Capitolo 8 – Pessima
accoglienza
Arellon sentiva un forte
dolore alla nuca. Mugolando provò a toccarsela con una mano, ma non riuscì a
muovere il braccio. Tentò anche con l’altro, ma era inutile: c’era qualcosa che
lo stringeva ai polsi. Aprì piano gli occhi. Vedeva un elfo di spalle che
indossava una veste rossa con cappuccio. Sembrava discutere animatamente con un
altro, che però Arellon non riusciva a vedere. Cercò di sollevare la testa, ma
anche intorno al collo c’era qualcosa che lo immobilizzava. Era freddo e
sembrava duro come acciaio, eppure dava una strana sensazione sulla pelle, come
se fosse vivo. Il mezzelfo alzò piano la testa e lo osservò: un semicerchio
dorato percorso continuamente da nuovi bagliori. Un Anello di Potenza.
“Maledizione, non posso usare nessuna magia per liberarmene. Specialmente senza
bastone...”
-Ah, ti sei svegliato, eh?- A
parlare era stato l’elfo con la veste rossa. Teneva in mano un bastone di
faggio. “Ecco chi mi ha messo gli anelli...” pensò Arellon.
-Ti consiglio di non provare
a usare qualcuno dei tuoi giochetti magici. Gli anelli non te lo perdoneranno.-
continuò lo stregone Maros.
-E ci servi sveglio, ci sono
molte cose che devi spiegare, zacrul.- disse il capitano Tilvell avvicinandosi
e coprendo con la sua ombra il viso del mezzelfo. Arellon vide che non erano
solo lui e l’elfo dalla veste rossa a sovrastarlo. C’erano altri sette elfi
intorno a lui, tutti con espressioni impassibili sui visi eternamente giovani,
ma con le armi strette in pugno.
-Perché hai attaccato le mie
guardie?- domandò veloce il capitano.
-Sono stati loro a cercare di
ammazzare me per primi.- rispose Arellon calmo.
-Certo, è il nostro dovere
catturare o rendere inoffensivi gli intrusi come te. Cosa sei venuto a fare
nella nostra terra?-
-Io sono venuto a portare un
messaggio importantissimo al vostro re.-
-Davvero? Mi spiace
deluderti, ma non permettiamo a tutti di parlare al nostro re, intruso
mezzelfo.- rispose beffardo Tilvell. Arellon d’istinto voltò gli occhi verso la
mano sinistra e contemporaneamente mosse le dita: si accorse che il guanto non
c’era più. Ora si giocava a carte scoperte.
-Sì, io sono un mezzelfo.-
proclamò deciso -Io vengo a infrangere il giuramento di Atascal. Devo
assolutamente parlare col vostro re: ho una notizia importantissima da
riferire.-
-E noi dovremmo fidarci?
Quale sarebbe questa notizia?-
-Non posso dirvelo, è per il
re solo.-
-E perché?-
-Non mi credereste.-
-Certo che non ti crederemmo!
Saranno di certo tutte menzogne!- esclamò Tilvell.
-No, non è vero. Una
terribile minaccia incombe su tutti noi.-
Il capitano rise forte. -Ah,
bene! Così, oltre ad essere intruso, mago e mezzelfo saresti pure un profeta!-
-Dovete farmi parlare col
vostro re! È importantissimo!- Tilvell lo colpì con un calcio nelle costole.
-Basta! Mi hai stancato con
questa lagna! Ti interrogheremo di nuovo in prigione! Forse là sarai più
sincero.-
Maros allora mosse il bastone
verso l’alto e fece salire gli Anelli di Potenza da terra, sollevando anche
Arellon fino a portarlo in piedi. Poi chiese:- Che incantesimo hai gettato sul
tuo bastone? Perché non posso tenerlo in mano?-
-Non può essere toccato da
nessuno che non sia il legittimo proprietario.-
-Come si annulla questo
potere?-
Arellon non rispose.
-Non vuoi dirmelo?- continuò
Maros arrabbiato -Vuoi che lo scopra da solo?- aggiunse allungando una mano
sulla fronte del mezzelfo. Minacciava di leggergli nella mente e di scoprire
tutti i suoi segreti, ma Arellon non poteva permetterlo.
