9° Capitolo
Derek percepiva la presenza di Stiles
nell’appartamento dalle scale, ma non riusciva bene ad identificare in che
condizioni si trovasse né aveva elementi che gli dessero qualche indizio.
Fece scattare la serratura con
moderazione, un tocco delicato che non producesse troppo rumore, e si avviò
verso l’ala che fungeva da zona notte trovandovi l’umano disteso malamente ai
piedi del letto, la testa direzionata verso la finestra, uno dei suoi enormi
libri su argomentazioni spietate che gli era scivolato dalle mani, piegandosi
su stesso in bilico sul bordo.
Derek soffocò un sospiro di sollievo e
adagiò i suoi bagagli per terra, avviandosi per sistemare il volume mal
capitato, tentando di riordinare gli orecchioni che si erano formati e
soffermandosi per qualche momento sulla beltà che difficilmente incontrava sui
tratti di Stiles quando si addormentava.
Poggiò il libro sulla scrivania e estrasse
dall’armadio la coperta con le lune e le stelle che era evidente Stiles avesse
riposto accuratamente dopo l’utilizzo della notte precedente. La dispiegò del
tutto e vi ricoprì il figlio dello sceriffo con parsimonia, senza che quel
gesto potesse disturbare la sua quiete faticosamente ottenuta.
Gli fu difficile non notare come Stiles
ronfasse serenamente sul proprio cuscino personale, mentre sembrava snobbare
quello che si portava sempre dietro, di paese in paese, andando contro se stesso. Le punta delle dita non riuscirono a frenarsi e
gli sfiorarono come un petalo di rosa la fronte scoperta. Stiles emise un
singolo mormorio di apprezzamento.
Derek si vide costretto a tirarsi
indietro, riprendere in mano il borsone e avviarsi verso la lavanderia,
svuotare il contenuto e tentare di avviare una nuova lavata, ma era evidente
che il suo ospite avesse mandato avanti le faccende casalinghe; ciò che aveva
lasciato il giorno precedente in attesa del loro turno, era stato già lavato e
spostato nell’asciugatrice che doveva aver terminato mentre Stiles era stato
rapito da Morfeo.
Il mannaro decise di inserire tutto nel
cestello d’acciaio senza metterlo in funzione, rimandandolo al giorno seguente
come promemoria, ma si dedicò a sistemare e ripiegare gli indumenti che
profumavano di pulito.
La lavapiatti era stata svuotata e sul
lavandino non vi era nulla, se non una tazza e un cucchiaio a creargli degli
interrogativi pochi piacevoli.
Il
tempo scorreva, la sera si stava avvicinando ed era piuttosto sicuro che Stiles
dovesse correre al Crescent Moon prima delle dieci, per iniziare il
turno serale dedicato tutto a Halloween. Non sapeva esattamente come se la
fosse cavata nel poco tempo che era stato lontano, ma non credeva che facesse
una buona impressione arrivare in ritardo dopo pochissimi giorni l’essere stato
assunto.
Derek
vacillò per qualche attimo mentre osservava la bella volpe riprendersi quel
sonno meritato che continuava ad essergli rubato, tergiversando perché gli
appariva come un peccato mortale strapparla da qualcosa di cui necessitava. Con
fermezza pronunciò il suo nome, caldo e morbido, ma Stiles proseguì nella sua
attività restauratrice, costringendo il mutaforma ad
avvicinarsi e quasi sovrastarlo, a chiamarlo con più insistenza.
Stiles
mugugnò in dissenso, la testa che oscillava sul guanciale di Derek di cui si
era appropriato illecitamente, le palpebre che sfarfallavano di scontentezza e
il velo negli occhi che scivolava con fatica. «Derek» borbottò,
le iridi che brillarono quando si resero conto di chi avessero realmente
davanti, gli occhi che si ingrandivano per una maggior consapevolezza. «Sei
qui» il lupo provò a sottolineare l’ovvietà, ma Stiles allungò le braccia e lo
intrappolò, tirandoselo addosso e incastrando la testa tra l’incavo del collo e
la spalla, non avendo alcuna intenzione di allontanarsi da lì.
Il
capitano avvertì tutto il sollievo dell’umano, il suo dolore e stanchezza,
quanto a pezzi si sentisse e necessitasse della sua presenza, quanta solitudine
e smarrimento avesse sperimentato. Il cuore di Stiles era ferito e Derek poteva
quasi sentire le vene gonfiarsi e pulsare, chiamarlo in aiuto e rendergli conto
quanto fosse fondamentale per lui.
La
creatura della notte non riuscì a reagire in alcuna maniera.
Il
figlio dello sceriffo in una patina apatica serviva i clienti, la maggior parte
di loro indossavano travestimenti, vestiti di Halloween di ogni tipologia,
trucchi studiati e su cui avevano perso del tempo, ma c’era anche chi si era
limitato all’essenziale ‒ così com’era accaduto a lui, Tracy in agguato
all’inizio turno che, contro il suo volere, gli aveva disegnato con un eyeliner
nero in penna una ragnatela con annessi piccoli ragni sulla guancia destra,
poco sotto l’occhio ‒, eppure tutti erano su di giri, la musica risuonava
quasi in ogni punto del campus, da dormitorio a dormitorio, e la festa non
sembrava voler volgere al termine.
Stiles
un po’ li invidiava, darsi alla pazza gioia e dimenticare almeno per qualche
ora i problemi sarebbe stato miracoloso per la sua psiche compromessa, ma
preferiva investire quel tempo per sopperire al suo portafoglio tristemente
alleggerito, benché lo sarebbe stato di più se un certo licantropo non fosse
piombato nella sua vita.
Mostrava
il suo sorriso migliore, si impegnava a rendere il servizio impeccabile e li
invitava a tornare. In quella notte di follia, molti studenti erano passati più
volte e ordinato di tutto, soprattutto le bevande a tema create appositamente
per l’occasione ‒ se doveva essere onesto, avevano solo cambiato i nomi,
aggiunto qualche spezia e colorante alimentare.
Servì
un mietitore molto carino, un caffè-latte alla zucca e un biscotto al burro a
forma di fantasmino, e la coda sembrò sfoltirsi. «Come posso servirla?» ma il
suo sorriso affascinante si sgretolò davanti alla figura che si parò davanti al
bancone decorato per la festività. «Derek» l’aveva abbracciato così strettamente
appena il sollievo di vederlo tornare nel monolocale l’aveva colto, ma poi si
era rabbuiato tutto insieme odiando rendersi conto in che stato si trovasse.
Aveva controllato l’orario sul cellulare, che teneva sotto il cuscino del
mannaro, e si era preparato alla velocità della luce per raggiungere la
caffetteria. «Cosa posso servirti?».
Derek
lo scrutò impassibile, i tratti affilati e l’umano sapeva bene come riuscisse a
percepire perfettamente il vortice che lo teneva in ostaggio. «Non mi imporrai
nulla?».
«Ah»
le palpebre sbatterono più volte preso in contropiede e gli occhi si spostarono
da una parte all’altra come se cercasse dei suggerimenti. «Potresti cogliere
l’occasione» lo ricompensò ghignando affabile e, in tutta risposta, il lupo
inarcò le folte sopracciglia giudicandolo apertamente.
