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Autore: Chiccaxoxo    27/04/2024    1 recensioni
La storia è IC e Canon Compliant, ho solo aumentato l’età dei personaggi.
Trigger presenti: aromanticismo, asessualità, tentativo di suicidio, depressione, crisi d’identità.
Itachi x Izumi molto atipica
Izumi Centric.
Izumi non è disponibile nella lista personaggi
.
Questa storia partecipa all'iniziativa di scrittura Le 12 fatiche dello scrittore di fanfiction indetta da LadyPalma e Mati sul forum Ferisce la Penna.
Da troppo tempo Izumi è indispettita dal disastro di donna che si rende conto di essere. Avrebbe potuto fare meglio, impegnarsi di più, avvalersi di metodi o parole più consoni, affinare la cura dell’aspetto evitando di incaponirsi con la panzana del dover risultare gradevole, prima di tutto, a se stessa. Non ha imparato a essere più flessibile, disponibile. Forse non le ha davvero provate tutte.
Oppure sì?
Ma come fare breccia nelle esistenze altrui senza risultare molesta?
[…]
“Senti, Itachi. Hai mai pensato a come dovrebbe essere la tua ragazza ideale? Io sì. Un’idea me la sto iniziando a fare su quello che desidero per il futuro.”
“Perché me lo chiedi?” intanto si era divorato l’ultima pallina “Francamente no, la vita mi sta bene così.”
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Itachi, Shisui Uchiha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Naruto Shippuuden
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Adesso

 

 

La soluzione è arrivata. Eccola, è lì davanti a lei. Fa parte di quelle occasioni che si presentano senza avvertire, in giorni scomodi e senza badare all’umore, ma che sono afferrabili una volta sola. Per cogliere opportunità di questo tipo, bisogna essere disposti a mandare all’aria programmi e abitudini spesso stilati nell’arco di anni. Una vita.

Izumi non può tirarsi indietro adesso. Sì, è notte, fa freddo, è stata costretta ad abbandonare la consueta cena insieme ai genitori. Deve accettare di non poterli salutare, rinunciare alla spiegazione che avrebbero meritato. Ma come prevedere che la confusione esplosa improvvisamente in strada potesse essere il tanto agognato rimedio al fallimento che ella è? Da troppo tempo Izumi è indispettita dal disastro di donna che si rende conto di essere. Avrebbe potuto fare meglio, impegnarsi di più, avvalersi di metodi o parole più consoni, affinare la cura dell’aspetto evitando di incaponirsi con la panzana del dover risultare gradevole, prima di tutto, a se stessa. Non ha imparato a essere più flessibile, disponibile. Forse non le ha davvero provate tutte.

Oppure sì?

Ma come fare breccia nelle esistenze altrui senza risultare molesta?

Basta, deve ammettere che quando una persona non nasce appetibile o interessante non c’è niente da fare. Da tempo ha capito che non può essere idonea come compagna di vita e, neanche, come amica.

Cosa resta, allora? Solo lo squallore di concedersi al primo miserabile raccattato per strada pur di non restare sola, una vita sprecata nell'accontentarsi; una futura vecchiaia inondata di lacrime e intrisa di rimpianti.

Izumi non è certa di poter reggere l’inevitabile avvenire che l’aspetta, perciò il desiderio di sottrarsene le balena spesso in testa. E ci ha anche provato. Solo che i semi di Stramonio non sono stati abbastanza. È talmente inutile e sciocca da non essere riuscita a stare più di un mese senza mangiare. E poi? Quali terribili sensazioni proverebbe in volo in attesa di schiantarsi nelle acque del fiume Naka? Potrebbero essere peggio della banale sorte verso cui la indirizza l’inettitudine? Le allucinazioni in seguito all’avvelenamento sono state mostruose, ancora di più le scuse che ha dovuto sciorinare ai genitori finché non è riuscita a rialzarsi dal letto.

Vigliacca. Ecco perché la fine deve per forza arrivare dall’esterno, da mani non sue.

Izumi lancia lo shuriken in direzione dell’uomo mascherato senza l’intenzione di colpirlo, piuttosto con quella di attirarne l’attenzione. Lui la nota, si sofferma con calma a esaminare la mocciosa malgrado il cataclisma che si lascia alle spalle nella stazione della polizia. Finestre rotte e schizzate di sangue, cadaveri ammassati sulla soglia del portone.

Izumi abbozza un sorriso, ha l’impressione di indovinare l'espressione tetra della faccia dell’uomo attraverso l’unico foro disponibile. Legge la sua fine, gli occhi assottigliati nella stizza di essere stato interrotto da una diciannovenne. Lui è abile, spietato, inarrestabile. Non si è sporcato maschera, capelli e divisa, non ha neanche il respiro accelerato.

