Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: KikiWhiteFly    23/09/2009    0 recensioni
{Quinta classificata a pari merito con Darkrose86 al "Tears Contest" indetto da Red Diablo. Vincitrice del Premio Originalità e del Premio Emozione}
Diverso? Cos'è diverso? In fondo, se una gitana si chiamasse Sakura, senza distinzioni di sorta, non sarebbe un essere umano, in ogni caso?
Era questo l'eterno mistero che affliggeva il mondo, provocando una baraonda. Tante -assurde e sciocche- polemiche per una razza, un popolo che non aveva nulla da invidiare agli altri. Cosa è diverso?
Sakura rifletté tutta la notte, dopo che l'Uchiha, trasportandosi dietro quel sentimento di rancore che si era annidato negli anni all'interno del suo cuore, aveva lasciato la stanza. Sakura aveva i vestiti sdruciti, l'aspetto probabilmente impresentabile, ciocche di capelli ormai crespe, intoccabili. Occhiaie scavate in profondità, occhi che ormai avevano perso il loro splendore, spenti.
Riuscì a darsi solo una risposta: diverso?
Diverso non significava nulla se non simile.
Ebbene sì, gli uomini avevano paura di scoprire un'altra faccia della medaglia, probabilmente la loro -quella più nascosta-, quell'intoccabile e impronunciabile volto della moneta.
Genere: Triste, Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




4.

Sapore di libertà








Alle prime luci dell'alba -o almeno così credeva che fosse, visti i raggi quasi timidi che entravano con lentezza nello scarso metro quadrato- Sakura si svegliò, a causa di una manata ben poco galante sul volto. Si trovava in una sorta di catalessi, sul punto di destarsi ma sempre con quella spiacevole sensazione di poca lucidità, dovuta più che altro allo stress accumulatosi.

Non mi sembra l'ora di dormire... non vorrai mica perderti il falò in piazza?”, disse il soldato, sghignazzando assieme ai suoi inferiori. Quest'ultimi erano semplicemente schiavi del padrone, umili servi che pendevano dalle sue labbra e se l'Uchiha intimava loro di fare qualcosa, quelli non se lo facevano ripetere due volte.

Patetici” pensò Sakura, distinguendo nuovamente i profili della prigione. In seguito sentì lo stridio delle catene che le attanagliavano i polsi, crudelmente.

Q-quale falò?”, aveva un brutto -bruttissimo- presentimento. Sentì il soldato schioccare le dita e i suoi polsi liberarsi dalla presa; le braccia, finalmente, potevano riprendere a toccarle i fianchi. Quella piacevole sensazione però non durò a lungo poiché i due soldati la presero di forza, immediatamente, legandole le mani con una cordicella. Dietro di loro Uchiha controllava tutto, quasi per paura che la zingara potesse sfuggirgli.

Com'era prevedibile, Sakura era malferma sulle proprie gambe. Se una gamba era perfettamente funzionale, l'altra era da meno, purtroppo.

Una zingara zoppa!”, sghignazzò l'uomo, coinvolgendo in quella sadica risata anche l'altro.

Sakura non gli prestò troppa attenzione. Il suo corpo traballava, si muoveva lentamente, il dolore era tale da coinvolgere tutti gli apparati... d'altronde, era questo il peso da sopportare.   

Si morse le labbra con veemenza, toccando finalmente terra. Un suolo arido, un terriccio polveroso che di tanto in tanto alzava nuvoloni che Sakura respirava a pieni polmoni; tossì per la terza volta, accorgendosi solo in quel momento di aver toccato terra con le ginocchia sbucciate. L'Uchiha la prese per il capo, di forza. Le fece assai male quando afferrò la chioma rosa e la tirò a sé, sussurrandole una delle sue minacce: “Guarda gitana... guarda che bel falò. Non ti è... familiare?”, il brutto presentimento si faceva più vivo che mai.

La ragazza alzò il capo, spalancando le iridi e mordendosi le labbra per non gridare.

