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Autore: Shichan    03/10/2009    4 recensioni
«Quando chiudi gli occhi e pensi al mondo, cosa vedi?»
Linalee lo aveva chiesto anche al giapponese, ma lui aveva scrollato stizzito le spalle dandole come risposta il suo classico e semplice: "Tsk".
Linalee non era male, o forse era solo più sopportabile di tanti altri.
Ma Kanda non aveva risposto né la volta dopo, né quella dopo ancora, finché Linalee non l'aveva dimenticato - o aveva volutamente scelto di non insistere e non forzarlo.
E non vedeva un mondo, Kanda; solo una teca di vetro e un fiore che appassiva.

[Kanda centric]
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allen Walker, Lenalee Lee, Rabi/Lavi, Yu Kanda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi sono © della sensei Hoshino e le battute finali sono riprese dal volume 10 del manga

Disclaimer: i personaggi sono © della sensei Hoshino e le battute finali sono riprese dal volume 10 del manga.

Non uso i personaggi a scopo di lucro, solo che la noia uccide i miei pochi neuroni superstiti e poi ne esce questo.

Note: non chiedetemi perché mi è uscita una cosa simile, per pietà .__.

Volendo essere corretti, dovrei dilungarmi a dire che la trovo nonsense e a pesante rischio di ooc quando doveva essere qualcosa di deprimente e introspettivo su Kanda (come da parametri che ho messo comunque).

Bah. Sarò destinata a scrivere solo pov Allen, devo arrendermi a questa evidenza *si angolizza fissando una tavola random di Allen Walker ponderando di farci un tiro al bersaglio*

 

 

Non vedeva niente

 

 

All'interno dell'Ordine Oscuro, Kanda Yuu era conosciuto in diversi modi, ma certamente tutti sapevano di chi si trattasse.

Non era importante che alcuni ignorassero il fatto che non fosse "solo Kanda" il suo nome, né che molti lo definissero semplicemente come "quell'arrogante giapponese". Di certo, pochissimi riuscivano a ricordare tutti i nomignoli che gli erano stati attribuiti nel bene o nel male: che fosse lo "Yucchan" di Lavi - proprio quell'appellativo che faceva rischiare la vita all'erede di Bookman anche più volte al giorno - o il paterno "Yuu-kun" da parte del Generale Tiedoll, peraltro sempre rifiutato dal giapponese con ben poco riguardo alla cortesia, non faceva differenza.

Non l'aveva mai fatta, nemmeno quando qualcuno aveva azzardato un "BaKanda"; Kanda Yuu non aveva mai mostrato alcuna reazione a quel modo di rivolgersi altrui. Nessuna diversa dall'irritazione almeno.

La voce secondo la quale il giapponese non avesse amici era passata dalla forma di voce di corridoio, a quella di pettegolezzo trasformandosi, infine, in qualcosa di molto simile ad una leggenda vivente e accertata.

Eppure, Kanda non aveva mai dato cenno di averla sentita dire da nessuno, né che in caso contrario la cosa lo avesse particolarmente toccato.

Kanda, lui era una di quelle persone che non cambiavano mai agli occhi degli altri: freddo, arrogante e distaccato, rimaneva fermo sempre nello stesso punto; bambino, adolescente o adulto che fosse stato e fosse ancora, lui di amici e compagni non ne aveva.

 

C'era stato, un primo tentativo quando ancora il suo inglese tentennava e il giapponese era compreso da pochi all'interno dell'Ordine, facendo erroneamente supporre che il suo essere così chiuso fosse dovuto all'assenza di una via di comunicazione efficacie per lui e comprensibile per gli altri.

Linalee Lee aveva tentato: ma quel bambino non sorrideva mai; serio e composto, ignorava tutti gli altri e non lasciava avvicinare nessuno.

Ma lei non aveva lasciato stare, no: dimostrandosi più testarda di qualsiasi adulto avesse tentato finora, ottenne una risposta.

Una sola, unica risposta che nessun altro era mai riuscito a estrapolare.

