•
One
Thousand
Needles
•
Proiettando
due fasci di luce bianca sulla prateria buia e deserta,
l’elicottero blu notte della ShinRa arrivò a
destinazione in meno di un’ora di
volo, le pale che fendevano l’aria con suoni attutiti dal
silenziatore attivo.
Atterrò dolcemente, sollevando un turbinio di polvere, nel
bel mezzo di
un’ampia distesa verde di erba scossa dal vento.
L’obbiettivo
della missione di quella notte era situato a pochi
chilometri da lì.
Come
al solito fiero del proprio operato,
Reno allontanò le mani dalla cloche,
stiracchiandosi
per bene:
«
Destinazione raggiunta!» esclamò, con tono
pimpante.
Si
sfilò i grandi occhiali da aviatore, poggiandoli sul capo
tra i
folti capelli rosso fuoco; si alzò dalla poltrona del
pilota, raggiungendo in
un batter d’occhio il portellone ormai spalancato:
«
La missione ci attende, gente! » Balzò
giù dal veicolo,
guardandosi attorno « Capo, cosa facciamo? Aspettiamo che
arrivino anche gli
altri, prima di proseguire? »
«
No, è meglio agire subito. » Tseng
controllò l’orologio: erano
le due del mattino.
Scese
dalla vettura seguito dal silenzioso Rude e dalla minuta Cissnei,
la più piccola fra loro.
Era
stato inviato assieme al resto del gruppo in un paesino
situato nei pressi dei boschi di Gongaga.
A
loro disposizione avevano anche una scorta di soldati che il
presidente stesso aveva voluto affiancare loro, nonostante le lamentele
di
Heidegger. Sarebbe arrivata di lì a poco, a bordo di un
secondo velivolo, e
sarebbe rimasta appostata a qualche centinaio di metri dal villaggio,
nascosta,
aspettando ulteriori ordini.
Tseng
trovava che l’insistenza del presidente affinché
venissero
prese precauzioni fosse stata opportuna e saggia: la situazione
all’ interno
del paese era degenerata fino a diventare
insostenibile e di sicuro avere un’armata – anche
se ristretta – che potesse
dare man forte, sarebbe stato senz’altro utile ai fini del
completamento della
missione.
«
Rude, Cissnei, recatevi rispettivamente ad est e ad ovest. Io mi
occuperò della zona nord, mentre Reno, tu resterai qui di
guardia. » ordinò
Tseng, impugnando la pistola appena estratta dalla fondina.
«
Come sempre, capo. » Il rossino sollevò il pollice
destro in
segno di approvazione, mentre gli altri due annuivano, pronunciando un
“Sissignore” fermo e deciso.
La
missione ebbe inizio.
(xxx)
Tseng
caricò l’arma cercando di fare meno rumore
possibile,
rasentando il muro di una piccola casa di campagna nella quale, secondo
i
calcoli degli esploratori, probabilmente si trovava il covo. Fece
irruzione
sfondando la porta di legno scuro con una spallata.
«
ShinRa Company, non opponete resistenza! »
All’interno della
sala
però, non c’era anima viva. Solo due divani, un
tavolo e qualche mobile,
visibili grazie al chiarore lunare. La luce era spenta, così
come il camino.
C’era
troppo silenzio.
Avanzò
cautamente nel buio, calibrando con precisione la
pesantezza dei passi sulle scricchiolanti assi del pavimento, facendo
attenzione ad ogni minimo ed eventuale cambiamento di luce.
Quando
poi scese le scale che portavano al seminterrato, sentì
delle voci. Erano confuse ed attutite, sembravano provenire dal locale
sotterraneo a cui dava accesso una grande porta chiusa in fondo al
corridoio.
Accostandovisi, si mise in ascolto, quasi trattenendo il respiro.