Stiles
ridacchiò, probabilmente l’ultima volta in cui era accaduto era durante la
videochiamata con il suo interlocutore la notte precedente, e si fiondò ad
armeggiare con gli ingredienti che più lo ispiravano. «Ecco a te, Sourwolf»
disse quando gli presentò un caffè nero lungo con caramello salato e zucca,
perché aveva deciso di aggiungerla ovunque.
Derek
storse il naso, disturbato dal continuo guanto di sfida che lo studente di
criminologia gli lanciava, eppure bevve il primo prolungato sorso davanti a
lui. «Non sei migliorato per nulla».
Stiles
rise lievemente e gli allungò un biscotto a forma di pipistrello che giurò
Derek avesse fulminato a vista. Lo divertì ancora di più. «Erica lo
mangerebbe».
«Non
sono Erica» lo ragguagliò il capitano della squadra di basket, le iridi che
lampeggiarono di rubino e zaffiro. Stiles le avrebbe ammirate tutto il giorno.
Senza
alcun amor proprio e tentando la sorte, Stiles spezzò un’ala e la masticò
davanti a lui con tutta la disinvoltura del mondo. «È buono, non sai cosa ti
perdi».
«Tratti
così tutti i tuoi clienti?» lo fulminò il grande lupo cattivo, rassegnato
nell’addentare il biscotto impostogli.
Il
figlio dello sceriffo ammiccò spudoratamente e distese le spalle. «Solo i miei
prediletti».
Derek
cadde nel silenzio con il caffè bollente in mano, le pupille che non si
lasciavano scappare nulla. «Non è così grave quello che è accaduto. Sappiamo
che ci vorrà del tempo».
Gli
occhi dell’umano si sgranarono e la schiena si irrigidì, mentre il suo corpo si
sbilanciava all’indietro, in un passo che lo allontanasse dalla fonte che lo
tormentava. «Non voglio parlarne adesso».
«Sei
scappato via, prima» gli fece ben presente l’altro, l’evidenza palpabile.
«Dovevo
correre qui, stava iniziando il mio turno» si giustificò lo studente del primo
anno.
«Ti
ho svegliato io, Stiles» lo smontò prontamente la creatura della notte.
«Avevo
impostato la sveglia» sentiva anche lui il suono delle unghie che stridevano
sullo specchio.
In
un contesto diverso sarebbe calato il silenzio, ma si trovavano dentro una
caffetteria, il rumore di tazze e piattini risuonavano in tutto l’ambiente,
insieme ai vocii dei clienti ai tavolini o quei pochi che venivano serviti
dagli altri due baristi, in una sorta di tregua dopo ore di non-stop. «Ti ho
detto che stai migliorando, non puoi aspettarti che tutto si risolvi con uno
schiocco di dita» Derek non credeva di averlo illuso in qualche modo.
«Non
sono così sciocco da pensarlo» Stiles si sentiva esausto. Avvertiva un peso
insormontabile sulle spalle ed era riuscito a distendersi lievemente grazie ai
battibecchi senza alcuna cattiveria che scambiava con il licantropo.
«Ci
riproveremo, non ti lascerò da solo» questo doveva essere chiaro, limpido, per
Stiles. Non dovevano esserci dubbi.
«E
se questo fosse un nuovo problema?» articolò con fatica la matricola, gli occhi
bassi e le meningi che la tormentavano. «Se stessi bene o quantomeno fosse
sopportabile soltanto perché tu sei accanto a me? Ci hai pensato? Hai pensato a
questo? Se non potessi più separarmi da te?».
«Non
è così» Stiles stava colpendo duro e Derek percepiva tutto il colpo, ma non
riusciva ad inquadrare a chi fosse rivolto. «Riuscirai nuovamente a camminare
con le tue gambe, ma non è questo il momento».
L’umano
sospirò sconfitto e anche adirato con se stesso. «Non
so nemmeno se ho più delle gambe» il che da parte sua era una scelta infelice
di parole dopo gli incidenti con il Nogitsune e una chimera.
Il
mannaro tenne il silenzio, le iridi verdi che gli leggevano dentro. Non avrebbe
dovuto ammetterlo, ma Stiles sapeva bene che effetto avessero su di lui.
Derek
armeggiò con la sua giacca di pelle, estraendo una busta sottile e
rettangolare, poggiandola sul bancone e Stiles lo fissò senza capire,
trattamento che riservò anche all’oggetto che catturava. Gli porse una domanda
muta e il lupo si limitò ad incitarlo nello spacchettare il suo regalo, le dita
di Stiles che si rigiravano la busta tra le dita, l’aspetto e forma familiari. Non
era sigillata e l’aprì con facilità, estraendo con delicatezza il biglietto per
la partita di basket che si sarebbe tenuta nelle due settimane successive.
Il
figlio dello sceriffo si sciolse e un sorriso felice sorse sul viso esausto
dalle brutte disavventure. «Uno» sentì pronunciare dal suo interlocutore, i
sensi attenti e meticolosi.
Lo
studente di criminologia alzò le iridi su di lui, la necessità di scrutarlo e
decriptarlo. «Li stai ancora contando?».
«Finché
non torneranno ad essere la norma» semplificò la creatura della notte.
Stiles
nascoste la curva della bocca lusingata dietro il biglietto, non aveva
serialmente voglia di dargliela vinta, ma tutta la devozione di Derek lo
stordiva. «Sai, non erano la norma nemmeno prima» era allegro e vibrante,
giocoso come pochi, ma era sempre circondato dal sarcasmo. Il suo tocco era ovunque,
anche nei sorrisi.
«Ma
erano nettamente di più» ribadì il mutaforma, non
lasciandosi abbattere da Stiles.
«Molte
cose lo erano, come altre lo sono adesso» si rabbuiò leggermente, ma il profumo
della carta aveva un effetto anestetico su di lui. «Quindi, come funziona?
Azzererai il tuo conto dei miei sorrisi ogni volta che avrò una brutta
giornata?».
«Qualcosa
del genere» proferì Derek senza remore, non lasciandosi sopraffare dello
tsunami diabolico che aveva dinnanzi.
La
matricola ammiccò deliberatamente, ma il locale si stava riempiendo nuovamente
e non poteva contare ancora su Tracy che gli copriva le spalle. «Ti accomodi?»
qualche tavolino era ancora libero, Derek avrebbe potuto occuparne uno senza
problemi.
Derek
notò il panico e anche il rimpianto che sporcarono le sue gemme ambrate, la
fila che cominciava a formarsi dietro di lui. «No, raggiungerò gli altri».
Il
barista suppose che con altri intendesse il branco non tanto silenzioso
che lo seguiva senza che Derek avesse approvato il suo stesso ruolo nel gruppo.
«Buon divertimento» se mai il lupo ne fosse capace.
Il
licantropo adagiò la carta di credito sul POS e il pagamento partì in
automatico, ma in aggiunta estrasse una manciata di banconote di grosso taglio
dal portafoglio e le indirizzò verso lo studente del primo anno.
«Derek»
lo rimproverò a denti stretti Stiles, lo sguardo tagliente che gli rivolse
contro.