La ricordava ancora, Linalee, con tenerezza e una sensazione di tepore solitamente attribuita ai bei ricordi che si conservano gelosamente.

«Kanda?» aveva chiamato titubante da bambina, avvicinandosi a lui in quella grande sala dove stava per ore, immobile e in silenzio, gli occhi chiusi. Lui non aveva detto nulla - non lo faceva mai - e lei aveva mosso dei piccoli passi incerti verso di lui.

Si era seduta al suo fianco, osservandolo a lungo senza parlare; lui non si era mai mosso.

Allora Linalee si era fatta coraggio: a discapito delle parole taglienti che gli aveva sentito pronunciare in uno dei suoi rari momenti di loquacità - per quanto, applicato a Kanda, "loquacità" non era mai il termine esatto - aveva iniziato a raccontargli ogni cosa che le veniva in mente.

Di tanto in tanto tamburellava le dita per terra, distrattamente; poi incrociava le gambe imitando la posizione rigida e composta del giapponese, dondolandosi appena avanti e indietro nel narrargli tutto quello che faceva, sentiva, vedeva.

Come se Kanda fosse chiuso lì non per sua scelta e lei, compassionevole, gli raccontasse del mondo esterno per fargli piacere.

La struttura dell'Ordine fu raccontata con quanta più dovizia di particolari una bambina potesse permettersi; le persone furono descritte più accuratamente possibile e le loro parole riportate tanto fedelmente quanto la sua memoria concesse.

E allora, Kanda sbuffò seccato aprendo gli occhi, voltandosi verso di lei: le iridi scure fisse sulla ragazzina, la prima risposta più lunga di un monosillabo che si degnò di dare ad un membro dell'Ordine fu tutta per lei.

Un tesoro di inestimabile valore agli occhi di una bambina prima, e di una giovane ragazza poi; il suo inglese stentato, pronunciò quell'unica, seccata domanda: «Ma quanto chiacchieri?»

 

Linalee Lee rimase per molto tempo l'unica che riuscisse ad ottenere delle risposte più o meno articolate da parte del giapponese: seccate, certo, e molte volte poco cortesi.

Eppure, c'era verso di lei quel burbero, impercettibile e quasi illusorio riguardo che non c'era stato mai per nessun altro.

Non sorrideva mai Kanda - ovviamente - né arrivavano da parte sua sdolcinate dichiarazioni d'affetto; al contrario, dimostrava una totale assenza di tatto e soprattutto disinteresse nell'averlo. Ma Linalee sorrideva, oppure lo riprendeva e bacchettava come una sorella maggiore avrebbe fatto - nonostante il più grande fosse proprio lui - risultando a volte anche buffa; non gli strappò mai un sorriso divertito, ma uno sbuffo seccato sì.

E quello era sempre bastato: per quei due, così andava bene.

Il modo di comunicare fatto solo per due bambini che non crescevano mai quand'erano insieme, nemmeno a distanza di anni: restavano lo scorbutico e asociale ragazzino troppo giovane per essere così serio e indisponente, e la piccola e fragile ragazzina che combatteva la paura e la tristezza parlando troppo con qualcuno che nemmeno rispondeva.

 

Lavi Bookman Junior era arrivato dopo, molto dopo il loro incontro: quel che lo aveva incautamente spinto verso Kanda non era stata la gentilezza che aveva mosso Linalee.

Né, tanto meno, la sensibilità di cui forse nemmeno lei al tempo era stata cosciente; irresponsabile e troppo stupido per fiutare il pericolo, l'erede di Bookman si era avvicinato per pura curiosità.

E se c'era qualcosa che Kanda aveva imparato a non sopportare - e che, con ogni probabilità, non amava già da prima - era proprio la curiosità.

Il primo incontro col giovane Bookman, fu forse la cosa più traumatica possibile - almeno per il nuovo arrivato: in piena mensa durante la pausa pranzo, Kanda era seduto da solo ad un tavolo isolato.

Così di cattivo umore che persino Linalee aveva accantonato la preoccupazione per quel suo stato d'animo per lasciarlo in pace nella speranza che quell'alone di rabbia mal celata si facesse meno cupo.

