Serie TV > CSI - New York
Segui la storia  |       
Autore: vegeta4e    29/04/2024    0 recensioni
Non tutto quello che finisce rappresenta la fine. A volte una fine può rappresentare un nuovo inizio: la morte di Claire, l’abbandono di Peyton che segnò Mac molto più di quanto volesse ammettere… eppure il lavoro riuscì a salvarlo, ad obbligarlo a non crogiolarsi nei ricordi. E funzionò, almeno fino a che Peyton non decise di fare ritorno a New York.
“Niente si crea, niente si distrugge, ma tutto si trasforma”. Dietro questa frase si cela una grande verità per il detective Taylor. Un’accusa di omicidio a suo carico, vecchi fantasmi tornati dal passato, rapimenti, lutti difficili da accettare.
Forse i problemi d’amore erano quelli di cui preoccuparsi meno.
[MacxPeyton] - Ambientata all’inizio della 5^ stagione.
[L’avvertimento cross-over riguarda solamente un paio di capitoli verso la fine della storia.]
- Pistola e distintivo. -
Mac ci mise qualche secondo per realizzare. Fissava Sinclair interdetto, incapace di comprendere il perché, incapace di combattere quella serie di ingiustizie che lo stavano lasciando disarmato.
Dopo lo stupore iniziale, non riuscì a trattenere una risata nervosa. Serrò i denti a labbra chiuse, passando lo sguardo da Sinclair a Don, che non aveva neanche il coraggio di guardarlo in faccia.
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny Messer, Don Flack, Mac Taylor, Peyton Driscoll, Stella Bonasera
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo XXVIII

Non passò molto tempo prima che Adam riuscisse a rintracciare Flack. La posizione risultava nel Bronx, in quella che Mac riconobbe come la casa di Terrence Davis, un ragazzo che da qualche tempo era l’informatore di Don su alcuni traffici in città.
Uscì in fretta dopo aver avvisato solamente Stella, salendo poi sul suv con mille domande in testa. Si rese conto solo in quel momento che, in quelle settimane, aveva fatto molti errori con Don. Gli stessi che tutti quanti avevano fatto con lui quando era morta Claire. La loro abilità nel mascherare il dolore aveva fatto credere agli altri che stessero bene, senza far trapelare che, in realtà, soffrivano esattamente come il primo giorno. Mac strinse il volante sentendosi in colpa. Non era stato un buon amico per Flack ultimamente, e non si sarebbe perdonato se gli fosse successo qualcosa per colpa della sua superficialità. Don era uno dei suoi più cari amici, chi se non lui avrebbe potuto e dovuto stargli accanto in quel momento così delicato?
Sbuffò svoltando in una stradina secondaria, posteggiando lì l’auto per evitare di lasciarla in bella vista vicino al marciapiede. Una volta sceso coprì attentamente pistola e distintivo con il cappotto, sarebbe stato folle farsi identificare come poliziotto in quella zona. Raggiunse la casa di Terrence a passo spedito, dopodichè bussò due volte. Il ragazzo aprì leggermente la porta dopo poco, sbirciando con timore dall’interno.
- Terrence Davis? - Domandò Mac.
- Chi vuole saperlo? -
- Detective Taylor, sono un amico di Flack. So che è qui. - L’uomo lo squadrò da capo a piedi per qualche secondo, poi aprì totalmente la porta per farlo entrare.
- Non ci avete messo tanto a scoprirlo. - Commentò richiudendola.
Taylor entrò tenendo le mani nella tasca del cappotto. - No. Voglio solo sapere se sta bene. -
- Sta bene. - Lo rassicurò Terrence. - Ha solo preso una botta in testa. Era ubriaco marcio, è stato fortunato che fossi lì. -
Il detective lo guardò negli occhi. - Ti ringrazio per essere intervenuto. Posso parlargli? -
L’altro gli indicò il bagno con un cenno della mano. - Avete cinque minuti. -
Mac girò lo sguardo verso la stanza, mentre la porta d'ingresso si richiudeva dietro le spalle di Terrence. Sentì l’acqua scorrere e poi chiudersi, e rimase in silenzio pensando a quello che avrebbe detto a Flack per spronarlo, per scusarsi, per fargli passare il dolore che lo stava facendo sbandare in quel modo.
