GUARDAMI DENTRO GLI OCCHI
PARTE 1
“Non puoi fermarmi,
Aiolia!”.
La voce furibonda e
preoccupata del Saint di Gemini risuonò a lungo tra le colonne austere della
Nona Casa Zodiacale, irradiate dal riverbero
solare.
Il Terzo Custode, a
stento trattenuto dal gemello, fissava quasi con astio un giovane di qualche
anno minore, vestito di una semplice tunica di lino grezzo, che si ergeva come
una guardia dinanzi all’ingresso principale del Tempio, bloccando il
passaggio.
“Non posso farti
passare, Saga!” esclamò con tono serio, spingendolo via con forza, “Mio fratello
deve riposare!” ribattè, con sguardo
fiammeggiante.
Il biondo greco fu
buttato con malagrazia a terra, un rivoletto di vermiglio sangue scivolava giù
dal labbro inferiore, spaccato.
I Cosmi dorati si
alzarono attorno a loro, crepitando scintille, l’atmosfera tesa si poteva quasi
tagliare con un coltello.
I due compagni d’arme
si squadrarono furibondi, il Leone Dorato aveva estratto le zanne contro il
Duplice Spirito delle Illusioni.
Ed era pronto ad
attaccare.
“Mi stai sfidando,
Aiolia?” ringhiò Saga, pulendosi il labbro con la manica della camicia di iuta,
“Non è saggio, e lo sai bene.” soffiò lui, mettendosi in
piedi.
Leo lo guardò di
traverso: “Se fosse necessario, lo farei, sai che ne sono capace.”, sbottò,
poggiandosi alle colonne.
Dietro il fratello,
Kanon di Gemini assisteva con crescente preoccupazione alla situazione che
andava verificandosi sotto i suoi occhi, non sapendo assolutamente che
fare.
Fermarli, era
necessario, ma due Gold Saints erano troppi anche per lui, “colui che aveva
ingannato perfino un Dio,” come lo aveva apostrofato Rhadamantis della Viverna
tra le ventose pianure d’Ade.
E di inganni ne aveva
tesi, Kanon, a molte persone, compreso il fratello, ma in quel momento l’arguzia
di cui andava tanto fiero non gli fu di alcun
aiuto.
Quei due andavano
fermati, e alla svelta.
Prima che una forza
spropositata si abbattesse sulla Terra Santa e sui territori circostanti,
distruggendo senza fatica ogni cosa.
Il Terzo e Quinto
Custode, intanto, continuavano il loro inutile litigio, le scintille che i loro
Cosmi emanavano facevano rabbrividire il gemello, egli percepiva chiaramente la
frustrazione del fratello, ma anche l’angoscia e la sofferenza dell’amico e
sapeva che non avrebbero mai potuto scontrarsi ancora, non dopo la dura
battaglia che aveva visto vincitrice la loro
Dea.
Ma Aiolia aveva le sue
buone ragioni per comportarsi in quel modo così aggressivo, così poco congeniale
al suo carattere, e così anche Saga e nessuno dei due voleva mostrarsi debole
all’altro, nemmeno in un frangente del genere.
E l’oggetto della
disputa era placidamente addormentato in una stanza all’interno del Nono Tempio
dinanzi a loro, ignaro di ciò che stava accadendo a poca distanza da lui tra il
fratello e il proprio migliore amico.
“Forse, se
intervenisse, tutto si sistemerebbe...” pensò , sospirando, per poi accantonare
all’istante quel pensiero egoistico, sfregandosi gli
occhi.
Da ormai parecchi
giorni, Aiolos non lasciava la sua stanza, troppo stanco e debilitato per
muovere anche solo un passo e di ciò, tutti quanti erano a conoscenza; ma i
sensi di colpa di Saga erano più forti di qualunque altra cosa, e il giovane
guerriero non desiderava altro che poter parlare con l’antico compagno, cosa che
gli veniva puntualmente impedita da Aiolia, restio a disturbare l’adorato
fratello ritrovato.
Ma ormai la
sopportazione del Terzo Custode era al limite, nel suo animo lacerato albergava
solo un desiderio.
Guardare fisso negli
occhi il Sagittario e potergli finalmente
parlare.
Lo spettro che
aleggiava sul Terzo Tempio si faceva più pressante ogni giorno che
passava.
Le notti trascorrevano
quasi insonni per Gemini, tra brevi sonni tormentati da incubi e, non appena i
primi, timidi raggi di sole inondavano il cielo, Saga saliva faticosamente,
malgrado le ferite e la stanchezza, sin lassù, accompagnato da Kanon; egli
avrebbe voluto alleviargli, per quanto possibile, tutta quella sofferenza, ma in
casi del genere non era mai stato molto utile.
Più impulsivo, era
spesso il maggiore a confortarlo e calmarlo nei momenti difficili, sin da
bambini.
Il Sole si alzò
ancora nel cielo, giungendo allo
zenith.
Il caldo si fece ancora
più insopportabile, il guerriero sentì i raggi bruciargli la pelle, stille di
sudore scivolargli dalle tempie lungo tutto il
viso.