Lei è solo un fastidioso contrattempo, uno scarafaggio da schiacciare.

“Oh… sì” Izumi non trattiene il sollievo. È fatta. La soluzione.

È lieve la lunga catena con cui lui la stritola, la spira di un mostro gentile. Per catturarla ha mosso appena le dita.

Ma lo sguardo che Izumi si trova dinnanzi dopo essere rotolata, lacerata dalle escoriazioni, sull’asfalto, non era previsto. Le lacrime le appannano la vista. Vorrebbe gridare, chiedergli cosa ha sbagliato e perché non è stata all’altezza.

Gli occhi di Itachi non rivelano disprezzo, niente di analogo all’energia ostile emanata dal volto celato dell’altro uomo. Piuttosto una totale indifferenza, che fa ancora più male.

 

 

Nove anni prima

 

 

Nonostante Izumi avesse amato quello sguardo di ossidiana più di se stessa, non ne aveva mai avuto l'esclusiva. Già dal primo giorno di Accademia aveva dovuto destreggiarsi tra la rivalità delle compagne. Itachi, infatti, riscuoteva un discreto successo tra il pubblico femminile. Peccato non gliene fregasse niente.

Izumi si era rincuorata avvedendosi di come Itachi non era scalfito dalle maldestre dichiarazioni delle compagne, gongolava vedendolo rifuggire l’appiccicaticcio, gli sguardi allusivi, risolini e sussurri. Lei sì, per Itachi sarebbe stata diversa.

Avvicinare Itachi nei corridoi dell’Accademia senza scatenare un putiferio tra le altre ragazze era impossibile, perciò Izumi aveva deciso di rincorrerlo in strada dopo avergli concesso diversi metri di vantaggio, questo lo avrebbe posto a debita distanza dall'imbarazzo.

Lo aveva raggiunto in due balzi dato che lui procedeva con la solita flemma, come se il mondo circostante non esistesse. Chissà cosa rimestava Itachi in quella testa, Izumi era certa che bastasse scoprirlo per ottenere il suo interesse.

“Ciao…” Izumi si rendeva conto di essere a corto di scuse e parole, l'elettrizzazione per essere riuscita ad avvicinare Itachi in un posto tutto sommato appartato l’aveva ubriacata. Non aveva elaborato una strategia per attaccare bottone “Lo sai che anche io appartengo al clan Uchiha?”

“Contento per te.”

Izumi non si era fatta abbattere dall’atteggiamento al limite della scortesia che Itachi riservava a chiunque tentasse un approccio con lui. Non era intenzionata a demordere come, invece, erano soliti fare gli altri studenti. Itachi li smontava sempre dopo il primo scambio di battute.

“Frequento la sezione accanto alla tua.”

“E allora?”

“Beh… pensavo…” Izumi esitava, il brusco tagliare corto di Itachi le aveva minato la sicurezza “Dal momento che gli Uchiha occupano tutti il medesimo borgo, potremmo fare la strada insieme.”

“Mi dispiace, non ho tempo.”

Così Izumi era rimasta lì, a mangiarsi la polvere sollevata da Itachi mentre correva via come un fulmine.

 

Un anno dopo

 

Forse Itachi reputava superfluo farsi degli amici o approcciarsi alle ragazze perché non aveva ancora trovato nessuno degno, d'altronde, a soli otto anni, era lo studente più brillante di tutta l’Accademia, superava persino i più grandi in voti e abilità. Questo non poteva che suscitare invidia nei suoi confronti.

Izumi percorreva il corridoio più lenta possibile, aveva bisogno di tempo per frugarsi nella testa. Con Itachi bisognava giocare d’astuzia, che stupida era stata a credere che fosse facile sedurlo. No, puntare sull’aspetto o sciocche smancerie non era il metodo adatto, meglio lasciarlo fare alle altre.

Con Itachi bisognava dimostrare di essere una ragazza… con le palle.

Soddisfatta per aver elaborato una soluzione soddisfacente, Izumi aveva compresso le labbra per evitare al sorriso compiaciuto di disegnarsi sulla sua faccia, meglio evitare le occhiate e le fastidiose richiese di spiegazioni da parte delle amiche.

“Siete stati voi a scatenare l’Enneacoda contro il villaggio, solo lo sharingan è in grado di soggiogarlo” Izumi era sobbalzata alle voci conciate che si levavano dal capannello di persone pochi metri più avanti “Che mi dici di tuo padre e tua madre, piccolo arrogante? Mettiti in ginocchio e chiedi perdono a nome del tuo clan.”

