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Autore: hotaru    20/09/2009    5 recensioni
My carillon and me
Were two inseparable strange melodies

“Da piccolo aveva aperto il minuscolo coperchio di velluto che celava il meccanismo, curioso di conoscerne i segreti più reconditi.
Aveva osservato a lungo il moto delicato delle piastrine di metallo: urtavano contro le minuscole punte del rullo girevole, producendo le note di quella continua melodia. Non servivano pile, né elettricità: bastava caricare il meccanismo, girando la chiavetta che si trovava sotto il piedistallo, perché lei continuasse a danzare all’infinito.”
Hinata/Gaara, accenni Kankuro/Ino sulle note di “Carillon” dei Magic Box
Dedicata a eringad
Prima classificata al 90's dance contest indetto da LalyBlackangel e Bambi88 e vincitrice del premio per il miglior uso della canzone
Genere: Drammatico, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Sabaku no Gaara , Temari
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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3- Danzare sul mondo per l'eternità Danzare sul mondo per l’eternità


I've never had a dream
Where I was singing that strange melody
My carillon and me
Were dancing on the world for eternity

[Non ho mai fatto un sogno
In cui stessi cantando quella strana melodia
Il mio carillon ed io
Danzavamo sul mondo per l’eternità]


Quando era arrivata la polizia, lui non c’era già più.
Aveva il nome di quella ragazza, era sufficiente. A casa caricò il carillon ancora e ancora, riascoltandone la melodia che già conosceva a memoria.
La ballerina danzò sull’acqua a lungo, con lo stesso dolce movimento che anche sua madre aveva osservato, tanti anni prima. Un pensiero che gli dava conforto e faceva tacere qualcun altro.
Anche se solo per poco.
“È vicina.”
Sì. Lo era.
“È vicina.”


La mattina dopo a Kankuro andò quasi di traverso il caffé, quando vide il fratello venire in cucina a fare colazione. Alle sette.
Ma sia lui che Temari cercarono di non mostrare la sorpresa, continuando coi soliti discorsi mattutini.
Anche se, a un certo punto, Kankuro si zittì del tutto.
- Ce n’è stato un altro – disse dopo un po’, stringendo il giornale come se volesse farlo confessare – Una ragazza più giovane, stavolta, in giro con i suoi amici. Le modalità sono sempre le stesse -.
Temari non disse nulla, togliendo senza farsi vedere la moka col caffé dal tavolo. Non era il caso che Gaara assumesse della caffeina, non aveva di certo bisogno di combattere il sonno.
- Com’era quello di cui mi avevi parlato tu? – continuò Kankuro – Chi era la vittima? -.
- La figlia di un noto ristoratore del centro – rispose lei, andando a prendere un giornale da una pila sotto la finestra – Tieni, ho conservato il numero -.
- “Sembra essere la terza vittima di quello che sta diventando un pericoloso omicida seriale. Figlia del noto proprietario dell’ “Ichiraku”, la giovane Ayame è stata ritrovata morta ieri sera nel ristorante del padre al termine di un fastoso ricevimento che aveva occupato l’intero locale. Dato nientemeno che dal famoso magnate della finanza Hiashi Hyuuga, in onore della figlia maggiore. Sembra addirittura che il dolce, preparato dalla stessa assassinata, avesse la forma di un enorme, elegante cigno in procinto di spiccare il volo” -.
Kankuro gettò il giornale sul tavolo, disgustato.
- Ma come fanno ad inserire certi particolari di gossip in articoli di cronaca nera? Sono ripugnanti, non hanno rispetto per niente e nessuno! -.
Fu solo quando fece per riprendere la tazza del caffé che si accorse che qualcuno aveva preso il giornale. Gaara l’aveva aperto alla pagina dell’articolo, e lo stava studiando come se da esso dipendesse la sua stessa vita.
Kankuro scambiò uno sguardo allibito con Temari, ma non disse nulla.
Hyuuga.

Hyuuga.

Come aveva fatto a non pensarci, a non rendersene conto? Si era concentrato su colei che aveva preparato il dolce, senza pensare che doveva essere per qualcuno.
Per lei.