Don uscì ignaro di trovarsi davanti Taylor, e lo sguardo che si scambiarono fu piuttosto freddo.
- Mac?... Cosa ci fai qui? -
- Secondo te? -
Flack allargò le braccia, avanzando di un paio di passi e avvicinandosi all’amico.
- Sapere cosa ci faccio qui, immagino. -
- No. Sapere cos’hai. - Mac lo guardò negli occhi cercando di capire cosa gli passasse in testa, ma il viso di Don era solamente stanco e segnato dai postumi della sbornia.
- Non ho niente, puoi tornare in laboratorio se era questa la tua preoccupazione. -
- Non mentirmi! - Sbottò il detective, avvicinandosi di due passi. - Cosa dovrei fare, lasciarti stare? Lasciarti libero di ubriacarti e non presentarti al lavoro? Ti ho coperto io per oggi. -
Si guardarono negli occhi e Don non ebbe il coraggio di dire nulla. Mac aveva ragione su tutti i fronti, ma era più forte di lui.
- Puzzi di birra, Flack. - Continuò Taylor. - E sono solo le 11:00 AM. -
L’altro sospirò cambiando totalmente espressione. - Mac… Io… Mi dispiace, okay? Avrei dovuto avvisare che non sarei venuto in ufficio. E non potevo prevedere che mi avrebbero aggredito nella metropolitana. -
- Il problema non è l’aggressione, Flack! - Rispose il detective. - Il problema è che da stamattina ti sei scolato quante birre? Quattro? Cinque? Cosa speri di risolvere facendo così? Non riporterai in vita Jessica in questo modo. -
Gli occhi di Don si riempirono di lacrime e Mac capì perfettamente lo sforzo che stava facendo per non scoppiare a piangere davanti a lui.
- … Io lo so cosa si prova. Vuoi che sia sincero con te? - Lo guardò negli occhi, mentre Flack serrava i denti per trattenere il nodo in gola. - Non passerà. Non passerà mai. Se speri che con il tempo ti dimenticherai di lei, non accadrà. Ci saranno solamente giorni in cui semplicemente non ci penserai, ma è una ferita che non guarirà mai! Hai capito? Mai! E prima accetti che dovrai convivere con questo dolore, prima riuscirai a superarlo. -
Per un attimo Mac si pentì di aver usato un tono così forte, ma in cuor suo sperava di scuotere l’anima di Flack per farlo uscire da quello stato di trance in cui era entrato.
Don continuava a fissarlo con sguardo spento, senza energia, solamente le lacrime che rendevano i suoi occhi azzurri più brillanti del solito.
- Se fossi arrivato cinque minuti prima, forse… - Sussurrò solamente, ma si fermò sentendo la voce rompersi per il pianto che a stento riusciva a trattenere.
Taylor deglutì. - Io ero al telefono con Claire quando è morta. Ci sono passato prima di te, farti le paranoie su quello che avresti potuto fare non cambierà nulla, continuerai a soffrire lo stesso. Questo atteggiamento non lo allevierà, quindi riprenditi, vieni al lavoro e vai avanti. È l’unica cosa che puoi fare… -
Flack alzò lo sguardo al soffitto nella speranza di cacciare indietro le lacrime, ma non funzionò e una risata nervosa sfuggì al suo controllo.
- Mi manca terribilmente. - Ammise senza guardarlo. - Tu almeno avrai un figlio. -
Mac aggrottò le sopracciglia. - Questo non cambierà le cose, Flack. Se credi che Peyton possa cancellare Claire sei fuori strada. E lo stesso sarà per te quando troverai un’altra persona. Puoi solo andare avanti, ma niente cancellerà né Jessica né Claire. Niente. -
Don annuì infilando le mani in tasca, mentre una lacrima gli solcava la guancia sinistra. Se la asciugò rapidamente, detestando sembrare così debole di fronte a Mac, così incapace di saper gestire i suoi sentimenti nonostante fosse un poliziotto avvezzo alla morte.