Izumi si era appropinquata a grandi falcate verso la rissa, non sapeva discernere se a muoverla fosse un reale senso di giustizia o un mero desiderio di farsi finalmente notare da Itachi.

“Non dobbiamo chiedere scusa a nessuno” aveva tuonato lei facendo sobbalzare più un una persona, Itachi compreso. Una reazione, la statua di ghiaccio si era mossa. Izumi aveva sentito nuova forza scorrerle nelle vene “Abbiamo perso parenti e amici durante l’attacco.”

“Fatti gli affari tuoi, donna.”

“Neanche per sogno.”

“È lo sharingan, filiamo!”

Tre bulli in fuga davanti a una ragazza, notevole. Perfetto.

“Tutto bene?” Izumi era ansiosa di cogliere la reazione di Itachi.

Il cuore le batteva all’impazzata, ma non per la paura o a causa dell’energia succhiata dallo sharingan. No, si trattava dell’angoscia del momento decisivo. La trovata che avrebbe dovuto metterla un gradino sopra le sue compagne e stregare il cuore di Itachi per sempre. Lo aveva salvato, diamine. Lei aveva ottenuto lo sharingan prima di lui.

Guardava Itachi ansante, i pugni serrati, gli occhi che ancora le bruciavano.

Nulla, lui la ispezionava come fosse trasparente. Con l’espressione apatica di uno che ha appena ordinato il pranzo a un fast food ed è seccato dalla fila. La voragine di vuoto che le si era aperta nel petto le aveva fatto vedere tutto nero.

Si era risvegliata in infermeria, era ormai pomeriggio.

“Bene, visto che ti sei ripresa, io torno a casa. È tardi, il mio fratellino Sasuke non può comprendere bene le ragioni della mia assenza.”

“Itachi…”

Nel tempo di estrarre la mano dalle coperte, lui si era già defilato.

Non le era rimasto che tapparsi gli occhi lacrimosi con il braccio. Le avrebbe fatto piacere sentirsi chiedere da Itachi come avesse risvegliato lo sharingan, eppure anche lui sapeva che era la conseguenza di un forte dolore. Avrebbe voluto raccontargli della morte di suo padre.

Invece era rimasta a frignare da vigliacca, di nascosto da tutti. Da Itachi, che di sicuro non avrebbe approvato ridendole in faccia.

 

Sei anni dopo

 

Izumi si era tranquillizzata, Itachi l’aveva ringraziata per averlo salvato dai bulli e si era reso disponibile a diverse attività da lei proposte. Pranzi, passeggiate a cui lui, a volte, partecipava anche Sasuke. C’era stato qualche scambio di regali in occasione di compleanni o festività; si raccontavano informazioni personali, come i progetti su allenamenti, studio e futuro. Itachi le chiedeva spesso se avesse imparato a padroneggiare lo sharingan. Lui viveva per tutto questo e suo fratello, si entusiasmava sempre toccando gli argomenti che gli stavano a cuore, perciò Izumi cercava di trattarli più spesso possibile. Tuttavia, il rapporto non decollava, mancava quel salto di qualità che, a un certo punto, dovrebbe trasformalo in qualcosa di diverso dall’amicizia. Quella specialità dedicata solo a lei che Izumi si aspettava. Magari erano mancate le occasioni davvero intime, Izumi si riprometteva di accennare il discorso non appena se ne fosse presentata l’occasione. Opportunità che, aveva già intuito, sarebbe toccato a lei creare.

Attendere un’iniziativa simile da parte di Itachi sarebbe equivalso trascorrerci l’eternità. Lui, infatti, dava l’impressione di accettare passivamente le situazioni e il mondo circostante, non gli interessava smuovere le acque del destino per crearsi una vita propria e appagante. Itachi sembrava succube di un positivismo estremo, credeva che essere ligi al dovere, nella vita, fosse tutto.

Oppure, Itachi si era semplicemente persuaso di non meritare amore.

Intenerita da quell’ultima eventualità, Izumi lo aveva invitato a uscire subito dopo la scuola, in modo che lui non potesse rifilarle le solite scuse del tempo mancante o dello studio da portare a termine.

No, in realtà Izumi doveva ammettere che desiderava schivarsi la presenza di Sasuke. Non poteva certo arrischiarsi a chiedere a Itachi l’esclusiva di un'uscita da soli. Azzardarsi a competere con Sasuke nel cuore di Itachi, sarebbe equivalso a farsi bollare come appiccicosa e fastidiosa. Senza rimedio.

Giocare d’astuzia, non doveva dimenticarlo.

“Ne è passato di tempo, vero?” solo una settimana. Però iniziare una conversazione con Itachi era come infrangere, ogni volta, un muro di granito.

