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Autore: IFIGENIAINTAURIDE    22/04/2024    0 recensioni
Università di Berkeley- California - Quattro studenti musicisti squattrinati affrontano difficoltà, avversità e delusioni nella lunga strada verso l'affermazione personale e professionale. Le loro rispettive personalità servono da filtro nell'interpretazione degli eventi che toccano le loro vite.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Università di Berkeley - Bay Area - California - USA
Appartamento studentesco occupato da quattro studenti squattrinati rispondenti ai nomi di: Luke, Ashton, Calum e Michael

Maggio 2019

LUKE
 
Luke aveva rotto con Amelia. Non era corretto dire che si erano lasciati per il semplice fatto che non si erano mai messi insieme.  L'aveva conosciuta una sera in un bar di Oakland e da lì ne era nata una relazione che sfuggiva ad ogni possibile classificazione. Di sicuro non l'avrebbe mai definita come la storia d'amore della sua vita. Era una frequentazione tra due ragazzi che si piacevano e niente di più quindi non era il caso di ricamarci tanto sopra.  Ma chi era veramente Amelia? Dopo tre mesi scarsi di incontri non lo aveva ancora capito. Le cose che sapeva di lei potevano contarsi sì e no sulle dita di una mano. Innanzitutto Amelia faceva parte della facoltosa famiglia dei Buchanan, ma non del ramo ricco della California bensì del ramo povero del Minnesota. Suo zio, il ricco e potente George Buchanan, le aveva offerto la possibilità di lasciare il freddo grigiore di Minneapolis per trasferirsi nella soleggiata California e frequentare l'Università di Berkeley. Un'altra cosa che sapeva era che Amelia non rispondeva mai alle sue domande,  semplicemente fingeva di non sentirle. Era come se le domande altrui le giungessero su una frequenza a lei completamente inudibile.Parlare con Amelia era come parlare con un muro: qualsiasi cosa tu dicessi ti veniva rimbalzata con la medesima inesorabilità. Se parlavi non ti ascoltava, se chiedevi non ti rispondeva. Eppure nei loro incontri parlava quasi sempre lei, ma parlare non significava necessarimente dire qualcosa. Amelia era capace di parlare del nulla per ore. Alla fine di lei non gli rimaneva assolutamente niente. Luke aveva spesso la sensazione che la vita di Amelia fosse tutta una complicata recita. Andava sempre di fretta, sembrava presa da mille impegni e incombenze, doveva correre, fare presto, sbrigarsi. Amelia Buchanan: vent'anni, un metro e settanta, 55 chili e sulle sue deboli spalle tutto il peso delle sorti del mondo! Sembrava affascinante, ma non lo era affatto. Quando uscivano insieme frequentavano sempre posti semi-deserti, bar fuori mano, ristoranti vuoti, locali vicini all'orario di chiusura o di apertura. Era sempre Amelia a scegliere e non dava mai spiegazioni per la sua scelta. Forse pensava di ingannarlo, ma non era stupido. Molto semplicemente non voleva farsi vedere in giro con lui. Aveva il terrore di incontrare qualcuna delle sue conoscenze altolocate.  Si vergognava di lui e non perchè lui non fosse presentabile, sapeva di essere presentabile, non era ingenuo fino a quel punto. Amelia si vergognava della sua bassa estrazione sociale e delle sue modeste disponibilità economiche. Luke non era ricco e nessuno dei suoi amici lo era. Dividevano un appartamento studentesco e sbarcavano il lunario con occupazioni precarie. Erano musicisti e desideravano vivere della loro musica prima o poi. Per il momento erano solo degli studenti squattrinati e Amelia lo sapeva. Ed era probabilmente per questo che quando veniva a trovarlo nel loro appartamento neppure salutava i suoi amici. Si limitava a guardarli come fossero stati soprammobili. Insignificanti. Ininfluenti. Inutili. Perchè salutarli? Ed era sempre per questo che Michael, il più tignoso dei suoi amici, quando vedeva apparire Amelia si profondeva in saluti esagerati e plateali. "CIAO AMELIA!" quasi gridava Michael sorridendole in modo così insistente da farla sentire in imbarazzo. Era una provocazione bella e buona. Più Amelia non salutava più Michael salutava, più Amelia era scortese e maleducata e più Michael era gentile e cortese. Era come mandarle un messaggio sottotesto: Hai visto? Io sono migliore di te! Eppure Amelia non salutava, non si fermava a parlare o a scherzare con loro. Era snervante. E non era l'unica cosa che non andava. In presenza di Amelia Luke si sentiva sempre vagamente nauseato. All'inizio aveva dato la colpa all'estrema eccitazione che la sua vicinanza gli procurava. Amelia era bella, molto bella. Ed era sempre vestita e truccata in modo impeccabile. Anche troppo, a dire il vero. Vederla comparire nel loro misero appartamento studentesco con i suoi abitini firmati e avvolta in una nuvola di profumo costoso era abbastanza surreale. Ora invece pensava che quel senso di vertigine e nausea venisse dal disagio che gli instillava il suo comportamento irrispettoso. Ormai in lei vedeva solo falsità. Anche quando facevano sesso aveva l'impressione che lei si agitasse troppo e gridasse troppo come fosse stata una recita di basso livello. A volte aveva la tentazione di chiuderle la bocca con una mano per farla stare zitta, ma era troppo bene educato per farlo. C'erano cose che all'inizio lo avevano eccitato, ma che ora lo irritavano profondamente. Amelia emanava fascino e sex appeal, ma emanava anche arroganza, egocentrismo e malcelato senso di superiorità.  La maggior parte delle volte lo voleva incontrare solo per scopare e le prime volte gli era piaciuto. Ma più lo facevano e meno gli piaceva.  Amelia non faceva che ripetergli  "Sei bellissimo", ma quel complimento gli arrivava come distorto, deformato, quasi insultante. Di lui non le interessava praticamente niente. Non una volta che gli avesse chiesto della sua famiglia o dei suoi amici, della sua band o dei suoi sogni. Lo voleva solo per fare sesso e tenerlo il più lontano possibile dal suo mondo dorato di inebrianti nuove possibillità di vita. Luke si sentiva usato. Era quello il problema.  Ma il fondo l'avevano toccato solo qualche sera prima quando dopo la solita scopata Amelia aveva detto qualcosa di profondamente rivelatore. Era ossessionata dall'idea di deludere lo zio e di essere rispedita a Minneapolis e quindi di ripiombare nel grigiore e nel nulla. A volte Luke si chiedeva che cosa ci fosse di così terrifcante a Minneapolis da suscitare tanto sconforto. Dei genitori impresentabili? Nessuno sbocco professionale? Miseria? Noia? Afflizione? Era impossibile scoprirlo. Ma una cosa era certa: Amelia non faceva che parlare dello zio, del grande, potente, incomparabile George Buchanan. Luke sapeva più cose di suo zio che di Amelia.
"Perchè non me lo presenti, tuo zio?" le aveva chiesto in modo provocatorio. 
Amelia era rimasta in silenzio facendogli temere che come al solito l'avrebbe ignorato. In realtà non si era aspettato una vera e propria risposta. Più che altro aveva parlato a se stesso. E invece, in modo del tutto inaspettato, Amelia gli aveva risposto.
"Presentarti mio zio? Vorrai scherzare! Mio zio non ha tempo per niente e per nessuno. Per parlargli bisogna prendere l'appuntamento. Però trova il modo di controllare tutto quello che faccio. Ha un sacco di gente che lo tiene informato su tutto quello che succede attorno a lui. Ha la paranoia che qualcuno di noi possa macchiargli la reputazione. Devo stare attenta, non posso farmi vedere in giro con uno come te." Amelia aveva snocciolato la frase con la massima tranquillità mentre si stava rivestendo. Probabilmente non aveva neppure colto l'enormità della cosa.
Ma Luke aveva perfettamente colto la natura insultante della sua frase. Finalmente Amelia aveva avuto il coraggio di dire apertamente quello che pensava. In quel preciso istante aveva capito che non avrebbe mai più potuto toccare Amelia, neppure con un'unghia.
"Credi che io sia la tua puttana?" le aveva chiesto con voce bassa e ferma.
Amelia aveva sbarrato due enormi occhi stupiti. Non le aveva mai parlato in quel modo.
"Che cosa dici?" aveva chiesto lei con un filo di voce.
Lui aveva aperto la porta e le aveva fatto segno di uscire.
"Esci!"
Amelia l'aveva guardato inorridita, ma immobile senza dare la minima impressione di volersene andare.
"Ho detto che te ne devi andare. Raccogli i tuoi stracci e vattene." avevano insistito Luke.
Alla immobilità di Amelia aveva reagito con rabbia, cosa che tra l'altro faceva di rado. L'aveva presa per un braccio e l'aveva trascinata alla porta principale dove l'aveva sbattuta fuori senza tanti complimenti.
"Sparisci! E non chiamarmi mai più!"
Le aveva chiuso la porta in faccia. Per fortuna in casa non c'era nessuno altrimenti avrebbe avuto gli occhi dei suoi amici addosso. E in quel momento non sarebbe stato in grado di sopportarlo.