Anche i due rivali
cominciavano a sentire il caldo, le fronti imperlate e lucide ne erano un chiaro
segno, ma nessuno voleva abbandonare la propria
posizione.
“Testardi...” sbuffò
esasperato il gemello, asciugandosi con la manica la fronte umida e
calda.
“Cosa diavolo sta
succedendo qui?!” esclamò una voce profonda proveniente dall’interno
dell’edificio; i due ebbero un sussulto, mentre, dall’ingresso, uscì a larghi
passi la figura snella del Gold Saint di Capricorn, Shura. Aiolia e Saga si
spostarono di scatto, gli sguardi fissi sul viso del compagno: “Cosa state
facendo qui?” ripetè lui, “non è il posto più indicato per litigare. Se avete
qualche cosa di cui discutere, andate a sfogarvi nell’arena, sono stato chiaro?”
sbottò con tono severo, indicandogli con l’indice la strada da
seguire.
Un briciolo di lucidità
finalmente cadde sui due che, sbuffando, cominciarono a scendere la
scalinata.
Kanon raggiunse Shura:
“Cosa stava succedendo?” chiese il moro con tono piatto, non appena Gemini gli
fu accanto, “Mio fratello, sono giorni che vorrebbe incontrare Aiolos, ma gli è
sempre stato negato da Aiolia...”.
Capricorn lo guardò, lo
sguardo raddolcito: “Per quanto voglia, Saga non risolverebbe nulla.” sospirò il
moro, massaggiandosi le spalle, “dorme ancora, e se si sveglia, è solo per pochi
minuti, minuti durante i quali sembra quasi assente...” spiegò lo spagnolo,
leggendo la delusione sul viso dell’amico, “la Dea è fiduciosa, dice che si
tratta semplicemente di stanchezza ma non so più cosa pensare.” ammise, con un
sospiro cupo, “Non sembra più nemmeno lui, non l’ho mai visto così… debole..”
sussurrò Capricorn, stringendo i pugni.
Kanon non rispose, si
limitò a sbuffare, asciugandosi la fronte: “L’unica speranza è che entrambi si
diano una regolata, la situazione è già parecchio difficile per tutti, non
possono continuare a litigare in una circostanza simile.” concluse Shura, voltando le spalle al compagno e
dirigendosi verso l’interno del Tempio.
§§§§§§§
Le ore passarono
lentamente e fu solo nel tardo pomeriggio che Saga di Gemini fu visto rientrare
nella propria dimora, sotto il sole cocente.
Indosso aveva una
semplice divisa da allenamento, logora e consunta dal tempo e dai colpi
ricevuti: il giovane zoppicava leggermente, il viso contratto in una smorfia
addolorata, faceva ben capire il dolore che
provava.
Ma questo era quasi un
sollievo per il guerriero.
L’aria calda e ferma
gli toglieva il respiro; per lungo tempo, le afose estati greche erano state
solo un ricordo confuso per il suo spirito, il suo corpo, abituato al freddo
della morte, aveva scordato il contatto con quelle temperature così
elevate.
Ma il sudore che gli
imperlava la fronte, gli sforzi fatti per giungere sino a casa gli permettevano
di tenere la mente, e il cuore, occupati e lontani da pensieri che avrebbero
potuto ulteriormente ferirlo; sospirando stancamente, entrò a passo lento dentro
il Terzo Tempio, silenzioso e incredibilmente
tranquillo.
Una sensazione estrema
di disagio lo colse, stringendogli lo stomaco in modo innaturale; sbuffando
seccato, socchiuse gli occhi, cercando di regolarizzare il proprio respiro
affannato e il battito convulso del suo cuore.
“Saga.”.
La voce inconfondibile
del gemello riecheggiò sotto le volte marmoree, la sagoma snella del Saint
comparve nella penombra: “Saga,” ripeté questi, ma l’altro sembrò quasi non
notarlo, lo superò senza rivolgergli alcuna attenzione per poi sparire nella
propria stanza.
Kanon sbuffò
contrariato a quel comportamento infantile del
fratello.
Ne seguì l’allontanarsi
con lo sguardo nella penombra, ne sentì il passo affievolirsi, sino a
scomparire, come inghiottito nel buio.
Senza dire nulla, il
biondo greco restò per qualche istante lì, fermo, sperava forse che il giovane
uomo tornasse indietro per scusarsi?
Con un gesto stizzito,
il gemello si rimproverò per quel pensiero assolutamente stupido, la mente del
guerriero era concentrata su altro.
Su qualcun
altro.
Il greco trasalì
improvvisamente, udendo un rumore come di vetri infranti in lontananza,
proveniva sicuramente dalla camera del fratello; con uno scatto, il Saint
s’inoltrò nel corridoio buio; la porta della stanza di Saga era aperta, un
rumore sordo di oggetti che s’infrangevano su una qualche superficie dura
riecheggiò cupo sotto le volte, una debole luce rischiarava la stanza
dall’aspetto rustico.