- Sfogati. - Gli suggerì il detective. - Più ti trattieni, peggio è. - Ironico dirlo da parte sua, che non era riuscito a versare neanche una lacrima da quel maledetto giorno.
Flack avrebbe voluto rispondere, ma si limitò a scuotere la testa abbassandola, consapevole di non riuscire più a trattenere le lacrime che, silenziose, avevano iniziato a bagnargli il viso. Istintivamente Mac lo afferrò per la maglia, attirandolo più vicino a sé per abbracciarlo. Stretto tra le braccia dell’amico, Don pianse tutte le lacrime che non era riuscito più a versare uscito dall’ospedale, mentre Taylor si pentì di non averlo fatto prima. Non avrebbe saputo descrivere a parole il bene che voleva a Flack e si sentì male all’idea di averlo lasciato solo nel momento del bisogno.
I
stintivamente strinse la mano che teneva all’altezza della spalla, stropicciandogli la camicia. Non seppe dire quanto rimasero abbracciati, ma Taylor attese che a staccarsi per primo fosse Flack, temendo che altrimenti lui avesse potuto pensare di essere un peso.
- Grazie, Mac… - Disse asciugandosi gli occhi con una mano.
- No… Avremmo dovuto fare questo discorso tempo fa. - Lo guardò negli occhi. - A me non lo fece nessuno. - Sorrise tristemente.
Don gli diede una pacca amichevole sul braccio. - Non fa niente. Sono stato io l’idiota. Potevo semplicemente parlartene, avresti capito. -
Mac sorrise, Flack aveva ragione. - Ti dò uno strappo a casa. Ti ho fatto segnare il giorno libero. -

Quando Mac si assicurò di vedere Flack entrare in casa, ripartì in direzione del laboratorio. Si sentiva strano, con un mattone all’altezza del petto che gli impediva di respirare ogni volta che pensava al bambino che sarebbe arrivato in pochi mesi. Era contento, sapeva di esserlo perché quando Peyton gli aveva detto di essere incinta gli si era fermato il cuore dalla gioia, ma aveva paura di andare avanti.
Era consapevole che non avrebbe mai dimenticato Claire, pensava davvero le cose che aveva detto a Flack, ma avere un figlio da un’altra donna significava accettare di andare avanti del tutto. Non si trattava più solamente di essersi innamorato di Peyton, ma di avere una famiglia. Una famiglia a tutti gli effetti senza Claire, e questo lo mandò in crisi. Pensò di non essere pronto ad affrontare tutto questo, a vivere un cambiamento così radicale, a voltare pagina e scrivere tutto da capo. Pensò che fosse assurdo, di conseguenza si sentiva in colpa anche nei confronti del bambino, che avrebbe meritato solamente un’attesa felice da parte sua, e non rimorsi. Sospirò girando il volante e provando a convincersi che non ci fosse nulla di male in quello che gli stava accadendo. Lo sapeva, razionalmente lo sapeva, ma non riusciva a farsi passare quel senso di ansia che lo stringeva alla gola.
Quando tornò in laboratorio, non fece in tempo a fare cinque passi che Danny arrivò da dietro correndo.
- Mac! Ho delle novità. - Taylor si girò, vedendo Messer con dei fogli in mano.
- Ho analizzato i residui che abbiamo trovato sotto le unghie, c’era del DNA, così l’ho inserito nel codis e boom, corrisponde ad un certo Kevin Morgan. -
Il detective annuì provando a ricostruire i fatti.
- Quindi probabilmente Kevin e Jason hanno parlato, l’intenzione era quella di riportare Jason nel giro, ma lui non voleva perché aveva una moglie e un figlio. Hanno discusso, ma la lite è degenerata. -
Danny allargò le braccia mentre Sheldon li affiancò qualche secondo dopo.
