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Autore: Mannu    26/09/2009    0 recensioni
Ilah ha trovato il suo rifugio su La Tana, stazione spaziale clandestina. Ma una come lei non riesce a stare ferma troppo a lungo e finisce presto col mettersi nei guai al punto da dover trovare il modo per andarsene...Nota importante: questa storia è nata come uno studio sul personaggio e inizialmente non è stata pensata per la pubblicazione. Ilah non è un personaggio interamente mio, ma realizzato in collaborazione con Cassiana. Questa mini-storiella è stata scritta per darmi la sua idea del personaggio e successivamente è stata ampliata da me. Sentiti ringraziamenti a Cassiana per tutte le idee buone che ha messo sul tavolo per creare Ilah e per avermi autorizzato a usare ciò che ha scritto di suo pugno su questo interessante personaggio.Addendum: il titolo era "Miki & Ilah: Prologo" ed è stato modificato in "Ogni debito... è un debito". Grazie di nuovo, Cassiana!
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ferraglia spaziale'
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Ogni debito... è un debito: Prologo
La ragazza chiuse la cuccetta con un calcio. Sbadigliò sguaiatamente e si stiracchiò le lunghe membra filiformi. Aveva sonno, era andata a letto vestita e non sapeva che ore fossero: i suoi bioritmi erano completamente sballati dalla vita che faceva. Ma nel cyberspazio concetti come mattina o notte erano del tutto obsoleti. Si passò una mano sul volto, si grattò la nuca rasata facendo bene attenzione a non far scattare le sue unghie retrattili, affilate come rasoi. Ghignò al pensiero: erano un innesto illegale, considerato un’arma nelle altre stazioni. Ma lì su La Tana erano il minimo che ci si potesse aspettare da una come lei. Osservò il suo riflesso nella superficie levigata e lucida di un lungo e stretto pannello ornamentale della sua misera stanzetta e fece una smorfia. Gli occhi, sottili e cupi, erano cerchiati da una pesante ombra nera, in parte dipinta da lei stessa e in parte dovuta alle nottate in bianco trascorse a cavalcare le onde di dati che si riversavano nel suo impianto corticale. Scrollò la testa facendo tintinnare il milione di piccole perle che aveva intrecciate ai lunghi dread fucsia. Li raccolse in una fascia larga così da farne una specie di coda. Avrebbe voluto guardare il suo grande tatuaggio, ma era da molto tempo che non trovava due specchi adeguati: l'aveva sulla schiena. L’aveva fatto quando non aveva ancora compiuto diciassette anni e alla maniera antica, dolorosa. Ci erano voluti cinque mesi di paziente lavoro e parecchi crediti prima che il tatuatore finisse il suo capolavoro. Ilah ricordò Prometeo che campeggiava all’altezza delle clavicole, pagato con un lavoretto banale sulle serrature di una quindicina di appartamenti; il suo pensiero andò alle linee sinuose delle navi da trasporto truppe che circondavano la stazione: per quelle aveva dovuto piratare una rete di bancomat. Importantissimo, c'era anche il viso della sua bisnonna dall’espressione battagliera e la cresta gialla. Aveva tartassato il tatuatore perché desse il meglio di sé: per raffigurare sua nonna non avrebbe badato a spese e avrebbe preteso il massimo. L'artista aveva fatto un ottimo lavoro davvero e aveva preteso che lei gli rifacesse tutto il sistema di sicurezza del suo negozio. Ilah sorrise: c'erano solo due persone che potevano entrare e uscire dal negozio di tatuaggi dopo l'orario di chiusura, ora. Una era lei.