«Se
non li accetterai tu, sono sicuro che i tuoi colleghi non faranno le stesse
storie» si destreggiò Derek con abilità, per nulla risentito dal comportamento
che Stiles gli riservava.
Le
pupille dell’umano si direzionavano verso gli altri baristi che si
affaccendavano per velocizzare il lavoro, servendo i clienti al meglio delle
loro possibilità. Successivamente si posarono sul mannaro, riflessive e restie
dall’accettare una mancia esagerata. «Sei insopportabile» afferrò la manciata
di banconote, inserendole all’interno della busta che custodiva il biglietto
per la futura partita di basket e conservò tutto nella tasca del grembiule,
indossando un broncio irrisolvibile di cui Derek rise con portamento, prima di
sparire dalla sua vista, svanendo nell’oscurità prodotta dalla notte delle
streghe con il suo caffè nero.
Il
figlio dello sceriffo era stremato, la notte non terminava mai, come quel turno
e il via vai degli studenti travestiti a far festa, i numerosi caffè, dolciumi
e bevande varie che aveva servito.
Sbadigliò
a bocca aperta mentre una mano tentava di coprirne almeno una parte, gli occhi
stanchi anche se si era addormentato nel mezzo dello studio prima di raggiungere
il locale. Era sicuro di non aver alcuna coperta con sé, di averla sistemata
accuratamente nella parte d’armadio riservata a Derek molte ore dopo
l’allontanamento di Erica, quindi era giusto presumere che fosse stato il bel
lupo tenebroso a provvedere. Chissà da quanto era rincasato, quanto era rimasto
ad ascoltarlo dormire e decretare quando fosse il momento più adeguato di
svegliarlo. «Buonanotte» sentì nella sua direzione da Tracy che si era
attardata quanto lui, mentre la signora Freeman iniziava a chiudere il locale.
«Buonanotte»
ricambiò con ritardo, la sciarpa rossa che avvolgeva maggiormente intorno alla
gola, stringendosi nel giubbotto caldo da cui ricadeva sulla schiena il
cappuccio di una delle sue felpe rubino.
Proseguendo
nelle temperature rigide, il cielo completamente scuro, le ombre che si
stanziavano per i raggi lunari, si soffiò sulle mani congelate, sfregandole tra
loro, maledicendosi di non essere provvisto anche di guanti. Si svegliò
totalmente quando notò una luce scarlatta nell’oscurità ai piedi di un albero
puntare nella propria direzione, attendendo silenziosa. «Derek» soffiò
estasiato e sgomento, il fumo che gli usciva dalla bocca e le iridi ambrate che
brillavano di meraviglia.
Inizialmente
si era spaventato, non riuscendo a capire cosa fosse quella sagoma minacciosa
che lo puntava; di esperienze negative ne aveva avute fin troppe e temere il
peggio faceva parte della sua natura, ma si era rilassato quando zampe nere
erano avanzate sotto la luce di un lampione, permettendo di distinguerlo più
facilmente.
Affrettò
il passo, quasi correndo per raggiungerlo, ammirarlo in tutto il suo splendore
e nel suo elemento naturale, portarsi ad un’altezza più congeniale per
entrambi. «Ciao» pronunciò morbido e totalmente innamorato. Non riusciva ad
essere diversamente, a trattenere tutto l’amore che traboccava quando si
trovava faccia a faccia con quell’animale incredibile.
Anche
se non era la prima volta che se lo trovava dinnanzi, in quelle singolari e
rarissime occasioni era come se lo fossero, soltanto che era decisamente più
coinvolto, perché capiva quanta fiducia Derek gli desse mostrandosi nella sua
forma completa e così celata, insieme a quegli inimitabili occhi vermigli e
zaffiro.
Dubbi
su chi fosse non ne aveva avuto alcuno.
Protese
una mano verso di lui e ne sfiorò la pelliccia, folta e meravigliosamente
morbida, immergendola completamente e venendo accolto senza riserve dal lupo.
Stiles lo accerchiò anche con l’altro arto e lo abbracciò fortemente,
travolgente, la testa premuta sotto un orecchio sempre alzato, a vigilare
perfino quando era rilassato. «Qualcuno ha appena realizzato un desiderio»
disse con calore, godendosi un evento così atipico e raro da poter essere una
delle sue allucinazioni.
Erano
all’aria aperta, dove chiunque avrebbe potuto vederli, spaventarsi ed urlare
nel ritrovarsi a fronteggiare un autentico lupo in libertà, ma quella era una
notte magica, probabilmente l’unica in tutto l’anno in cui Derek potesse
mostrarsi per quello che era realmente, senza suscitare orrore, ma meraviglia e
ricreazione.
Derek
sbuffò contro di lui, il muso che si muoveva appena, il dissenso che palesava
uditivo e l’umano lo abbracciò soltanto più forte, il divertimento che lo
attraversava da ogni parte e che gli faceva nascere dei risolini piacevoli.
Gli
adagiò un bacio sul collo e si sistemò davanti a lui, tirandosi sopra la testa
il cappuccio scarlatto che fuoriusciva dal giubbotto blu ed indicandosi
interamente. «Sono abbastanza rosso per te, lupo cattivo?».
Era
palese come il mutaforma lo stesso giudicando
severamente, digrignando appena i denti ed un singolo ringhio a rimproverarlo
per i suoi modi bambineschi e dall’umorismo spicciolo. Stiles, in tutta
risposta, ridacchiò con autentico diletto e tenne il muso della bestia più
bella che avesse incontrato tra le dita, regalandogli un nuovo schiocco sul
muso e poggiando la fronte contro la sua. «Grazie, Der» scandagliò con profondo
affetto, godendosi e prolungando quel momento soltanto loro. Un dono
estremamente prezioso.
Derek
non si agitò né fiatò, si limitò a premere ulteriormente contro la matricola
desiderosa di lui.
«Andiamo?»
chiese in un invito ultimo, dopo che il tempo si era prolungato enormemente.
«Dolcetto o scherzetto?».
Il
mannaro cancellò il ghigno sopraffino della volpe furba leccandogli con
dispetto una parte del viso e scappandogli dalle grinfie, per poi addentandogli
il cappuccio e tirandolo all’indietro, con l’intenzione di toglierglielo. «Ehy,
ehy» esclamò indignato Stiles mentre cercava di
ripulirsi dalla saliva e riprendere il controllo di sé. «Ho capito, ho capito» ma
quando si sistemò alla bene e meglio, con il pezzo di stoffa rossa in eccesso
che tratteneva ancora tra le dita tentando di dargli una forma dignitosa sulla
schiena, provò ad individuarlo invano perché il capitano era già lontano.
Lo
studente del primo anno si alzò in piedi e si voltò nella direzione presa dal
lupo completo, trovandolo a pochi passi da lui in attesa, i raggi di madreperla
illuminavano cautamente la pelliccia nera e gli donavano un’aria eterna, quasi
eterea, insieme al connubio di mare e fuoco che sprigionavano le sue iridi
indecise.