Quando la ballerina, terminato lo spettacolo, tornò nel proprio camerino, trovò la sorella già lì ad aspettarla.
- Hinata, è stato un trionfo! – esclamò entusiasta – Il pubblico sta ancora impazzendo per te! -.
- Non esagerare – rispose l’altra, togliendo la coroncina bianca dal capo e sciogliendo i lunghi capelli neri – È lo spettacolo ad essere meraviglioso, io non gli rendo giustizia -.
- Ma che dici? Se riesci a far entusiasmare persino me, che con il balletto vado d’accordo quanto Neji con i clown! -.
Hinata soffocò una risata al pensiero di suo cugino alle prese con “quei mostri impiastricciati da capo a piedi”, come soleva definirli lui.
Poi, toltasi il tutù immacolato, si voltò verso la sorella.
- Hanabi – disse dolcemente – Come stai? -.
- Elettrizzata, te l’ho appena detto. La morte del cigno è stata… -.
- No, Hanabi, sul serio – la interruppe lei, guardandola negli occhi – Ti senti bene? -.
- So a cosa ti riferisci, ma stai tranquilla – gli occhi erano duri, ma la sua voce tremava leggermente – Starò bene solo quando prenderanno quel bastardo -.
Hinata non disse più nulla, sapendo bene com’era fatta la sorella. Era stata la prima a chiamare la polizia, l’unica a rimanere per tutto il tempo col sangue freddo. Ma non stava bene, e lei lo sapeva.
- Neji ci sta aspettando fuori, andiamo a bere qualcosa? – propose la più giovane, riscuotendosi.
- È in macchina? – chiese Hinata.
- Sì, ma ha preso la più sobria e anonima che ci fosse. Non ti riconosceranno, vedrai -.
- Vai tu con lui. Io vi raggiungo a piedi -.
- Ma sei matta? Con quello che è successo a Moegi? – saltò su la sorella, con un lampo d’ansia negli occhi.
- Stai tranquilla, la strada fino al solito locale è più che frequentata. Andate a prendere i posti, mentre finisco di prepararmi -.
- Guarda che possiamo aspettarti quanto vuoi, e poi figurati se i camerieri non trovano un posto per noi! – fece sprezzante, come se uno Hyuuga in piedi ad aspettare fosse l’ultima cosa che si potesse vedere.
- Hanabi – ripeté Hinata, dolce ma risoluta – Sono giorni che sono chiusa in teatro a provare, chiedo solo di prendere un po’ d’aria fresca. Posso? -.
Hanabi sembrò riflettere un momento, prima di dirigersi verso la porta e dire:
- Mandami un messaggio quando esci di qui. Così se entro dieci minuti non sei arrivata chiamiamo la polizia -.
Hinata dovette reprimere un sorriso, anche se sapeva che non c’era nulla da ridere.
- Va bene – disse.
 
 
L’aria fresca della sera era ciò che più aveva agognato in quei giorni di prigionia.
Amava ballare, ma la ripetizione costante dei medesimi esercizi durante le prove per uno spettacolo era qualcosa di sfibrante.
Aveva imparato ad allenare il corpo, quando provava, e a rilasciare poi tutte le emozioni e le sensazioni durante lo spettacolo vero e proprio. Se durante la settimana era Hinata a ballare, quella sera era stata Odette stessa.
E qualcuno l’aveva notato.
- Buonasera -.
Si voltò di scatto, sorpresa dalla vicinanza di quella voce.
“È lei.”
- Mi scusi. Non volevo spaventarla, intendevo soltanto farle i complimenti per l’eccellente spettacolo di stasera -.
- Oh… grazie – rispose lei, sorpresa dall’aspetto insolito del ragazzo che aveva davanti. I capelli rosso fuoco e gli occhi acquosi contrastavano notevolmente col pallore della pelle e le occhiaie scure.
Aveva uno sguardo penetrante, ma era abituata a quello del cugino e sapeva che poteva essere solo mera apparenza.
- Ho visto – continuò il giovane – come alla fine la fanciulla non è riuscita ad avere il sopravvento sul cigno. È rimasta prigioniera -.
Hinata lo guardò più interessata. Solitamente, quando si trattava del balletto, tutti parlavano solamente dell’amore tra Siegfried e Odette, come se non ci fosse altro. Qualcuno che si interessasse maggiormente alla maledizione era un personaggio più unico che raro.
- Io non la vedrei così – rispose dolcemente – In fondo chi può dire quale fosse la vera prigionia? Il corpo umano, con le costrizioni della vita di una principessa, o quello da cigno, libero di volare ovunque? -.
Era la prima volta che Gaara restava davvero interdetto, la prima volta in una vita intera. Lei stava dicendo che, in fin dei conti, preferiva il cigno alla principessa, l’animale all’essere umano.
“Il demone all’uomo.”
- È un luogo comune pensare che gli esseri umani abbiano sempre una vita migliore – ribadì Hinata, quasi amareggiata. Lei ne sapeva qualcosa, di prigioni dotate di stucchi invece che di sbarre, persino ora che tanti ostacoli sembrava esserseli lasciati alle spalle.
- Danzerebbe ancora? – domandò improvvisamente Gaara.
Hinata rimase stupita dal repentino cambio di discorso, ma quello strano ragazzo non aveva l’aria di scherzare.
C’era un che di estremamente serio in quegli occhi color dell’acqua; una nota quasi disperata che la rese incapace di dire di no.
- Aspetti un momento – disse gentile – Mi lasci solo mandare un messaggio -.