-No.- rispose il mezzelfo
-Posso farlo solo io, ma non posso compiere alcuna magia in questo momento.-
-Ci hai preso per scemi? Non
appena ti togliessimo gli anelli ne approfitteresti per scappare!- gridò
Tilvell, ma Maros lo zittì con un gesto e fece sparire l’anello intorno al
polso destro sfiorandolo con il bastone. -Una mano basterà.-
Arellon sospirò. No, non era
sufficiente a liberarsi. Tanto valeva obbedire per il momento. Pronunciò una
breve cantilena al cui suono le fronde degli alberi frusciarono come mosse dal
vento. Maros lo guardò un po’ stupito e preoccupato. Era la lingua antica. Lui
stesso conosceva solo una piccola parte di essa, ma solo formule fisse per
compiere determinate magie. Invece sembrava che quel mezzelfo la padroneggiasse
ottimamente, come se fosse la sua propria.
-Ora puoi toccarlo.- Per
tutta risposta Maros fece ricomparire l’anello impedendo nuovamente ad Arellon
di muovere il braccio. Poi si avvicinò circospetto al bastone del mezzelfo, si
chinò e lo impugnò. Questa volta non successe nulla. Con un mezzo sorriso lo
stregone lo lanciò ad una delle guardie, che lo afferrò al volo.
-Bene. Andiamo a Lar-Tolas
adesso.- ordinò il capitano. Maros sfiorò con il bastone gli Anelli di Potenza
intorno ai piedi di Arellon e quelli scomparvero, riassorbiti dal legno. Contemporaneamente
quelli ai polsi si spostarono dietro la schiena trascinando le mani e le
braccia. Poi si formò una catena di energia che li unì a quello sul collo.
-Così potrai camminare, ma
senza tentare trucchetti.-
-E ora muoviti, zacrul!-
gridò Tilvell spingendolo in avanti.
-Dovete ascoltarmi! Io porto
un messaggio importantissimo per la sopravvivenza stessa del mondo! Devo
riferirlo al vostro re!-
-Vuoi tacere?- urlò Tilvell
colpendolo nuovamente e facendolo cadere a terra. Arellon colpì col mento il
suolo erboso. Ma non poteva permetterlo: se l’avessero portato in prigione
avrebbe perso troppo tempo a cercare di fuggire. Troppo tempo, durante il quale
sarebbe potuto succedere l’irreparabile.
-In piedi! Non sai rialzarti
da solo?- lo sbeffeggiò Omnil afferrandolo per i capelli. Gli elfi risero, ma
nemmeno un gemito uscì dalla bocca del mezzelfo.
-Adesso basta!- ordinò Maros
severo.
-E perché mai dovrei
smettere? Non avete visto cos’ha fatto a mio fratello?-
-Tuo fratello ora sta bene e
io non ho tempo da perdere: dobbiamo sbrigarci a raggiungere Lar-Tolas. Là
potrò interrogare l’intruso e capire il vero motivo della sua presenza.- spiegò
Maros muovendo il bastone in modo da sollevare magicamente il mezzelfo.
-Ve l’ho già detto perché
sono qui!- esclamò Arellon -Ho un messaggio per il vostro re! Se siete stupiti
che uno della mia stirpe abbia osato fare ritorno, perché non mi credete quando
vi dico che ne va della salvezza dei nostri due popoli e di molti altri?-
-Vstevne.- disse Maros
fissandolo negli occhi. Silenzio. Il mezzelfo continuò ad aprire la bocca e a
muovere la lingua, ma non riuscì ad emettere alcun suono.
-Ti ascolterò molto
volentieri a Lar-Tolas, non qui. Ora muoviamoci.-
Il gruppo si mise in cammino,
lo stregone e il capitano in prima fila, il mezzelfo dietro e infine le
sentinelle disposte in modo da formare una mezzaluna e impedire al prigioniero
ogni via di fuga. Arellon si sentiva al colmo della frustrazione. Dopo due mesi
di viaggio e tutti i pericoli e i nemici ai quali era sfuggito, era finalmente
giunto alla sua meta. E non solo non era stato accolto nel migliore dei modi,
ma, quel che era peggio, non volevano ascoltarlo. Se non riusciva nemmeno a
convincere quegli elfi che speranze aveva con il re e la sua corte? Sentiva che
per lo stregone la sua presenza era qualcosa di stranissimo, ma come dargli
torto?
“Avevano ragione Corlaros e
mio zio: trecento anni sono un tempo sufficientemente lungo perché gli uomini
dimentichino, e troppo breve perché gli elfi cambino idea.”
Arellon vedeva lo sguardo
carico d’odio dell’elfo arciere e del fratello. “Già... Troppo breve...”
Voltandosi ogni tanto
velocemente scorgeva le altre sentinelle intente invece a parlottare tra loro.
Gli lanciavano occhiate con un misto di curiosità, divertimento e timore.