«…ne
sono morti altri due ieri… » una grossa voce
maschile stava
forse facendo un rapporto sul numero delle vittime delle ultime
operazioni
terroristiche. « E ci sono anche nuovi feriti… la
situazione sta diventando intollerabile.»
Seguì
la voce acuta e preoccupata di una donna:
«
Non ce la faccio più, capo… i cittadini di questa
città si
stanno uccidendo l’un
l’altro…» un singhiozzo disperato
interruppe la frase «
persino Matthew… »
Dunque
le spie avevano riferito correttamente: la banda di ribelli
si era attirata addosso inimicizie all’interno del villaggio
stesso.
Se
Una
scarica di bombe sganciate dai bombardieri e via. Qualche piccola
esplosione e tutto si sarebbe risolto facilmente, almeno per
«
Ma non possiamo arrenderci ora… quei bastardi vogliono
privarci
della nostra natura, distruggere i boschi… Non possiamo
lasciare che accada.»
questa volta fu un altro uomo ad intervenire, sbottando con voce
autoritaria.
Tseng
attivò l’auricolare premendo un piccolo pulsante
dietro
l’orecchio – quel semplice gesto bastò a
metterlo in comunicazione con gli
altri.
«
Tseng a rapporto. Ho trovato il quartier generale dei ribelli.
Abbandonate
le vostre postazioni e raggiungetemi appena possibile nella casa del
sindaco. Passo
e chiudo. »
Interruppe
la comunicazione senza nemmeno attendere una risposta.
Togliendo
la sicura sollevò l’arma, indietreggiando appena;
un
istante dopo riuscì a buttare giù la porta
serrata con un solo calcio deciso. Puntò
rapidamente la canna della pistola verso i presenti, senza far caso
allo
sgomento che la cosa provocò loro.
«
ShinRa company, non opponete resistenza! » ripeté,
perentorio,
il cane stretto saldamente in entrambe le mani. Studiò i
volti dei tre ribelli,
riconoscendo in uno di loro i lineamenti marcati dell’uomo
che gli esploratori
avevano identificato come il capo dei terroristi. Aveva una folta barba
rossa e
delle spesse sopracciglia, gli occhi azzurri ed impavidi di un uomo
pronto a
morire per i suoi ideali.
Chiamare
i rinforzi era stata una giusta decisione – aveva appena
trovato un modo rapido di mettere a tacere per sempre quella rivolta.
La
donna scoppiò a piangere non appena vide Tseng irrompere con
la
pistola in pugno; uno dei due uomini ebbe tuttavia una reazione
completamente
diversa. Era alto e snello e con un gesto fluido impugnò un
lungo fucile che
teneva appoggiato al muro dietro di lui:
«
Merda, ci hanno trovati! »
«
Non fate un solo movimento, o sparo. » il Turk mosse qualche
cauto
passo, la canna puntata dritta verso l’uomo barbuto.
La
ragazza continuava a piangere silenziosamente, mentre lo
sguardo del tipo alto vagava, posandosi prima su di lei, poi sul loro
capo, infine
di nuovo su Tseng.
«
Ammasso di figli di puttana! » imprecò sputando ai
suoi piedi,
il viso contratto in una smorfia di puro disgusto « Dovete
tutti crepare,
sporchi bugiardi di merda! Voi, poi, la feccia della Shinra che si fa
chiamare Turk…
vi credete i migliori, ma siete i più bastardi di tutti!
Infidi e stronzi fino
al midollo! »
Un
colpo partì dalla pistola di Tseng, provocando un boato
secco:
la pallottola si piantò rumorosamente nel muro, a poca
distanza dalla testa del
loro leader. Bastò quello a farlo impallidire,
irrigidendolo, facendolo
sbiancare fino a diventare pallido come un cadavere.
«
La prossima volta non finirà conficcata
nell’intonaco. »
Il
Turk usò il tono più duro di cui fosse capace,
anche se, a
detta di Reno, non cambiava molto da quello che usava normalmente.