E proprio in quel momento, Lavi aveva fatto il suo ingresso: scanzonato, con quel sorriso che presto avrebbero scoperto essere perenne - e così falso - occhieggiando la sala nel complesso e, tuttavia, cogliendone e registrandone ogni particolare.

Tra i quali, Kanda non gli sfuggì di certo: nella piena consapevolezza di chi fosse il giapponese e terribilmente incuriosito dal suo modo di fare, lo aveva raggiunto.

«Yo!» aveva salutato come se fossero amici di vecchia data, guadagnando nulla più di un'occhiataccia omicida.

Sorridendo come un ebete - un ebete con una smisurata voglia di morire giovane - si era seduto sulla panca proprio di fronte a lui; Linalee aveva pensato di andare in suo soccorso, pensando erroneamente che l'altro si fosse rivolto a Kanda senza sapere chi fosse e quali potessero essere le conseguenze.

Ma Lavi Bookman non era uno sprovveduto: era molto, molto di più. Era uno stupido testardo e curioso; per questo non colse l'intento di Linalee di trovare una scusa qualsiasi per allontanarlo da Kanda - tentativi impacciati e incerti, improvvisati. Li notò, ma li ignorò.

Rivolse a Kanda infantili prese in giro, di quelle che si pronunciano per ottenere attenzione: il giapponese, alzandosi con aria seccata, si allontanò senza degnarlo di uno sguardo.

Lavi decise che sarebbe stato il suo incubo.

 

Da allora, l'erede di Bookman lo aveva incrociato di proposito tutte le volte che poteva: inizialmente era stato ignorato come il primo incontro. Poi, lentamente, aveva ricevuto monosillabici "tsk" e mai era riuscito ad andare oltre quello.

Linalee li osservava preoccupata e confusa: perché Kanda, poteva allontanarlo ma non lo faceva. E, allo stesso modo, Lavi poteva stancarsi, ma sembrava non accadesse e basta.

Senza rispondere, il giapponese lo evitava.

Senza arrendersi, l'altro non lo mollava mai.

Linalee lo chiese, a Kanda: «Lavi non ti piace?» domandò. Quella richiesta che poteva sembrare assurda e senza senso perché a Yuu no, non piaceva nessuno.

Forse nemmeno Linalee, lei stessa lo pensava; Kanda non si voltò a guardarla mentre avanzava affiancato da lei, né si prese la briga di fermarsi per risponderle.

Impedendo a qualsiasi cosa si mettersi fra sé e quello che aveva davanti e che cercava di raggiungere e applicando quello stesso criterio alle persone che tentavano di buttar giù quel muro che aveva davanti da sempre, il giapponese aveva lasciato che le parole della cinese scivolassero via, prive di senso.

La degnò di niente più che una risposta sgarbata, come tanto tempo addietro: «A te piacciono i bugiardi come quello?» fu la sarcastica e quasi crudele replica che le rivolse.

Avanzò fino alla porta e uscì in missione; Linalee quella sera non riuscì a guardare Lavi senza chiedersi: e ora? Ora sta mentendo?

 

Fastidiosamente vicino senza essere richiesto, Lavi continuò imperterrito quello che aveva l'aria di essere un piano di disturbo più che un tentativo di stringere amicizia col giapponese - che, indubbiamente, era un pessimo obiettivo in entrambi i casi.

L'erede di Bookman conobbe per la prima volta Yuu Kanda quando quest'ultimo rispose con un vera frase.

Non un semplice gesto di stizza, né l'ormai classico e noioso schioccare irritato delle labbra; non solo un'occhiata omicida come la prima volta, né il lucido fodero della katana che scivolando verso il basso permetteva di intravedere una porzione della lama tagliente di Mugen.

Fu quando Lavi sorrise: falso, ipocrita, costruito e stupido, ma non abbastanza da reputarsi davvero tale. Furbizia dietro una falsa maschera da idiota.

«Eddai, Yucchan, non possiamo proprio essere amici? Siamo sempre compagni, ne? Sarebbe più facile!»