- Mac, ho i risultati dell’ibis: i bossoli rinvenuti sulla scena corrispondono ad un AK47. -
Mac corrugò la fronte. - Un AK? Come fa una persona a girare con un fucile e non essere vista da nessuno? -
Hawkes alzò le spalle. - Andiamo a chiederglielo? -
- Mi procuro il mandato. - Disse Taylor allontanandosi.
Dopo aver telefonato al procuratore, il detective continuò a consultare i documenti che aveva sulla scrivania, svolgendo con precisione i propri compiti burocratici. Stella lo raggiunse una ventina di minuti dopo, stringendo in mano due bicchieri di caffè caldo. Uno dei due finì sulla scrivania di Mac.
- Grazie. - Disse solamente lui fermandosi e bevendone un sorso.
Lei gli sorrise. - Hai parlato con Flack? -
Il detective annuì. - Sì. L’ho accompagnato a casa, domani tornerà in servizio. - Sospirò capendo che lei voleva sapere come fosse andata. - Sta relativamente bene, era scosso per Jessica. -
Lei bevve un sorso di caffè. - È un bene che abbia parlato con te, io non avrei saputo cosa dirgli. Tu invece cos’hai? Ti vedo un po’ giù. -
Taylor la guardò non capendo. - Nulla, dev’essere ancora la preoccupazione per Flack. Non credo che un giorno di riposo possa rimetterlo in sesto, ma probabilmente venire in ufficio potrebbe distrarlo. Quindi non saprei neanche cosa consigliargli. -
Lei lo guardò intensamente, indecisa se credergli o meno. Era sempre stata brava a leggere tra le righe, complici anche gli occhi del detective che parlavano per lui.
- Eppure dovresti sapere cosa dirgli, e credo proprio che tu l’abbia fatto. Quindi dimmi cos’hai. -
- Non l’ho fatto, Stella. - Scosse la testa. - Ognuno vive il lutto a modo proprio, il mio modo di affrontarlo potrebbe non funzionare con lui. -
Lei annuì non totalmente convinta della spiegazione datagli da Mac. Era sicura ci fosse dell’altro, ma per il momento decise di non insistere oltre.
- Avvisami quando hai il mandato, vengo con te se non hai nulla in contrario. -
Taylor le fece un cenno con la mano. - Va bene. -

- Kevin Morgan? Polizia di New York, apri la porta. - Mac bussò due volte, Stella accanto a lui aveva già la mano pronta sulla fondina. Le precauzioni non servirono perché la porta si aprì poco dopo, ma l’immagine di Mac steso a terra e il sangue che gli imbrattava la camicia era difficile da dimenticare.
- Cosa volete? - Domandò da dietro la porta. La catenella di sicurezza gli permise di aprirla solo di dieci centimetri, il giusto che bastava per poter comunicare con l’esterno.
- Farti qualche domanda. - Rispose Taylor sperando nella sua collaborazione. L’uomo li squadrò per qualche secondo, chiudendo poi la porta per togliere la catena. Lo sentirono armeggiare col metallo e con la serratura.
Li guardò male quando lui e Stella varcarono la porta. Quel Kevin era un tizio mulatto dall’aspetto decisamente poco raccomandabile. Sul fascicolo che avevano nel database c’era scritto che avesse trentun anni, ma a vederlo ne dimostrava almeno una decina di più. Le treccine spettinate gli davano un’aria sciatta e i denti tutt’altro che sani aiutavano a dargli un quadro piuttosto disastrato. L’unica cosa che sembrava fosse leggermente più curata era la barba, ma scompariva in mezzo a tutto il resto.
- Ehi, non potete senza un mandato. - Si lamentò, ma Mac fu tempestivo nel tirare fuori il foglio dalla tasca interna della giacca. Kevin sbuffò non potendo fare altro che arrendersi di fronte al pezzo di carta.
- Conosci quest’uomo? - Il detective tirò fuori un altro foglio, mostrandogli la fotografia di Jason. L’altro rimase impassibile.