Sembrava
che a Reno piacesse rompergli sempre l’anima dicendogli
che era troppo nervoso, che avrebbe dovuto imparare a rilassarsi. Una
volta gli
aveva messo un braccio attorno al collo, durante una bevuta in una
bettola di
Midgar, e si era espresso come suo solito con terribili sproloqui che
spesso e
volentieri Tseng manco ascoltava. Se non ricordava male, gli aveva
consigliato
di farsi una scopata di tanto in tanto. Come se il ritmo di lavoro
serrato
gliene avesse mai dato il tempo.
Reno
e le sue cazzate da ubriaco.
Rude
ovviamente non diceva mai nulla né in sua difesa
né per
appoggiare il compare, mentre Cissnei ridacchiava delicatamente,
divertita.
Tseng
non aveva risposto alla provocazione e aveva continuato a
sorseggiare il suo gin tonic.
Non
era certo il tipo da avventure occasionali. Non si divertiva
ad accalappiare qualche tipa qualsiasi come spesso faceva Reno per poi
abbandonarla
senza troppe cerimonie il giorno dopo.
C’era
troppo lavoro da fare per occuparsi di cose del genere, e le
uniche due donne della sua vita ne facevano parte.
«
Eccomi, capo. » si annunciò Reno, oltrepassando
dinoccolato la
porta ormai scardinata, il teaser in spalla pronto a scaricare.
« Cosa abbiamo
qui? Gatte da pelare? »
Non
appena l’incauto rosso fece la propria apparizione, la
ragazza
sobbalzò e trattenne il respiro, singhiozzando
più forte; chinò la testa,
cercando di nascondere il viso fra le mani e dietro le ciocche castane
che le
sfioravano le guance.
«
Mh? » Reno avanzò verso di lei, scrutandone i
lineamenti « Mi
pare di averti già vista da qualche parte… Ma
certo!» esclamò poi, riconoscendola
« Strano modo di rincontrarsi dopo qualche mese, Mischa!
»
«
Non so di cosa tu stia parlando.» tremante, la donna
evitò il
suo sguardo voltando la testa di lato, il terrore dipinto nei grandi
occhi neri.
«
Reno, dacci un taglio. » con un cenno della testa, Tseng
indicò
l’uomo che ancora teneva sotto tiro « E’
lui. Tieni d’occhio gli altri. »
Reno,
divertito, fu felice di obbedire: si accostò a Mischa,
picchiettandole la spalla sinistra con il manico dell’EMR.
«
Non si muova.» Tseng sfilò dall’interno
della giacca un paio di
manette e le chiuse attorno ai polsi del boss, facendole scattare
sonoramente.
«
Perché non mi guardi Mischa? Non ti ricordi di
me?» continuava il
rosso nel frattempo, con tono dispiaciuto « Ci siamo
incontrati a Junon, sulla
spiaggia… vero?» la ragazza continuava a tremare,
tentando vanamente di farsi ancora
più piccola.
«
Smettila… » visibilmente irritato, il tizio alto
sollevò con
lentezza il fucile che aveva tenuto basso fino a quel momento.
«
Reno… limitati ad ammanettarli e falla finita, per
cortesia.» Tseng
lo ammonì, costringendo il proprio prigioniero ad accostarsi
alla porta.
Dal
canto suo, Reno prese le manette che si era portato appresso e
cominciò a farle roteare attorno all’indice
destro: sul suo volto comparve un
ghigno divertito e piuttosto sadico.
«
Ti ricordi, Mischa? Avevamo usato uno di questi affari, quella
notte… »
«
STAI ZITTO, STRONZO! » l’uomo che Reno avrebbe
dovuto
preventivamente immobilizzare, in preda ad una furia improvvisa,
premette con
forza il grilletto del fucile, facendo partire un colpo «
MUORI! »
Reno
si abbassò appena in tempo da evitarlo, ma non fu abbastanza
rapido da parare anche il calcio che Mischa gli assestò in
mezzo alle gambe.