 

E che le mie parole urtino il cielo...

Questo cielo rosso sangue,

ove si sentono piovere gocce di pioggia vermiglia a catinelle.

 

Sakura!”, gridava Ino, in preda all'isteria. I lunghi capelli biondi volavano come seta nell'aria, e bianco era il vestito che le fasciava il corpo. Bianco come quella purezza, quell’ingenuità di bambina che aveva sempre conservato negli anni.

I suoi occhi scrutavano nella folla, alla ricerca della migliore amica, l'unica e la sola che poteva salvarla da quell'inferno.  

 

Ma tu non andrai all'inferno Ino...

non c'è posto per te, lì.

 

Sakura! Aiutam- Aiut--”  il grido si faceva sempre più debole; di lì a poco avrebbe cessato di esistere. L'ultima parola di Ino sarebbe stata “aiuto”... incredibile. Lei, che non aveva mai chiesto aiuto a nessuno, che se l'era sempre cavata, raccattando qualche spicciolo per strada e facendoselo bastare per una settimana.

Ino, che era cresciuta con lei, che l'aveva raccolta dalla strada, le aveva insegnato come ballare, come destreggiarsi, come muoversi davanti ad un pubblico. E le aveva insegnato anche come comportarsi... era stata lei -solo lei- che aveva temprato il suo carattere. Ino amava la vita... in ogni sua sfumatura. Amava sorridere, saltare, ballare. E... sì. Era particolarmente esibizionista, sicura di sé, sfrontata. Ecco perché in tanti si arrendevano a quella sua autorevolezza e al contempo a quella sgarbatezza tipica di chi è cresciuto per strada. Ma era anche particolarmente volubile in fatto di uomini, estremamente fragile... ma questo, a chi importava?


Perché la gente vede solo quello che vuol vedere. Perché dietro quella Ino così frizzante e spumeggiante si nascondeva quella più sensibile, quel fragile essere umano che si commuoveva per una stella cadente, forse l'unica della sua vita. Quel misterioso intrigo della natura, quel pasticcio di tanti ingredienti che faticava persino a ricordarne.


Oh, Ino era tutto questo. E molto di più.


Sakura annaspò, divincolandosi dalla presa dei due uomini e assestando loro un calcio ben piantato alle caviglie, che adesso si stavano massaggiando, doloranti; e corse, facendo leva su una sola gamba -dato che anche le mani erano fuori uso-, verso quel piccolo teatrino, allestito con un semplice tronco, una corda che circondava la figura angelica che vi era sdraiata, e le fiamme ancora cocenti, cremisi, danzavano nell'aria creando strane illusioni.

Ad esse si univa una grande nube, una coltre di fumo che faticò a respirare. Pianse, battendo con la testa sul legno del piccolo rettangolo in legno, ove era posata quasi come una Madonna immacolata la figura di Ino... i suoi lunghi capelli stavano bruciando, carboni ardenti stavano risucchiando la bellezza che c'era in lei, il fascino che esercitava sugli uomini di ogni rango.

Il suo brio naturale stava morendo nel fuoco, il sorriso era ora dimora delle fiamme, che si impadronivano con avidità della sua bocca; in seguito, solo ossa sarebbero rimaste.

E poi cenere, polvere, inutilità.

 

Cenere siamo e cenere diventeremo.

Siamo inutili... inutili a questo mondo. Sakura l'aveva capito, adesso che vedeva Ino bruciare viva, davanti ai suoi occhi. Uno spettacolo che le faceva accapponare la pelle, che sarebbe rimasto senza alcun dubbio vivo nella sua mente.

La nostra esistenza prende vita nel momento stesso in cui ci accorgiamo di perderla.

Vale a dire che ci accorgiamo veramente di quanto vale la nostra vita solo quanto siamo sul punto di abbandonarla, e forse non riflettiamo mai abbastanza sul fatto che è preziosa, e che vale la pena di viverla.