Eppure dopo solo due settimane si risentirono.
Amelia lo chiamò e con voce ansiosa gli disse: "Luke ti prego, non riattaccare. Ti devo parlare!"
"Credevo di essere stato chiaro. Non voglio più avere a che fare con te."
"Luke mi devi aiutare. Ho bisogno di un favore!"  Ma non mi dire, pensò lui già profondamente annoiato. La verità era che lui era troppo gentile e bene educato e Amelia se ne approfittava come sempre.
"Mio cugino Eddie ha organizzato una festa per sabato. Aveva contattato una band del campus che doveva venire a suonare, ma solo l'altro giorno ci hanno praticamente lasciati nei casini. Non possono più venire e ora dobbiamo cercare in tutta fretta un gruppo che li sostituisca."
"Quindi?" disse Luke. Non vedeva perchè tutta quella storia dovesse riguardarlo.
"Quindi ho bisogno di te e della tua band, ovvio no?" proruppe Amelia.
Luke alzò gli occhi al cielo. Era per caso impazzita? Loro a Villa Buchanan?
"Abbiamo un repertorio rock, non credo che possa piacere a tuo cugino Eddie." rispose laconico.
"E perchè?"
"Secondo me tuo cugino ha la faccia di uno a cui piacciono i rapper orrendi e volgari. Sai quelli che se ne vanno in giro con le catene d'oro e trattano di merda le donne."
"Ti assicuro che mio cugino ascolta il rock esattamente come lo ascolto io. Non dovresti parlare di lui con tanta supponenza, tu non lo conosci." 
 "Ma perchè volete una band? Non fareste prima a prendervi un deejay. Di certo i soldi non vi mancano." commentò Luke. 
"Luke fai finta di non capire ? Siamo a giovedì, sono già tutti prenotati. Non c'è un deejay libero neanche a pagarlo oro."
Ovviamente Luke aveva capito, non era mica scemo, ma preferiva fare la parte di quello che cadeva dalle nuvole. 
"Quindi siete disperati." aggiunse lui. E solo perchè siete disperati mi hai chiamato, altrimenti non l'avresti mai fatto, pensò.
"Potremmo suonare alcuni dei nostri pezzi."
"No. I vostri pezzi non vanno bene!"
"Sei sempre carina, Amelia. Allora delle cover dei Green Day?" propose divertito.
"Sei impazzito? I Green Day? Non li voglio neppure sentire nominare! Mio zio li considera degli anarchici. " proruppe Amelia.
"Tuo zio verrà alla festa?" chiese incredulo Luke.
"E' casa sua, Luke. Non parteciperà, ma saprà esattamente tutto quello che succederà."
"Che uomo eccezionale! Dimenticavo che ha occhi e orecchie dappertutto!" commentò sarcastico Luke.
"E che cosa potrebbe piacere a tuo zio? Forse i Metallica? O gli AC/DC?" si stava divertendo  a provocarla. Era una piccola vendetta, niente di male.
"Luke non puoi suonare quella roba. Mi farai fare una figuraccia con Eddie e i suoi amici e io non faccio figuracce, capito?"
"Senti Amelia, la tua disperazione mi fa così pena che ho deciso che vi aiuteremo. Sì, io e i miei amici vi salveremo la serata."
Amelia non rispose subito, sembrava essere intenta a soppesare le sue parole.
"Ascoltami bene, Luke, mio cugino conta su di me per risolvere questo problema. Rovinami la serata e te la faccio pagare, chiaro?"
Ah, sì? pensò Luke staccandosi dal telefono. Minaccia interessante. Molto interessante.
A Luke le minacce non piacevano. 
E nemmeno le feste dei ricchi viziati dei quartieri alti.