Izumi fingeva indifferenza dondolando lemme le gambe dal pontile, intanto scrutava di sottecchi Itachi, seduto accanto a lei.

Lui non accennava a muoversi, attendeva indolente il proseguo del discorso.

Lei era stata attanagliata da un dubbio improvviso, una morsa che le aveva provocato una fitta al petto. Era stata addirittura costretta a fissare la sua immagine riflessa nell’insenatura del Naka per dissimulare la smorfia di dolore.

Aveva dedotto che forse la compagnia concessale da Itachi poteva essere un modo per ringraziarla di averlo salvato. Riconoscenza di un ragazzo educato, nulla più. Probabilmente a Itachi non interessava una relazione, un rapporto di qualunque tipo avrebbe eroso tempo prezioso ai suoi progetti e a Sasuke. Izumi realizzava solo adesso come lui non avesse mai cercato di afferrarle la mano, non le aveva mai sorriso o guardata in un certo modo.

Purtroppo era pressoché impossibile decifrare i pensieri di Itachi.

Izumi aveva allungato timidamente una mano verso la scatola di dango posta tra lei e Itachi, una scusa per prendere tempo ed elaborare qualcosa da dire. Nonostante lui li adorasse, non ne aveva toccato nemmeno uno, continuava a guardarsi davanti perso in un punto indefinito.

Finalmente una reazione di lui. Anche se inaspettata e fuori luogo, Izumi ne era stata estremamente rincuorata. Itachi l’aveva fissata con ostilità congelandola nell’atto di infilarsi in bocca la prima pallina di dango, quella rosa.

“Non mi avevi detto di volerne uno” Izumi gli aveva offerto volentieri il dolcetto “Tieni.”

Lui era prima avvampato e si era voltato, poi aveva accettato per masticare soddisfatto e con un lieve sorriso.

Nonostante il puerile comportamento di lui l’avesse lasciata attonita -davvero strano da uno così intelligente- le aveva, però, infuso il coraggio di continuare la conversazione: “Senti, Itachi. Hai mai pensato a come dovrebbe essere la tua ragazza ideale? Io sì. Un’idea me la sto iniziando a fare su quello che desidero per il futuro.”

“Perché me lo chiedi?” intanto si era divorato l’ultima pallina “Francamente no, la vita mi sta bene così.”

Lei aveva sorriso, si sforzava di restare discreta e di non far erompere troppo potente la gioia di aver trovato una breccia in Itachi. Doveva fargli comprendere che gradiva la sua compagnia senza essere invadente.

Giocare d’astuzia e con cautela. Tuttavia, doveva indagare.

“Lo so che la mente è importante, Itachi, e anche eccellere nello studio. Però ormai siamo prossimi a quell’età in cui anche il corpo scalpita per farsi sentire, è normale. Insomma, abbiamo quattordici anni e non siamo più bambini.”

Lui era imperturbabile, la esaminava per capire dove ella volesse andare a parare. Niente cambiamento d’espressione, forse un lieve assottigliarsi degli occhi e un accenno di ritrosia, ma poteva essere solo un’impressione. Dannazione, come era umiliante, ma mai come una schietta dichiarazione rifiutata. Perciò, proseguire la discussione era stato doveroso. Anche alla svelta se non voleva infastidire Itachi.

“Itachi, tu ti sei mai toccato determinate zone del corpo?” Izumi cercava di far trasparire più disinvoltura possibile.

“In che senso?” lui era serio, per niente turbato “Che domande sono? Come tutti, mi tocco per lavarmi, vestirmi e pettinarmi.”

Izumi si era ritrovata di nuovo spiazzata dalla naturalezza di Itachi. Era arrossito solo all’offerta del dango, sembrava ragionare al contrario rispetto al resto del mondo.

Lei era talmente scossa da avere la nausea. Aveva provato, con tatto, a porre la questione diversamente.

“Ti sei mai svegliato nel cuore della notte sorpreso da un intenso piacere? Magari scatenato da una fantasia.”

“Sono sempre felice quando sogno di giocare con Sasuke.”

Stavolta era stata lei ad avvampare, una guerra persa. O forse era solo timido.

No, quella era pura indifferenza, era palese che nessuna emozione sfiorasse Itachi. O non ci arrivava. Izumi non aveva mai sperimentato controversie così devastanti.

Aveva abbassato gli occhi sulla scatola di dango che adesso non le andavano più, era rimasto sospeso a mezz’aria persino quello che aveva in mano. Si era alzata di scatto ed era corsa via prima di scoppiare a piangere. Non capiva se a Itachi non importasse niente dell’amore o se avversasse solo lei in particolare.

Itachi non l’aveva chiamata, nemmeno seguita. Certamente era felice che i dolcetti fossero rimasti tutti a lui.