Now that I am awake
I’m still feeling the call that I won't forsake
It's an elusive love
That you contain into seven strange notes

[Ora che sono sveglio
Sento ancora il richiamo a cui non rinuncerò
È un amore sfuggente
Che contieni in sette strane note]


Era una sera parecchio ventosa, che costrinse Temari a fare il giro delle stanze per chiudere tutte le finestre rimaste aperte.
Sia Kankuro che Gaara erano usciti, e in fondo non le dispiaceva avere la casa tutta per sé, una volta tanto.
Quando chiuse con un colpo secco la finestra della stanza di Gaara, rimase per un po’ a guardare il cielo scuro spazzato dal vento. In quelle notti le stelle sembravano splendere di più, soprattutto perché mancava la presenza ingombrante della luna ad oscurarle.
Voltandosi per uscire, lo sguardo le cadde sulla scrivania del fratello minore, e l’oggetto che vi era posato sopra la fece bloccare per un attimo.
Prese la sedia e si sedette, osservando alla luce del lampione che dalla strada inondava la stanza quel vecchio carillon appartenuto a sua madre.
Gaara passava ore intere a guardarlo, e in certi momenti le sembrava di capire il perché.
Allungò un dito, accarezzando piano i capelli e le piume di quella bambolina tanto delicata. Un cigno in versione umana, che nella realtà non poteva sicuramente esistere.
In fondo non aveva mai capito perché i cigni avessero tanta presa sull’immaginario collettivo. Erano creature bizzose e colleriche, uccelli che potevano arrivare a correrti dietro starnazzando come una qualsiasi oca arrabbiata.
“Stava occupandosi in questi giorni di uno speciale carico di cigni…”.
Si bloccò un istante. Perché le erano venute in mente quelle parole? D’accordo che quegli articoli di cronaca nera stavano diventando uno peggio dell’altro, ma…
“Ino Yamanaka stava lavorando alle piante attorno al laghetto dei cigni…”.
Non si mosse. Immobile. Esterrefatta. “No…”.
“Sembra addirittura che il dolce, preparato dalla stessa assassinata, avesse la forma di un enorme, elegante cigno…”.
Ma allora… quella ragazzina? Aveva i capelli rossi, cosa c’entrava con i cigni?
“Ma…” iniziò a dire una vocina nella sua testa “È stato subito dopo la crisi… potrebbe anche non aver avuto un motivo preciso…”
- No… no! – suo fratello aveva tanti problemi, d’accordo, ma non era… non era…
Un assassino. No, questo no.
“E allora” continuò la vocina, insistente “Dov’è adesso?”


Gaara non ricordava di essere mai salito sul palcoscenico di un teatro. Mai, in tutta la sua vita.
Ma quella giovane donna che per strada sembrava tanto impacciata, giunta lì sopra pareva aver perso tutta la sua goffaggine.
Era tornata nel suo ambiente naturale, e a quel punto poco importava che non ci fossero né un lago né la luna nel cielo notturno.
L’orchestra non c’era; a quell’ora i musicisti erano tornati tutti a casa. Tuttavia la ragazza attaccò la spina di uno stereo ad una presa e mise su un CD.
Le note che iniziarono a librarsi, Gaara le conosceva perfettamente.