- No, chi sarebbe? -
Taylor decise di tagliare corto. - Davvero? Strano, perché lo abbiamo trovato stamattina con dei colpi di AK in tutto il corpo, e indovina? C’era il tuo DNA sotto le sue unghie. Quindi ti rifaccio la domanda: conosci quest’uomo? - L’espressione di Mac lasciava intendere che non avrebbe ammesso altre menzogne.
Kevin non disse nulla, non sapendo se credere alla storia del DNA o se pensare che fosse un bluff dell’agente per farlo confessare. I due si scrutarono per qualche secondo, quindi Mac prese nuovamente l’iniziativa.
- Ascolta, Kevin. Le prove portano a te. Non abbiamo ancora trovato l’arma con cui è stato ucciso Jason, ma tu sei il primo indiziato. Quindi o mi dai una spiegazione valida, o un alibi quantomeno credibile, se lo hai, o ci metto meno di un minuto a metterti le manette. -
- D’accordo, d’accordo! - Cedette capendo di non poter fare altro. - Volevo che rientrasse nel giro, ma lui era fissato con sua moglie e suo figlio e ha rifiutato. - Il detective lo fissò in silenzio, facendogli capire con lo sguardo che una spiegazione del genere non sarebbe bastata.
- Che c’è? Non l’ho ammazzato! Gli ho dato un paio di pugni perché mi ha fatto incazzare, ma era vivo quando me ne sono andato. Era inutile discutere con uno come lui, non avrebbe cambiato idea. -
Taylor scosse la testa. - Io, invece, credo che le cose ti siano sfuggite di mano. - Insinuò.
- No! -
- Allora spiegami chi altro potesse volerlo morto a parte te! -
Kevin esitò qualche secondo. - Non ne ho idea! -
- Beh, fattela venire in fretta, come ti ho detto sei il nostro primo indiziato. Il procuratore non aspetta altro che vedere l’arresto di un sospettato. - Mac lanciò il proprio amo nella speranza che l’altro abboccasse. Era l’ennesima guerra psicologica che il detective decideva di affrontare, ma in un primo momento sembrò non funzionare. Kevin deglutì senza spiccicare parola, e dopo aver lanciato un’occhiata a Stella, Mac guardò scocciato l’orologio che portava sempre al polso sinistro.
- D’accordo, hai fatto la tua scelta. Non abbiamo tutto il giorno. -
- Va bene! - Disse improvvisamente, capendo di essere stato messo alle strette. Fece addirittura un passo indietro per prendere le distanze da Taylor. - Va bene! Ma voglio protezione. Se scoprono che ho parlato sono un uomo morto! -
- Protezione? - Ripeté Mac. - Prima dammi un nome. Se giudicherò valida la tua informazione, allora avrai un accordo come informatore della polizia. -
Kevin esitò ancora, ma ormai era tardi per tirarsi indietro.
- Shein Mcdual. -
- E chi sarebbe? - Domandò severo.
L’altro sospirò. - Il capo. Voleva che Jason tornasse nonostante fosse uscito da poco, invece lui si è trovato un lavoro e una donna. Shein ha sempre provato a convincerlo, ma lui non voleva sentire ragioni. Così ieri ha mandato me. - Spiegò Kevin.
- Avevi l’ordine di ammazzarlo? - Chiese Taylor.
- Dovevo dargli un ultimatum. - Precisò l’uomo. - Se non fosse tornato nel giro, l’obiettivo sarebbero stati il figlio e la moglie. Quando gli ho detto così è stato lui ad aggredirmi. -
Mac fece una smorfia. - Che uomini d’onore. Ma ancora non riesco a capire come sia morto se dovevi solamente dargli un ultimatum. - Insinuò ancora Mac.
- Non lo so! Quando me ne sono andato era vivo! - Sbottò Kevin.
- L’indirizzo di questo Shein? -
- Cristo, volete proprio farmi ammazzare. -

 

To be continued...

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > CSI - New York / Vai alla pagina dell'autore: vegeta4e