Sembrava che non credessero ai loro occhi. In effetti erano giovani, anche per
la normale età degli elfi. Forse non avevano mai visto un mezzelfo o
addirittura non erano mai andati fuori dai confini della loro terra. Magari lo
avrebbero anche ascoltato... ma gli avrebbero mai creduto?
Camminarono silenziosamente
per alcune ore. Il sole si spostò nel cielo mandando sulla terra i suoi raggi
più caldi. Ma nel bosco rimaneva un clima fresco.
Arellon procedeva calmo e
impassibile, all’apparenza. Terribili pensieri lo tormentavano. Soprattutto da
quando la mano sinistra aveva ripreso a dolergli. Sentiva un grande calore: un
fuoco inestinguibile ardeva nel palmo della mano diramandosi in tutte le dita.
Gli divorava la carne e gli penetrava nelle ossa. Il simbolo inciso nel palmo
era attraversato da lingue di fuoco che lo illuminavano e lo facevano rilucere,
ma soprattutto bruciavano la pelle. Tuttavia la mano destra non provava alcuna
sensazione di dolore al contatto con la sinistra, nemmeno un lieve calore. Il
fuoco magico era tutto interno: dolorosissimo, ma quasi invisibile a meno che
si osservasse il simbolo al centro del palmo, completamente infiammato e molto
luminoso.
Il mezzelfo non soffriva
tanto per il dolore infertogli dal fuoco, quanto piuttosto per quello che
significava: stava venendo versato il sangue del suo popolo. E lui non poteva
fare niente per impedirlo. Non stava assolutamente portando a termine il suo
compito. Andò con il pensiero alla sua famiglia, ai suoi amici, alla sua gente.
Sebbene non credesse a certe cose, si ritrovò a recitare una preghiera
mentalmente. Pregò la dea dei mezzelfi e i suoi progenitori, Atascal e Lalia.
Li pregò che proteggessero tutti coloro che aveva lasciato. Pregò che le lame
degli orchi si infrangessero sugli scudi dei mezzelfi.
Il capitano Tilvell si voltò
a squadrare il mezzelfo. Fu quasi irritato dalla sua espressione. Si rivolse
allo stregone.
-Come ci comporteremo con
l’intruso?- domandò sottovoce.
-Seguiremo la prassi, per
ora. Poi decideremo.- rispose Maros pensoso. Già, la procedura normale:
imprigionamento e interrogatorio. Ma quello non era un caso normale: un
mezzelfo che entrava nelle loro terre e per di più affermando di portare un
importante messaggio per il loro re. Era qualcosa di impensabile: dai tempi
della cacciata di Atascal nessuno della sua stirpe era mai tornato. -Manderemo
anche un messaggio al re, magari.- aggiunse.
-Ah, sì? E cosa gli diremo?
Che abbiamo trovato uno zacrul pazzo che afferma di avere un messaggio per
lui?-
-Non vedo perché nascondergli
la presenza del mezzelfo.-
-Maros, qui è in gioco la
nostra credibilità, il nostro incarico.-
-Non mi pare che lo
assolveremo bene tacendo questa informazione al re.-
-Ma che t’importa di quello
zacrul? Che ha di particolare?-
-Forse non hai capito bene,
capitano: è un mezzelfo, non un intruso qualsiasi. Sono passati millenni dal
giorno in cui furono esiliati da queste terre. Non credi sia strano che uno
abbia fatto ritorno?-
-Che sia strano, sono
d’accordo. Ma che vorresti fare? Portarlo al cospetto del re?-
Maros stava per ribattere
quando si udì il rumore di zoccoli che colpivano il terreno. Dei cavalli si
stavano avvicinando. Con un gesto il capitano ordinò ai soldati di fermarsi.
Arellon si domandò chi stesse arrivando, come tutti gli elfi. Poi nella radura
in cui si trovavano comparve un cavallo bianco cavalcato da un biondo
cavaliere. Una piccola corona d’oro decorata con motivi floreali cingeva il suo
capo, sopra gli occhi azzurri allegri e il viso sorridente. La giacca, la
camicia e i pantaloni che indossava erano verde bottiglia e semplici, privi di
inutili fronzoli. Sulla spalla sinistra portava una faretra piena di frecce
dall’impennaggio bianco, l’arco lungo era stretto nella sua mano sinistra
mentre la destra teneva le redini. Al fianco era legata una spada leggermente
ricurva dall’elsa riccamente decorata con gemme.
Qualche attimo dopo il primo
giunsero altri elfi a cavallo. Le guardie si inginocchiarono di fronte al primo
venuto e Maros costrinse anche Arellon a farlo muovendo magicamente gli anelli.
L’elfo a cavallo fece loro un gesto e gli elfi si rialzarono.
