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Autore: Stella_B    27/09/2009    2 recensioni
Vi propongo questa fic ispirata al libro "Ti ricordi di me?" di Sophie Kinsella. ^^ Sole è un'adolescente perseguitata dalla sfortuna: è goffa, sfigata e tutto sembra andare storto nella sua vita, quando un incidente le fa perdere la memoria. Al suo risveglio, più di un anno dopo, però la sua vita non è più la stessa: lei è diventata carina, è stimata da tutti, ha stile ed è la più popolare della scuola. Cos'è successo? Cosa l'ha fatta cambiare così? Sole cerca di fare chiarezza nella sua nuova vita, scoprendo che non è tutto oro quel che luccica.
Genere: Commedia, Suspence, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Volevo scusarmi se ho lasciato in sospeso la storia precendente ma ho avuto una crisi d'identità, per cui mi sono dovuta imbarcare in una nuova fic... >.<
Spero di riuscire a postare al più presto il nuovo capitolo, ma con la scuola che è riniziata sarà difficile.
Proverò a postare entro dopodomani al massimo ;)


Apro gli occhi, ancora insonnolita.
Un fascio di timida luce invernale filtra dalla tapparella, illuminando leggermente la stanza.
Mi sento anche più riposata del solito.
Chissà che ore sono.
Muovo il braccio verso il comodino, per afferrare il cellulare e controllare l’ora.
La mia mano tasta il vuoto.
..?..
Un ricordo, risalente al giorno prima, mi risveglia all’improvviso.
Ieri, mi hanno rubato il cellulare. Non me ne sono neanche accorta, mentre me l’hanno silenziosamente sfilato dalla tasca.
Non ho più un cellulare.
Il che significa…
In un secondo, sobbalzo.
Il che significa, che non ho la sveglia! Il pensiero mi attraversa la mente, alla velocità della luce.
E altrettanto velocemente salto giù dal letto, a caccia di un orologio.
Finalmente trovo l’orologio da polso: sono le 7.46.
Merda.
Mi infilo i primi vestiti che trovo, e dopo 5 minuti corro fuori di casa, correndo come una furia verso la fermata dell’autobus.
Nonostante la corsa nell’aria gelida mi tolga il fiato e mi impegni al massimo delle mie forze fisiche, la mia mente, purtroppo, è abbastanza libera da poter pensare al giorno prima.


“Amore, stasera non posso venire, mia zia ha avuto una ricaduta e devo farle compagnia... Mi farò perdonare, polpettina, promesso. ;) Ti amo”.
Leggo e rileggo il messaggio di Davide, con crescente delusione.
Mi dispiace per sua zia, che si ammala una settimana sì e una no, però stasera dovevo presentarlo alle mie amiche, l’avevamo programmato da così tanto tempo.
Sono quasi dieci mesi che stiamo insieme, e non sono ancora riuscita a presentarlo alle altre. E in più odio quando mi chiama “polpettina”.

Mara, la mia migliore amica, sta cercando di consolarmi, quando entra la prof. che odio di più.
La Sgardi insegna matematica in questa scuola da almeno vent’anni ed è la professoressa più bastarda che ci sia nell’istituto.
Peserà almeno 90 chili, e con la sua voce roca e bassa zittisce chiunque.
“Come sapete oggi è venerdì, ragazzi, il che significa…” Apre il registro, con aria sadica.
“Interrogazione.”
E’ incredibile come la parola “interrogazione” pronunciata da lei, ha la capacità di far tremare tutta la classe, dal primo all’ultimo banco, sedie comprese.
Inizia la consueta preghiera a mani giunte.
“Non chiamarmi, non dire Mori, non dire Mori, non….”
“Mori!”
Al sentire il mio cognome, faccio un salto sul posto.
“Vieni alla lavagna.” Dice la Sgardi, fredda come un generale.
In silenzio, mi alzo, malferma sulle gambe.
Ricordo quando, il mese scorso, è morto il mio cane, Giangatto, dopo tre anni di malattie cardiache dovute alla vecchiaia.
Non è sopravvissuto all’intervento tentato in extremis.
Ho pianto tutta la notte, e il giorno dopo ho detto alla Sgardi che non avevo studiato.
“Questa scusa è vecchia come mio nonno, Mori. Neanche un minimo di originalità. E comunque non è una scusa, bisognerebbe essere sempre pronti.”
Capite adesso perché sono così terrorizzata al pensiero di essere interrogata da lei?
Si diverte a metterti in difficoltà con le domande più bastarde dell’universo matematico e non.
Mi fissa, mentre mi faccio strada tra i banchi, con lo sguardo un po’ perso nel vuoto.
“Mori, non ho tutta l’ora per te.”
Il suo tono mi fa trasalire, e nell’ansia non vedo uno zaino ai miei piedi.
“Ahi..!”
Mi ritrovo per terra, dopo aver inciampato nello zaino, con la grazia di un sacco di patate.
Vedo tutto più indistinto, gli occhiali mi sono volati da qualche parte, e sento qualche risata non troppo sommessa dei miei compagni.
Arrossisco per la figuraccia, mentre cerco gli occhiali con le mani.
Mara si alza subito e corre vicino a me, per aiutarmi.
“Ehi, Sole, ti sei fatta male?”
Mi tende gli occhiali, per fortuna non rotti, e mi rialzo, sostenuta da lei.
“Ehm.. no, no, è tutto ok. Grazie..” Cerco di fare finta di niente.
Posso farcela, mancano solo 14 ore alla fine di questa giornata. Posso farcela!
Ma che male al ginocchio!