 

La cosa peggiore era che non aveva potuto far niente e, cosa ben più grave, era stata un'ingenua. Un'ingenua che si era illusa: aveva dato fiducia alle parole di uno spietato assassino, di un maniaco sessuale, di un uomo senza valore, anche se gli erano rivolti molti onori.

L'avete uccisa...”, articolò, impastando nella bocca parole acide. Un magone allo stomaco, un peso che le sopprimeva il petto, impedendole di provare anche solo quel briciolo di pietà.

 

Perché adesso Ino era cenere e lo era per colpa sua. Ora, avrebbe dovuto espiare quel peccato.

E l’inferno non bastava a redimerlo da quella colpa, le fiamme non sarebbero state sufficienti a giustificare un simile scempio dell'esistenza fatta persona... avrebbe dovuto morire e rinascere, morire e rinascere, finché quell'animo assatanato non avrebbe trovato riposo.

 

Ahimè...”, proferì lui, mettendole una mano sulla spalla.

 

Non toccatemi!”, urlò, squarciando il cielo. “Assassino! Vigliacco! Bastardo!”, gliene gridò di tutti i colori, bestemmiò un paio di volte, ad alta voce, mentre un coro di “Oh”, e di “Povera ragazza, adesso chissà cosa le accadrà”, le arrivavano come frecciatine ai timpani, volenti o nolenti.

 

Faresti meglio a non agitarti troppo, gitana”, grugnì sprezzante.

Giocò col viso della ragazza, passando con un dito lungo i suoi lineamenti. Alla fine, con un semplice trucco di prestigio, le fu dietro; ora poteva accarezzare la linea più nobile del collo, quella che adesso era tesa come una corda di violino, nervosa. “Questa corda...”, ed estrasse una semplice cordicella, passandogliela attorno alla gola. “... segna il confine tra la vita e la morte” sussurrò in modo quasi sadico, con l'intento di farlo sentire solamente a lei. Strinse maggiormente, tirandola verso di sé... inevitabilmente il capo scattò all'indietro, il volto si contorse in una smorfia di dolore, una sofferenza terrificante che fino a quel momento non aveva mai provato.

La folla stava osservando la scena provando enorme pena per la ragazza, ma nessuno aveva il coraggio di opporsi ad una simile ingiustizia. Solo quando il volto di Sakura divenne di un colore simile al porpora, allora decisero d'intervenire, intimando all'Uchiha di smetterla... ma quello non mollava, sembrava si divertisse, quasi la zingara fosse un burattino, capitato però in mani sbagliate.

 

Lasc-Lasciatemi”, tentò di spiegare, anche gestualmente. Un attimo dopo avrebbe sentito il collo libero da quel cappio assassino, il conato di vomito bloccato in gola, le nausee improvvisamente soppresse.

 

Uno sguardo ostile.

L'Uchiha schioccò le dita, chiamando a rapporto i primi malcapitati che si trovavano nelle vicinanze. Questi si portarono una mano al capo, gridando un “Sì, Signore”, forse con troppa enfasi.

Portate questa sporca prostituta nella sua cella. Non legatela, ci penserò io”, telegrafò.

In seguito due tenenti la portarono di forza via dalla piazzetta, sbattendola dritta dietro le sbarre.

 

Te lo prometto Ino

-fosse anche l'ultima cosa che faccio-

il tuo sacrificio non resterà invano.

 

 

Il soldato le lanciò uno sguardo canzonatorio, ghignando di piacere. Ordinò ad altri due soldati minori di cancellare le tracce di quel corpo bruciato, di spargere le ceneri a terra, come immondizia, così tutti lo avrebbero calpestato.

 

Se ci riflettiamo, è strano.

Non c'è limite alla malvagità, alla crudeltà dell'uomo.

Alla sua bontà invece sì.

Peccato, vorrei che fosse il contrario.