Stiles
si limitò ad ammirarlo per qualche momento privo di qualsiasi imbarazzo,
chiedendosi quanto Derek avrebbe preferito vivere nella natura selvaggia o se
quegli sprazzi gli bastassero per sentirla parte di sé, eppure il licantropo
non stava prestando attenzione a ciò che lo circondava, ma a ciò che aveva
appena lasciato. Quando il figlio dello sceriffo lo raggiunse non riuscì a
trattenersi dall’accarezzargli la testa e bearsi della sua temperatura
corporea. «Fai strada» e Derek lo fece.
«Stiles»
non passò molto tempo però quando vennero raggiunti da qualcuno di esterno,
interrompendoli e la matricola si chiese come fosse possibile che il mannaro
non avesse deciso di cambiare strada.
«Theo»
negli ultimi giorni era stato benedetto dalla fortuna non trovandoselo dietro
in ogni momento, ma a quanto pareva si era esaurita.
Lo
studente di scienze politiche sorrise affascinante, non mal celando minimamente
il suo entusiasmo di ritrovarselo proprio davanti. Era vestito completamente di
nero, abiti attillati che non lasciassero nulla all’immaginazione, enfatizzando
la sua muscolatura pronunciata ‒ ma nulla a che spartire con Derek
‒, il viso era truccato da un eccessivo uso di cerone, profonde occhiaie
nere e qualcosa che simulava le crepe sulla pelle, come se stesse svanendo o
spellando, a completare vi era un rossetto rosso acceso sulle labbra ancora
perfetto ‒ che non si fosse adescato ancora con qualcuno? O l’avesse
semplicemente riapplicato? ‒; sinceramente Stiles non riusciva a capire
cosa il suo costume dovesse rappresentare, una specie di morto vivente
vampirizzato? «È un lupo quello?».
Stiles
si era parzialmente dimenticato della forma assunta dal giocatore in quel
frangente, soprattutto era stupito che fosse rimasto nelle vicinanze davanti a
un estraneo. «Oh, lui» si voltò a guardarlo, le falangi che affondavano nel
pelo inchiostrato trattenendolo tra esse, assaporandone la consistenza. «È un
cane lupo» era normale che Theo chiedesse delucidazioni su un animale che
appariva pericoloso andare a spasso all’interno di un campus universitario come
se niente fosse, anzi era insolito che non si allontanasse alla sua vista.
Sperava anche che Derek non si indignasse per averlo retrocesso ad un
comunissimo cane.
Theo
lo fissò con i suoi intensi occhi azzurri che spiccavano ancora di più in mezzo
a quel bianco cadavere, spostandoli successivamente sul suo imprevedibile
compagno notturno. «A me sembra un lupo».
Stiles
roteò gli occhi, infastidito da tanta insistenza. «Hai mai visto un lupo vero
in vita tua?».
«No»
rispose sinceramente, non perdendosi minimamente come Stiles fosse del tutto a
suo agio con l’animale notturno. «Tu sì?» ora, se era possibile, era ancora più
interessato.
«Sì»
confessò direttamente, un’ombra che gli attraversava le iridi mielate. «Anche
troppi» si piegò sulle ginocchia richiamando l’attenzione del licantropo,
mentre Stiles lo accarezzava in mezzo alle orecchie e appoggiava la testa
contro un lato del muso.
«E
da dove saltate fuori?» la voce di un grosso animale dalla pelliccia scura che
si aggirava per le vie del campus universitario, saltando di festa in festa, si
sarebbe già prorogata, ma l’udito allenato di Theo non era stato scosso nemmeno
da un sussurro.
Stiles
si paralizzò impercettibilmente e le iridi ambrate guardavano con diffidenza il
suo interlocutore. Le labbra carnose sigillate, i pensieri visibili che gli
attraversavano gli occhi e l’indecisione di metterlo realmente a contatto di
un’altra parte della sua vita. «Ho concluso adesso il mio turno in
caffetteria».
«Caffetteria?»
domandò in una eco, non riuscendo a catalogare quell’informazione nel suo
archivio personale che portava l’orma di Stiles. «Lavori in una caffetteria?».
«Sì»
quanto si sarebbe pentito di essere stato così sincero? Ma quanto avrebbe
potuto tergiversare prima che sarebbe entrato in possesso di quella nozione
autonomamente?
«Quale?»
quella notizia era oro colato, Theo stava febbricitando.
L’espressione
facciale del figlio dello sceriffo si fece acerba. «Scoprilo da solo».
La
bocca dello studente di scienze politiche si arricciò eccitato dalla sfida che
gli era stata lanciata ed era sempre più entusiasta di quanto Stiles risultasse
perfetto per lui. «Quindi, Cappuccetto Rosso ha incontrato nel suo percorso il
lupo cattivo?» domandò con divertimento intrigato, indicando singolarmente ciò
che sembravano rappresentare in quella notte di costumi e recite, spezzando
quel quadretto privato in cui lo studente di criminologia si stava rifugiando,
escludendolo.
Quanto
fondo di verità c’era in quella descrizione approssimativa. «Ah, sì. Qualcosa
del genere» si era permesso si esprimere una fantasia infantile, un
divertimento a cui era sicuro Derek non avrebbe partecipato, ma avrebbe trovato
addirittura ridicolo, ritenendosi offeso personalmente, eppure il licantropo
era proprio lì, a permettergli di sognare ancora.
«Ed
è tuo?» Theo era ancora più affascinato, ma non sapeva ancora inquadrare in che
modo.
«No»
il figlio dello sceriffo ridacchiò per l’assurdità proferita, baciando il
profilo del naso peloso della creatura più stupefacente su cui avesse posato lo
sguardo e rimettendosi in piedi. «Questa meraviglia è soltanto in prestito».
Lo
studente di scienze politiche arcuò un sopracciglio, non seguendolo
minimamente. «Da chi?».
«Questa
non è soltanto la notte di Halloween, ma anche quella di Samhain»
si alzò il colletto del giubbotto, sistemandosi meglio la sciarpa aranciata che
Derek gli aveva avvolto al collo una settimana prima. «Il velo tra il nostro
mondo e quello degli spiri si assottiglia, l’uno può interagire con l’altro.
Puoi davvero essere sicuro da dove provenga questa magnifica creatura? Domani
non avrai nemmeno la certezza di averla vista».
Le
labbra di Theo si arcuarono all’insù e guardò il suo interlocutore con visione
rinnovata. «Hai uno strano modo di aggirare una domanda, ma sono queste le cose
che mi piacciono di te».
Stiles
indietreggiò con la testa come colpito, non aspettandosi minimamente quel
commento così diretto. «Non ricominciare» ma doveva davvero stupirsi?
«Perché
sei così schivo? Noi due stiamo bene insieme» lo incuriosiva seriamente. La
notte che avevano trascorso sotto le coperte era stata splendida, una delle
migliori, si erano spinti molto in là e avevano sperimentato appagandosi. Ma
non era solo il sesso ad essere grandioso, ma tutta l’alchimia che c’era tra
loro e il normale tempo che trascorrevano in reciproca compagnia, perfino dal
momento in cui Stiles aveva cominciato a tirarsi indietro. Lo divertiva, quel
rapporto era degno di dedicargli tutte le sue energie.
«Non
ho mai detto il contrario» non aveva senso negare una cosa che non era vera.
