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Autore: Cattive Stelle    06/04/2024    1 recensioni
[DOC Nelle Tue Mani ]
[DOC Nelle Tue Mani ] - stagioni 1-3
Missing moment AndreaxAgnese
(*) Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Contesto: Doc - Nelle tue mani ~
Post finale stagione 3 - episodio 3x16  - "Liberi"
Riferimenti e flashback in corsivo relativi alle puntate 1x04 - "Una cosa buona che fa male" e 1x06 - "Come eravamo"

 

Ispirazioni Musicali 

Sai che (Marco Mengoni)
Baciami ancora (Jovanotti)

 

 


 


I

Baciami ancora

 

 

Di occhi stanchi e amori che restano

 

 

 

 

 

L’acqua del mare luccicava ai raggi caldi del sole di quella bella primavera che andava esaurendosi.
Agnese guardava l’orizzonte, lasciando che l’acqua di qualche onda più dispettosa delle altre schizzasse sui suoi piedi nudi.
Poco più in là, nel suo maglione blu, Andrea camminava senza fretta, un passo dopo l’altro, facendo tremare appena le travi di legno della passerella che si snodava dalla palafitta bianca e blu.
Mentre si avvicinava, la osservava di spalle.
I capelli biondi le cadevano sul vestito color mattone che le lasciava scoperte le ginocchia e il cui orlo si inzuppava un po' di più a ogni onda.
Una volta arrivato affianco a lei, si sedette lentamente sul bordo con le gambe incrociate.
Agnese si voltò lentamente verso di lui.
«Non le togli?» - gli chiese con un mezzo sorriso, facendo cenno alle scarpe.
«Ah» – disse guardando anche lui verso il basso, accorgendosi di averle ancora indosso – «Hai ragione» – e  con una smorfia si sfilò prima le scarpe e poi i calzini.
Lasciò i piedi sospesi in aria per qualche secondo cercando di evitare il più possibile il contatto con l’acqua fredda. Prudenza che non durò a lungo. 
Presto, infatti, cedendo all'impazienza, li lasciò cadere noncurante, a penzoloni sull'acqua: azzardo con cui si aggiudicò un’inevitabile smorfia di fastidio al primo schizzo utile.
Agnese non riuscì a trattenere una risata.
Lo osservava divertita; sembrava un bambino.
Mattia faceva lo stesso quando lo forzavano a fare il bagno. 
La stessa identica smorfia che si era disegnata in quel preciso istante sul volto di Andrea. 
La mente di lei per un attimo sovrappose le due immagini. 
Subito scosse la testa, come se quel semplice gesto potesse rafforzare il tentativo di scacciare quel ricordo, rivissuto tra sé e sé, il prima e il più lontano possibile. 
Era un meccanismo di difesa che conosceva benissimo. Affinato nel tempo e laboriosamente messo in atto ogni volta, giusto un attimo prima che la tenerezza lasciasse spazio alla tristezza e alla malinconia.

Nel frattempo, Andrea si guardava in giro, occhi al cielo. 
Un pensiero gli ballava fastidiosamente nella mente da un po'. 
E, conoscendosi, sapeva benissimo che non sarebbe riuscito a trattenerlo a lungo.
Respirò profondamente un paio di volte, quasi a far sì che l’aria pulita e densa lo attraversasse completamente, facendogli prendere un po' di tempo. 

«In questi giorni, pensando a questo posto, mi chiedevo: chissà se ci sono mai più venuto da solo?» - irruppe però poco dopo, spezzando dal nulla il silenzio.
I pensieri tersi di Agnese si infransero a quella domanda, facendola tornare di colpo al presente.
«Ovviamente io non me lo ricordo» - scrollò le spalle lui.
Lei lo fissava, senza parole.
«E tu invece?» - le pose la domanda Andrea, piegando leggermente la testa come se quel gesto complice potesse invogliarla a rispondere.
Agnese tentennò, prendendosi qualche istante in più per riflettere.
«No, io mai...» - disse con un filo di voce - «Ma ci ho pensato spesso» - concluse, tornando subito a guardare davanti a sè.
«Quindi tu te lo ricordi quanto tempo è passato dall’ultima volta che siamo venuti qui?»
«Troppo tempo» - disse guardandosi i piedi - «Più o meno da quando non ricordi, credo»
Lui annuì un po' deluso.
«Quello che so di sicuro è che l’ultima volta non ci sei venuto con me» - aggiunse Agnese dopo, un po' a fatica.
«Perché lo dici?» - si mostrò dubbioso.
«Perché è l’ultimo ricordo che ho di questo posto» - ribattè, con un accenno di malinconia nella voce.
Andrea la osservava curioso.
«Raccontamelo, ti prego» - le chiese forte di una cosa.
Del fatto che se lo erano promessi. 
Niente bugie, non più. 
In quei giorni avevano parlato tanto. 
Andrea aveva fatto milioni di domande ad Agnese. 
E lei, anche quando le era costato molto, aveva risposto. 
Sempre e senza riserve. 
E lo stesso aveva fatto lui.