 

Quasi un anno dopo

 

“Non hai ragione di preoccuparti tanto, Izumi” Shisui le si era seduto accanto sulla grossa pietra, reduce da uno sfiancante allenamento interrotto a causa della presenza di lei, si detergeva il sudore accaldato e ansimante “Itachi sa quello che fa.”

“Lo dobbiamo aiutare, invece, Shisui” Izumi aveva stretto i pugni senza mollare l’enfasi, i suoi occhi inconsapevolmente supplichevoli erano fissi in quelli del ragazzo “Itachi è assorbito solo dai suoi interessi personali. Esami, allenamenti, non fa altro che tartassarmi con domande sullo sharingan. Sasuke e…”

E te.

Già, perché non era la prima volta che Izumi seguiva Itachi di soppiatto. Dopo il catastrofico pomeriggio sul pontile, aveva deciso di trovare una risposta ai tentativi fallimentari che collezionava da mesi. Quasi un anno, ormai.

Itachi si faceva sempre più incantevole, ma la crescita sembrava scivolargli addosso sottovoce, non gli smuoveva nessuno stimolo che lo facesse smettere di considerare futile l’amore.

Osservando i due ragazzi di nascosto, Izumi era giunta alla conclusione che anche Shisui era considerato da Itachi come un mero strumento da usare per il raggiungimento dei suoi obiettivi. L’Accademia era troppo poco impegnativa per Itachi, si annoiava, da lì scaturiva il bisogno di allenarsi con il ragazzo più grande che ne sapeva di più. Nonostante Shisui si fosse affezionato al più giovane, Itachi scansava i gesti affettuosi, come le rudi carezze sui capelli. Itachi restava lì a soppesarlo con rigidità, sembrava chiedersi perché diavolo Shisui avesse scelto proprio lui come amico finendo anche per tollerare il suo caratteraccio.

Lo sguardo di Izumi era crollato in basso, sulle scarpe. L’agitazione la costringeva a torturarsi la gonna con le mani: “Itachi è molto di più di questo, non credi? Sembra che trovi soddisfazione solo nell’oberarsi di impegni, non è giusto che ritenga frivoli passatempi e piaceri. ”

“Itachi è senza dubbio speciale, molto oltre la media. Pensa che a volte mette in crisi persino me” Shisui aveva la fronte aggrottata, in ascolto. Itachi gli interessava sul serio “Ma non credere che viva l’assenza di un legame sentimentale come una privazione. Piuttosto si sentirebbe in gabbia se costretto a fare il contrario. È troppo eccellente perché noi possiamo comprenderlo. Ma se gli vuoi davvero bene, Izumi, non obbligarlo ad andare contronatura. Ti odierebbe per sempre.”

 

 

Tre anni dopo

 

Le parole di Shisui l’avevano talmente traumatizzata da allontanarla definitivamente da Itachi. Non era il caso di farsi odiare. Crescendo, magari Itachi avrebbe cambiato idea, lei aveva intenzione di aspettarlo e di concedergli tutto il tempo di cui avesse avuto bisogno.

Però, gli anni erano trascorsi asettici. Itachi aveva ottenuto lo sharingan e aveva imparato a gestirlo in tempo record. Dopo l’ingresso negli ANBU, tra una missione e l’altra, era diventato complicato incrociarlo. Izumi si consolava al pensiero che, finché lontano, Itachi non era bersaglio nemmeno delle mire delle altre ragazze. Le piaceva pensarlo chiuso in uno scrigno di cui lei, prima o poi, avrebbe trovato la chiave.

Quando Itachi rientrava non si faceva vedere, riposava un paio di giorni rintanato in casa a godersi Sasuke, poi sgattaiolava nel bosco con Shisui. Izumi lo sapeva perché continuava a fare appostamenti per spiarlo.

Malgrado fosse schifata da se stessa, doveva sapere. Quello era l’unico metodo che le avrebbe permesso di carpire il segreto finale, di fare breccia. Perché un punto debole Itachi doveva pur averlo, come tutti.

Gli incontri tra Itachi e Shisui, però, non erano più costituiti di soli allenamenti. Ultimamente avevano preso a parlare fitto fitto in disparte; quando era presente Sasuke, non facevano che scambiarsi occhiate sopra la sua testa. Certamente allusività di cui il più piccolo doveva restare all’oscuro.

Sebbene avesse solo diciotto anni, Itachi sembrava molto più grande della sua età, un uomo fatto. Le sue gambe si erano fatte slanciate; il fondoschiena ben modellato, stretto nell’uniforme, avrebbe fatto perdere la ragione a chiunque. Izumi aveva notato un cambiamento nel modo che aveva Shisui di ammirare Itachi, non perdeva occasione per sfiorarlo, non più scherzoso e grossolano come un tempo.