Schiena che cozzava contro il muro, respiro per un attimo mozzato dal contraccolpo; fredda pietra, un po' di dolore - non troppo forte, e non così debole da non essere colto almeno un po' - e una presa salda all'altezza del bavero.

Nocche sbiancate, sguardo omicida - occhiata divertita e rassegnata, di chi ha perso il divertimento perché tutto è andato come si era aspettato.

Labbra vicine, viso a poca distanza e nessuna dichiarazione d'affetto - di nuovo, perché quello era Yuu Kanda, giusto?

«Io non so che farmene, di te.» sibilò.

Nessun colpo, il bavero lasciato, la schiena che scivolava lentamente lungo il muro; la strana sensazione di essere rifiutati, anziché rifiutare tramite una menzogna - sua compagna da così tanto tempo, che Lavi si era chiesto per la prima volta quand'era iniziata.

E quando Linalee richiamò Kanda, chinandosi all'altezza di Lavi per accertarsi delle condizioni, Bookman Junior lo vide.

Non era solo un'occhiata e un atteggiamento gelido: Kanda Yuu era molto di più; era quell'atteggiamento d'odio che lo osservavi, e anziché terrorizzarti t'intristiva.

Come qualcuno che se ne va, e sai che non tornerà più.

 

Di come Linalee e Lavi fossero arrivati ad avere con Kanda quel tipo di confidenza che notava ogni giorno, Allen non lo aveva mai saputo.

Né in che modo Linalee potesse osare dargli la cartelletta in testa come il primo giorno in cui Allen arrivò all'Ordine senza essere minacciata di morte, né in che modo Lavi riuscisse a chiamarlo "Yucchan" senza farsi uccidere - malgrado le minacce che, a differenza della ragazza, riceveva in quantità industriale.

Allen osservando il giapponese aveva compreso che Lavi probabilmente trovava ancora divertenti le letali reazioni dell'orientale; tuttavia, non aveva mai capito come Linalee vedesse anche in Kanda parte del suo piccolo e personale, amato mondo da proteggere.

E lei, da parte sua, non avrebbe mai saputo spiegarlo: perché quando chiedeva del "mondo" altrui, Linalee sapeva che qualunque fosse la risposta, non poteva essere del tutto resa chiara.

Rivolgendo quella domanda ad Allen, lei aveva immaginato il mondo che lui poteva vedere; era stato così anche per Lavi, per suo fratello Komui, e anche per Kanda. 

«Quando chiudi gli occhi e pensi al mondo, cosa vedi?»

Linalee lo aveva chiesto anche al giapponese, ma lui aveva scrollato stizzito le spalle dandole come risposta il suo classico e semplice: "Tsk".

Linalee non era male, o forse era solo più sopportabile di tanti altri.

Ma Kanda non aveva risposto né la volta dopo, né quella dopo ancora, finché Linalee non l'aveva dimenticato - o aveva volutamente scelto di non insistere e non forzarlo.

E non vedeva un mondo, Kanda; solo una teca di vetro e un fiore che appassiva.

Quello, Linalee non lo aveva mai saputo immaginare, ma il mondo di Kanda non era mai stato bello e luminoso nei suoi tentativi di indovinare cosa quegli occhi vedessero; a Lavi e Allen non lo aveva mai detto.

Ma chissà quanta oscurità c'era, lì.

 

Fin dalla prima volta, Kanda e Allen non erano mai andati d'accordo: ancor prima che una questione di incomprensioni, o di una mal sopportazione a pelle, sembrava esserci stato qualcos'altro che nessuno aveva mai decifrato.

La sensazione di qualcuno estremamente diverso da sé, forse, o la totale impossibilità di condividere qualcosa.

E d'altra parte, non era possibile dar torto a nessuno dei due, per quel loro non riuscire ad andare d'accordo.

Distruttore e salvatore.

Rabbia e gentilezza.

Disperazione e speranza.

Tristezza e tristezza; già, eccolo lì. L'unico motivo per il quale riuscivano ad essere qualcosa di simile - vagamente, in maniera contorta e difficile, ma lo erano - a dei compagni.