«
Che doloooore… Io stavo solo scherzando…
» tenendosi i gioielli
di famiglia, il rosso Turk si piegò in due; agitando
debolmente il manganello
alla cieca, riuscì a colpire l’uomo alla gamba.
Bastò
quell’istante, quell’errore fatale e Tseng comprese
che la
situazione stava sfuggendo di mano. I due rivoltosi ancora liberi, armi
in
pugno, avanzavano minacciosi contro di lui; non poté fare
altro che serrare la
presa sui polsi incatenati del loro capo.
“Maledizione.”
Indietreggiò un poco verso l’uscita. Reno
agonizzava ancora dall’altro lato della stanza.
“Dobbiamo trovare un modo per
tornare all’elicottero…”
Interruppe
di colpo il flusso di pensieri.
Prima
di iniziare la missione, aveva affidato a Reno il compito di
stare di guardia all’elicottero.
Eppure
Reno era lì, lo
vedeva benissimo.
E se
lui era lì, all’elicottero chi diavolo…?
Doveva
avvertire gli altri prima che fosse troppo tardi.
Nervosamente si portò una mano all’orecchio per
attivare l’auricolare, ma l’eco
di uno sparo lo assordò del tutto: il PHS si
frantumò in mille pezzi, colpito
da un proiettile che, sfrecciando, gli bruciò appena la
guancia destra.
«
Non dirai proprio niente a nessuno. » la donna
avanzò verso di lui,
tenendo Reno per i capelli « Riconsegnaci il capo e non
faremo nulla di male al
tuo amichetto. »
«
Anche se si meriterebbero di morire bruciati, quei cani.»
commentò aspramente lo spilungone, tenendo costantemente il
fucile puntato
verso Tseng.
«
Preferirei morire di vecchiaia mentre mi godo la pensione,
grazie. » suggerì Reno, la voce ancora provata dal
dolore pulsante.
Ma
come faceva a uscirne con certe battute nei momenti meno
consoni?
Tseng
studiò attentamente i due, senza allentare la presa sul
braccio del proprio ostaggio. Non aveva intenzione di fallire la
missione a
causa dell’idiozia di Reno.
Come
potevano uscirne fuori vincitori?
Sembrava
non esserci alcuna soluzione se non cercare di opporsi a
suon di proiettili.
Ma
c’era quel cretino lì, ormai prigioniero del
nemico.
Cercare
di scappare sarebbe stato disonorevole e controproducente.
Lo
scambio dei due prigionieri non sarebbe servito ad un gran che,
probabilmente subito dopo uno dei tre avrebbe fatto fuori o lui o Reno.
Dal
basso della sua posizione inginocchiata, quest’ ultimo
chiedeva di essere liberato inducendolo con lo sguardo a fare come era
stato
richiesto dai suoi aguzzini.
Dannazione.
Odiava questo genere di situazioni incerte.
Poi
uno scoppio. Un boato violento e una scossa.
E un
altro ancora. Delle urla provennero, sovrapponendosi, dal
piano di sopra e dall’esterno.
«
Ma cosa diav…? » l’uomo armato si
diresse verso l’uscita, ma non
appena mise piede fuori dalla porta, una scarica di proiettili lo
freddò
all’istante.
Entrarono
nella sala alcuni uomini equipaggiati di tutto punto che
impugnavano dei corti mitragliatori di produzione ShinRa –
irruppero nel
sotterraneo capitanati da un ragazzo giovane con i capelli color paglia.
«
Stanate i ribelli! » urlò quest’ ultimo,
gesticolando
nell’impartire ordini ai suoi sottoposti « Prendete
il sindaco! »
I
suoi seguaci si riversarono nella stanza, rimanendo però
basiti
dalla scena che si trovarono di fronte.
«
I Turks! » esclamò uno di loro, rivolgendosi al
suo capo.