 

 

 

L'Uchiha rientrò nella stanza, lasciandosi dietro il rumore dei carri, le ruote delle carrozze, il semplice cianciare senza cognizione di causa dei contadini ignoranti, l'aberrante scenario che gli si proponeva tutti i giorni di fronte: quello di persone che lo odiavano, sognavano di vederlo morto, e avrebbero pestato i piedi sulle sue ceneri tante di quelle volte che avrebbe sentito le pedate anche all'Inferno. Ma non gli dispiaceva.

No. Finché era al potere, poteva decidere di far morire tutti, in un unico grande falò... poteva torturare ed in seguito martoriare i loro corpi, senza alcun pudore.

Forse era cresciuto in tal modo a causa dei suoi genitori... se di genitori si poteva parlare. Quel bastardo di suo padre se ne era andato presto di casa, e sua madre era diventata isterica da allora, sempre pronta a bestemmiare, in nome di quel marito e in nome di quei figli che aveva avuto, e che adesso rinnegava, e a cui augurava la morte.

Il destino le si rivoltò contro, truce. Perché, solo pochi anni dopo, la donna, in seguito a quella pazzia, aveva deciso di compiere un gesto estremo: il suicidio.

Se lo ricordava ancora, quel fottutissimo giorno... lo aveva svegliato sua madre, e ancor prima suo fratello. Portava un fazzoletto nero intorno al capo, si rigirava la fede nuziale senza tregua, piangeva e rideva con la stessa intensità... Sasuke lo aveva sentito: sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe vista. Sua madre teneva tra le mani stretto un rosario e pregava, ansiosamente, continuamente, ripeteva ossessionata le Ave Maria e i Padre Nostro laddove li aveva lasciati, e poi, a metà della preghiera, ricominciava daccapo, guardando in alto nel cielo.

Bella giornata”, aveva detto sottovoce, osservando i nuvoloni scuri che stavano sfumando il cielo. Poi aveva dato ai figli un bacio, era corsa via come un'ossessa, e Sasuke e Itachi avevano capito -ma avevano fatto finta di non capire.

Itachi, il più grande e il più responsabile, gli aveva preso la mano, in un gesto da uomini -cresciuti troppo in fretta, forse.

Ora siamo soli”, sillabò, osservando la sagoma della madre ormai invisibile.

La coperta di nubi ostacolava loro la visuale, così Sasuke ritenne più opportuno spingersi finché la sua vista glielo permetteva.

Già... siamo soli”, il tono monocorde del bambino aveva un che di malinconico, triste... era stato allora che aveva iniziato a farsi le ossa, a lavorare come un mulo, a trovare il pane per strada, perché nessuno ti da' niente per niente.

 

La dura legge della vita.

Così come hai guadagnato quel tozzo di pane, gli altri sono già pronti a riprenderselo, e a sputarti in faccia, se ne hanno voglia.

Perché erano questo gli uomini: avidi di potere, veterani della lussuria, maestri dell'agiatezza.

E Sasuke aveva capito, da allora.

Era troppo ingenuo...

Qui chi semina raccoglie.

E chi non raccoglie... può considerarsi un fallito.

 

Hai capito allora cos'è un uomo, Sas'ke?”, gli domandavano i suoi amici. Sasuke si torturava da mesi con quella domanda, senza trovarne risposta. Ora che si era spaccato la schiena, lussato una gamba, ora che aveva sputato sangue nei campi...  ora poteva dare una risposta.

Sì. Sì che lo so”, avevano annuito gli altri, interessati alle sue teorie. “È quello che comanda. E un giorno lo sarò anch'io”

Vuoi comandare?!”, che sogno strano, pensavano i bambini. Ma lui un bambino non lo era più, anche a nove anni, si poteva considerare un uomo.

Io sono nato per fare il padrone, non certo lo schiavo”

 

 

 

Detto fatto.

