però, non fu abbastanza rapida e Hindley
mi trovò e mi prese e salì su per le scale. Ero spaventato, piangevo. Lui mi
sporse oltre la ringhiera: ero sospeso nel vuoto.»
Heathcliff trasalì ma rimase
muto.
«E
poi non lo so, se mi stavo agitando troppo io o se lui ha lasciato la presa, ma
precipitai e sarei morto, se non ci fossero state le vostre mani a prendermi.»
«Lo
ricordo.»
«Perché
quella voce cupa? Capite, ora, perché dico che anche voi mi avete dato vita?
Capite perché, guardandovi, vedo un padre?»
«Hareton … Hareton …» quasi
gemette Heathcliff. Un sentimento a cui non sapeva
dare nome, gli torturava il petto: il ragazzo era lì, tanto riconoscente, tanto
amorevole, ignaro che lui, quel giorno, si era pentito all’istante del salvataggio.
Dopo tanti anni, però, se ne riteneva felice.
Felice
non perché poteva perpetrare la sua vendetta su Hindley
attraverso suo figlio, felice per gli anni che aveva passato con lui.
Era
stato tanto ingiusto! Abbruttire così Hareton,
avrebbe avuto senso se Hindley fosse stato vivo e
avesse potuto soffrirne, oppure se Edgar avesse mai mostrato interesse per il
nipote. Invece aveva solo fatto del male al ragazzo. Perché non aveva considerato
una sufficiente vendetta che Hareton lo amasse più del
padre?
Aveva
usato Hareton come surrogato di Hindley,
ma lui non era Hindley!
Che
fare, ora? Confessare ad Hareton quanto si fosse
sbagliato su di lui? Ammettere i torti che gli aveva usato? A che scopo?
Hareton era felice, si
era sentito amato, perché rovinargli i ricordi con la verità?
Se
ora Heathcliff aveva riconosciuto di volergli bene, perché
infliggergli la sofferenza dicendogli che lo aveva ingannato?
Ma
lo aveva ingannato veramente? Heathcliff lo aveva
sempre considerato uno strumento di vendetta, era vero, aveva pianificato di farlo
soffrire, ma in fondo non lo aveva sempre fatto patire molto meno di quanto
avrebbe potuto?
Mentre
cresceva Hareton e pensava di ingannarlo simulando
affetto, non aveva ingannato piuttosto se stesso, aggrappandosi all’idea di vendetta,
negando di riconoscere il bene che sinceramente nutriva per il ragazzo?
Non
aveva abbandonato già da tempo l’idea di confinarlo nella rozzezza e nell’ignoranza?
Se avesse davvero che non migliorasse, gli avrebbe impedito di avvicinarsi ai
libri. Non lo aveva incoraggiato ma nemmeno ostacolato.
Era
come se nel suo petto litigassero due anime: una che reclamava vendetta e l’altra
che tifava per Hareton. Già: da troppo tempo rivedeva
se stesso nel giovane. Aveva voluto infliggergli le sue stesse sofferenze e
così aveva finito per plasmarlo a sua immagine ma privo di quell’odio che lo
lacerava.
Al
funerale di Hindley, al pensiero che da quel giorno
il bambino sarebbe stato del tutto suo, si era chiesto se un albero crescesse
storto come un altro, se spazzato dallo stesso vento. Lì per lì, aveva pensato
di riferirsi alla cattiva influenza che aveva avuto su Hindley
negli ultimi anni, adesso invece si accorgeva che lui stesso era il primo
albero storto e il vento era ciò che sia lui che Hareton
avevano patito.
«Quindi»
Earnshaw stava riprendendo il discorso «Per quanto io
vorrei essere amico di Cathy, se voi me lo proibirete, io obbedirò. Non vorrei
dover scegliere tra voi due ma, se devo, scelgo voi.»
«Ragazzo,
mi chiedo da chi hai preso questa bontà.» un lungo sospiro «Dici che tua cugina
è stata aspra con te perché soffriva. Ti prego di ricordarlo. Quando sentirai che
mi accusano di crudeltà, ricordati quanto ho sofferto io. E conserva il bene
che mi vuoi perché, nonostante le apparenze, tu sei il solo che ha ricevuto del
bene da me. Bene mescolato a torti, non lo nego, ma per quanto mi sia
ostacolato da solo, l’odio per Hindley non è mai
riuscito a impedirmi del tutto d’amarti come un figlio. Ricordalo, ti prego.»