Quest’ultimo
si fece largo tra i subordinati, raggiungendo infine
il Comandante dai capelli neri e l’espressione altera.
«
Signor Tseng.» fece un breve inchino « Sapevamo
sareste arrivati
un giorno o l’altro. Siamo dalla vostra parte. Noi ci fidiamo
della ShinRa.
Siamo sicuri che migliorerà le nostre vite. Il mio nome
è Noah. »
«
Oh bene! » esclamò Reno, afferrando il braccio
della donna che
ancora gli teneva stretti i capelli « Mi dispiace Mischa.
» le torse il polso
con un gesto veloce
e secco,
allontanandola da sé. Si rialzò in piedi a fatica
e la afferrò nuovamente,
immobilizzandola.
«
Ce ne hai messo di tempo.» lo fulminò con lo
sguardo Tseng. «
Non pensare che la passerai liscia. Hai lasciato l’elicottero
sguarnito.»
«
Ho lasciato lì due soldati, non sono mica venuto
abbandonando
l’elicottero al suo destino.» si scusò
Reno, consegnando la donna a uno dei nuovi
ed inattesi alleati. Tseng tuttavia non distese l’espressione:
«
Era tuo compito.»
«
Capo, con tutto il rispetto, non avete specificato che io
in particolare non potessi accorrere
in vostro aiuto. »
Tseng
rimase interdetto per qualche secondo.
Aveva
commesso un errore.
Capita
a
tutti di commettere qualche sbaglio.
Gli
sembrò di sentire la sua
voce rimbombargli nella testa, con il suo solito tono dolce e
spensierato.
«
In ogni caso, ora non perdiamo tempo. Dobbiamo portarlo via.»
riprese poco dopo, dirigendosi verso la porta.
«
Signore.» lo interruppe Noah « Fuori non
è sicuro. Infuria la battaglia,
permetteteci di farvi da scorta.»
Senza
rifiutare né asserire, Tseng trascinò
l’uomo ammanettato e
lo consegnò a due di quegli uomini, mentre lui stesso e Reno
si incamminavano verso
l’esterno, risalendo rapidamente le scale.
Merda.
Se
avesse fatto più attenzione alle sue stesse parole, non si
sarebbero
probabilmente ritrovati a dover affrontare quella complicazione.
Era
stato uno sbaglio, una distrazione che non avrebbe dovuto concedersi.
Sei
sempre
così duro con te stesso.
Ancora
lei a tormentarlo.
Gli sembrava di sentirla mentre lo rimproverava con quella sua voce da
ragazza,
così ingenua…
Scosse
la testa. Non era il momento di pensare a cose così futili,
e in quel momento lontane, custodite nei bassifondi di Midgar.
Quando
uscirono dalla casa del sindaco, la scena che si presentò
ai loro occhi era terribile.
Ciò
che tutti temevano, ovvero lo scoppio di una guerra civile, si
era infine avverato: alcune case erano state date alle fiamme, altre
stavano
saltando per aria; per le strade i ribelli e gli alleati della ShinRa
si
combattevano, si uccidevano, bambini e donne correvano al riparo, gli
animali
scappavano dalle stalle. Il cielo, all’orizzonte, era tinto
di sangue e fuoco.
Alcuni
fanti della scorta arrivarono correndo, guidati da una
Cissnei corrucciata. Aveva la fronte segnata da una sottile
escoriazione scura:
«
Capo, state bene? » La ragazza lo raggiunse, piuttosto
preoccupata « E’ successo tutto
d’improvviso… »
Tseng
annuì
«
Bisogna portare subito via da qui il sindaco.» si
guardò attorno,
ma ciò che vide fu solo una battaglia sanguinosa,
udì solo rumore di spari e
grida impaurite.
La
guerra… è
orribile, vero?
«
Cissnei, torna a Midgar con Reno e porta l’ostaggio con te.
Io
rimango qui. –
Fa
parte del
mio lavoro.