ASHTON
 
Ashton e Luke si scambiavano opinioni nella minuscola cucina di casa. Se ne stavano in piedi l'uno di fronte all'altro. Non osavano sedersi perchè tavolo e sedie avevano un aspetto precario che nessuno di loro amava sfidare. L'appartamento non era male, le stanze erano decenti, ma bagno e cucina erano troppo piccoli e angusti. Era praticamente impensabile consumare i pasti in quei pochi metri quadrati. Ed era ancor più strano usare la cucina come luogo per le discussioni come stavano facendo in quel momento. 
"Che cosa dovremmo fare noi?" quasi urlò Ashton mentre guardava Luke con occhi increduli.
"Suonare a una festa." rispose Luke con la sua solita aria serafica.
"Sì, ma è la festa di Amelia Buchanan!  Ti sei bevuto il cervello, Luke?"
"La festa non è di Amelia. E' di suo cugino Eddie!"
"Certo! Questo cambia tutto! Completamente un'altra cosa!"
Ashton non poteva credere alle proprie orecchie. Edward Buchanan, meglio noto a tutti come Eddie! Il rampollo dei Buchanan ovvero la famiglia più influente e potente della zona. I Buchanan avevano le mani in pasta dappertutto: foraggiavano l'Università di Berkeley, avevano fatto eleggere il sindaco Crawford ed erano tra i finanziatori delle campagne elettorali del partito repubblicano. Non si sapeva esattamente da dove provenissero le loro ricchezze, su di loro si faceva sempre un gran parlare. C'era chi sosteneva che i capostipiti della famiglia fossero stati molto abili ad approfittare delle grandi crisi economiche del 29 e del 73 per accaparrarsi importanti asset societari a prezzi praticamente stracciati per poi guadagnarci quando le crisi si erano risolte e i prezzi erano risaliti. Altri favoleggiavano di presunti legami a doppio filo con massonerie e potenti gruppi di interesse ai massimi livelli. In ogni caso ad Ashton poco importava, conosceva bene Eddie e tanto gli bastava. Avevano fatto il liceo insieme e di lui serbava un ricordo vivissimo. In negativo, ovviamente. Eddie adolescente era stato il perfetto ritratto del bullo fastidioso e crudele che prendeva di mira sempre i più deboli e i più sfortunati. Praticamente un cliché vivente. Ashton era stato preso di mira come tanti altri ragazzi. Proveniva da una famiglia distrutta, il padre se ne era andato lasciando moglie e figli soli con gravi problemi economici. Diciamo che non era mai stato un privilegiato. Ed era proprio in quelle pieghe di malessere e povertà che le prese per il culo di Eddie Buchanan si insinuavano. Amava umiliare chi se la passava peggio di lui.
"E perchè hai detto di sì senza consultarci? Il nostro parere conterà qualcosa spero!" disse guardando torvo Luke che invece esibiva un'aria stranamente maliziosa.
"Tu non capisci Ash. Questa è un'occasione perfetta!"
"Perfetta per cosa?"
"Per rovinargli la festa ovviamente. Non ti piacerebbe portare il caos nella bella villa in collina dei Buchanan?"
Sì, che gli sarebbe piaciuto. E a chi non sarebbe piaciuto? Eddie aveva umiliato talmente tanta gente nel corso degli anni che bisognava mettersi in fila per vendicarsi. In quel preciso momento Michael e Calum rientrarono in casa da fuori. Si affacciarono sulla porta della cucina e Michael guardandoli con fare interrogativo chiese: "Ehi! Perchè strilli tanto Ash? Ti si sente dalle scale!"
"State litigando?" rincarò Calum.
"Non stiamo litigando. Abbiamo un franco e sincero scambio di opinioni." precisò Ashton.
"Ma qualcosa deve essere successo per forza. Perchè strillare tanto allora?" Michael li guardò entrambi incuriosito.
"Beh, succede che il nostro caro amico Luke vuole che sabato sera andiamo ad esibirci alla festa di Edward Buchanan. Ed io sono contrario."
Michael fece una smorfia difficile da interpretare. "Edward Buchanan? Il cugino di Amelia?" chiese sospettoso.
"Proprio lui!"
"Ma non è quello che hai cercato di ammazzare con una testata quando stavi ancora al liceo?"
Ashton alzò gli occhi al cielo. Ancora quella storia.
"Io non ho proprio cercato di ammazzare nessuno. Ho solo reagito a una provocazione. Quello continuava ad insultare mia madre."
"Sì, è vero, me lo ricordo." commentò Calum.  "Edward era un vero bastardo. Ci provava un gusto sadico a maltrattare il prossimo."
Ashton lo ammise a malincuore. Quello che aveva detto Michael era vero, ma era una di quelle cose che non amava particolarmente ricordare. Era successo all'uscita da scuola. Come tante altre volte Eddie lo aveva preso di mira con le sue vigliacche prese in giro. Ashton aveva sopportato tante volte le battutine imbecilli di Eddie Buchanan, ma quel particolare giorno non ce l'aveva fatta. Ancora insulti a sua madre, ancora pesanti insinuazioni sulla sua dipendenza dall'alcol. La rabbia l'aveva aggredito con una violenza mai sperimentata prima. Il bisogno fisico di fare del male a Eddie era stato così travolgente da non riuscire a controllarlo. Così, stanco di subire, Ashton gli si era avvicinato, l'aveva guardato dritto negli occhi con disprezzo e poi gli aveva sferrato una violenta testata in faccia. Eddie era rimasto sconvolto dall'assoluta imprevedibilità della cosa, mai nessuno aveva osato ribellarsi o tantomeno toccarlo e Ashton glielo aveva letto nell'espressione esterrefatta che gli si era dipinta sul viso.
"Una vera testata da manuale. Roba da spaccargli il cranio in due." sghignazzò Calum tutto felice.
"Dio, come avrei voluto esserci." commentò Michael. "Mi perdo sempre le cose migliori."
"Io non ne sapevo niente." disse incredulo Luke.
Ashton sospirò stanco. Era da tanto che non pensava a quella cosa. E poi non gli aveva spaccato la testa per fortuna, gli aveva solo rotto il naso. Ma era bastato ed avanzato. Eddie aveva urlato dal dolore, il sangue che scendeva dal naso rotto gli aveva macchiato tutta la maglietta. "Dio che dolore!" aveva continuato ad urlare per un tempo che ad Ashton era sembrato infinito.
"Ricordo il sangue, c'era tanto sangue." disse Calum. "E' incredibile quanto un naso rotto possa sanguinare. E all'improvviso c'era un gran silenzio attorno. Eravamo tutti fermi ad assistere alla scena. Eddie Buchanan che si rotolava a terra tenendosi il naso e urlando per il dolore E Ashton in piedi che lo sovrastava come Davide contro Golia."
"Molto poetico, ma piuttosto impreciso. Io fui punito e Eddie no." precisò Ashton.  
Aveva capito subito che aveva fatto una cazzata. La cosa si era trasformata rapidamente in una specie di affare di stato. Lui era stato convocato in presidenza, i genitori di entrambi erano stati convocati, il preside aveva parlato praticamente con tutti quelli con cui era possibile parlare. Una punizione esemplare, ecco quello che avevano cercato tutti quanti in modo affannoso. Grazie al cielo non l'avevano espulso, si erano limitati a un richiamo ufficiale spiegandogli chiaramente che la prossima cazzata sarebbe stata l'ultima. Per due mesi aveva dovuto dedicarsi ai lavori socialmente utili come un vero e proprio criminale.
"Ricordo che tua madre era incazzata nera, Ash." rincarò Calum. "Non sopportava l'ingiustizia della punizione che avevi dovuto subire e l'assoluta impunità di quel bastardo di Eddie."
"Già! Mia madre mi difendeva sempre, qualsiasi cosa facessi. Anche se spaccavo il naso a un altro ragazzo."
Per un momento calò il silenzio. Ashton si intristiva sempre quando pensava alla sua adolescenza infelice e scapestrata. Una madre malata, dei fratelli più piccoli di cui occuparsi, pochi soldi, un bullo ricco e spavaldo che lo sfotteva a sangue tutte le volte che voleva. Avrebbe potuto capitargli di peggio, ma avrebbe anche potuto capitargli di meglio!
"Allora che si fa per la serata di sabato?" chiese Luke rompendo il silenzio. 
"Dipende tutto da quanto ci danno." rispose Calum.
Ashton guardò di nuovo Luke. "Già, quanto ci danno?"
Luke sorrise con l'aria del gatto che si è appena mangiato il topolino. 
"5.000 dollari" disse lentamente quasi assaporando ogni singola sillaba.
Quella cifra gelò tutti quanti. E chi li aveva mai visti 5.000 dollari tutti insieme? Improvvisamente anche Ashton non sapeva più che cosa dire. Avevano l'affitto da pagare, le bollette, il furgone da revisionare e di tanto in tanto bisognava anche mangiare. 
"Beh, direi che per 5.000 si può fare." concluse Calum ridacchiando.
"Praticamente è una marchetta." osservò Michael.
"Non è una marchetta!" lo apostrofò Calum.  "E' solo lavoro. Noi siamo musicisti, loro hanno bisogno di noi per la festa, andiamo là, facciamo il nostro lavoro, ci pagano e poi ce ne torniamo a casa nostra. Mica dobbiamo fraternizzare con i Buchanan! E' solo lavoro. Non ci stiamo svendendo."
 Michael non sembrava convinto. La sua espressione rimaneva dubbiosa.
"Ma sei sicuro, Luke? 5.000?" chiese Ashton piuttosto incredulo.
"E' quanto hanno messo in preventivo per la band. Non ci fanno un favore. Qualsiasi band vada ad esibirsi alla festa becca 5.000. Noi o un'altra band è lo stesso. La cifra è quella."
"Certo che ne hanno dei soldi da buttare via!" esclamò Michael.
Calum lo guardò di traverso. "Pensi forse che non ce li meritiamo?"
"5.000? No, 5.000 no!" rise Michael.
"Io per 5.000 ammazzerei anche qualcuno!" rincarò Calum ridendo divertito. 
"Allora Ashton, adesso che ne pensi?" gli chiese sorridendo beffardo Luke. "Li vogliamo portare a casa questi 5.000 dollari sì o no?"
Ovviamente sì, ma quella idea proprio non gli andava a genio. Ma doveva cedere. Il vil denaro regnava sovrano e incontrastato su tutto e tutti. E loro non facevano certo eccezione.