Itachi restava distaccato, non prendeva mai l’iniziativa e non raccoglieva quelle di Shisui. Poteva trattarsi di timidezza, proprio come dedotto da lei anni addietro.

Ecco perché Shisui l’aveva sottoposta a tutto quel ciarlare l’unica volta che si erano incontrati, il suo fine era stato tenersi Itachi tutto per sé.

Perché ingannarla? Perché non ammettere subito l'omosessualità di entrambi? Izumi aveva sprecato ben quattro anni appresso a questa bugia.

Mentre fuggiva via dal bosco, piangeva libera di gridare tutto il suo fallimento.

Per essere degna della stima di Itachi, non le serviva assomigliare a qualcun altro. Piuttosto essere qualcun altro.

 

***

 

I pronomi maschili potevano passare per sviste, o ipercorrettismo della lingua. Il nome, tutto sommato, era neutro. Poteva tenerselo.

Ora che l’impiccio di Shisui si era tolto di mezzo per sempre, Izumi si era impadronito del luogo in cui Shisui e Itachi si allenavano con le armi da lancio. Da allora, era rimasto disseminato di bersagli. Inviolato, dopo la morte di Shisui.

Il punto di partenza, l’inizio della trasformazione. Da lì era scaturita l’ammirazione di Itachi per qualcuno e viceversa. Il segreto che Izumi cercava da una vita.

Sì, era consapevole di essere egoista e che stava gioendo della morte di un ragazzo. Perfettamente conscio di saper solo odiare, ma era stata la maledetta vita a condurlo a tanto. Nessuno nasce crudele, ci diventa a causa di fattori esterni.

Mica aveva ucciso lui Shisui. Circolava l’illazione che fosse stata la mano di Itachi a spingere Shisui da quella roccia sulla quale si erano fermati tante volte a parlare, ma questo per Izumi aveva ben poca importanza, rappresentava solo la dimostrazione che Itachi non era poi tanto innamorato di Shisui. Forse si era trattato di mero perbenismo finché Itachi non aveva iniziato a sentirsi schiacciato dalla falsità, dal contronatura, come gli aveva spiegato Shisui quella volta. Itachi era inconsueto, molto, ma anche terribilmente affascinante.

Trarre vantaggio dalla fine dell’ex rivale in amore non avrebbe nuociuto a nessuno.

Izumi ancora non otteneva gli stessi traguardi raggiunti da Shisui e Itachi durante gli allenamenti, ma quei dannati muscoli delle cosce sarebbero cresciuti. Izumi se li tastava spesso in attesa di vederli squadrati e definiti. Sarebbe dimagrito presto, era semplice, bastava trasformare la fame in gioia e la sazietà in tragedia. Dopotutto anche Itachi aveva sempre ragionato al contrario, si sarebbero trovati d’accordo. Al defluire dell’ultima goccia di grasso, le forme dei muscoli sarebbero emerse e il petto non avrebbe più avuto bisogno della benda che gli tagliava la carne. La sera si trovava sempre la maglia striata di sangue.

Almeno si era dileguata la tassa mensile. Ottimo. I risultati stavano andando ben oltre le aspettative.

Izumi si chiedeva spesso se usare il pene in modo decente fosse facile, aveva sentito che non contano le dimensioni, bensì la bravura. Un’impresa ardua e colma di incertezze come il primo bacio, avrebbe potuto far impazzire Itachi o disgustarlo per l’eternità.

A posto, era pronto. Poteva fermarsi con gli allenamenti, d’altronde Itachi avrebbe accettato di malavoglia un fidanzato più dotato di lui. Non era abituato a essere secondo a qualcuno.

Chissà se il nuovo taglio che Izumi si era regalato trascorrendo un’ora dal parrucchiere, poteva essere gradito da Itachi.

Certo che sì, dopotutto era simile a quello di Sasuke, anche se non così bello. Izumi sorrideva accarezzandosi la nuca rasata, il pizzicore dei capelli corti tra le dita era pura poesia.

Per approdare al cuore di Itachi, era necessario passargli prima dalla pelle. Lisciarlo, prenderlo per il verso giusto.

Lavorare d’astuzia, e stavolta significava anche fingere.

Nessuno aveva consolato Itachi per la morte di Shisui, anzi, non avevano fatto altro che accusarlo e minacciarlo. Izumi non poteva cerro sprecare una simile possibilità, una di quelle che capitano una volta sola nella vita.