Furono
raggiunti dai due uomini che tenevano il prigioniero,
impedendogli di divincolarsi.
«
Ma…! Capo! » si oppose Reno « Se lei
rimanesse qui e dovesse…»
Anche
il tuo
lavoro lo è allora.
«
E’ un ordine.» lo disse con tono gelido, senza
degnarlo di un
solo sguardo.
Cissnei
sembrava contrariata quanto il giovane aviatore, ma dopo
un momento di esitazione, si mise sull’attenti.
«
Ricevuto. Reno, andiamo. »
Non
posso
scegliere le missioni.
I
due Turk, seguiti dai membri dell’alleanza, si avviarono
più in
fretta che poterono verso l’elicottero. Reno si
guardò indietro più volte, poi
quando fu abbastanza lontano, urlò:
«
Torna presto, capo! »
Dopo
aver raccolto intorno a sé un piccolo gruppo di alleati
dalle
truppe di Noah, Tseng usò un rapido cenno della mano per
ordinare ai suoi improvvisati
sottoposti di avanzare verso il campo di battaglia, nel centro del
villaggio.
Lanciando
un ultimo sguardo ai due colleghi che correvano verso il
velivolo, prese fra le mani la sua magnum.
«
L’ho già promesso a qualcun altro, Reno.»
(xxx)
La
luce
filtrava flebile fra le crepe nei muri e dai buchi fra le assi del
tetto. Era
piacevole quel tenue calore che aiutava i suoi fiori a crescere.
Talvolta si
ritrovava a goderne anche lui, come le piccole piante, ad occhi chiusi,
mentre
ascoltava i suoni che il vento produceva penetrando nei più
nascosti anfratti
della costruzione. La brezza giocava a produrre i rumori più
disparati a
contatto con oggetti diversi, a rievocare gli echi di suoni lontani, a
portare
con sé voci e sussurri. Ogni momento della giornata era
scandito da melodie
diverse, a tempo con le quali le corolle e le foglie danzavano, cullate
dalle divertite
folate. Al centro della chiesa, china sulla sua piccola aiuola, stava
lei, i
fluenti capelli castani che ondeggiavano ad ogni piccolo movimento, le
mani
piccole e candide perennemente sporche di terra.
Era
questo
ciò che Tseng trovava ogni volta che apriva piano il grande
portone in legno
intarsiato, facendo cigolare i vecchi ed arrugginiti cardini sconnessi.
«
Sei
tornato.» la sua voce limpida, leggera e delicata come il
colore dei fiori che
curava gli arrivò alle orecchie
all’improvviso,mentre avanzava verso le panche
rovesciate.
Aveva
fatto
il più silenziosamente possibile, ma ormai la ragazza si era
abituata al rumore
dei suoi passi che facevano scricchiolare il pavimento tarlato.
«
Sono
tornato. » ammise Tseng, continuando a camminare verso di
lei. Non riuscì a
capire dal suo tono di voce se le sue parole fossero contente o
solamente
rassegnate. Quella della ragazzina era sembrata una semplice
affermazione.
Pulendosi
le
mani sul piccolo grembiule bianco che teneva legato alla vita, Aerith
fece
forza sulle ginocchia e si sollevò. Diede un ultimo sguardo
ai suoi piccoli germogli
e poi voltò la testa con la sua solita grazia, incontrando
gli occhi del Turk.
«
Oh cielo,
Tseng. » allarmata, si portò una mano alla bocca
« Sei ferito!»
Il
Turk annuì
brevemente. Era appena tornato da una missione che gli aveva dato non
pochi
problemi. Era stato a causa di un tizio delle parti di Kalm che era
entrato a
lavorare alla ShinRa da poco tempo ed era stato sbattuto in prigione
per un
furto di materia modificate nei laboratori; era riuscito tuttavia ad
evadere,
aiutato da alcuni complici suoi paesani. Quando alla Turk era stato
ordinato di
ricatturarlo, Tseng si era ritrovato suo malgrado coinvolto in una
lotta corpo
a corpo. Una fasciatura al braccio, una alla testa e parecchi cerotti,
erano
stati il risultato. Nulla di particolarmente grave, ma per guarire
completamente avrebbe dovuto passare uno o due giorni a riposo.