«E
allora cosa ti frena?» La matricola di scienze politiche era sorpresa dalla sua
presa di posizione, era convinta che avrebbe ribattuto l’opposto. «È per Hale?»
lo disse mentre una mano del ragazzo era tornata a solleticare la pelliccia
nera dell’animale più mansueto che avesse incontrato.
«Derek?»
gli occhi del figlio della massima autorità di Beacon Hills sgranarono e le
dita si fermarono, impossibilitato a credere a ciò che aveva udito. «Cosa
c’entra Derek?».
Lo
chiamava perfino per nome. «Siete sempre insieme».
«E
quindi?» c’era un’allusione che al giovane Stilinski proprio non piaceva.
«Mi
ha sorpreso» soprattutto l’aveva infastidito.
«Perché
uno come me è impensabile che passi il suo tempo con uno come lui» era una
domanda retorica velenosa, Stiles si stava alterando, i suoi tratti si erano
fatti affilati e le iridi d’ambrosia si erano scurite.
«Più
che altro, il contrario» Theo non aveva timore di esporre come la pensava né di
infastidire la matricola di criminologia. «Sembrate molti intimi».
«Non
sono affari tuoi con chi io sia o non sia in intimità» di certo odiava essere
osservato e studiato da lontano, soprattutto se non apprezzava le mire che gli
erano rivolte.
Theo
si era reso conto di aver fatto un passo falso, ma tirarsi indietro non lo
rispecchiava. «Da quanto tempo lo conosci?».
Stiles
aggrottò le sopracciglia, le palpebre che si assottigliavano. «Non mi hai per
caso sentito?» non credeva che il suo interlocutore avesse una tale voglia
suicida. «O vuoi soltanto constatare chi ha, cosa, la precedenza su di me?».
«Sono
soltanto incuriosito» si giustificò senza soffermarsi troppo a pensare. «Hale è
solitario e chiuso a qualsiasi stimolo, tu invece sei un concentrato di
vitalità».
«Tu
non sai niente di me e ancora meno di Derek» lo schiaffeggiò d’impatto con la
voce e l’attimo successivo Theo vide come il muso del lupo ‒ cane lupo
‒ premette su una coscia di Stiles, richiamando la sua attenzione e
catturandola completamente. Il ragazzo, a quel punto, mimò uno scusa
nella sua direzione ‒ ma per cosa doveva scusarsi? ‒ e prese a
giocherellare con un suo orecchio soffice, grattando leggermente, e Theo non
poteva ignorare quanto amore il figlio della massima autorità per Beacon Hills
provasse per quel misterioso canide.
«Hai
ragione» era innegabile quanto Stiles proteggesse se
stesso e con maggiore foga il capitano della squadra di basket. «Voglio,
appunto, conoscere quante più cose possibili su di te».
«Vuoi
sapere da quanto tempo lo conosco? Cosa vuoi, una data?» Stiles lo adocchiò,
accusatorio ed infastidito, ma lo stava anche studiando accuratamente. «Lo
conosco da quasi tutta la mia vita. Ecco la tua risposta» lo stava punendo.
Fu
il turno di Theo di strabuzzare gli occhi e non riuscire ad inquadrarlo. «Com’è
possibile?» più andava avanti e meno capiva, i conti non tornavano. Per lui era
stato un colpo quando li aveva visti la prima volta interagire insieme in
completa sintonia davanti al dipartimento di letteratura; quel giorno era in
compagnia di Donovan e si erano sentiti in qualche modo in svantaggio, perché
quello era il carismatico capitano della squadra di Basket, Derek Hale. Quello
scenario l’aveva visto ripetersi più volte e Stiles e Derek Hale sembravano
seriamente inseparabili, una sintonia che lo studente di criminologia non aveva
mai avuto con nessuno dei due.
«Stessa
piccola cittadina, medesimo liceo» stesso distretto di polizia in cui gli fu
comunicato di essere divenuto orfano dallo sceriffo in persona, Noah Stilinski.
«Ma non credo che Derek avesse coscienza di me prima del liceo, nota che non si
applica ad un ragazzino influenzabile come il sottoscritto».
Theo
si accorse come il lupo fosse attento al suono della voce di Stiles, reagendo a
seconda del tono e vocalità usata, di quanto fosse agitato e tranquillo,
tuttavia si dimostrò nettamente ancorato e coinvolto quando le ultime frasi
vennero pronunciate, senza che Stiles smettesse di dedicargli le piccole
attenzioni dei suoi polpastrelli. «Non sei per nulla influenzabile» lo corresse
la matricola di scienze politiche, fermandosi a pensarci per un lungo momento.
«Perché?»
lo studente di criminologia si rivelò stupito e preso alla sprovvista.
«Altrimenti sarei già caduto ai tuoi piedi?».
«Probabilmente
sì» il sorriso affascinante e leggermente timido, che faceva parte della sua
tecnica di annichilire Stiles, si palesò senza alcuna vergogna.
Stiles
produsse un colpo di risa sincero e rilassato, strappato senza alcun controllo,
nato del tutto spontaneamente e Theo approfittò di quel momento di benevolenza
nei propri confronti insinuandosi nel suo spazio personale, sfiorandogli la
bocca con la propria e intensificando il bacio a mano a mano che si rendeva
conto che il ragazzo non si stesse tirando indietro. «Ti piacciono proprio i
baci».
Il
figlio dello sceriffo soffiò contro di lui come un gatto pronto ad attaccare.
«Non tirare troppo la corda».
Lo
studente di scienze politiche gli prese il viso tra le mani e si concentrò ad
assaporare le labbra, approfondendo la morsa e prolungandola un po’ di più,
percependo la matricola sciogliersi sotto il suo tocco. «Lo sai che il mio
dormitorio è esattamente nella tua direzione opposta, vero?» Dio, non
avrebbe mai smesso di baciarlo.
«Non
ti seguirò» quante altre volte avrebbe dovuto ripeterlo? E quanto era credibile
mentre la bocca pulsava sotto la sua, probabilmente sporca del rossetto rosso
che l’altro indossava.
Theo
respirò tra le se labbra e schioccò un ultimo impercettibile bacio. «Non puoi
impedirmi di provarci. Non mi arrenderò con te».
«Sto
per aizzarti contro il cane» lo mise in guardia l’altro, scostandosi ed
allontanandosi, lasciando ben intendere che il loro siparietto fosse concluso.
Già,
il cane. Era stupito che non gli avesse strappato a morsi il collo nel
momento in cui si era avvicinato pericolosamente al figlio dello sceriffo.
«Buon Samhain» Theo si congedò sotto lo sguardo
profondo del ragazzo a cui aspirava.
«Ah»
sospirò e si lasciò andare Stiles quando l’imprevisto svoltò l’angolo,
piegandosi su se stesso e coprendosi il volto con le
mani. Era esausto e sollevato tutto insieme, le sue reazioni erano
costantemente contrastanti.
Il
lupo lo raggiunse dopo poco, dandogli alcuni secondi per sbollire, e lambì il
dorso di una mano con il naso nero bagnato, aspettando che gli desse accesso.