Il motivo per cui la spada non aveva mai lacerato la carne, ma vi si era solo accostata in vuote minacce che sembravano la routine di chi sta andando a morire e scherzare come se avesse tutta la vita davanti non ha voglia.

E Linalee non lo ha mai detto, ad Allen: che Kanda è solo.

E Lavi non lo ha mai detto, a Linalee: che Allen, secondo lui, lo ha capito già.

Per contro, poi, Allen si è sempre rifiutato di chiedere aiuto proprio al giapponese - anche se a Mater, Kanda lo ha capito lo stesso.

Kanda stesso, poi, figurarsi: lui dell'aiuto di quella mammoletta non ha bisogno - perché il giapponese è severo e forse molti lo considerano anche crudele. E con Allen Walker raggiunge un suo livello intrinseco di stupidità ma no, non è un idiota Kanda.

Non abbastanza da non essersene accorto da solo: Allen Walker è solo un terribile peso.

Lavi lo stesso.

Linalee forse no: perché è l'unica che si ostina a trovare una scusa ai suoi atteggiamenti anziché domandare.

Ma Kanda, oh, Kanda lo sa: Allen è tutto ciò che non è lui.

Qualcuno lo ucciderà presto, perché è troppo stupido, attaccato alla speranza e perbenista per uccidere lui per primo - eppure lui può decidere da solo quando lasciarsi morire o lasciarsi ammazzare.

Non passa il suo tempo a guardare un fiore appassire Allen, no; guarda i suoi piedi avanzare, incespicare, perdere e ritrovare la via.

Kanda non è capace, lui sa solo andare avanti senza guardare dove va; Kanda non sa essere come Allen, perciò ha deciso che lo odia. E ha distolto lo sguardo.

E lo sa, lo sa eccome: che Lavi è tutto ciò che non vorrebbe essere e vorrebbe essere al tempo stesso.

Lavi ha deciso di abbandonare il suo nome - Kanda, lui è sempre stato Yuu.

Lavi ha deciso di divenire Bookman - Kanda si è ritrovato l'Innocence fra le mani, e con un villaggio distrutto dietro di sé si è detto che essere Esorcista era qualcosa che non poteva evitare.

Lavi sfrutta l'Innocence - e Kanda si fa sfruttare da lei; vi resta attaccato come un bambino al seno materno, anche se presto lo ucciderà - e la usa per salvarsi la vita, missione dopo missione.

Perché non può ancora morire.

Proprio come Kanda: lui non può ancora permettersi di morire.

Bookman junior, semplicemente non ne ha ancora voglia.

Lavi si ritrova con un cuore scomodo, quello che Bookman non dovrebbe avere e inconsciamente se lo tiene stretto da quando ha deciso che proteggerà i compagni anche se non dovrebbe essere la sua priorità.

Kanda si è guardato allo specchio: si è chiesto se magari, quel cuore non potesse gettarlo via come i cadaveri degli Akuma che uccideva.

 

«'cidenti a lui.»

«Che razza di egoista!»

«Kanda! Kanda, dopo raggiungici, mi raccomando! ...Assolutamente!» la sente, Linalee, come sente i commenti di quei due idioti che ignora volutamente.

Non risponde, Kanda; ma Linalee, dopotutto, dovrebbe esserci abituata ormai.

Eppure sbuffa, s'imbroncia: «E rispondi!» lo riprende - perché in un'arca, nell'Ordine, adulta o bambina, Linalee continua a fare la sorella maggiore che lo riprende quando si comporta male.

«Ho capito, ora sbrigati ad andare.» è la replica che le concede - solo Linalee ci riesce. Proprio come quando erano bambini.

Eppure, Kanda lo sa: anche se Linalee non lo avrà mai pensato, forse.

Infantilmente voleva solo che anche Yuu avesse degli amici.

La verità era che non c'era mai stato davvero un "noi"; era sempre stato "io" e "loro", Kanda se ne era accorto subito.

Ma fingevano di non vederlo.

Lavi aveva ragione: era più facile, così.

   
 
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