Uscì dal suo covo e si diresse verso il più vicino distributore automatico di cibo. Le strade erano come sempre in penombra, per favorire il risparmio energetico, ma affollate di gente. Nessuno sembrava fare caso alla ragazzina dai dread colorati e dall’abbigliamento peculiare. Anzi Ilah in quell’ambiente, con i suoi anfibi rossi dalla punta rinforzata, le calze a rete gialle strappate in più punti, i pantaloncini neri attillati e il giubbotto di pelle anch’esso nero, sembrava fin troppo normale. Infilò una scheda mezza scarica nella fessura del distributore e si mise a studiare il menù. Non aveva molta fame ma una voglia spaventosa di dolci. Anzi, mangiava solo quelli eppure il suo fisico rimaneva esile: con la sua testa di capelli rosa vivo e le lunghe gambe scarne faceva facilmente venire in mente l’immagine di un fenicottero. Alla fine optò per parecchie barrette al surrogato di cioccolato e una bibita energetica. Con indolenza si appoggiò al muro e scartò la sua merenda, lasciando cadere gli involucri dove capitava e guardando con occhi vacui la folla che passava. Nessuno era una brava persona lì sopra, neanche lei. A diciassette anni era già ricercata sui server di metà delle stazioni orbitanti per crimini informatici e aveva il fiato sul collo di parecchi boss che desideravano i suoi servigi. Era brava in quello che faceva. Poteva vantarsene, e lo faceva.
Ma ormai lì, in quel covo clandestino di gente senza scrupoli, si era giocata tutte le sue carte. Non era l'unica brava a cavalcare la Rete: certo, ancora non aveva incontrato qualcuno che le tenesse testa, ma erano in molti a volerle rendere la vita difficile. Aveva sbagliato una mossa. Colta da ingordigia, o forse per semplice distrazione, aveva accettato un lavoro di troppo. Dopo aver servito più volte uno dei boss più influenti di tutta La Tana, un certo Kemmer, aveva pensato bene di fare un favore bello grosso a Eltsin Ortal, suo più pericoloso rivale. Bella mossa, pensò: ora li aveva contro entrambi.
Dopo la quarta barretta di surrogato la bibita terminò e Ilah gettò il vuoto in direzione dei bidoni dell'immondizia di un blocco abitativo lì vicino. Col peso delle altre barrette in tasca, che le avrebbero fatto da pranzo e cena, si incamminò senza una destinazione. Non aveva più un soldo: il suo ultimo datore di lavoro, Ortal, avendo saputo che aveva lavorato per Kemmer, aveva evitato di pagarla. Lei non aveva potuto nemmeno vendicarsi: se si fosse connessa nuovamente alla rete del boss mafioso dalle lontanissime origini europee, sarebbe stata bruciata in pochi secondi.
Devo andarmene, concluse rassegnata. Infilò le mani in tasca e pensierosa calciò via rumorosamente una bottiglia di plastica vuota che ebbe la ventura di trovarsi sul suo percorso. Avrebbe dovuto abbandonare il suo rifugio lì su La Tana e scappare via. Doveva trovare un passaggio su qualche nave. Sarebbe tornata su Prometeo? Aveva però voglia di vedere la più popolosa stazione orbitante, la mitica Stazione Apollo. Ne aveva sentite di tutti i colori su quel posto: i primi tre settori si diceva fossero più malfamati di La Tana. Pareva improbabile, ma se fosse stato vero, si sarebbe trovata bene. Prometeo invece era grande: le possibilità di essere rintracciata dai suoi genitori era bassa. Poi sapeva come rendersi irreperibile: Kemmer e Ortal ne sapevano qualcosa.
Dalla sua memoria artificiale estrasse un paio di nominativi: erano gente di Controllo di La Tana. Raccattava informazioni di ogni genere e le salvava nella sua memoria cibernetica: prima o poi qualcosa le sarebbe tornato utile. Proprio come in quel caso: Controllo era l'ente preposto a supervisionare il traffico aereo nello spazio intorno alla stazione. Governava anche gli attracchi. Il punto migliore da cui cominciare a cercare una nave. Cercò altre informazioni sui due tizi e trovò qualcosa di interessante. Il bello di La Tana è che si trova sempre qualcosa da scambiare... o qualcuno da ricattare, si disse frugandosi nelle tasche, sorridendo. Si recò allo spazioporto di persona. Aveva deciso che era giunto il momento di una cavalcata.