Non aveva indossato il costume di scena, ma non serviva.
Le braccia; le gambe; i movimenti del capo: tutto, del suo corpo, la rendeva un cigno con sembianze umane. I capelli, raccolti in una crocchia veloce, sfuggivano ad ogni salto, piroetta o arabesque.
La musica si alzava. Potente, inarrestabile.
E all’improvviso fu come se il lago sorgesse dalle poltrone del teatro, dalle assi stesse del pavimento; e la luna si stagliava nell’oscurità, eclissando quell’unico faro acceso.
Danzava. Danzava.
Gaara taceva.
E il demone ribolliva.
“L’hai trovata.”
La ballerina del carillon che aveva preso vita. Chissà cos’avrebbe detto sua madre, se l’avesse vista.
L’essere umano diventava cigno, e l’istante dopo le piume scomparivano sotto i lunghi capelli neri.
Il posto giusto. La persona giusta. Il momento giusto.
All’improvviso gli sembrò che a suonare non fossero le trombe ed i violini, ma le note tintinnanti del carillon.
Forse aveva ragione lei. Forse non era così terribile avere due nature.  
Forse un demone non era un mostro, in fin dei conti.
Magari aveva semplicemente sempre visto le cose dalla prospettiva sbagliata.


- Kankuro, hai idea di dove si trovi Gaara? -.
- Non era uscito? -.
- Sì, ma… ti ha detto dove andava? -.
- A me no. Pensavo l’avesse detto a te -.
- Kankuro, maledizione! -.
- Ma… per una volta che esce… si può sapere che succede? -.


Il collo era candido, esile, quasi sinuoso nei movimenti eleganti che imitavano quelli di un cigno.
Le braccia lunghe si muovevano come ali, mentre l’uccello compiva la sua ultima danza.
Il suo ultimo canto, ma muto.
“Prendila.”
Chi era lui per disobbedire?
Si avvicinò piano, mentre il cigno eseguiva gli ultimi, delicati movimenti. E quando si accasciò al suolo, morente, i capelli caddero leggeri fino alla cintola, sciolti dalla passione di quegli ultimi istanti.
A Gaara, che si trovava esattamente dietro di lei, il profumo di quei capelli arrivò intenso e fragrante.
Leggero, ma indimenticabile.
Quegli splendidi capelli neri nascondevano il collo sottile, ma lui sapeva perfettamente che c’era, dietro quella cortina color della notte.
Sarebbe bastato scostarli.

Hinata, completamente presa dalla danza, non aveva fatto più caso a nient’altro. Il teatro avrebbe potuto prendere fuoco, e lei non se ne sarebbe accorta.
Fu solo dopo la morte del cigno che ritornò in sé. Ancora seduta a terra, accaldata e coi capelli sciolti, mormorò piano:
- Dicono che qui finisca ogni cosa. Ma io non lo credo -.
Si voltò, sorprendendosi un poco nel vedere quello strano ragazzo proprio dietro di lei, ma non si scompose. Quando ballava sul serio si estraniava da ogni cosa: lui avrebbe potuto chiamarla con un megafono, e forse non l’avrebbe nemmeno sentito.
Arrossì un po’, e non solo per il caldo che sentiva.
- La principessa forse è morta. Ma la sua anima no: è volata via, sotto forma di cigno. Continua a vivere, più libera di quanto sia mai stata -.


Non sapeva dove andare, cosa fare, chi chiamare. Lei, che era sempre la prima a prendere in mano la situazione.
Temari si accasciò sulla sedia, davanti alla scrivania, e alzò debolmente lo sguardo sul carillon.
- Mi sto sbagliando. Mi sto sbagliando – ripeté come un mantra, cercando di convincersi – È mio fratello. Non posso pensare questo, di lui. Mi sto sbagliando, non è vero? Non è vero… mamma? -.