La festa si teneva in una grande villa immersa nel verde. Ashton e i suoi amici non avevano mai bazzicato quel quartiere, era troppo esclusivo e troppo fuori dalla loro portata. Il posto in effetti era stupendo, le ville si susseguivano l'una dopo l'altra suggerendo un'idea di agiatezza e calma tranquilità che gli erano del tutto estranee. Quando lui e i suoi amici arrivarono con il loro furgoncino scassato diverse ore prima della festa per prepararsi adeguatamente furono accolti da un signore elegante dai modi ossequiosi che li trattò alla stregua dei camerieri del catering.
"Siete la band per la serata?" chiese soppesandoli.
"Non disturbate gli addetti alla ristorazione. Hanno già abbastanza da fare. Ci manca solo che voi li rallentiate nel lavoro." Li squadrò attentamente con aria di disapprovazione. "Tutto deve essere perfetto, niente deve essere lasciato al caso.. Quindi fate il vostro lavoro e non mischiatevi agli invitati, non bevete, non ubriacatevi e non fate uso di droghe." questo lo disse guardando insistentemente Michael come se i suoi capelli colorati e spettinati fossero un sicuro indizio di abuso di sostanze. 
"L'ultima volta uno stupido dee-jay si è fatto beccare a sniffare cocaina in uno dei bagni padronali. Le guardie l'hanno scaraventato fuori dalla proprietà senza tanti complimenti."
Sospirò e sempre guardandoli con sdegno continuò ad elencare le regole della casa.  
"Se avete fame venite nelle cucine. Provvederò personalmente a portarvi qualcosa. Non azzardatevi a mangiare dal buffet della festa. Non è roba per voi."
Ovviamente la festa doveva tenersi a bordo piscina nel verde del grande e curatissimo giardino. Erano tutti e quattro senza parole. Era già tutto perfettamente addobbato e infiocchettato.  C'era una grande tavola imbandita per ospitare il buffet e tutto attorno tanti tavolini apparecchiati con stile e buon gusto. C'erano lanterne di carta ovunque e curiose statue composte da agrumi. Non era una festa, era un ricevimento in grande stile! O forse le feste dei Buchanan erano tutte così ovvero un immenso dispiego di bellezza, eleganza e stile. C'era solo da chiedersi che cosa ci facessero loro in quell'ambiente così sofisticato. Di solito Ashton non era tipo da farsi intimidire facilmente, ma  l'atmosfera che si respirava lì attorno gli metteva soggezione. 
"Forse siamo leggermente fuori posto!" disse Ashton seriamente preoccupato.
"E perchè mai? Secondo me siamo perfetti." disse Luke guardandosi attorno.
In lontananza Ashton scorse Eddie che chiacchierava amabilmente con una delle addette al catering. Dai tempi del liceo era cambiato parecchio. Dopo la rinoplastica esibiva un naso praticamente perfetto, avrebbe dovuto essergli grato per l'occasione che gli aveva offerto di operarselo. Eddie era moro, alto e dinoccolato. Un tipo tutto battute sarcastiche, sorrisi affettati e occhiate maliziose. Negli anni si era costruito il personaggio del bel tenebroso che le ragazze adoravano e i ragazzi imitavano. C'era gente che avrebbe ucciso pur  di entrare nel suo giro di conoscenze. Ovviamente non Ashton che invece avrebbe ucciso per non essere lì.
"Non lo vai a salutare, Ash?" chiese Michael guardandolo negli occhi. "Non ti va una bella rimpatriata?"
"Vuoi una testata anche tu, Michael?"
"Era solo un'idea, non prendertela tanto." rise divertito Michael.
Luke invece pareva parecchio su di giri. Quell'entusiasmo non gli piaceva, gli sembrava foriero di cattivi presagi.
Luke li guardò tutti e tre divertito.
"Allora siamo d'accordo?" chiese. Tutti annuirono. Annuì anche Ashton, ma dentro di sè continuava a chiedersi: che cazzo ci siamo venuti a fare in questo posto?