Quello era uno di quei momenti.
Si guardarono e, senza parlare, Agnese capì che Andrea in cuor suo si stava appellando proprio a quella promessa. 
E che proprio per questo non avrebbe potuto tirarsi indietro.

«Era un paio di giorni prima che capitasse tutto» - forzò un sorriso.
A quel punto Andrea si adombrò tutto a un tratto, come se non volesse più sentire e riaprire così quella scatola che serbava tanto dolore. 
Agnese intercettò immediatamente quella nuvola scura nei suoi occhi e cercò di fermare l'arrivo impetuoso di quel pensiero troppo pesante prendendogli la mano per stringerla forte tra le sue.
«No. Niente tristezza» - gli disse dolce, guardandolo seria negli occhi - «Per me è ancora un ricordo bello. Non voglio che a te faccia del male»

Andrea abbozzò un sorriso, anche se il suo sguardo si era inevitabilmente velato di una visibile amarezza.
Agnese lasciò con delicatezza la mano di Andrea e buttò un’occhiata al mare. 
Per un attimo, chiuse gli occhi.
Il vento leggero, intriso del profumo del mare, che le scompigliava i capelli si intrecciò inesorabilmente al ricordo che, in quel momento, le invadeva prepotentemente la testa.

La luce di quel tardo pomeriggio tiepido filtrava dalle tende tirate della loro camera da letto.
La pelle di Andrea sulla sua.
I ricci  biondi, morbidi e lunghi sparsi
un po' su quel loro cuscino stazzonato e un po' arrotolati tra le dita delle sue mani grandi.
I vestiti caduti a terra, un po' qua e un po' là, affollavano il pavimento, disordinando la stanza.
I sospiri profondi le rimbombavano dolci nelle orecchie.
Quell'impercettibile sapore di sale sulle labbra schiuse di lui che le baciavano la bocca.

Di ritorno da quel pensiero, Agnese arrossì e abbassò di riflesso lo sguardo. 
Ma poi non resistette e d'impulso si girò per ritrovarlo e guardarlo un'altra volta negli occhi. 
«Sai cosa ricordo?»
Lui la fissò senza fiatare.
«Il sale sulle tue labbra. Il profumo della salsedine sui tuoi vestiti bagnati» - rise appena lei - «Quel giorno eri sparito, dovevi dimettere un paziente speciale. Non avevi detto nulla a nessuno e sei tornato solo a tardo pomeriggio. Bagnato fradicio, con il ragazzo a spalle...»
Andrea la fissava confuso.
«Riccardo?» - le domandò dopo qualche secondo.
Agnese annuì con un sorriso.
«E pensare che quell’inconsciente di Pandolfi quel giorno ha scelto di proporti in consiglio come primario...» - continuò - «E poi, niente. Quel pomeriggio i bambini non c’erano; li avevamo lasciati ai vicini. Quando sei entrato in casa eri tuto bagnato... Un disastro» - nel ripercorrere quel ricordo, Agnese non potè non sorridere, scuotendo il capo.
«Non ti ho nemmeno chiesto dove fossi andato lì per lì, me lo hai detto tu solo dopo. Ma in fondo lo sapevo già. Sapevi di acqua salata. Lo sentivo sulle tue labbra. Ti era rimasto l'odore di questo posto sulla pelle, sui vestiti che avevi lasciato per terra» - Agnese annuì tra sè dopo aver detto quella frase tutta d'un fiato.