Stiles le scostò entrambe appena e la pelliccia morbidissima scivolò tra le
dita, prendendo più coraggio e permettendo il contatto visivo. «Mi dispiace che
tu abbia dovuto assistere a questo» si sentiva sporco e in colpa, era stato
patetico. «Questo sono io che mi lascio trascinare».
Derek
gli leccò parti delle falangi e Stiles si liberò in un sorriso addolcito. Gli
scompigliò il pelo tra le orecchie affettuosamente e riconoscente. «La prossima
volta aggira i miei ex partner, anche se fai finta di non sapere chi siano».
Le
iridi scintillanti e miscelate brillarono a fargli il verso e Stiles era troppo
innamorato di quello splendido lupo per rimproverarlo senza una vera ragione.
Stuzzicarsi a vicenda era il loro modo di fare. «Credi che troveremo qualcuno
che ci venda un po’ di pizza a quest’ora?».
Stiles
sbadigliò a bocca aperta senza emettere un suono, una tendina rossa ed
arancione più spessa della precedente era stata sistemata sopra la finestra che
si affacciava ai piedi del letto e limitava che la severità della palla di
fuoco alta nell’azzurro sconfinato gli bruciasse le retine appena affacciante
al nuovo giorno; li riparava anche da spifferi indesiderati dal momento che le
temperature si facevano più rigide. Non era sicuro che Derek avesse bisogno di
quell’accortezza, ma l’aveva tirata fuori da un angolo del suo armadio come se
l’avesse sempre avuta e Stiles non aveva voluto sottoporlo ad un interrogatorio.
Avvertiva
un profondo calore provenire dalla schiena, così come intorno al busto e la
matricola non doveva interrogarsi prolungatamente a cosa fosse dovuto. Nelle
pochissime occasioni in cui si svegliava prima di Derek, aveva notato come le
sue braccia lo avvolgessero, portandolo a domandarsi se quella stretta tra loro
perdurasse per tutta la notte.
Si
strinse nelle coperte per prolungare il momento, il respiro profondo della
creatura della notte che gli sfiorava la cute e la sensazione di benessere che
gli scorreva in ogni dove.
Con
la mente ripercorreva la notte precedente, di come avesse respirato a pieni
polmoni tra dormitori e padiglioni con a fianco un autentico lupo nella
festività di Halloween; era una cosa di cui entrambi avevano bisogno. E Derek
era stato così bravo da condurlo nell’unico locale che sfornasse ancora della
pizza nella zona, ma a quel punto, quando risalirono le scale verso l’ultimo
piano del 1855 Place, il padrone di casa riassunse le sembianze umane
mentre la matricola si impadroniva del divano e si fondava sulla scatola da cui
usciva del profumo coinvolgente. Derek l’aveva guardato con disapprovazione, le
sopracciglia contratte, ma si unì a lui, con il sottofondo leggero della
televisione accesa.
«Buongiorno,
Sourwolf» sentì dei leggeri movimenti dietro di sé che lo portarono a voltarsi
lievemente, incontrando le palpebre violentemente serrate del mannaro, con la
missione di voler ritardare il risveglio totale, nascondendo buona parte del
viso sul cuscino. Stiles ridacchiò illuminato, era estremamente raro vederlo in
atteggiamenti così umani da non credere che potesse essere realmente lui.
Si voltò
completamente nella sua direzione, le lenzuola che frusciavano, una delle
braccia di Derek che seguiva e combaciava i suoi movimenti per facilitargli lo
spostamento. Se lo godette per un solo attimo, prima di scivolare con il viso
verso il suo, a pochi centimetri l’uno dall’altro. La mancanza di spazio
personale, l’intimità che simboleggiava, erano
qualcosa che non avrebbe mai condiviso con nessuno, che aveva spesso rifiutato,
ma che con Derek risultavano estremamente naturali.
«Stai
bene?» chiese il lupo mannaro qualche attimo dopo, la voce arrocchita e ancora
distante, mentre le dita del braccio che lo ancorava a sé risalirono tra i
capelli castani, scostandoli e incastrandosi tra essi.
Ingoiare
il vuoto, la saliva, e togliere quel groppo in gola non risultava sempre
facile, soprattutto se si specchiava nelle iridi verdi del suo interlocutore,
l’estrema delicatezza che gli riservava quando lo toccava. «Bene, sì» il suo
sguardo vagò alla cieca, a perlustrare intorno a sé in cerca di qualcosa. «Ho
fatto qualcosa?» non lo chiedeva mai, ma il disagevole risveglio della mattina
precedente l’aveva scosso eccessivamente e l’aveva segnato per tutta la
giornata, facendo crescere evidentemente la preoccupazione in Derek sia quando
era a miglia di distanza sia mentre era a pochi centimetri da lui.
«No,
eri troppo esausto» rispose prontamente il licantropo, comprendendo al volo la
direzione dei pensieri dell’umano, il polpastrello del pollice che gli
massaggiava una tempia, scivolando aderendo perfettamente alla pelle.
«Ogni
tanto funziona» avrebbe giurato che in passato quel metodo avesse un riscontro
migliore, ma la sua vita al Michigan State University aveva piani
diversi.
«Sembrerebbe»
la voce fluì e riempì la camera. «Ma non devi stremarti di proposito».
Le
iridi mielate si rialzarono incontrandosi con quelle di giada, il leggero
rimprovero di preoccupazione che cominciava a impadronirsi spesso di Derek nei
suoi confronti. «Fa parte di me» era nella sua iperattività, ma a volte sapeva
di insistere eccessivamente. «Magari questo dimostra che fai realmente parte
del meccanismo».
«Stiles,
non stai sviluppando una dipendenza verso di me» il mannaro era intenzionato a
farglielo comprendere in ogni modo possibile. Le paure di Stiles le
comprendeva, come la dimostrazione di non essere indipendente come credeva, ma
non doveva aggrapparsi a quella disperazione. «Abbiamo fatto una prova, ne
faremo delle altre».
«Giusto,
altre» non poteva illudersi che quella partenza per Derek fosse un caso
anomalo, si sarebbero ripetute nelle settimane e nei mesi, finché avrebbe
continuato a guidare quella squadra così speciale e dannatamente eccelsa.
Il
respiro bollente del licantropo lo accarezzò e Stiles socchiuse le palpebre per
abbandonarsi un po’ a quelle attenzioni che il mutaforma
riservava soltanto a lui. Avvertì il capo del lupo accostarsi al proprio, le
labbra che schioccarono uno bacio tra gli occhi, esattamente all’attaccatura
del naso; Stiles non credeva che qualcosa di apparentemente effimero e semplice
come quello potesse avere un potere così grande dentro di sé, avvertire
l’interezza dell’affetto insospettabile che Derek provava verso di lui. Era
stupido desiderarne degli altri? «Mi abbracci sempre?».
Le
dita del capitano si fermarono e rimasero incastrate tra le ciocche castane, si
scostò da Stiles come se cercasse qualcosa che gli suggerisse cosa gli avesse
fatto partorire quell’idea. «Abbracciarti?».
«Durante
la notte» era stato troppo precipitoso? Aveva sbagliato?
«Ah»
la consapevolezza lo attraversò tutta insieme. «Ho maggior controllo, sono più
reattivo, intervengo subito se dovesse succederti qualcosa».