Hinata inclinò piano la testa, incuriosita.
Perché ora quel ragazzo si era seduto di fronte a lei, abbassando il capo ma senza smettere di guardarla negli occhi?
Lì, seduti sulle assi del palcoscenico, uno davanti all’altra, sembravano due bambini. Isolati dal resto del mondo: due bambini rimasti soli, che possono contare soltanto l’uno sull’altra.
Le sembrava che quel ragazzo le somigliasse, in un certo senso. Vedeva nei suoi occhi il riflesso di qualcosa di nascosto, che la maggior parte della gente non sarebbe mai riuscita a vedere.
- Mia madre aveva un carillon con questa musica -.
- Davvero? Ne avevo uno anch’io -.
Gaara alzò la testa, chiedendosi se stesse scherzando. Anche lei…?
- Quando lo si carica, c’è una ballerina che gira, come se danzasse -.
Hinata sorrise piano.
- Nel mio, invece, c’era un cigno con le ali spalancate, in procinto di spiccare il volo -.
Il demone…? Lei aveva il demone?
- Quand’ero piccola, avrei tanto voluto essere al suo posto. Era bellissimo -.
Gaara la scrutò in viso, accorgendosi che stava parlando al passato.
- Perché era? -.
Lei sorrise colpevole.
- Beh, l’ho ascoltato così tante volte che ad un certo punto il meccanismo si è inceppato. Le puntine del carillon si sono quasi consumate, e non c’è stato verso di ripararlo. Avrei voluto tenerlo comunque, ma la cameriera ha pensato che una cosa rotta fosse da buttare -.
Gaara raddrizzò la schiena.
- Non l’ho più trovato – concluse Hinata – E credo sia stato allora che ho pensato che avrei potuto esserci davvero, al suo posto. Danzare come il cigno. Spiccare il volo -.
Ed era così che aveva cominciato a ballare, arrivando fin lì.

Quel ragazzo non aveva più parlato. Tuttavia Hinata aveva l’impressione che l’avesse non solo ascoltata, ma anche capita.
Non si vedevano orologi, dal punto in cui si trovavano. Quindi potevano essere passati pochi minuti, o forse un’ora.
Dopo un tempo indefinito, Gaara disse:
- Così, sei diventata il carillon -.
Era passato dal “lei” al “tu”, ma nessuno dei due ci fece caso.
Hinata sorrise. Le piaceva, parlare con quel ragazzo.
- Oh, no. Ho deciso di essere io a suonarlo -.
 

I am a carillonneur and I play the carillon
I am a carillonneur and I play the carillon





Che cosa significa questa storia? A dire il vero, non ne ho la più pallida idea. Però mi piace.
È la prima volta che tratto Gaara e i suoi fratelli, e sinceramente è così che me li immagino. Sono talmente realistici che potrebbero esistere davvero, per quel che mi riguarda.
È una Hinata/Gaara, ma anche no. Dipende da come la si legge, ma possono essere interpretate anche come due persone fin troppo simili che si incontrano al momento giusto.


Dato che questa storia sembra piacerle, visto che l’ha messa nei Preferiti, la dedico a eringad. Sperando che le piaccia anche l’ultimo capitolo.
Senza le tue meravigliose fic sul team Suna, questa non sarebbe mai stata scritta; quindi grazie. ^^



Sayaka3DG: sono contenta che ti piaccia l’impostazione che ho dato alla storia attraverso la canzone. A dire il vero, prima del contest non la conoscevo, anche se poi quando l’ho ascoltata mi sembrava di averla già sentita… Trovo che sia davvero molto evocativa, e anche il video è così onirico… non si capisce se sia un sogno o cosa.
martufella87: sì, quella della “famiglia disastrata” era proprio l’impressione che volevo dare… che poi è una famiglia come le altre, a mio parere, solo con certi problemi particolari a cui far fronte, e che non è facile tenere sotto controllo. Ne conosco, di situazioni simili, e non è facile.
Nemmeno a me la musica dance piace molto, ma mi sono fissata su “Carillon” non appena ho letto il titolo… e quando ho visto il video, era fatta. Le altre canzoni non le ho praticamente considerate!
Spero che il finale ti sia piaciuto, malgrado rimanga piuttosto aperto.  ^^
   
 
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