CALUM
 
In men che non si dica il lussereggiante giardino con piscina dei Buchanan si riempì di ragazzi e ragazze disposti a tutto pur di divertirsi. Calum non aveva mai visto tanti giovani così dannatamente belli e ben vestiti. Guardandoli mentre bevevano, chiacchieravano e ridevano aveva quasi l'impressione di sentire l'odore del privilegio e dei soldi. Era invidioso. Non si vergognava ad ammetterlo, l'invidia dopotutto era un sentimento umano. Studiava tutte quelle ragazze che indossavano abiti costosi scollati e scosciati e si chiedeva come avrebbero reagito se lui avesse tentato un approccio. Fuori da quel contesto pensava che avrebbe anche potuto giocarsela, ma lì nel loro elemento, tra tutta quella umanità privilegiata, non avrebbe avuto alcuna chance.  Avrebbero preferito farsi scannare piuttosto che farsi vedere dalle loro conoscenze con uno come lui che non era nessuno. Osservando attentamente le ragazze riconobbe Amelia Buchanan che, fasciata in un tubino nero scintillante di brillantini, spiccava tra tutte come una sorta di ape regina. Se ne stava abbarbicata al braccio del cugino Eddie. Non si era neppure degnata di venire a salutarli. Lei e il cugino erano della stessa pasta: arroganti, competitivi, dominanti. Si davano troppo importanza.
La serata scivolò via tranquilla con loro quattro che si esibivano  in canzoni praticamente classiche per una festa. Brani come My Sharona dei The Knack, More than a  feeling dei Boston, I wanna be sedated dei Ramones, Satisfaction dei Rolling Stones. I partecipanti alla festa sembravano gradire: ballavano, flirtavano, bevevano. Soprattutto bevevano, notò Calum. Parecchie persone erano già partite per la tangente e davano spettacolo di sè senza alcuna vergogna. Verso le 23.00 fecero una pausa perchè Edward Buchanan, come ad ogni festa, reclamava per sè il palco per tenere uno stupido discorso colmo di battutine e spiritosaggini varie. Calum ne approfittò per fumare una sigaretta in santa pace. Si allontanò un po' dal palco e dagli invitati. Era una bellissima serata, il cielo era limpido e pieno di stelle, faceva caldo, ma era un caldo gradevole e non opprimente.
"Ciao!" disse qualcuno alle sue spalle. Calum si girò sorpreso, credeva di essere solo e invece c'era una ragazza che lo stava osservando. Ehilà, una ragazza gli aveva fatto un agguato in piena regola! Le mostrò il suo sorriso aperto e amichevole, quel sorriso che tutti dicevano comunicasse allegria, e rispose gentilmente al suo saluto. "Ciao!"
"Siete una band interessante!" Il sorriso gli morì un po' sulle labbra. Non era esattamente quello che si era aspettato di sentirsi dire. E poi che cosa significava esattamente "interessante"? Era un complimento o un insulto? Forse era un complimento, voleva essere ottimista.
"Non siete così male come dicevano." continuò la ragazza. "Ovviamente bisogna abbassare un po' le proprie pretese e accontentarsi."
No, non era stato esattamente un complimento. Il suo ottimismo era stato mal riposto. Magari sbagliava, ma lì non tirava aria di complimenti. Proprio per niente.
"Chi sei?" chiese Calum incuriosito.
"Sono Joely Sanders, la figlia del predicatore Sanders. E ora sono ufficialmente  una  vostra fan." rispose la ragazza sorridendo in modo canzonatorio.
Non era vero, non era una fan. Il suo atteggiamento e il modo in cui gli parlava non erano assolutamente tipici di una fan. Calum la osservò meglio. La figlia del predicatore Sanders, aveva detto.  Era certo di non averla mai vista prima. Era una ragazza particolare: biondissima con i capelli tagliati a caschetto, la pelle molto pallida e lunghe ciglia di un biondo che sfumava quasi nel bianco. Aveva un semplice vestitino bianco che le arrivava all'altezza del ginocchio, niente trucco, niente tacchi alti, niente che potesse attirare l'attenzione. Non assomigliava a nessun altra ragazza presente quella sera. Era molto semplice se confrontata con le altre. 
"Sei diventata una fan ora? In questo preciso momento?" chiese Calum.
"Mio fratello vi ha sentiti suonare in un bar di San Diego e ha parlato di voi per giorni. Era entusiasta. Non faceva che dire che eravate stati grandi. Così mi sono incuriosita." 
Calum notò che la ragazza stava fissando intensamente la sua sigaretta tanto che all'improvviso disse:
"Non dovresti fumare. Il fumo fa male alle corde vocali e tu hai già una voce piuttosto scarsa. Fumare è da stupidi."  
Calum non ci poteva credere. Una ragazza misteriosa appariva dal nulla mentre era solo soletto e che cosa faceva? Lo sfotteva senza pietà. Cominciava a pensare di avere il malocchio, ultimamente aveva troppi problemi a comunicare con le ragazze. Veniva spesso frainteso o peggio ancora sottovalutato. Perchè non poteva semplicemente apparirgli una ragazza gentile e carina che gli dicesse cose gentili e carine? Era chiedere troppo?
"Perchè sei venuta a vederci se ti facciamo tanto schifo?" chiese Calum con finta aria di sfida.
"Non ho mai detto che fate schifo."
"E allora che cosa hai detto? La mia voce è scarsa, la band lascia a desiderare. Per fortuna che sei una fan! Se non lo fossi che cosa faresti? Ci spareresti?" 
"Come siamo permalosi!" lo canzonò la ragazza. "Chi sale su un palco dovrebbe avere abbastanza personalità per reggere qualsiasi cosa, anche le critiche. Non vuoi sentirti dire la verità sulla tua band?"
Calum rise divertito. "E quale sarebbe la verità? Illuminami, ti prego!"
"La verità è che questo posto non fa per voi. Loro non sono il vostro pubblico."
"Oh, lo so. Eccome se lo so. Ma sai pagavano bene e noi siamo giusto un filino al verde. Era una offerta che non si poteva rifiutare."
"Già, ma loro non vi apprezzeranno."
"Tu invece sì, che ci apprezzi! Commenti sulla mia voce a parte."
Calum la vide sbuffare e abbassare lo sguardo. Ora sembrava sulle spine. Era strana, ma a suo modo anche buffa. Forse era veramente una fan, una fan un po' particolare, ma sempre una fan.
"Mi scuso per il mio modo brusco di esprimermi, ma ti assicuro che sono venuta a questa festa solo per ascoltarvi. E io odio le feste dei Buchanan!"
"Ok, voglio crederti. Ma avrei preferito sentirti pronunciare qualche complimento. Ad esempio che sono un grande bassista, che non hai mai sentito nessuno bravo quanto me.  E che sono pure un bellissimo ragazzo. Il più bello che tu abbia mai visto!" ammiccò Calum con fare malizioso, ma divertente.
"Non sei il più bel ragazzo che io abbia mai visto."
"Ma così mi spezzi il cuore! Prima critichi la mia voce e ora mi liquidi anche come bellezza. Sei una ragazza veramente crudele!"
"Io dico sempre la verità. " sembrò giustificarsi la ragazza.
"E chi ti ha insegnato a farlo? No, non me lo dire. E' stato tuo padre."
"Credi che sia sbagliato?"
"Beh, la gente preferisce essere lusingata piuttosto che criticata senza pietà. Azzardo un'ipotesi: scommetto che non hai molti amici."
Joely lo guardò senza rispondere.
"Ho indovinato, vero? Racconta qualche bugia in più e vedrai che ti farai delle amiche. Perchè non ti eserciti un po' con me. Su, dimmi qualche bugia bella grossa. Vediamo come te la cavi."
"Dici sul serio?"
"Certo. Spara. Poi ti do il voto."
La ragazza pensava e Calum si divertiva a guardarla riflettere. Chissà che diavolo stava pensando. Non sapeva che cosa dire. Alla fine parve risolversi.
"I Buchanan sono persone simpatiche." disse tutto d'un fiato.
"Tutto qui? Ragazza mia, menti di merda. Mentre pronunciavi le parole hai fatto una strana espressione schifata. Sei messa male. Devi esercitarti a mentire giorno e notte altrimenti questo mondo ti farà a pezzi!"
Calum vide che Eddie Buchanan aveva finito di sproloquiare davanti ai suoi invitati. Era ora di tornare sul palco. Doveva raggiungere gli altri. 
"Mi dispiace, ma devo andare. La pausa è finita. Rimarrai ad ascoltarci fino alla fine?
" le chiese speranzoso.
"Temo di no. Devo rientrare a casa o mio padre si accorgerà che sono uscita senza il suo permesso."
"Ah, ma allora qualche bugia la dici!"
"Non è stata una bugia. E' stata un'omissione."
"E' così che ti assolvi? Dando un altro nome alla bugia?" Le strizzò l'occhio con fare cospiratorio.
"Beh, quindi hai imbrogliato tuo padre per noi. Interessante. Un'altra giovane donna traviata dal rock."
Calum la salutò, le voltò le spalle e si allontanò con passo tranquillo. Era stata una conversazione piuttosto buffa e anche la ragazza, Joely, era piuttosto originale. Si girò verso di lei per guardarla, ma era già sparita. Non c'era più. Come aveva fatto a dileguarsi così in fretta?

Come pattuito ad una certa ora avevano deciso di accelerare un po' il ritmo. Volevano solo dare una sferzata di pura energia rock alla situazione e possibilmente fare anche un po' incazzare Amelia e Eddie.  Non cambiarono registro subito e in modo drastico. Piuttosto scivolarono gradualmente verso un rock più sostenuto. Molto più sostenuto. Talmente sostenuto che a un certo punto tutti, un poco alla volta, cominciarono a fissarli infastiditi.
"Basta!" urlò qualcuno. 
"Questa roba non si può neppure ballare!" biascicò qualcun' altro con la voce impastata per i troppi drink.
Indifferenti alla reazione degli invitati attaccarono Whole lotta love dei Led Zeppelin a cui fecero seguire What's my age again dei Blink 182 e infine Basket case dei Green Day. Ma quello fu probabilmente la goccia che fece traboccare il vaso perchè qualcuno iniziò a fischiare in segno di disapprovazione. Un fischio. Due fischi. E poi a crescere molti fischi.  "Avete rotto i coglioni!" gridò una voce tra gli invitati. Qualcuno rise sguaiatamente. Avevano bevuto tutti troppo e c'era una strana elettricità nell'aria.  All'improvviso una bottiglia di Jack Daniels fu tirata con violenza addosso a Michael che fortunatamente fu abbastanza veloce da schivarla. La bottiglia lo sfiorò sulla destra, lo superò e  cadde a terra senza neppure rompersi. Fece un clang sordo e poi rotolò via. Non era una bottiglia vuota, ma piena e molto pesante. Se l'avesse colpito avrebbe potuto fargli molto male. L'attenzione di Calum fu catalizzata dalla bottiglia che rotolava, rotolava, rotolava... Sta per *mettersi male, pensò con calma. Non era minimamente agitato, avvertiva semplicemente l'inevitabilità della cosa. Poi un altro tonfo sul palco. Un'altra bottiglia, questa volta vuota, si infranse con violenza contro l'alzata del tamburo della batteria di Ashton. Una pioggia di schegge di vetro volò dappertutto. Una arancia colpì il basso di Callum che si ritrovò tra le mani uno strumento completamente out of tune. Cercò di sistemarlo, ma era praticamente impossibile. In quello stato non poteva più suonare, ma dubitava che qualcuno si accorgesse della mancanza del suo contributo. Ormai il caos regnava sovrano, la musica era l'ultima cosa a cui la gente badava. 
"Froci!" urlò qualcuno. L'ennesimo ubriaco, probabilmente. A quell'insulto molti risero.
"Tornatevene nella fogna dalla quale siete sgattaiolati fuori."   L' alcol fungeva da moltiplicatore e tutti all'improvviso avevano una gran voglia di fare casino e attaccare briga. 
"Fate schifo! Non sapete nemmeno suonare!" strillò una voce femminile.
"Siete delle mezze seghe!" e giù tutti a ridere in modo incontrollato.
Si scatenò una grandinata di arance, mele, bottiglie vuote, ormai veniva tirato di tutto. Luke fu colpito da una arancia in pieno volto e subito dopo da una mela allo stomaco.  Calum lo vide barcollare, perdere l'equilibrio e cadere in modo scomposto. Una risata femminile più forte delle altre attirò l'attenzione di entrambi. Calum cercò tra la gente la proprietaria di quella risata così meschina. Eccola! Amelia che rideva! Si divertiva un mondo a vederli umiliati. Soprattutto a vedere Luke umiliato. Calum si avvicinò al suo amico per aiutarlo a rialzarsi e subito dopo urlò a tutti: "Via! Via! Andiamo via! Restare qui è troppo pericoloso!" Scapparono via, veloci come fulmini, ma non abbastanza per evitare le arance e le mele che continuavano a colpirli con violenza. Corsero verso il parcheggio per recuperare il furgoncino. Una volta arrivato Calum si appoggiò al furgone per prendere un po' di fiato. Si accorse che le sue mani erano sporche di sangue. Aveva gli avambracci pieni di tagli che sanguinavano e il sangue si era raccolto nei palmi delle mani e attorno alle dita.  Colpa di tutte quelle schegge di vetro che li avevano colpiti. Era strano, non si era accorto di nulla, non aveva sentito alcun dolore. E anche adesso non sentiva praticamente niente a parte una sgradevole sensazione di incredulità. Perchè c'erano tutte quelle arance e quelle mele alla festa? Da quando in qua nelle feste si esagerava in frutta? Non capiva, c'era qualcosa che gli sfuggiva... 
"Cazzo!" urlò all'improvviso Ashton. "Ci hanno tagliato tutte e quattro le gomme!"
Fu allora che Calum capì. Era tutto preparato fin dall'inizio. Erano caduti come coglioni in un tranello, un'imboscata, un raggiro, una trappola, potevano chiamarla come volevano, ma la sostanza non cambiava. L'avevano fatto apposta.
"Ci hanno fregato!" esclamò sconsolato. "Ci hanno  fregato!"