Tutto
quel lavoro per la sua stupidissima testa rotta. «Quindi, mi tieni fermo?» ancorato.
«Sì» le falangi bronzee solleticarono l’aria e
rimasero in sospeso. «Ti dà fastidio?».
«Affatto»
il che voleva dire molte cose su di lui. «Dovrebbe darne a te» tutto artigli e
ringhi.
«Non
mi dai fastidio, Stiles» la voce era così radicata che scosse l’interno
dell’umano, vuoto nei polmoni. A sottolineare le parole di Derek la mano tornò
a completo contatto con la matricola, che si permise di far nascere un piccolo
sorriso incoraggiato sul viso.
«È
stato un buon Halloween?» si permise di chiedere qualche momento dopo, memore
di quanto fosse la festività preferita del mannaro. Chissà se aveva avuto
l’opportunità di incontrare qualche bambino a cui giocare qualche scherzetto
che li avrebbe resi soltanto più felici.
«Interessante»
non si sbilanciò il padrone di casa, come Stiles si aspettava. Coglieva la
leggera nota di burla indirizzava nella sua direzione, tutto il siparietto con
Theo che avrebbe tanto voluto risparmiarsi, ma evidentemente Derek era di
un’idea differente e avrebbe desiderato essere capace di decifrarlo meglio. Si
chiedeva anche se quello fosse il primo Halloween che trascorreva nella sua
forma da lupo completo. Anche se Derek gli avesse rivelato di aver affrontato
la trasformazione nell’anno precedente, non era in possesso di una data.
Il
figlio dello sceriffo sbuffò oltraggiato, prima di sistemarsi meglio sotto le
coperte. «Altre festività in programma? Domani è il Día de los muertos».
Derek
lo guardò senza capire, smarrito e dubbioso. «Quindi?».
«Non
dovresti costruire un altare per l’ofrenda?»
si stava perdendo qualcosa? Non era così che funzionava?
«No»
lo sguardo di Derek si fece più distante e la carezza sul viso di Stiles si
stava eclissando. «Non avevamo questa tradizione. Non avevamo nessuna
tradizione» le loro radici erano impiantate a Beacon Hills, non c’era un prima
o un dopo. «Non umane, perlomeno».
«Oh»
Stiles aveva l’impressione che in realtà Derek non avesse nulla che lo legasse
al ricordo della famiglia che non aveva più, oltre al senso di colpa
impossibile da estirpare. «Cose lupesche. Se c’è da ululare alla luna, posso
farlo».
«Ne
sono certo» Derek soffocò una mezza risata e un sorriso pieno si aprì sul volto
di Stiles. «E per un’ofrenda servono delle
foto» continuò con estrema fatica, l’amaro che gli seccava la gola.
La
sua stupidità Stiles la stava dimostrando da tutta la mattina, non voleva
causare tutto quel dolore in Derek. Anche se non ne parlava mai e sembrava
stare meglio rispetto ai due anni antecedenti dal loro ultimo incontro, Derek
quel lutto non l’avrebbe mai superato. «Scusami, non volevo… non ci ho rifletto
abbastanza. Ho dato per scontato che Laura avesse qualcosa» l’incendio in villa
Hale si era portato via delle vite, ma anche tutto quello a cui erano legati.
Stiles, a differenza di Derek, aveva ancora diversi oggetti personali
appartenuti a sua madre, così come i luoghi della casa in cui era più spesso
trovarla.
Il
mannaro tacque per qualche secondo, i pensieri che si annidavano nella mente e
gli occhi che potevano quasi toccare l’afflizione dell’umano. «Lei ne conserva
qualcuna, sì. Credo anche Peter, ma non ho mai chiesto una copia. Comunque, non
siamo mai stati predisposti per la fotografia».
Perché
avrebbero dovuto? I lupi ricordano in modo diverso ed erano anche fisicamente
progettati per alterare qualsiasi mezzo a pellicola potesse immortalarli,
dovevano seriamente impegnarsi per non permettere che accadesse. E percepiva
fortemente quanto Derek non si sentisse degno di poter avere qualcosa di
concreto tra le mani a fargli da memore. «Forse ho qualcosa io per te».
Detto
ciò, Derek lo vide liberarsi dalle lenzuola, salire sul materasso e camminarci
sopra, per poi saltare sul pavimento sgraziatamente stretto ancora nel pigiama
con la volpe che giocava con i suoi palloncini, dirigendosi verso la scrivania
dov’erano impilati alcuni dei suoi libri universitari.
Ne
sfogliò un paio prima di emettere un’esclamazione trionfante, risalendo a
cavalcioni sul letto in un tornado qual era con il suo bottino in mano. Poi
rallentò e fissò il quadrato sottile e dalla dimensione di una decina di
centimetri per lato che aveva in mano, per poi spostare le iridi del nettare
degli dei su di lui, soppesando il da farsi. «Non so se vuoi averla».
Derek
lo fissò corrucciato, costringendolo a rispondere ai suoi movimenti, non
capendo minimamente che cosa gli passasse per la testa. Tutto il suo entusiasmo
iniziale stava evaporando. «Cos’è?».
Stiles
tratteneva il foglietto plastificato tra due dita, impedendogli di scorgerlo e
riuscire a individuare cosa fosse. Teneva gli occhi fissi su di lui e ogni
tanto li portava sull’oggetto in questione. Il lupo sentiva gli ingranaggi
scattare nel cranio della matricola. «Okay».
Con
tutta la delicatezza del mondo, come se gli stesse permettendo di toccare una
reliquia inestimabile, Stiles gli consegnò l’oggetto delle sue premure,
invitalo a cambiare tutta la sua postura.
Derek
non afferrò subito le sue ansie, tardò anche ad esaminare esattamente ciò che
teneva in mano, ma con lentezza rispettò il suo volere e con la stessa
delicatezza che Stiles gli aveva istillato, studiò il quadrato incontrando una
distesa bianca, finché non comprese che dovesse essere ruotato.
Il
capitano della squadra di basket trattenne il respiro, si condensò dentro di
lui e gli bruciava i polmoni. «Perché hai una mia fotografia?» in compagnia di
sua madre. Non l’aveva nemmeno mai vista.
«Sono
un tipo pieno di sorprese» sogghignò con strategia a stemperare l’aria tesa che
quel momento aveva creato.
«Eccessivamente»
la creatura della notte lo perforava con le gemme verdi, a voler estrapolare la
verità.
Stiles
tossicchiò, messo evidentemente alle strette. «Non ti arrabbiare» disse
anticipatamente, ben consapevole di quanto Derek fosse suscettibile,
soprattutto su cerci aspetti. Ricevette un eloquente movimento di sopracciglia
da parte sua. «Quando Scott è stato morso ho fatto innumerevoli ricerche,
cercavo di trovare una soluzione al suo problema» sperava che Derek digerisse
la definizione problema alla condizione lupesca. «Ho trovato questo
dottore, il dottor Conrad Fenris, e ho condotto
Scott da lui. Mentre affrontavamo la questione molto alla larga e lui ci
illustrava la sua ricerca su come poter guarire le persone attraverso certe
cellule ‒ derisa da tutto l’ordinamento medico ‒, sei saltato fuori
tu» Derek lo fissò sempre comprendere una sola parola di quello che stava
blaterando e Stiles avrebbe voluto che fosse più facile, che quella rivelazione
non arrivasse mai. «Ci ha raccontato di questo incontro incredibile con questa
donna e il suo bambino, di come li avesse visti coinvolti in qualcosa di
inspiegabile uscendone incolumi. Credo abbiano parlato un po’, lei lo ha in
qualche modo rassicurato, invitandolo a proseguire con i suoi studi e successivamente
il dottor Fenris ha scattato questa fotografia,
immagino come prova per se stesso».