-I vostri umili servitori vi
porgono il loro saluto, Vostra Maestà principe Daolis. Per quale motivo vi
trovate da queste parti?- domandò Tilvell.
-Sto facendo una battuta di
caccia con alcuni amici. Tutto regolare nel giro di pattuglia, capitano?-
-Non proprio, altezza.-
rispose lo stregone indicando il prigioniero.
-Che cos’è?- chiese Daolis.
-Un intruso, altezza.-
-Questo è facilmente
intuibile!- sbottò acido un elfo del seguito. -Il principe vi ha chiesto cos’è!
È un uomo?-
-Avevo bene inteso le parole
del principe, ma avevo timore a rispondere direttamente, Lord Isfacil.- ribattè
il capitano con asprezza. Isfacil avanzò col cavallo mettendosi di fianco al
principe Daolis. Era un elfo più anziano, anche se ugualmente giovane
nell’aspetto. Capelli biondo molto chiaro contornavano il suo viso privo di
rughe, sul quale era stampata una smorfia sprezzante e arrogante. A differenza
del principe, il suo abbigliamento era fin troppo elegante per andare a
cavallo in mezzo alla foresta: la giacca era ricca di rifiniture dorate, in
fondo ad entrambe le maniche si trovavano due gemelli d’oro massiccio e portava
un anello con un rubino all’anulare della mano destra.
-Ah, sì? Perché, cosa
dovresti dire di tanto sconvolgente? Cos’è l’intruso?- domandò fingendo di essere
stupito.
-Un mezzelfo.- Immediatamente
si levò un brusio tra gli elfi della scorta, mentre il principe sgranò gli
occhi per lo stupore.
-Cosa... Cosa vai blaterando,
capitano? Ti prendi gioco di Sua Maestà il principe? È impossibile!- gridò
Isfacil sbiancando.
-È vero- confermò Maros -Io
stesso ho visto il simbolo della Maledizione di Naefarval sulla sua mano
sinistra.-
-Un mezzelfo...?- mormorò Daolis
-Certo è molto strano... Siete riusciti a capire il motivo per cui si trova
qua?- domandò poi.
-No, lo stavamo giusto
portando a Lar-Tolas per interrogarlo.- rispose il capitano.
-Per ora ha solo affermato di
avere un importante messaggio per vostro padre il re, ma si rifiuta di dirci
quale.- aggiunse Maros, mentre Tilvell gli lanciava un’occhiataccia. Isfacil
rise con disprezzo.
-Messaggio? E sarebbe
arrivato da chissà quale remota terra solo per portare un messaggio? Perché mai
dovremmo credere a questo lurido zacrul?-
A queste parole Arellon cominciò a fremere di rabbia e a muovere convulsamente
la bocca nel tentativo di ribattere, ma la magia di Maros persisteva ancora,
rendendolo muto. Il principe lo osservò un attimo, poi guardò interrogativamente
lo stregone.
-L’ho zittito perché
continuava a ripetere di dover vedere il re.- rispose Maros.
-Capisco, ma non credo che ce
ne sia bisogno ora: io sono il principe, ciò che vuol dire a mio padre può
benissimo riferirlo a me. Fatelo avvicinare!-
-No, sire. Potrebbe essere
pericoloso...- Isfacil venne zittito da un gesto del principe.
-Portalo avanti e fallo
parlare.- ordinò di nuovo Daolis.
Maros si avvicinò ad Arellon
e gli sussurrò:- A quanto pare è il tuo giorno fortunato. Ma ricorda: niente
trucchetti, ti tengo d’occhio.- Poi aggiunse a voce alta:- Xovis.- e la voce
tornò al mezzelfo, che avanzò verso il principe e si inginocchiò.
-E ora, mezzelfo, cosa devi
dirmi?- domandò Daolis chinandosi verso di lui.
-Vostra Maestà, vi ringrazio
per la vostra generosità.- esordì Arellon sollevando il viso verso il suo interlocutore
-Tuttavia imploro il vostro perdono, ma preferirei riferirvi il mio messaggio
in privato.-
-Non ho segreti con nessuno
dei miei sudditi. Parla pure.- ribattè il principe calmo.
-Penso che sarebbe comunque
meglio così. Temo che molti stenterebbero a credere a quello che devo dirvi.-
-Cioè intendi che noi
comprenderemmo subito che sono tutte menzogne, mentre il principe è
sufficientemente credulone, giusto?- lo sbeffeggiò Isfacil.