Immersa nei miei pensieri quantitativi sulla mia sfiga, scorgo improvvisamente le luci dell’autobus.
Con tutta questa nebbia, non si vede che a qualche metro di distanza, riprendo la mia corsa verso la salvezza.
La nevicata di dieci giorni fa ha lasciato ancora qualche zona ghiacciata qua e là sul cemento, e mi orchestro con l’equilibrio di un acrobata da circo.
Eccolo, corro verso la fermata, devo farcela.
Non posso fare un altro ritardo, devo raggiungerlo.
Eccolo, mi ha appena sorpassato lungo la curva, non smetto di correre.
Per poco non rischio di scivolare, il marciapiede è sempre più scivoloso.
Basta ancora un piccolo pezzo, qualche metro e…
Senza neanche rendermene conto, sono inciampiata…
Senso di vuoto allo stomaco.
“Aspetti! Per fav…”
E poi diventa tutto nero.




Dentifricio.
C’è odore di dentifricio.. ma perché ci dovrebbe essere questo odore?
Cerco di aprire gli occhi, la testa è pesante e pulsa forte.
Fatico a mettere a fuoco l’ambiente intorno a me, non ho gli occhiali e senza quelli sono quasi una talpa.
Percepisco molto bianco e grigio, sono sdraiata su un letto.
Poi mi guardo, le braccia e mi spavento.
Ho una flebo attaccata al braccio, e una benda sulla mano destra.
Sono in…ospedale?!?
Cosa ci faccio qui?
La mia mente è un cassetto vuoto, non mi suggerisce nulla.
Chiudo gli occhi, lasciandomi andare sul cuscino, sconsolata.
Mi concentro un po’.
Vediamo…mi viene in mente quando, a otto anni, ho scoperto che non esisteva Babbo Natale, perché avevo sentito mia madre dire a mio padre di alzarsi e sbrigarsi a mettere i regali sotto l’albero. Mmh.
La mia stanza, in completo disordine appare davanti a me, e la mamma che mi ordina di mettere a posto.
Non ci siamo.
La finestra deve essere socchiusa perché un soffio di aria fresca mi accarezza la guancia.
Un leggero brivido mi percorre la schiena, e all’improvviso, una pungente sensazione di freddo mi colpisce.
Un ricordo. Cerco di afferrarlo… E’… nebbia e nevischio, umidità.
Freddo. Freddo mentre vado a scuola?
Sì… può essere.
E ora il ricordo delle luci… due, forti fari…
Ecco! Ora c’è tutto.
Sono scivolata mentre correvo per prendere l’autobus...dev’essere stato un brutto colpo, se sono finita in ospedale.
Mentre cerco di ricordare altri dettagli, all’improvviso sento dei passi e la porta si apre.
“Oh! Si è svegliata!” Una infermiera sulla cinquantina, dal sorriso aperto, si avvicina al mio letto.
Dopo aver controllato la flebo, mi osserva.
“Come si sente, signorina?”
“Mi gira la testa…”
“E’ normale, ha preso una bella botta contro quel pick up.”
Pick up? Io non ho fatto nessun incidente con un pick up, sono scivolata.
“Ma io non ho fatto nessun incidente stradale, sono caduta sul ghiaccio…”
L’infermiera assume un volto sorpreso.
“Ne è sicura?” Dice, cercando la mia cartella medica.
“Sì, ieri mattina, stavo correndo per prendere l’autobus, ero in ritardo per la scuola..”
Corruga la fronte.
“Aspetti un attimo, ritorno subito.”
Esce di fretta dalla stanza, il volto ancora contratto dalla preoccupazione.

Dopo qualche minuto rientra, seguita da un uomo alto e calvo, in camice bianco.
“Ciao” Dice, informalmente.
“Abbiamo preso una bella testata, eh?” Sorride, sdrammatizzando.
“Già…” Lo fisso senza capire.
“Sono il dottor Lorenzi, il neurologo del reparto. Ti farò giusto qualche domanda, per verificare che sia tutto apposto, ok?”
“Certo..” Annuisco, confusa.
“Forse qualche domanda ti sembrerà sciocca, ma rispondi lo stesso…Allora, come ti chiami?”
“Sole Mori.” Rispondo pronta.
“Bene.” Continua a farmi qualche altra domanda, come la data di nascita e le mie abitudini.
“Che giorno è oggi?”
Ci penso un attimo, ieri è stato il giorno più catastrofico della mia vita. Il 12 dicembre 2008, quindi oggi dev’essere il…
“Oggi è il 13 dicembre 2008.”
Il medico sta per scrivere qualcosa, quando torna a guardarmi.
“Sei sicura?”
“Sì, certo. Ieri era venerdì, e sono stata interrogata…”
Il medico scambia uno sguardo con l’infermiera e le sussurra qualcosa.
Oddio, che sta succedendo?
“Sole… oggi non è il 13 dicembre 2008. E’ il 17 aprile 2009.”
  
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