«Io
e Laura non ti bastavamo? Hai dovuto cercare un esterno?» replicò il mannaro
con irritazione e delusione evidente.
«Lo
sai quanto adoro Laura ‒ tu un po’ meno ‒, ma voi non avevate tutte
le risposte e io volevo trovare ciò che Scott cercava: un modo per ritornare
umano» guardandosi indietro, sentiva in qualche modo di averli traditi. Laura
si era dimostrata la migliore guida che potessero avere in quel momento,
perfino con lo scarso contributo di Derek, non avrebbero mai potuto avere di
meglio in tutta quella devastazione, eppure Stiles aveva dimostrato quanto non
fosse sufficiente.
«Ritornare
umano…» il mannaro schioccò la lingua contro il palato con sdegno, Stiles
sapeva di non doverla prendere sul personale, che Derek non stava contestando
la precarietà della condizione umana come invece in passato aveva supposto. «È
un processo irreversibile» se fosse esistita una maniera per invertire la
trasformazione, Derek l’avrebbe sicuramente usata su Paige, invece di essere
costretto a sporcarsi del suo sangue per risparmiarle una sofferenza
inimmaginabile.
«Questo
lo so adesso» essere ripreso come se avesse peccato di superbia e dimostrasse
quanto in realtà fosse sciocco non gli piacque per nulla. «Scusami tanto se ho
coltivato un po’ di speranza. Volevo soltanto aiutare il mio migliore amico».
Le
labbra di Derek si serrarono in una linea sottile e gli occhi gli ricaddero
sulla foto che Stiles aveva conservato per tutto quel tempo, ritraeva
semplicemente due figure: sua madre e una versione di se
stesso all’età di nove o dieci anni in piedi, fissando un obbiettivo ‒
perché l’avrebbero fatto? «Di solito sei più attento, riflessivo. Non ti fidi
di una persona qualunque».
«Credi
che mi sia fidato? Ho soltanto sondato il terreno» esporsi non era una sua
caratteristica, prima doveva raccogliere ogni genere di prova. «Non posso
permettermi di fidarmi di qualcuno. Non posso nemmeno più permettermi di
fidarmi di me stesso».
Lo
sguardo verde si riposò sull’umano ed egli si fece più piccolo, indifeso.
Dovette prendere un profondo respiro, ingoiare il rospo. «Perché salta fuori
adesso?».
Stiles
si sorprese per il cambio di rotta, capì a cosa si riferisse quando Derek agitò
l’immagine. «L’ho ritrovata qualche settimana fa tra le mie vecchie cose e l’ho
spostata, non sapendo cosa avrei dovuto farci» indicò il libro di chimica che
non aveva proprio il suo benestare.
«Il
solito disordinato» particolarità che non stupiva affatto il licantropo. Era
evidente che Stiles avrebbe voluto ribattere, ma si astenne. «Così, hai deciso
di rubarla».
«Ah»
ecco, quella precisazione proprio non se l’aspettava. «Ho pensato che fosse la
cosa migliore, hai sempre ripetuto che il vostro segreto dovesse essere
custodito, nascosto, ed ero sicuro che avresti preferito che la facessi
sparire».
«Con
un gioco di prestigio» mimò un movimento fluido, dita e mani scattanti.
«Pittoresco per uno che professa di essere sul lato corretto della giustizia.
Sei proprio una volpe».
Oh,
c’era una nota inaspettatamente dolce sull’ultimo commento, un singolo colpo di
risa che investì totalmente Stiles. Derek aveva una tale concezione positiva il
suo paragonarlo alle caratteristiche tipiche di una volpe? Abili ladre, menti
piene di furberia e inganni, argute e pronte a rigirare tutto a proprio favore.
«Agire fuori dagli schemi è quasi fondamentale nella risoluzione di casi» era
anche la prima volta, dopo due anni, che Derek gli desse nuovamente
quell’appellativo, volpe.
«Dubito
che tuo padre abbia mai rubato qualcosa in vita sua» a differenza di Stiles, a
cui risultava estremamente semplice.
Le
guance della matricola si gonfiarono e soffiò offesa. «Non ho mai rubato
oggetti di valore, nemmeno un dollaro».
«Stai
camminando su uno strato sottile, Stiles» il divertimento ed il bacchettarlo in
Derek era evidente e Stiles era alquanto spiazzato, ma anche profondamente
risentito. «Hai preso la decisione giusta, comunque».
«Sì?»
Stiles si illuminò tutto, l’approvazione del ragazzo che in qualche modo
riconosceva come Alpha era fondamentale.
«Sì»
confermò la creatura leggendaria, dando un’ultima occhiata alla fotografia,
quasi immagazzinandola dentro la sua memoria celebrale e poggiandola con cura
sul comodino.
A
Stiles non sfuggì. «Mi dispiace di non avere altro da darti».
Derek
si alzò dal letto, rigettando le coperte indietro e poggiando i piedi nudi sul
pavimento; come di consueto indossava soltanto i pantaloni del pigiama. Sembrò
ripensare a qualcosa da quella rinnovata prospettiva e riprese l’immagine per
inserirla all’interno del libro da lettura personale di turno quella settimana,
sistemato rigorosamente sul mobile. «È più di quanto avessi prima» Stiles fu
stordito da quella confessione così sincera e quasi avvertì i timpani
esplodere.
Derek
si voltò nella sua direzione e l’osservò sul bordo del materasso, piegato sulle
ginocchia e con il pigiama troppo grande per lui, apparendo perfino smarrito,
ma con tutta l’intenzione di non farsi surclassare. «Non hai idea di quanto mi
dai».
Gli
occhi ambrati sgranarono ed era sicuro di essere realmente divenuto sordo. «Sei
sicuro di questa affermazione?».
«Sì»
confermò con certezza univoca il capitano, prendendogli il viso tra le mani e
costringendo Stiles a sostenersi sulle cosce per raggiungere la sua altezza.
«Tornerai ad avere fiducia in te stesso».
Le
iridi d’ambrosia si inumidirono e avrebbe voluto scacciarle indietro. Fino a
cinque minuti prima c’era un profondo astio tra di loro per via delle vedute
differenti, ma in quel momento Derek era proiettato unicamente verso di lui, a
sanare il suo cuore e spirito a pezzi. «Sì?».
«Sì»
asserì senza giri di parole, incatenandolo al suo sguardo, alla sua
concretezza. «Fino ad allora, continua a riporre la tua fiducia in me».
«In questo momento,
Derek, sei l’unica persona di cui mi fidi» e non c’era mai stata una verità più
vera di quella.