Si era recato a casa di Itachi millantando falso dispiacere per Shisui. Seduto sulla veranda accanto a Itachi, Izumi recitava sciorinando frasi su quando fosse addolorato per la morte prematura di quel ragazzo. Mimava l’asciugatura delle lacrime, in realtà doveva frenare la gioia sprizzante e stare attento a non farsi scappare un sorriso. Intanto prestava attenzione che il rigonfiamento tra le gambe fosse ben visibile. Semplice, bastava tenerle divaricate.

Itachi sembrava prestargli attenzione, ma in realtà era un inganno. Izumi, infatti, riscontrava il suo sguardo indolente, come se Itachi guardasse oltre una sottile interfaccia intercettando qualcosa che sfuggiva al resto dell’umanità. E non aveva neanche lo sharingan attivo.

Il viso insensibile, la sceneggiata sulla morte di Shisui era scivolata addosso a Itachi senza distinguersi dall’aria immota e umida che li circondava, non aveva mai abbandonato la lemme posizione che prevedeva le mani appoggiate pacate sulla ginocchia. E, più grave ancora, Itachi non si accorgeva che lì, davanti a lui, c’era un maschio.

Un uomo destinato a non esistere e che si era formato solo per lui, perché Itachi ne godesse. Affinché, finalmente, potesse arrendersi all’amore.

Izumi, soffocato dalla delusione e da quegli occhi che ferivano a morte col silenzio, aveva perso di colpo lo slancio a parlare. Svanito tutto l'entusiasmo. Di fronte all’ennesimo fallimento, a Izumi crolla addosso il macigno dell’immane lavoro svolto su se stesso per mesi e con estrema minuzia.

Senza sbagliare mai. Niente sgarri, la sua insulsa esistenza si era riempita solo del pensiero di Itachi e degli obiettivi da raggiungere per lui.

Izumi aveva demolito il suo corpo per ricostruirlo daccapo. Slabbrato la sua personalità, smantellato i gesti femminili per trasformarli nel loro contrario. Lacerato la sua immagine. Solo per Itachi.

Non gli era uscito altro che un gemito strozzato. Si malediceva per non riuscire a distogliere gli occhi sconvolti dal viso flemmatico di Itachi. Si sentiva perso, svuotato, senza senso.

Chi era adesso?

Chi avrebbe dovuto diventare?

Cercava spasmodico la risposta in Itachi. Attendeva un suo ordine, la sua guida. Ma Itachi non aveva la minima voglia di condurre nessuno, non gliene fregava niente di chicchessia.

Izumi non aveva mai incontrato una persona così sprezzante. Itachi poteva stregare con il suo aspetto per poi far soffrire il malcapitato per l’intera vita.

“Izumi, ho l’impressione che tu sia diventata la brutta copia di un maschio.”

Io sono un maschio!

La sicurezza vacillante, però, impediva a Izumi di proferire qualunque sillaba.

L’osservazione di Itachi non era stata un rimprovero, magari l’avesse corredata di qualche emozione, anche negativa. Invece niente, un concentrato di calma indifferenza.

“Devo rientrare, tra poco torna Sasuke per la cena. Ci vediamo Izumi, porta i miei saluti a casa.”

Una gentilezza perfetta, senza una parola sbavata, Itachi era il ragazzo più cortese che Izumi avesse mai conosciuto. Tuttavia vuoto, sterile. Talmente indecifrabile da portare una ragazza a impazzire d’amore fino a trasformarsi in un uomo. Così enigmatico da sembrare gay quando, invece, Itachi non era assolutamente niente.

Niente.

Alzarsi da quello scalino senza morire era stata l’impresa più titanica che Izumi avesse mai portato a termine.

 

 

Adesso

 

Izumi è stata un disastro come donna, da uomo anche peggio. Ma lei non ha mai desiderato sul serio essere un maschio, se ne è persuasa in seguito alla decisione di vivere per Itachi. Di dedicare tutta se stessa a quel ragazzo che si è illusa di aver capito.

Si è svuotata perché, già in partenza, non ha mai posseduto niente di suo. La sua personalità da burattino non vale un granché, ecco perché non risulta una persona interessante. Non ha niente da dire, da insegnare, non è mai stata divertente o accattivante. Insomma, non è una donna di cui gli altri sentono la mancanza e che, di conseguenza, cercano. Una vita buttata, trascorsa senza lasciare tracce o bei ricordi, nessuno l’ha notata. Izumi è finita per rendersene davvero conto alla fine, dopo l’ultimo dialogo con Itachi sulla veranda di casa sua. Così insulsa da non meritare di vivere, ormai con i cocci talmente cosparsi per strada da risultare impossibili da raccattare e ricomporre.