-Ora basta, Isfacil! Non ha
ancora detto nulla, come puoi affermare che menta?-
-Esatto sire, non ha detto
nemmeno il suo nome!-
-Il mio nome non ha
importanza, sono solo un ambasciatore.- ribattè Arellon -Vengo a nome del mio
popolo, che chiede aiuto ai propri fratelli contro il comune nemico.-
-Quale nemico?- domandò il
principe.
-Un assassino, una serpe che
tutti credono schiacciata per sempre, ma che vive ancora e minaccia nuovamente
la sopravvivenza del mio popolo e la sicurezza del vostro.-
-Basta parlare per enigmi! Di
chi stai parlando?- sbottò Isfacil.
-Di Eldacil figlio di
Ferdacil nipote di Acil.-
Per un attimo la radura fu
avvolta da un silenzio opprimente, interrotto però subito da Isfacil.
-Che vi avevo detto? Una
palese menzogna e nient’altro!- gridò
-No, lo giuro, è la verità!-
ribattè in fretta Arellon -Maestà, dovete credermi, l’ho visto coi miei occhi!-
-Zitto, zacrul!- esclamò
Tilvell. Lo colpì con un pugno nelle costole facendolo cadere a terra. -Perdonatemi,
Maestà! Vi prometto che gli faremo sputare la verità.- aggiunse rivolto al
principe.
-Me lo auguro. Quanto a te,
zacrul, credo che mio padre non abbia tempo per sentire pazzi della tua risma.
Eldacil è morto nella battaglia di Micara trecento anni fa, lo sanno tutti.-
-Ah, sì? Avete sepolto il
cadavere?- domandò Arellon cercando di rialzarsi.
-Cosa vorresti insinuare?-
gridò Isfacil -No, non l’abbiamo nemmeno mai trovato perché fu bruciato da una
fiammata magica evocata dai maghi. Ma ci sono tantissimi testimoni che l’hanno
visto svanire nelle fiamme.-
Maros aiutò Arellon a
rialzarsi. -Lord Isfacil ha ragione, mezzelfo. Io stesso guidai l’attacco dei
maghi che lo spazzò via per sempre.-
-Ma perché vi fa tanto
arrabbiare quello che dico? Non vi sto accusando di nulla, quando invece ne
avrei ben ragione.- disse Arellon con ira scrollandosi dalla presa dell’elfo.
-Odiamo le menzogne, noi veri
elfi, a differenza di voi mezzosangue. E di cosa dovresti accusarci di grazia,
zacrul?- domandò Isfacil con disprezzo. -Noi non dobbiamo proprio niente alla
vostra miserabile razza di Cadàn!-
Cadàn. Aborto di natura,
essere aberrante, ibrido mostruoso immeritevole di vita. L’insulto più
sanguinoso della lingua antica. Un insulto che ogni mezzelfo portava inciso
sulla mano sinistra. Un insulto che Arellon non poteva tollerare. Zacrul
significava intruso, un epiteto che il mezzelfo considerava comunque ingiusto perché
nessuno è un intruso in nessun luogo, il mondo è di tutti. Ma Cadàn era una
parola insopportabile, odiosa, maledetta e che gli faceva ribollire il sangue
dalla rabbia.
-Io non dovrei accusarvi di
niente? Davvero? Eldacil non era forse un vostro generale? Cosa avete fatto
mentre i suoi scagnozzi saccheggiavano e radevano al suolo Allesfeia? Voi non
avete mosso un dito per fermare le sue stragi della mia gente! Ma tanto cosa ve
ne importava, erano solo mezzosangue, no?-
-Metti a dura prova la mia
pazienza, mezzelfo, con queste parole ingiuriose e offensive.- disse il
principe con sguardo duro.
-A me pare, Vostra Maestà,
che il primo offeso qui sia stato io e la mia stirpe la prima ingiuriata. Ma
d’altronde che altro mi dovevo aspettare da costui?- domandò accennando a
Isfacil con un movimento della testa.
-Non permetto a nessun
mezzosangue di rivolgermisi così!- sbraitò l’elfo, rosso in viso.
-Chiedo perdono, nobile
cugino di Eldacil, ma a mio parere voi meritate tanto rispetto quanto ne avete
per gli altri!- Isfacil guardò il mezzelfo con stupore. -Oh, non credevate che
sapessi? Per un mezzelfo è impossibile non sapere di Isfacil, cugino e secondo
in comando di Eldacil.-
-Lord Isfacil ha riconosciuto
il suo sbaglio ed è stato perdonato dal re.- affermò Tilvell.
-Certo, ma a quanto pare non
ha perso il suo vizio di provare disprezzo per il mio popolo. Ma dimenticavo
che è un discendente di Acil, non si può certo uccidere una persona così
nobile, anche se ha massacrato centinaia di innocenti!-
-Basta, portatelo via, non
voglio più sentirlo!- ordinò Daolis irato.