Aerith
gli si
avvicinò trafelata, per studiare
l’entità dei danni.
«
Non
preoccuparti. Non è niente. » cercò di
tranquillizzarla, come suo solito. Non
era affar suo, in ogni caso.
«
Lasciami
dare un’occhiata almeno…» lo sguardo
della ragazza esaminò i graffi sul viso,
la fascia che gli
circondava il capo, il
braccio che gli pendeva dal collo. « Deve fare male
questa.» osservò, sfiorando
appena le bende che gli avvolgevano il polso.
«
Non
particolarmente.» Tseng distolse lo sguardo, cercando
qualcos’altro su cui
posarlo. Fissare troppo a lungo il suo viso lo mandava in agitazione.
Il fatto
che si preoccupasse per lui gli faceva fin troppo piacere.
Più
di quanto
il suo lavoro gli permettesse.
«
Mi hanno
inferto ferite peggiori, durante la guerra.»
«
La guerra…
è orribile, vero?»
Tornò
su di
lei, corrugando le sopracciglia. E ora perché quella domanda?
«
Fa parte
del mio lavoro. » rispose, atono. Non gli era permesso
sbilanciarsi nemmeno riguardo
quell’argomento..
Il
viso di Aerith
si rabbuiò.
«
Anche il
tuo lavoro lo è allora. Orribile.» stizzita, gli
voltò le spalle.
E
dire che
era andato lì con la speranza di passare qualche momento in
tranquillità.
Solitamente sorvegliarla lo rilassava. Però avrebbe dovuto
aspettarsi una reazione
del genere da parte sua, vedendolo in quello stato. Trasse un breve
sospiro.
«
Ammetto che
non è dei migliori.» si sedette su di una delle
poche panche ancora intattei,
anche se evidentemente provate dal tempo. « Ho a che fare con
ogni genere di cosa.»
«
Ogni
genere di cosa .» ripeté
lei, tornando a chinarsi sui
fiori « Di cui faccio parte anche io. »
E
adesso
perché si era arrabbiata? O forse fingeva?
Le
donne
sapevano diventare un grande mistero.
«
Sì, anche
tu ne fai parte » dove voleva andare a parare?
«
Quindi
anche io sono orribile.» concluse decisa lei, strappando via
un’erbaccia che era
cresciuta spontaneamente fra le travi.
«
Non ho
detto questo. » Tseng sollevò un sopracciglio,
confuso. « Tra tutti gli
incarichi che mi hanno dato finora… » si
bloccò un attimo, non sapendo
esattamente come continuare la frase per paura di offenderla
ulteriormente. «…sorvegliare
te è forse l’unico che mi abbia mai fatto
piacere…»
«
Allora
perché non rimani sempre qui?»
Era
incredibile con quanta ingenuità e candidezza lei sapesse
dire certe cose.
Aveva appena compiuto quattordici anni, ma a volte parlava come una
bambina
innocente.
Si
ritrovò
spiazzato, i suoi due grandi occhi di smeraldo che lo fissavano
aspettando una
risposta.
«
Non posso
scegliere le missioni. »
Aerith
continuò a guardarlo, l’annaffiatoio in mano.
Per
un attimo
il Turk temette che glielo avrebbe lanciato.
Tuttavia
lei
si limitò a sospirare, riponendo l’oggetto per
terra.
«
Sai, è che…
» incominciò poi, accovacciandosi sul pavimento.