Ora Sasuke Uchiha era uno spietato e temuto soldato di livello medio-alto... aveva tutto quello che voleva, bastava che schioccasse le dita e poteva dar vita alla cenere, e allo stesso tempo farla bruciare. Col tempo quel ruolo era diventato una costante, e tutti da allora lo conoscevano come il “Terribile Uchiha”, l'incubo dei criminali e soprattutto degli zingari. Le sue avversità erano cominciate osservando quei rivoltanti balletti mal coreografati, un astruso modo di vestirsi che destava non poco scalpore, in netta contrapposizione agli eleganti abiti d'epoca del ceto alto.

Poi era apparsa lei, in un lampo.

Quella naturalezza nei movimenti, le piroette che compiva, i movimenti che incastrava perfettamente tra corpo e mente... ben diversa dalle zingare che era solito vedere.

La studiava da molto tempo, ricalcava le sue forme nella mente, gli si sovrapponevano milioni di immagini di quella danzatrice senza tecnica. Si era insinuata come un tarlo nella sua mente, scavandone la profondità, e sentiva il bisogno di conoscerla, di parlare con lei... e l'unico modo per farlo era incatenarla, con la forza. Dote che aveva sempre usato e gli era sempre stata di grande aiuto, dal momento che aveva imparato a sue spese che con la forza si ottiene tutto.

 

 

L'Uchiha entrò a passo lesto nel piccolo covo quasi deserto, un rifugio spartano, senza troppi ghingheri. L'ideale per una prigionia a tempo indeterminato che si sarebbe risolta come le altre prima di essa, con un grande falò a cui erano tutti invitati. Il soldato ghignò, davanti alla sagoma della gitana, tramortita di paura. Glielo leggeva negli occhi: terrore nel suo sguardo.

Andatevene, idioti”, gridò ai due uomini che si stavano premurando di tener ferma la zingara.

Quelli subito annuirono, defilandosi dalla stanza, lestamente. Sakura osservò il loro goffo modo di muoversi, la loro dedizione al padrone, quasi quello fosse Dio.

Un Dio di morte.

Lasciate questa prigione e andate ad arrestare gli altri gitani”, ringhiò loro contro, sbattendoli letteralmente fuori. Solo dopo un istante di silenzio, l'uomo torno a leccarsi le labbra; osservò il sorriso della ragazza, ostile.

Siamo solo noi due...”, lasciò in sospeso la frase, dando a intendere ben altro scopo che una semplice conversazione.

Andate a farvi fottere”

...”

Silenzio. L'uomo schifò per un momento la donna, facendo una smorfia di disappunto. “Dì un'altra parola e hai firmato la tua condanna a morte”. Quello sguardo ghiacciato la paralizzò.

L’uomo le aveva preso il mento, poi aveva spinto il suo collo in alto, minacciandola. Il suo corpo era andato ad impattare nuovamente contro quello di Sakura. E quest'ultima stavolta non si fece scrupoli... fece un gesto estremo e, forse, avventato. Gli sputò in faccia.

Esatto, un grume di saliva adesso scendeva sulla guancia del soldato che, prontamente, ripulì quella sostanza liquida, impastata da una bocca troppa audace e sfrontata.

Puttana”, grugnì, afferrandole bruscamente i polsi e cacciando fuori un coltellino dalla tasca.

Il suddetto coltellino attraversò con una certa lestezza le vene del braccio di Sakura, che divennero più sporgenti: quand'era nervosa o tesa era sempre così. Tremò, come una foglia scossa dal vento.

L'uomo avrebbe potuto affondare la lama nel suo braccio da un momento all'altro, senza provare la minima pietà. Avrebbe intrapreso una lunga crociata dalla sua spalla fino al palmo della mano, tracciando una linea retta color carminio.

Ora non parli più?”, domandò.

Se lo trovò dietro, in un attimo. Quella lama infilzata nel suo collo premeva forte. Gli occhi carnefici la stavano guardando come una carne destinata al macello, con la sola differenza che lei sarebbe bruciata viva, al rogo. Una lacrima sul suo volto, tuttavia altalenante tra la ciglia e l'iride.