MICHAEL
 

Non si sentiva molto bene. E gli altri non stavano certo meglio. Ashton continuava a imprecare come un forsennato dando calci alle ruote squarciate del furgoncino.  Calum sembrava un disco rotto, ripeteva come in trance: Ci hanno fregato!  Luke invece non faceva niente di strano, ma era pallido e sofferente. Essendo il frontman del gruppo era stato bombardato di arance più di tutti loro. Sembravano tutti sull'orlo di una crisi di nervi, ma forse lui stava peggio di tutti. Gli tremavano leggermente le mani e il senso di nausea continuava a crescere. Si sentiva la testa leggera leggera come un palloncino gonfiato con l'elio. Aveva paura che il suo sistema nervoso non reggesse bene all'urto di tutta quella realtà. Provò il desiderio sconfortante di potersene andare da lì alla velocità della luce. Sparire, smaterializzarsi, disperdersi nell'aria. Come la chiamavano? Ansia di disintegrazione? O desiderio di disintegrazione? Non se lo ricordava più e poi non aveva molta importanza tanto la sostanza non cambiava. Avrebbe dato qualsiasi cosa per non essere lì. 
E invece c'era. Proprio mentre si struggeva dal desiderio di sparire vide arrivare due montagne umane,  uno bianco e l'altro di colore, altissimi e vestiti di tutto punto in giacca e cravatta. Erano le guardie della sicurezza della villa, Michael ricordava di averli visti al loro arrivo. Erano stati loro ad aprire il grande cancello della proprietà per farli entrare con il loro furgoncino. Oh, mio Dio, pensò avvilito, che cosa doveva succedere ancora in quella stramaledetta giornata? Una invasione di locuste? Lo sbarco massiccio degli alieni?
"Dovete seguirci" disse quello di colore. "Il signor Buchanan vuole parlarvi."
"Perchè?" chiese Michael.
"Ho detto che dovete seguirci. Non create problemi."
Ovviamente non crearono problemi e furono scortati docili come pecorelle all'interno della villa ed infine fatti accomodare in un ufficio grande come un salone e lussuosamente arredato con mobili di legno scuro e massiccio. Una grande scrivania troneggiava al centro della stanza e dietro ad essa era seduto un uomo sui sessant'anni. Michael aveva visto la sua foto su numerosi siti internet e lo riconobbe subito. George Buchanan, capo del ramo californiano della numerosa e ramificata famiglia Buchanan. La sua somiglianza con Clint Eastwood era inquietante, ovviamente un Clint Eastwood più giovane. Aveva un volto dai lineamenti belli e regolari, ma l'impressione generale era di un viso duro e severo. Quasi cattivo, pensò Michael. E le numerose bacheche piene di armi che arredavano l'ufficio non contribuivano a rendere l'atmosfera più amichevole. Il signor Buchanan doveva essere un fervente sostenitore della National Rifle Association infatti al muro era appeso un gigantesco quadro che raffigurava la tipica aquila simbolo dell'associazione. Seduto assieme ai suoi amici su un divano di pelle Michael ora si sentiva svuotato e stanco, aveva la spiacevole sensazione che se avesse chiuso gli occhi si sarebbe addormentato di schianto, ma non gli sembrava una buona idea assopirsi davanti a George Buchanan. Sentiva le palpebre pesanti, la bocca impastata e aveva male dappertutto. Quelle dannate arance erano pesanti come meloni e quei bastardi gliele avevano tirate addosso con forza infernale. 
Qualcuno bussò alla porta. La porta si aprì ed entrarono Amelia e Eddie. Tenevano lo sguardo basso e avevano un'espressione di circostanza. Appena il signor Buchanan li vide iniziò a battere le mani in modo ritmico a inscenare un applauso di derisione.
"Bravi" disse. "Complimenti". 
"Edward, Amelia, ormai è ufficiale: siete due idioti!"
Michael si morse le labbra nel tentativo di reprimere un sorriso di soddisfazione. Eppure non poteva fare a meno di riconoscere la violenza strisciante nelle parole del signor Buchanan.
"Eccole le nuove leve della famiglia. Due imbecilli che hanno ideato una festa al solo scopo di linciare quattro poveri disgraziati."
Michael era stato apostrofato con tanti appellativi sgradevoli nella sua vita, ma "povero disgraziato" gli mancava. E poi che cosa intendeva esattamente per "poveri disgraziati"? Miserabili economicamente? O disgraziati moralmente? Non aveva mai pensato a se stesso come un povero disgraziato.
"Guardate come li avete conciati!" In effetti facevano abbastanza schifo, tra i graffi, le macchie di sangue e i lividi sembravano dei barboni. "E per favore fate portare subito qualcosa con cui si possano un po' ripulire. mi stanno macchiando di sangue il divano nuovo. Dannazione, è costato un occhio della testa. Questi sanguinano come quattro maiali scannati e nessuno che pensa al mio divano nuovo. Devo sempre pensare a tutto io. Siete tutti una manica di incapaci. Siete solo delle dannate sanguisughe. Solo il mio denaro volete. Solo quello. L'importante è che vi paghi  le vostre stupide feste e i vostri ridicoli passatempi da sfaccendati. Mi aspettavo di più da voi due. Siete una vera delusione."
Buchanan sembrava sul punto di disconoscere ufficialmente figlio e nipote.
 "Chiedete scusa, subito, immeditamente."  I due rampolli non se lo fecero ripetere due volte.
"Vi chiediamo scusa." dissero quasi all'unisono. Eddie e Amelia offrirono le loro scuse di circostanza senza neppure guardarli negli occhi. Non erano scuse sincere. Erano solo una recita a favore del vecchio di cui erano sicuramente interessati a calmare la rabbia.
"E spero che le scuse verranno accettate." disse Buchanan guardandoli con grande aspettativa.
E volevi dirgli di no? Aveva l'espressione di uno che poteva benissimo afferrare una delle sue pistole e tirarti una revolverata senza neppure battere ciglio. Loro ovviamente annuirono. Scuse accettate. Scuse accettate.  Buchanan apprezzò il loro essere accondiscendenti con un lieve cenno del capo. Un uomo magnanimo, non c'era di che lamentarsi.
"Vi siete fermati a pensare anche solo per un attimo a che cosa poteva portare la vostra idea?" rincarò il capofamiglia rivolto ai suoi giovani rampolli. "Che cosa vi ho detto esattamente una settimana fa in questo stesso ufficio? Vi ho detto che mi candido al Senato nelle prossime elezioni del mid-term e questo implica che la mia reputazione sia immacolata. E voi dovete collaborare comportandovi di conseguenza. Dovete adottare un basso profilo, dovete essere irreprensibili. Non ho alcuna intezione di mandare tutto a puttane perchè due ragazzini vogliono comportarsi come delinquenti."
Il signor Buchanan parlava lentamente e sputava le parole come fossero stati insulti. Era arrabbiato, ma la sua rabbia fuoriusciva solo dallo sguardo severo e dalla voce bassa e minacciosa. Un tipo di combinazione che Michael soffriva particolarmente. Le persone dure come quell'uomo gli mettevano soggezione, di fronte a loro aveva voglia di chiudersi a riccio, di nascondersi, di chiudere tutto il mondo fuori. Sapeva che era una forma di protezione, ma non poteva fare a meno di sentirsi debole.
"E se questi disgraziati ci denunciassero? Se volessero i danni per l'aggressione subita? Finiremmo su tutti i giornali e la mia campagna elettorale verrebbe affossata senza rimedio. Lo sapete che durante le  ultime elezioni  un candidato è stato escluso solo perchè la baby sitter che aveva assunto era un'immigrata clandestina?"
Il figlio e la nipote esibirono un'espressione contrita. Non osavano nemmero alzare gli occhi per incontrare quelli del signor Buchanan, sapevano solo che l'unica cosa da fare era tacere e accettare supinamente la punizione che lui avrebbe deciso.
"Guardate il biondo, ha un occhio gonfio. E se perdesse l'occhio? Se non ci vedesse più bene? Vedo già i titoli sui giornali GIOVANE MUSICISTA PERDE OCCHIO DURANTE UNA FESTA A VILLA BUCHANAN! Vi rendete conto che rischio mi avete fatto correre?"
Michael guardò Luke: in effetti l'occhio si stava gonfiando, ma dubitava che rischiasse di perdere la vista. Non l'avevano colpito proprio all'occhio, ma più che altro a lato dell'occhio. Gli toccò delicatamente il livido che si stava formando chiedendogli : "Fa molto male?" Luke come sempre minimizzò scrollando le spalle. Anche con graffi e lividi un po' dappertutto aveva un portamento stranamente regale come se tutto quel macello non l'avesse minimamente toccato.
"Allora faremo così" riprese fintamente comprensivo il signor Buchanan. "Quanto dovevate pagarli?"
"5.000" rispose Edward.
"5.000? Ma siete matti! Sono solo un gruppo di miserabili!" sospirò impaziente. "Va bene. Avrete i vostri 5.000 come pattuito, la mia famiglia mantiene sempre gli impegni presi. In più vi daremo altri 3.000 dollari per compensare i danni morali e materiali di questo spiacevole incidente." Buchanan li guardò con uno sguardo magnanimo al massimo livello. Era l'imperatore romano che concedeva la grazia ai condannati a morte. Il potente che salvava il povero dalla garrota. 
"Voi, in cambio, firmerete una dichiarazione con valore legale nellla quale vi impegnate a non denunciarci. Con questa transazione considereremo chiuso per sempre l'increscioso incidente di questa sera."
Li stava comprando. Michael non voleva essere comprato, lui non era in vendita, da un certo punto di vista si considerava un puro. Non gli piacevano i compromessi, lui era contrario a quel tipo di cose. Il ricco prepotente che li schiacciava solo perchè loro erano deboli e lui era forte. Il denaro che poteva comprare e corrompere ogni cosa.  
"Siamo d'accordo." disse Ashton prendendo in mano la situazione. "La transazione che lei ci propone ci sembra equa e non abbiamo nessun desiderio di farle causa. Firmeremo tutto quello che vorrà."
Buchanan chiuse gli occhi annuendo soddisfatto. "Bene. Siete quattro ragazzi intellgenti."
Più che altro erano quattro zerbini, pensò Michael. Avrebbe voluto alzarsi in piedi e urlare NO! NON VE LA CAVERETE COSI'! TUTTI DEVONO SAPERE COME TRATTATE LE PERSONE! TUTTI DEVONO SAPERE COME VI DIVERTITE A UMILIARE IL PROSSIMO! Ma non riuscì a proferire parola. Avrebbe voluto, ma non lo fece. Ashton aveva fatto la cosa giusta, non c'erano grosse alternative per loro. Non avrebbero neanche potuto permettersi un avvocato figurarsi sostenere una causa contro uno come George Buchanan. E per cosa poi? Per farsi risarcire qualcosa che Buchanan era disposto a risarcire subito senza tante complicazioni? Era deluso da se stesso perchè aveva sempre pensato di essere un ribelle, ma ora si rendeva conto di esserlo solo a parole. Un vero ribelle, un vero punk, si sarebbe opposto, avrebbe rifiutato il compromesso.  Invece messo di fronte all'occasione di provare concretamente il suo essere contro il sistema aveva fallito miseramente. Che senso aveva indossare magliette con la scritta BREAK THE STATUS QUO o FUCK THE SYSTEM  se non si era nemmero in grado di dire un semplice: NO!
Quando Michael appose la sua firma sul documento appena redatto e stampato dal solerte legale di Buchanan provò una fitta al cuore. Il suo portafoglio ne usciva rimpolpato, ma il suo amor proprio ne usciva decisamente malconcio.