Lo sguardo di Andrea si addolcì.
Non c'era bisogno di parole.
Riconosceva quell'imbarazzo nell'accennare a certi momenti: una cosa che non era mai cambiata e che lo riempiva di tenerezza ogni volta.
Era irresistibile quando arrossiva.
Le succedeva i primi tempi ed era così anche ora.
Anche se ormai erano adulti e tra le lenzuola avevano passato insieme chissà quante ore.
Lei non aveva detto nulla. Non aveva lasciato intendere niente di particolare, ma non serviva.
Il modo in cui stava parlando, seppur appena accennato e innocente, pennellava una scena che lui riusciva a vedere e a persino sentire, nitidamente. A riconoscere, pur senza ricordarlo, perché era stato un tempo loro, solo loro.
Come a voler protrarre quel momento, che in realtà era già svanito chissà quanti anni prima, Andrea le sfiorò il braccio con la punta delle dita, da sopra la stoffa della manica del vestito, lungo tutta la sua lunghezza fino al polso.
Quel tocco leggero, ma così intimo, fece tremare Agnese che tornò a guardarlo.

«Forse eravamo confusi, inconsapevoli di tutto, preoccupati. Sicuramente ancora troppo incoscienti. Ma felici, Andrea. Tanto felici.» - gli sorrise di nuovo - «Forse è proprio per questo che non sono più tornata qui e ho cercato di scacciare il pensiero di questo posto il più possibile. Perchè ero convinta che fosse tutto perso, che non saremmo potuti stare così mai più»
Agnese lanciò un’ultima occhiata ai suoi piedi, per cercare di nascondere una lacrima e la timidezza che le stava arrossando le guance, come se fosse una ragazzina.
Travolto, ad Andrea non rimase che un sospiro.
Le sollevò il mento con un dito e la portò delicatamente a guardarlo.

In quell'istante incontrò di nuovo i suoi occhi.
Erano belli e brillavano con l’acqua, diventando sempre più blu e poi improvvisamente grigi.
Li guardò un’altra volta e si chiese quante volte nella vita li avesse incrociati quegli occhi. 
Chissà quante volte ci si era perso dentro e quante altre invece li aveva smarriti, irrimediabilmente. Anche se, grazie a chissà quale dio, quelle non le ricordava più.
Per un attimo gli mancò il fiato. 
Solo in quel frangente realizzò veramente che era stata lei a custodire la sua vita: quella donna fragile e nel contempo fortissima, che stava sfiorando in quel momento, con la paura che potesse sparire, con un implacabile incantesimo di un destino troppo crudele, da un momento all'altro. Lei che aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita a custodire quel suo passato dolente dal tempo e dagli attacchi spietati degli altri. 
Proteggendolo da tutto, perchè era l'unico modo che aveva di salvare anche se stessa.

Di una cosa era certo: che quegli occhi non avevano mai smesso di fargli quell’effetto.
E ora che, dopo tutto il casino che era stata la sua vita degli ultimi anni, la guardava, affianco a sé e controluce e capiva.
Capiva che quegli occhi, anche se più stanchi di quanto avrebbe voluto ammettere, erano e sempre sarebbero stati il suo scrigno.
Perchè avrebbe potuto leggerci qualunque cosa dentro.
All'occorrenza, diventavano il lago d'acqua più pura in cui trovare se stesso.
Il riflesso di quello che era e che erano stati. 
La speranza ancora viva di trovare nuovamente la luce.
Il miglior caleidoscopio con cui immaginare un futuro diverso. 
Perchè lei c'era sempre stata e non avrebbe potuto sperare uno sguardo migliore del suo a cui affidare il proprio cammino.