Aveva pochi minuti per riflettere: pochissimi. Il coltellino le sfiorava la pelle, cercava di affondare ma poi si fermava sempre; l'intento dell'Uchiha non era quello di ucciderla, solamente di torturarla. Era quasi tentata... avrebbe dovuto solo trovare il momento opportuno per poi prendersi la sua rivincita, portando il coltello dalla parte del manico.

Valutò le opzioni, concentrandosi. Avrebbe potuto ribaltare la situazione a suo favore, volendo. Fece mente locale: doveva valutare velocemente, con astuzia e furbizia. Strizzò gli occhi, si guardò circospetta attorno, e in un attimo attuò il suo piano. “Io non sottovaluterei le gitane...”, mormorò con particolare enfasi quell'ultima parola. L'Uchiha arcuò un sopracciglio, abbassando un po' la cresta, probabilmente; Sakura ghignò, prendendo un gran respiro e compiendo quel gesto folle ma estremo. Come si suol dire: a mali estremi... estremi rimedi.

Con tutta la forza che aveva in corpo, sfilò quel coltellino all'uomo, astuta come solo una volpe sa essere. Quello se ne accorse immediatamente, e cercò di riprendere ciò che gli apparteneva, ma lei si era preparata psicologicamente a quel momento: fece una delle sue piroette acrobatiche -quelle che il Colonnello Uchiha disprezzava, e che invece, adesso, si stavano dimostrando d'aiuto-, affondando con la gamba all'interno del petto dell'uomo. Probabilmente gli fece male, dal momento che, quello soffocò un gemito di dolore, tenendosi lo stomaco... la smorfia disgustata, la bocca contorta, il grume di saliva che aveva fatto uscire fuori dalla sua bocca, per non rischiare di soffocare. Sakura sorrise, per un decimillesimo di secondo; aveva avuto la sua piccola -grande- rivincita. Adesso però ne doveva subire le conseguenze... l'uomo s'avventò su di lei, con tutta la sua forza, tentava di strappargli quell'oggetto di mano, e non avrebbe esitato a romperle le ossa, se ne avesse avuto l'occasione. Dal canto suo la zingara si difendeva come poteva, grazie a quelle acrobazie che le erano tornate tanto utili, in un momento di panico come quello; proprio per questo motivo decise di non far affidamento sul terrore e sulla costante agitazione, bensì sulla sfrontatezza, sull'audacia e sul coraggio. Quello che tanti altri prima di lei non avevano avuto. Fu un duro gioco di sguardi, ingannevoli sorrisi, falsi convenevoli; e alla fine la rosa prevaricò, con una mossa assai pericolosa.

Cos... Cos'ho fatto?”, davanti a lei un macabro spettacolo. Non se ne era reso nemmeno conto... in quei pochi attimi sospesi tra vita e morte, tra razionalità e follia, aveva affondato il coltello nel petto dell'uomo... cosa diavolo le era saltato in testa?. Mise una mano davanti la bocca, macchiandosi del suo sangue.

Era un'assassina, era una dannatissima assassina, adesso. Colavano ancora stille di sangue dalle sue mani, piccole gocce che andavano ad urtare il terreno, leggere. Di fronte a lei, Sasuke Uchiha era morto... non se ne capacitava. Gli occhi erano chiusi - e a guardarli così non incutevano neppure tanto timore -, il corpo era caduto all'indietro, battendo sonoramente con la testa sul pavimento roccioso. Si guardò ancora una volta le mani, schifata. Si sarebbe dovuta levar via quel sangue, avrebbe dovuto cancellare quelle tracce dalle sue mani, avrebbe dovuto lavarsele, pulirsele, senza lasciare più alcun segno.

Ma sapeva già, in fondo, che quel sangue sarebbe rimasto indelebile,

non avrebbe potuto lavarlo via in alcun modo.

Incancellabile.

 

Cosa doveva fare, adesso? Uscire?