EPILOGO
Edward ed Amelia stavano facendo colazione nel  lussureggiante giardino in fiore di villa Buchanan. Edward era affamato, continuava a mangiare e a bere senza neppure curarsi dell'aria imbronciata della cugina. Non aveva voglia di ascoltare le sue lamentele, a volte sapeva essere così terribilmente noiosa. Però quella faccia scocciata che aveva davanti gli stava quasi rovinando la colazione. Quasi, pensò mentre addentava l'ennesima fetta di pane tostato cosparsa di miele e avocado.
"Allora tuo padre ha scoperto tutto?" chiese Amelia.
"Quando mai a mio padre sfugge qualcosa? Ha fior di collaboratori che stanno lì solo per scandagliare la stampa e il web alla ricerca di possibili falle e crepe nella sua preziosissima immagine. Pensare che qualcosa possa sfuggirgli è da sciocchi." rispose  Edward quasi infastidito. Odiava dover spiegare e rispiegare cose ovvie come quelle. Amelia viveva con loro da più di un anno e non aveva ancora imparato come funzionavano le cose. Che cosa diamine doveva fare con lei? Farle un corso accelerato di gestione dell'immagine pubblica di una influente famiglia del Sunshine State? Povera Amelia, doveva ammettere che se l'era immaginata più scaltra e intelligente.
"E che cosa ha detto delle riprese delle web cam? insistette Amelia.
"Ha detto che non gliene frega niente. Se una cosa non lo danneggia, e i suoi consulenti di immagine gli hanno detto che non lo danneggerà,  per lui è priva d'interesse. Dopotutto l'attenzione del web non si è concentrato sul posto dove si è svolto l'evento, ma sui protagonisti dell'evento."
"Già! Luke, Ashton, Calum e Michael ovvero i Five Seconds of Summer!" precisò Amelia.
"Che nome di merda! Mi  piacerebbe di sapere chi dei quattro se l'è inventato. Michael, probabilmente." commentò sarcastico Eddie prima di bere un altro sorso di spremuta di arancia.
"Quel ragazzo per me non è normale. Tu che l'hai frequentato com'è?"
"Io non l'ho mai frequentato!" disse Amelia offesa.
"Ah, già, tu andavi all'appartamento solo per farti scopare da Luke, quasi dimenticavo, scusa." altro sarcasmo da parte di Edward.  "Ma come funzionava, scusa. Ti chiudevi in camera con Luke e tutti loro sapevano che andavi là solo per......quello? Che cosa volgare!"
Amelia lo guardò male, ma a Edward non importava. Poteva anche incenerirlo con lo sguardo, ma lui avrebbe continuato a criticarla senza pietà. Era ospite in casa loro e doveva comportarsi bene. Farsi scopare dal primo bel faccino che passava era da provinciali. La sua condotta poteva avere effetti negativi anche sul resto della famiglia. 
E poi a Edward rodeva ancora che il loro splendido piano fosse naufragato miseramente. In realtà l'aggressione ai "poveri ragazzi" era stata solo una parte della trama che lui aveva ordito con tanta cura e attenzione. Prima della festa Edward aveva piazzato tre web cam nel giardino in posizioni strategiche, il loro compito era quello di riprendere tutta l'esibizione dei 5SOS e di trasmetterla live su diversi siti da lui precedentemente predisposti. Tutti li avrebbero visti umiliati, insultati e feriti. Peccato che le cose non fossero andate come lui aveva previsto. Certo, le web cam avevano ripreso tutto, ma la reazione del web non era stata esattamente quella che lui si era aspettato. I video della serata si era diffusi velocemente ed erano diventati virali. Edward si era immaginato derisione e invece aveva visto ammirazione,  aveva agognato una umiliazione feroce e invece aveva assistito a un trionfo schiacciante. Grazie ai suoi video ora tutti li conoscevano e parlavano di loro, lodavano le loro qualità di performer, la loro capacità di rimanere sul palco nonostante la grandinata di arance che avevano dovuto subire. Un trionfo, maledizione. Un trionfo su tutta la linea. E uno smacco per lui ovviamente. Tanto lavoro e tanta preparazione per nulla. Sperava solo che quella popolarità mediatica si spegnesse presto. Proprio non sopportava di avere fatto la loro fortuna. 
"Edward?" disse Amelia.
"Che c'è ancora?" rispose lui ormai decisamente di cattivo umore.
"Credi che Luke ce l'abbia con me?"
Edward la guardò annoiato.  Mio Dio, ma perchè sua cugina continuava a fissarsi sul quel dannato Luke. "No, vorrebbe solo vederti morta."
"Così non mi aiuti!"
"E perchè dovrei aiutarti? Fai domande stupide. E' ovvio che ce l'ha con te. Gli hai tirato addosso delle arance pesanti come meloni. Gliene hai tirata una che quasi gli toglieva un occhio. Credi che lui provi affetto o simpatia per te?"
Amelia sospirò avvilita.
"Comunque non ti preoccupare il ragazzone sta bene. L'occhio si è sgonfiato e le ragazze continuano a morirgli dietro come sempre. Non è  proprio il caso che ti preoccupi per lui. Sta che è una favola."
Edward osservò la cugina. Improvvisamente gli parve pallida e sciupata. Aveva gli occhi spenti. Povera creatura! Si stava consumando d'amore. Dio, che vergogna innamorarsi di un mezzo artista da strapazzo.
"Amelia te lo devi dimenticare. Non mi importa come riuscirai a farlo, ma lo devi fare. Per il buon nome della famiglia, capisci? E anche perchè mio padre potrebbe stancarsi e rispedirti a Minneapolis. E tu questo non lo vuoi, vero?" la guardò negli occhi con fermezza.
"Ora vatti a dare una sistemata. Fai schifo. Sembri una morta. Oggi papà ha un'intervista importante. Vuole averci vicino ed esibirci come trofei. Dobbiamo essere perfetti. Non puoi farti vedere con quell'aria sofferente."
Nonostante le sue esortazioni Amelia non si mosse.
"Sei ancora lì? Muoviti! La troupe televisiva sarà qui a minuti e tu sei impresentabile."
Con tutte le cose orribili di cui doveva occuparsi ora mancava anche quell'imbecille di Amelia! Maledetta quella volta che suo padre l'aveva fatta venire da Minneapolis! 
Il suo smartphone trillò in modo inconfondibile. Chi diavolo rompeva le palle a quell'ora del mattino? Un nuovo commento al video dei 5SOS!!! Altre lodi sperticate! Quanto sono fighi! Quanto sono bravi! E altra cazzate varie. 
"FANCULO!" urlò scagliando l' iphone nuovo di zecca contro il muro.
 