- Carino qui.
Con le mani in tasca si affacciò alla grande finestra. Si vedeva un panorama mozzafiato: il molo lungo e sottile con le astronavi attraccate, una struttura dall'aspetto eterogeneo come tutto, lì su quella strana stazione. Esso sporgeva nel vuoto dello spazio dal fianco della stazione stessa che sembrava una fetta di torta tagliata male. Oppure un modellino di quelli sezionati per mostrare l'interno. Poteva vedere i livelli sovrapposti di quella struttura raffazzonata e rattoppata ovunque e, se aguzzava bene la vista, poteva vedere perfino la gente camminare nei pressi dei bordi. Si ricordò di un disegno animato visto sui testi scolastici: il formicaio, presente solo sul pianeta. Stava guardando la sezione di un formicaio umano esposto anziché da un vetro, da un enorme campo di forza invisibile che impediva all'atmosfera di quel posto di volarsene via nello spazio nero. Lo spazio, freddo e vuoto, faceva da incredibile sfondo alle astronavi galleggianti attraccate, unite alla stazione da passerelle tubolari flessibili. Cordoni ombelicali, pensò accarezzandosi la pancia piatta e nuda con un brivido freddo, sgradevole.
- Hey, hey! Non andartene in giro. Fai quello che devi e sparisci.
L'uomo si guardò intorno, nervoso. Gli aveva passato ben tre dermi di gialla per entrare lì. Aveva a portata di mano alcuni terminali collegati alla rete di Controllo con privilegi alti. Quanto può valere conoscere i vizi di qualcuno, si chiese sfiorando una tastiera antiquata. Era una piastra sensibile al tocco con le lettere cancellate dall'uso. Non ne avrebbe avuto bisogno.
Estrasse il suo Bolonov e le piastre a contatto ancora umide di gel superconduttore, per fortuna. Aderirono alla porzione rasata del suo cranio senza fare storie.
Si catapultò dentro il sistema con una velocità e una violenza che avrebbe fatto vomitare anche un esperto cavaliere del cyeberspazio. La rete di Controllo era fredda, semplice, schematica ma soprattutto protetta male. Aggirò agevolmente la maggior parte delle protezioni e sfondò con la forza bruta l'ultima solo perché le andava di farlo. Si stava annoiando.
Lanciò la copia dei dati per sicurezza, ripromettendosi di cancellarli subito per non occupare spazio prezioso nella memoria che aveva cablata nel cervello. Cominciò a scorrere i dati delle navi attraccate: ce n'erano poche, fece alla svelta. Aveva bisogno di qualcuno che l'accogliesse senza fare storie, qualcuno che avesse bisogno di lei.
Una sola aveva problemi coi pagamenti delle tasse, un equipaggio minimo e l'affitto dell'ormeggio in scadenza di lì a tre giorni. Tutto contemporaneamente. Perfetto. La nave aveva perfino un nome simpatico: Coyote. L'unica cosa che non le piaceva era il comandante: una donna. Avrebbe preferito un uomo. Non aveva più dermi né altre droghe da scambiare con favori e forse un maschio avrebbe ceduto a lusinghe di altro tipo. Ma non si sentiva ancora pronta per quel genere di cose: il sesso non era certo il suo forte. Anzi, i pagamenti “in natura” le facevano ribrezzo al solo pensiero. Sperò ardentemente di non dovervi fare mai ricorso. Molto meglio ricattare con l'offerta di aiuto immediato.
- Allora, hai finito?
- Che stress! Ho finito, cazzo. Ho finito!
Innervosita, si disconnesse più bruscamente di come era entrata senza patire altro che un piccolo fastidio passeggero. Uscì dall'edificio di Controllo sbattendo le porte e, sgranocchiando una barretta di surrogato di cioccolato, andò a cercare una connessione da piratare. Aveva bisogno delle telecamere di La Tana. Doveva trovare una morettona riccioluta di nome Patris Michaela.
   
 
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