Non sarebbe passata di certo inosservata, non se era una zingara che girava a piede libero, senza nessun soldato che le prestava attenzione. Peraltro, ricordò le ultime parole dell'Uchiha ai soldati minori: a quanto pareva in quel posto non c'era nessuno. Avevano ubbidito agli ordini del maggiore; Sakura sospirò, avrebbe dovuto compiere il secondo gesto più macabro della sua vita. Soppresse il conato di vomito. Lo doveva fare per salvarsi la pelle; Ino l'avrebbe capita. Pensò alla bionda amica, il suo sorriso raggiante ridotto in cenere; serrò un pugno, nervosa. Non era il momento di rivangare i brutti ricordi di qualche ora prima, non era nemmeno il momento per soccombere alle emozioni.

Si avvicinò al corpo dell'uomo, senza più alcun timore. Estrasse il coltello che gli aveva premuto sullo stomaco, e non si era fermata lì. Aveva infilzato quella lama sì, e, per un solo e miserabile momento, ci aveva giocato, dando vita a quella bramosia di vendetta, che credeva di tener nascosta in cuore. Con un grande sforzo, estrasse la lama metallica, respirando a pieni polmoni l'odore fresco del sangue, unito a quella muffa che vigeva nella prigione. Un odore acre, malevolo, assolutamente irrespirabile... ciononostante fece uno sforzo, cacciando fuori il coltellino svizzero con cui l'Uchiha tanto la minacciava.

E così, alla fine, è stato lui ad ingannare te.

Pensò, mentre compiva un altro sforzo per sfilare il mantello dell'uomo. Quel mantello di velluto, morbido e soffice... un po' intimidatorio, un po' affascinante; quel panno che le aveva sfiorato più volte l'epidermide, talvolta con un cenno quasi insensibile, talvolta con un tocco profano, rude. L'aveva avvolta in quell'indumento, forse con poca galanteria, forse violentemente, ma era stato l'unico tocco che le aveva fatto rimbalzare per un attimo il cuore; perfino sotto quella dura scorza di crudeltà, aveva intravisto un barlume di malinconia, una velata nostalgia e un’amara tristezza. Alla fine era giunta ad una conclusione: l'Uchiha aveva sofferto, duramente. Sakura s'infilò il cappuccio, coprendo i capelli che, seppur di un colore opaco, erano sempre visibili alla luce del sole.

Da quanto tempo non la vedeva? Le mancava la luce... le mancava poter vedere un raggio vagabondare sulla sua pelle, senza meta.

Afferrò il coltellino, lo arrotolò tra le vesti, coprendolo con quante più stoffe fosse necessario. Con le mani che le formicolavano ancora si allacciò il mantello, nascondendosi all'interno di quel travestimento. L'ultima cosa che vide fu quel suo corpo, immobile, statuario. Perfino con quell'espressione cadaverica in volto, conservava il suo ghigno di circostanza, beffardo.

E una piccola, minuscola, sensibile lacrima le rigò la guancia. “Abbiamo pareggiato i conti, Uchiha”.

E si defilò, nascondendo un ghigno sardonico tra le labbra, scomparendo da quella sudicia stanza, impregnata di un odore ancora lugubre.

Il giorno dopo avrebbero trovato uno straccio, di un'anonima stoffa color salmone, accanto al corpo del Colonnello Uchiha, assassinato, per motivi che erano ignoti; né,, tanto meno, si conosceva l'assassino.

Quella stoffa...

Nessuno ne capì mai il significato.

 

***********


Dico subito che questo è stato in assoluto il capitolo più difficile da trattare... infatti rileggendolo devo tirare ancora un sospiro di sollievo,
giuro °_°
Sarà che in questa storia mi sono immedesimata troppo, chissà °°.
Vi ringrazio infinitamente, come sempre *_*. Ahimè stavolta non posso ringraziarvi, vi basti sapere
che sto facendo Storia dell'Arte, e sono sommersa dai compiti.
Grazie a tutti,
Ki-chan =).




   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: KikiWhiteFly