Sebbene sia tornata donna e abbia ripristinato il suo aspetto originale, la psiche ormai frantumata si è trasformata in qualcosa di irriconoscibile. Una persona estranea le si è insinuata dentro, un ibrido privo di spina dorsale, un’ameba defraudata dei desideri e che vive per inerzia un giorno dopo l’altro. Senza scopo. Le manca quella molla che spinge verso un futuro propositivo.

Le amiche e la mamma le ripetono che deve piacere prima di tutto a se stessa, poi l’interesse degli altri arriverà di conseguenza. Che non è sbagliata e che deve accettarsi per quella che è. Che tutti, prima o poi, si lasciano o vanno incontro a delusioni sentimentali. Se capita, non è colpa di nessuno, semplicemente quella non è l’anima gemella.

Discorsi che filano, non peccano certo di logica. Tuttavia non vanno bene per una che è nata con la sofferenza intrinseca, uno sgorbio emotivo incapace di farsi benvolere. I consigli di mamma e amiche si possono applicare a ragazze che qualcosa di buono lo hanno a prescindere da separazioni o delusioni.

Dopo tanto vegetare, talmente anestetizzata da non sapere più cosa fosse una voglia, Izumi si è stordita per non soffrire. La noia, le passioni, gli interessi, tutti i piccoli dolori e mancanze che spingono la gente a migliorarsi cercando novità, in Izumi sono sopiti, vittime dell'incapacità di lei di gestirli.

Rinchiusa in una campana di vetro per sua scelta, Izumi non sa che farsene di quella vita che le scorre intorno invano, senza toccarla, cambiarla o emozionarla. Non le va di raggiungere la vecchiaia così, insipida e futile, a rimuginare su rimpianti e occasioni mancate.

Una disperazione in sordina ma senza rimedio, le mina l’anima in modo ormai irreparabile. Proprio questo Izumi ha cercato di fermare per non impazzire, fallendo miseramente anche lì.

“Itachi…”

Ora quello sguardo è là, occhi di una persona asciutta. Dinanzi a esso, le convinzioni di Izumi vacillano ancora una volta.

Itachi e l’uomo mascherato sono d’accordo. Due pazzi, si divertono ammirando lo scorrere del sangue. E lei ha deciso di morire a causa di quel pezzo di ghiaccio senza cuore, persino il tizio senza faccia emana più emozioni di Itachi. Rabbia, vedetta, ma almeno è mosso da qualcosa.

No, non è giusto. Accecata dall’amore, Izumi ha preso una cantonata mostruosa.

L’anestesia ha smesso di fare effetto.

“Itachi… aiutami…”

In fondo, Izumi può fare ancora leva sulla sua cortesia. Nonostante i comportamenti di Itachi siano stereotipati e fatti giusto perché deve, la marcia indietro si può ancora tentare.

Izumi è ancora in tempo per imparare a volersi bene.

Le speranze e i quesiti che restano in sospeso sono i migliori, non marciscono e non calano d’intensità con il trascorrere del tempo.

 

 

 

NOTE:

 

 

Questa storia partecipa all'iniziativa di scrittura Le 12 fatiche dello scrittore di fanfiction indetta da LadyPalma e Mati sul forum Ferisce la Penna.

 

Sebbene sembri che sia Itachi a odiare Izumi, non è così. Izumi è odiata visceralmente solo dalla sottoscritta, l’avversione che avvertite è la mia. (La challenge richiede di scrivere su un personaggio odiato.)

Itachi è semplicemente aromantico e asessuale, ossia non interessato da relazioni amorose né con donne, né con uomini. Non è gay e neanche etero. Itachi non è senza emozioni, differisce solo dalla maggioranza e dagli schemi standard, insegue i suoi obiettivi personali e gli unici interessi capaci davvero di stimolarlo.

Quella di Izumi non è una transizione, bensì una grave crisi d’identità. La classica ragazza cresciuta nell'educazione alla zerbineria e indirizzata verso l’assecondare chiunque le si pari davanti.

Ma che succede se una ragazza così si innamora perdutamente di qualcuno? Che smarrisce se stessa. Finisce col riempire quel niente che ha dentro con l’idealizzazione dell’altra persona. Ma quando le presunte certezze vanno in frantumi (non perché Itachi sia insensibile, piuttosto perché non sono mai esistite), ecco che Izumi crolla insieme a tutto il castello di fantasticherie che si è costruita. Quando si rende conto di aver basato la vita su una menzogna, per lei è la fine e scatta l’inesorabile disperazione unita alla consapevolezza di non valere niente.

L’ennesima supposizione, ossia che Itachi sia un mostro senza cuore, potrebbe portarla a ricominciare a ragionare. Ma ormai è troppo tardi.

 

 

 

 

   
 
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