 Il telefono squillava. Ma non era uno dei loro cellulari. Era il telefono fisso dell'appartamento studentesco che occupavano. L'apparecchio, probabilmente muto da anni, aveva ripreso a dare segni di vita all'improvviso quasi per scherzo. Una sera aveva iniziato a squillare e loro quattro l'avevano guardato interdetti. Fino a quel momento avevano sempre pensato che fosse rotto o disabilitato. E invece qualcuno chiamava. La prima volta, presi alla sprovvista dalla novità della cosa, non avevano neppure risposto. Si erano limitati ad ascoltare quegli squilli troppo forti che rimbombavano nel salotto semi-vuoto. 
"Sono cattive notizie." aveva detto Ashton. "Sicuro come la morte che sono cattive notizie."
"Perchè? Probabilmente è solo qualcuno che ha sbagliato numero. Chi vuoi che telefoni a noi?" aveva fatto notare Calum.
"E' il proprietario dell'appartamento che ci vuole aumentare l'affitto." aveva ipotizzato Michael.
"Perchè? Perchè siete così pessimisti? Non c'è motivo di essere così negativi?" si era spazientito Calum.
"Basta non rispondere." aveva concluso Luke serafico come sempre.
"Tanto non suonerà più. E' uno sbaglio. E' solo un errore." ci aveva dato un taglio Calum.
E invece il telefono squillò di nuovo. Si guardarono in faccia dubbiosi. Rispondere o non rispondere? Buone notizie o cattive notizie?
"Vedete? Insistono! Sono cattive notizie!" disse Ashton.
"E se fosse una bella ragazza?" ipotizzò Calum.
"E se fosse un creditore che ci vuole massacrare perchè non paghiamo?" aggiunse sarcastico Michael.
"Perchè? Abbiamo ancora dei debiti? Credevo che avessimo saldato tutto!" chiese Calum
"Niente più debiti. Non è un creditore." fece notare Ashton.
"E se rispondessimo?" si fece avanti Luke.
Troppo tardi. Il telefono aveva smesso di squillare.
La terza volta che squillò si fecero trovare pronti. Disposti tutti e quattro attorno al telefono osservavano quell'aggeggio ormai superato tecnologicamente emettere squilli forti e insistenti. 
"Rispondiamo!" disse Calum impaziente.
"No, per favore, non sono in grado di reggere altri stress. Facciamo finta che questo accidente di telefono non esista neppure. Stacchiamo addirittura la spina e dimentichiamocene." propose Ashton.
"E se è qualcosa di importante?" arguì Michael.
"Cosa ci può essere di importante? Perchè  non chiamano ai nostri cellulari allora?" fece notare Luke.
Michael continuava a fissare il telefono come se fosse stato una bomba a orologeria. Era stanco di quella storia. Ed era terribilmente curioso. Allungò la mano, afferrò la cornetta e se la portò all'orecchio. Gli altri ammutolirono, non si erano aspetttati un gesto così rapido e fulmineo da parte sua.
"Pronto" disse con voce calma e piatta. Seguì silenzio.
"Sì, sono Michael Clifford." Intenso parlottare all'altro capo del telefono.
"Sì, sì, ho capito." Altro parlottio, ma meno lungo del precedente.
"Va bene, va bene. Lunedì prossimo, siamo d'accordo."
Gli altri guardavano e ascoltavano. Poi Michael si allontanò la cornetta dall'orecchio senza riagganciarla. Era pallido, ma gli brillavano gli occhi.
"Allora? Chi è Michael?" chiese Ashton spazientito.
"E'....è l'amministratore delegato della divisione Warner Music per il nord America. Vuole.... vuole vederci."
Lo guardarono senza realizzare subito l'importanza del momento.
"Vorrebbe metterci sotto contratto." concluse Michael.
E il resto è storia!



 
   
 
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