Tilvell fece un cenno ad
Omnil e Asmil. I due elfi afferrarono Arellon per le spalle, ma lui oppose
resistenza.
-Che stupido sono stato!-
urlò dimenandosi -Credevo di andare a chiedere aiuto agli elfi, le più nobili
creature, poste dagli dei a custodire il mondo e solo ora capisco: non ve ne
importa nulla degli altri! Isfacil non ha ucciso nessun elfo della città, al
massimo qualche centinaio di mezzelfi ed elfi della foresta, perciò lo chiamate
Lord! Cosa farete quando arriverà Eldacil? Lui ha massacrato migliaia di
innocenti che avevano come unica colpa quella di non essere perfetti come lui,
ma non solo: ha anche fatto assassinare Olidos, distruggendo per sempre la pace
nella Grande Foresta! Come minimo lo nominerete subito vostro re!-
-Come osi?- gridò il principe
-Mio padre è Re Farilos, colui che ha guidato la ribellione contro Eldacil e lo
ha sconfitto nella battaglia di Micara.-
-Forse vostro padre è
sinceramente convinto del suo compito, ma voi non gli assomigliate di certo.-
Daolis scese veloce da
cavallo e sferrò un destro tremendo sulla guancia sinistra di Arellon. -Questo
è quel che meriti, lurido bastardo!-
-Ben fatto, sire!- esclamò
Isfacil battendo le mani.
-Ben fatto davvero!- affermò
Arellon sarcastico sputando sangue -Colpire un inerme è proprio un’impresa
degna di essere lodata! Che coraggio, Vostra Maestà!-
Daolis fissò Arellon negli
occhi. Entrambi bruciavano d’odio l’uno nei confronti dell’altro.
-Nessuno mi può dare del
codardo! Maros, togligli gli Anelli di Potenza e voi due guardie lasciatelo e
ridategli le sue armi!- esclamò il principe sguainando la spada -Ti farò vedere
se non sono degno di mio padre!- Asmil e Omnil lasciarono rudemente la presa e
si diressero verso i loro compagni.
-Sire, ma...- cominciò Maros.
-Obbedisci! Voglio dare una
lezione a questo zacrul!- sbraitò il principe. Lo stregone non potè opporsi:
toccò i tre anelli con la punta del bastone e quelli svanirono. Arellon si
portò le braccia davanti e si massaggiò i polsi. -Zacrul, prendi!- gridò Omnil
lanciandogli il bastone. Il mezzelfo lo afferrò al volo.
-Solo quella è la tua arma,
mezzosangue? Ti posso prestare una spada se vuoi!- lo derise Daolis. Isfacil
rise sguaiatamente.
-La mia forza viene dalla
Natura, non ho bisogno di altre armi per vincere, se sono nel giusto.-
-La tua arroganza non ti
salverà dal filo della mia spada!-
-Sire, fate attenzione: è un
mago molto abile...-
-Può darsi, Tilvell, ma non
potrà competere con la mia superiorità nella scherma.-
Gli elfi intanto si erano
disposti in cerchio intorno ai due. Tilvell si avvicinò preoccupato a Maros.
-Non temere, capitano,
interverrò non appena il principe ne avrà bisogno.- mormorò lo stregone
interpretando i timori di Tilvell.
-Controlla soprattutto che lo
zacrul non ne approfitti per scappare.- gli sussurrò il capitano di rimando.
-Date una lezione a quello
sfrontato, principe! Versate il suo sangue!- gridò Isfacil scatenando
un’ovazione in favore del principe da parte di tutti gli elfi. Arellon nel frattempo
stringeva il bastone con entrambe le mani, calmo e sordo alle grida degli elfi.
Richiamò i suoi poteri e si preparò allo scontro: si concentrò in modo da
percepire il debole sussurro degli alberi vicini. Non c’era molto amore per gli
elfi in ciò che sentì e se ne compiacque: avrebbe potuto sfruttare ciò a suo
vantaggio.
Daolis attaccò veloce
sollevando la spada. Il mezzelfo aspettò calmo, poi all’ultimo momento puntò il
bastone contro l’elfo evocando lo scudo magico. Daolis lo colpì con la spada
ricurva e rise.
-È tutta qui la tua magia?
Anche un bambino sa come annullare quest’incantesimo! Seish!- La barriera si
dissolse all’istante e il principe tornò alla carica. Calò la spada dall’alto,
ma Arellon la parò sollevando il bastone in orizzontale con entrambe le mani.