Andrea le spostò un boccolo dietro l'orecchio.
«Hai ragione, sai?» - disse con gli occhi nei suoi - «È cambiato tutto. Sono cambiato io, sei cambiata tu. È cambiato il tempo e perfino questo posto, anche se sembra sempre uguale, sempre lo stesso» - le sorrise malinconico.
Agnese lo scrutava attenta, cercando di anticipare cosa stesse pensando, anche se le sembrava di non riuscirci e, forse, nemmeno lo voleva.
«Ma c'è una cosa che non è cambiata» - aggiunse Andrea dopo un attimo poggiando la fronte alla sua - «Che qui, con te, adesso, nonostante tutto, io sono di nuovo felice. Tanto felice, Agnese.»
Lei ricambiò il sorriso e chiuse gli occhi, mentre le labbra di Andrea baciavano le sue e si lasciava cadere piano su di lei.
Agnese si trovò presto stesa sulle travi di legno della passarella senza sapere bene come fosse successo, con Andrea steso rocambolescamente a metà sopra di lei.
Scoppiarono a ridere ancora uno sulla bocca dell'altro.
«Tu sei pazzo» - Agnese finse di dargli un buffetto, scendendo piano per sfiorargli la barba con la punta delle dita.
Improvvisamente, guardandola, Andrea fu sopraffatto dalla tenerezza.
Le sfiorò delicatamente prima una palpebra e poi l'altra.

«Che coglione che sono stato, eh?» - rise tra sè.
«Per cosa?» - si incuriosì lei, facendosi seria e mettendosi in ascolto.
«Mi sono impuntato come uno stupido. Ho passato gli ultimi anni a cercare disperatamente quella dannatissima vela. L'ho fatto perchè è difficile guardare avanti quando non puoi voltarti indietro. Quando ti giri e non vedi niente, quando non riconosci la strada che hai fatto. Speravo che una volta trovata: Puff! Per magia si sarebbe risolto tutto e che questo mi avrebbe finalmente aiutato a vedere, a ritrovare la strada e a camminare da solo, sulle mie gambe... Ma non ce n'è mai stato bisogno» - concluse Andrea a bassa voce, mentre lei lo fissava immobile.
«Perchè tu ci sei sempre stata. E nessuno poteva e può vedere, al mio posto, meglio di te» - si fermò un istante - «Perchè i tuoi occhi sono sempre bastati, Agnese. Sempre, per tutti e due»
Immediatamente, gli occhi blu di Agnese si imperlarono con due grosse lacrime bianche.
Andrea le scacciò con il pollice. Si chinò appena su di lei per baciarle prima una palpebra e poi l'altra - «Menomale che ci eravamo promessi di non piangere più, eh?» - si mise a ridere. 
Agnese annuì - «E tu, invece?» - gli chiese dolce e retorica lei, per poi accarezzargli la guancia, irrimediabilmente rigata anch'essa da una lacrima di troppo.
Sapeva cosa c'era in quella lacrima e sapeva altrettanto bene che non sarebbe riuscita a consolarlo. 
O almeno non come avrebbe voluto. 
Ma si sorrisero comunque. Come era già successo chissà quante volte, o forse mai così prima di allora, in quel modo così vero, così disarmante.
Lui si stese su di lei e si abbracciarono, forte. 
Andrea nascose il viso nell'incavo del suo collo e Agnese, accarezzandogli distrattamente una spalla, chiuse gli occhi, come ogni volta che lui la teneva tra le sue braccia.
Sentiva il tepore del sole sulla pelle, il respiro cadenzato e profondo di Andrea tramite quell'abbraccio. Lo percepiva in modo così chiaro da confonderlo col suo.
E così la vita, che sembrava attraversarle le ossa, farle vibrare il sangue con la sua violenta e impetuosa pienezza. 


In quel letto ormai sfatto, Agnese inarcò appena la schiena per avvicinarsi il più possibile al corpo di Andrea. 

Cinse tra le sue cosce la schiena di lui, come se quella vicinanza non fosse ancora abbastanza e qualsiasi distanza non si potesse proprio più sopportare.  
Intenso e tenero assieme, Andrea strinse i suoi fianchi tra le mani. 
Poco prima di sentire il suo respiro spezzarsi, le aveva domandato quell': "ancora?", pronunciato una volta soltanto, che Agnese non sarebbe mai riuscita a scordare.
Quell'"ancora" che in quella stanza rimbombava. 
Rimbombava sempre più forte. 

Agnese schiuse gli occhi lentamente, li rivolse al cielo appena striato e disse al vento - «Forse è perchè sono ancora felice, Andrea» - e abbassò lo sguardo per cercare il suo viso.
Lui si voltò lentamente, tanto quanto bastava per consentirglielo e per poterla guardare a sua volta.
«Con te. Ancora» - gli sussurrò infine all'orecchio mentre Andrea le baciava l'angolo della bocca.

Ancora, sì.
Ancora.

   
 
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