Saga sedeva sul letto,
il viso nascosto tra le mani, il capo chino verso il basso e i gomiti sulle
ginocchia. Il pavimento in granito era ingombro di libri, fogli e resti di
quelle che, un tempo, dovevano essere state due vecchie terrecotte dipinte a
colori vivaci, alcuni dei cocci a terra presentavano tracce di azzurro pallido;
Kanon storse il naso, una voce anziana gli ritornò alla mente per un attimo:
“Conservateli con cura, mi raccomando…”, sottile e lontana come quei rari
ricordi della loro infanzia.
Quei due angioletti che
per anni li avevano accompagnati, unico dono di un vecchio prete che li aveva
accuditi in tenera età, giacevano con le ali spezzate al suolo, distrutti da una
mano amica.
Una lucerna stava
poggiata sul basso comodino in legno d’ulivo accanto al letto, una delicata
fragranza di olio si diffuse ovunque.
Gemini non seppe che
fare.
Una volta di più, il
suo primo istinto fu di cercare un modo, un qualunque modo, per sollevare il
fratello dai pesanti sensi di colpa e dagli opprimenti desideri che provava, ma
il raziocinio lo bloccò.
Chi aveva davanti non
era un bambino, era un guerriero orgoglioso, che mai avrebbe accettato un simile
comportamento.
Non poteva fare nulla
per lui.
Senza dire una parola,
si voltò e fece per lasciare la stanza, il senso di colpa che vi aleggiava era
troppo oppressivo per lui, si sentiva tremendamente a
disagio.
Ma si attardò ancora
per qualche istante, preda di un non so quale timore irrazionale, da un
malessere strano che gli prendeva lo stomaco, strappandogli quasi a viva forza
il respiro dai polmoni, lasciandolo quasi senza
aria.
Si aggrappò con forza
allo stipite della porta, la testa non cessava di girargli e il fiato corto
certo non aiutava le sue già precarie
condizioni.
Saga stava soffrendo,
tremendamente soffrendo.
Sentiva nel profondo
del cuore il dolore che il fratello cercava di nascondere, l’angoscia che gli
attanagliava l’anima, lo condivideva e soffriva con lui, come era sempre stato
sin da bambini.
Sin da quando erano
nati.
Ma il supplizio
maggiore non era quello.
No.
Ma la consapevolezza di
essere totalmente inutile in quella situazione.
E per la prima volta
nella sua vita, se ne pentì.
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Sangue…
Polvere…
E l’insopportabile
affievolirsi di un Cosmo amico, di un Cosmo profondamente
amato.
Il cuore che ebbe un
sussulto, l’assordante grido di dolore di un animo che ormai aveva perso ogni
connotazione umana.
E la sofferenza immane
di Shura, la sentiva incombente e lacerante nel suo
cuore.
Oh, sentiva chiaramente
il suo desiderio di annullarsi nel dolore, un desiderio che era anche il suo, la
lucidità aveva preso finalmente il sopravvento, ma era troppo
tardi.
L’aveva perduto,
perduto per sempre.
Si sarebbe strappato il
cuore dal petto, avrebbe inondato la Sala del Trono del suo sangue cremisi,
sporco dalle malvagie azioni compiute, tutto avrebbe fatto per poter tornare
indietro… per poter evitare tutto quello.
Ma non era
possibile.
Risate isteriche si
levarono alte fino alle austere volte marmoree, riecheggiavano cattive e tristi
allo stesso tempo; Saga avvolto dalle vesti del Pontefice si lasciò cadere a
terra, nelle mani serrava ancora la daga d’oro; brillava alla fioca luce delle
lanterne, un bagliore cupo e sinistro, luce e ombra come il suo animo
corrotto.
In preda alla rabbia,
la scagliò lontano, il clangore metallico assordante rimbombò per lunghissimi
istanti nel salone deserto, stordendolo quel tanto che bastava per fargli
ricacciare indietro le lacrime che si affollavano ai suoi
occhi.
“Chi
sei…?”
Un sussurro debole,
leggero come il vento, ma udibilissimo risollevò il Saint dal suo baratro di
isteria; la testa coperta dalla maschera scattò,
sollevandosi.
Una figura dalle
sembianze umane, evanescente ed argentea, comparve nel mezzo della sala, i
bracieri si spensero improvvisi, sotto il tocco di un vento
gelido.
Saga
rabbrividì.
Non v’era luce, eppure
la semplice presenza di quel, come definirlo? Spettro, fantasma? Illuminava
fiocamente tutto attorno.
“Chi sei…?” ripetè
quella, avvicinandosi ulteriormente.
Il Pontefice era
paralizzato dal terrore.
E come dargli
torto?
La strana apparizione
allungò piano un braccio, accarezzandogli leggera la
guancia.
Prima di
sparire.
Saga sgranò gli occhi,
portando una mano alla parte di viso sfiorata da quel tocco
leggero.
L’aveva riconosciuto,
non poteva essere altrimenti.
Si lasciò cadere a
terra, le lacrime ormai non avevano più freno, non voleva nemmeno fermarle,
troppo era stato fatto.
“AIOLOS!!!!!!!!!!”.