L’elfo tentò un affondo sul fianco, ma il suo avversario scartò e lo colpì sul
braccio sinistro col bastone. I due si allontanarono per osservarsi a vicenda
girando in cerchio. Daolis roteò la spada e attaccò nuovamente. Arellon impugnò
il bastone con entrambe le mani. -Issif!- Un forte vento scaturì dalla punta
contro il principe, ma l’elfo non si fece intimidire.
-Questa brezza non ti
salverà!- gridò saltando al di sopra del soffio. Arellon sollevò il bastone e
fece volare via l’elfo che cadde dietro di lui rotolando sull’erba.
-Maledetto!- Daolis corse
incontro ad Arellon così in fretta che il mezzelfo non riuscì a pronunciare
l’incantesimo difensivo e dovette usare ancora il bastone per fermare la spada.
Il principe lo incalzò con numerosi affondi, non concedendogli neanche un
attimo di respiro. Tutti gli elfi applaudirono quando ferì il mezzelfo sul
dorso della mano destra. Daolis sorrise e sollevò la spada in alto per mostrare
il rosso del sangue. Arellon approfittò di quel momento di distrazione per
colpirlo con un pugno in pieno viso e subito dopo allo stomaco con il bastone.
L’elfo si accasciò a terra dal dolore. Il mezzelfo sbattè il bastone contro il
suolo gridando:-Matmer!- e creò un’onda d’urto che scaraventò il principe ai
piedi del suo cavallo. La sua corona rotolò lontano in mezzo all’erba. Daolis
annaspò un attimo tentando di riprendere la spada, poi si rialzò e fissò il suo
avversario carico d’odio.
-Questo è davvero troppo, è
ora di finirla, miserabile zacrul!-
-Sono d’accordo, è ora di
finirla!- Arellon cominciò a recitare una nenia nella lingua antica prima a
bassa voce, poi sempre più forte. Le foglie degli alberi frusciarono, scosse da
un vento invisibile: il suono sembrava quasi un mormorio. Un mormorio iroso.
Maros le fissò preoccupato e si preparò a intervenire. Intanto il principe
stava nuovamente attaccando il mezzelfo, quando all’improvviso una radice sbucò
dal terreno e si avvinghiò attorno al suo piede destro.
-Cosa? Che stregoneria è mai
questa?- domandò sbalordito, mentre un’altra radice gli immobilizzava la gamba
sinistra.
-L’antica magia...- mormorò
Maros pieno di stupore. Daolis provò a tagliare le radici con la spada, ma
perse l’equilibrio e cadde a terra. Altre radici emersero dal suolo e lo
avvolsero cominciando a ricoprirlo completamente. Daolis gridava atterrito e
impotente. Isfacil ed altri elfi spronarono i loro cavalli sguainando le spade.
-Ti taglierò la testa, lurido
Cadàn!- Subito altre radici avvolsero le zampe dei cavalli costringendo i
destrieri a fermarsi di scatto o a rovinare a terra. Isfacil fu sbalzato giù
dal suo cavallo e rotolò sull’erba perdendo la spada. Maros cominciò a evocare
delle catene magiche che fermassero il mezzelfo, mentre i soldati gli correvano
addosso alle spalle e Omnil gli scoccava contro una freccia. Ma Arellon fu più
veloce: si voltò di scatto, puntò il bastone e gridò:-Sallon Aesf!- Lo scudo
magico respinse la freccia e travolse gli elfi, compreso lo stregone, che non
riuscì a pronunciare la formula di annullamento magico in tempo. Le guardie si
ritrovarono tutte sul suolo erboso. Alcuni elfi della scorta del principe
iniziarono a rialzarsi. Il mezzelfo se ne accorse e corse via fra gli alberi.
Non appena si fu allontanato le radici scomparvero, scendendo nuovamente sotto
terra.
-Prendetelo! Non lasciatelo
scappare, buoni a nulla!- sbraitò Isfacil rialzandosi. Tilvell diede
velocemente degli ordini e i suoi soldati si allontanarono fra gli alberi.
Anche gli elfi della scorta si unirono a loro nell’inseguimento, mentre Maros
accorreva a soccorrere il principe. Si chinò su di lui e recitò una formula di
guarigione allungando la mano sulla sua fronte.
-Sto benissimo!- sbottò
Daolis allontanando la mano dello stregone con rabbia. In effetti era vero, le
radici non gli avevano fratturato nessun osso, l’avevano solo immobilizzato.
Neanche il pugno del mezzelfo gli aveva fatto troppo male. Ciò che era stato
ferito era il suo orgoglio: quello zacrul l’aveva sconfitto e umiliato di
fronte ai suo amici e alle sue guardie. Daolis fremeva di rabbia. Raccolse la
spada e si rialzò.
-Non preoccupatevi, sire! Lo
troveremo e lo puniremo come si deve, quel lurido Cadàn!- Isfacil raccolse la
corona da terra e la risistemò sul capo del principe. -Un simile affronto non
passerà impunito!-
-Lo spero.- mormorò Daolis.
Ma le speranze del principe erano mal riposte. Poco dopo le guardie e gli altri
elfi fecero ritorno a mani vuote.
-Siamo oltremodo mortificati,
Maestà- affermò Tilvell -Ma non siamo riusciti a trovarlo, sembra svanito nel
nulla...-
-Incapaci! Idioti! E voi
sareste le guardie del regno? Non riuscite nemmeno a trovare un miserabile
zacrul fuggito qualche attimo fa!- gridò Isfacil.
-Infuriarsi con loro è
inutile. Non può comunque essere andato lontano: montiamo a cavallo e
inseguiamolo!- ordinò Daolis avvicinandosi al suo cavallo.
-Potrebbe sempre essersi
smaterializzato: in tal caso, chissà dove potrebbe trovarsi ora...- suggerì il
capitano.
-No, non credo. Avrei
percepito una magia così potente, altrimenti.- affermò Maros.
-Basta inutili chiacchere!
Voi guardie non avete cavalli, quindi montate insieme ai miei cavalieri!
Muoviamoci!- incalzò Daolis. Poco dopo gli elfi partirono in direzioni diverse
nel bosco. Gli ultimi furono l’arciere Omnil e l’elfo con cui condivideva il
posto a cavallo. L’arciere fissava verso l’alto. Gli sembrava di avere scorto
qualcosa tra le fronde degli alberi, per questo aveva chiesto all’altro elfo di
attendere.
Poi giunse da poco lontano
l’odiosa voce di Isfacil:- Vi volete muovere, voi due?-
Omnil sbuffò e l’elfo
ridacchiò:- Non lo sopporto neanch’io, non capisco come faccia a stare
simpatico al principe. Andiamo?- Omnil annuì. Dopotutto era stata solo
un’impressione. L’elfo spronò il cavallo e i due uscirono al galoppo dalla
radura.
Arellon guardò sotto di sè
gli elfi allontanarsi, tranquillamente seduto su un ramo di una quercia ai
margini della radura. Era stato facile salire, era bastato un piccolo
incantesimo di levitazione.
“Meno male che gli elfi non
sono più in grado di guardare al di là del proprio naso... o, in questo caso,
al di sopra della propria testa.” pensò Arellon sorridendo. Un sorriso amaro,
però. La situazione era peggiore del previsto: Isfacil, il cugino del
massacratore, non solo era vivo, ma era tenuto in gran considerazione dagli
elfi e dal loro principe. Come se non bastasse, gli elfi non gli credevano.
Ovviamente Isfacil aveva le sue buone ragioni, per modo di dire, per accusarlo
di mentire: lo disprezzava in quanto mezzosangue e temeva che rievocasse i suoi
crimini passati. Ma gli altri semplicemente non volevano starlo a sentire. Non
volevano sentirsi rinfacciare orrori passati di cui in parte si sentivano colpevoli.
Nessuno gli credeva. Almeno, nessuno eccetto lo stregone. Sembrava che fosse
meglio disposto degli altri nei suoi confronti, forse avrebbe potuto
convincerlo... Il mezzelfo sospirò guardandosi il dorso della mano destra
coperto di sangue. No, quella vista decisamente gli toglieva ogni speranza di
successo. Arellon appoggiò la punta del bastone sul dorso della mano destra, recitò
una breve formula e la ferita scomparve. Se quella si poteva guarire
facilmente, però non si poteva dire altrettanto dei suoi rapporti col rampollo
della famiglia reale, decisamente guastati. “Meglio dire definitivamente.”
Si guardò il palmo della mano
sinistra. Il simbolo della maledizione dei mezzelfi ora era nero, non bruciava
né risplendeva più. Ma gli bruciava l’animo vederlo, il marchio
dell’emarginazione. Tutto il suo popolo era stato segnato così fin dall’origine,
a causa delll’amore dell’elfo Atascal per l’umana Lalia, maledetto per
l’eternità.
Ringraziamenti:
@evening_star: Meno male che
non hai fretta, dati i miei lunghi tempi...
@Suikotsu: Contento di vedere
ancora combattimenti?
@giodan: Speranza vana...
@Rakyr il Solitario: Beh, non
era proprio una battaglia... comunque grazie!