« …mi sento sola.» si cinse le
gambe con le braccia, incurvandosi « Sento le voci del
Pianeta, quella della
mamma e di tante altre persone. Ma sono l’unica, non ho
ancora trovato nessuno
che le senta come le sento io… E poi, la gente non si
avvicina mai a questo
posto…» scosse la testa lentamente
«… gli abitanti di questa città mi
trovano
strana. Una tizia che coltiva fiori, nella città del Mako,
della tecnologia…» un
sorriso mesto le apparve sulle labbra « E’ un
controsenso bello e buono, non
credi? Perciò mi tengono a distanza. Se provo io ad
avvicinarmi, mi evitano. Tu
sei l’unico che mi faccia un po’ di compagnia.
» si voltò verso di lui,
sorridendogli « Anche se non sei esattamente un
chiacchierone. »
Rimase
un po’
in silenzio, dondolando con le ginocchia al petto.
«
Ogni volta
che te ne vai dicendomi che dovrai partire per una nuova missione, ho
sempre
paura che non ti vedrò tornare. Che non sentirò
la porta cigolare piano e le
assi di legno scricchiolare sotto i tuoi passi.» smise di
ondeggiare, poggiando
le mani sulle ginocchia « Ho paura di ritrovarmi di nuovo
sola.»
«
Se io
dovessi… non tornare da una missione, probabilmente
affiderebbero l’incarico a
qualcun altro.» osservò Tseng « Non
saresti sola.»
«
Sì, hai
ragione.» annuì, ma era evidente che non fosse
pienamente convinta di quelle
parole.
Calò
il
silenzio, intervallato solo dal frusciare del vento e da qualche rumore
sinistro proveniente dal tetto. Tutto quel discorso l’aveva
decisamente scosso,
ma come al solito non l’aveva dato a vedere, ostentando la
sua abituale
freddezza professionale.
La
paura di
non tornare da una missione e non poterla rivedere, ovviamente rimase
celata
nel suo cuore. I loro erano due sentimenti diversi comunque, e di
questo era
perfettamente consapevole.
Lei
non ne
sarebbe mai venuta a conoscenza. Non gli era permesso, dopotutto.
«
Tseng… » la
sua voce che pronunciava il suo nome, ruppe lievemente la quiete
«…posso fare
qualcosa per te? »
Il
Turk inarcò
ulteriormente il sopracciglio, cercando di capire a cosa si stesse
riferendo.
Lei si avvicinò e si sedette sulla panca, al suo fianco. I
loro corpi erano
pericolosamente vicini.
«
Ho tutto
questo potere, ed è inutile se non può essere di
alcun aiuto… » avvicinò le
mani all’arto offeso dell’uomo, chiudendo gli
occhi. Respirò profondamente e
corrugò le sopracciglia: le dita si illuminarono di una
pallida luce verde
chiaro, Lifestream puro che, dolcemente, cominciò a lenire
il dolore della
ferita al braccio.
Erano
incredibili i poteri degli Antichi. Aerith era davvero un esemplare
magnifico,
un ottimo elemento per gli studi e gli esperimenti agli occhi della
ShinRa.
Tseng
riuscì
facilmente ad immaginare la faccia compiaciuta del dottor Hojo mentre
la
attaccava ai suoi beneamati marchingegni e la sottoponeva ad estenuanti
test…
Aveva
spesso
assistito alle iniezioni di Mako nei corpi dei futuri SOLDIER e non era
mai
stato uno spettacolo consigliabile, soprattutto quando il soggetto
sottoposto
al flusso non risultava compatibile.
Quando
ebbe
finito, Aerith passò alla testa, mettendoci la stessa
identica concentrazione.
Il
suo
profumo inconfondibile, di frutta e, ovviamente, dalle note floreali,
lo
inebriava, lo solleticava, penetrava insieme al Lifestream in ogni
parte del
suo corpo.
Avrebbe
voluto sfiorare la sua pelle, che sembrava così morbida.
Affondare le mani fra
i soffici capelli, leggermente bagnati
dall’umidità dell’aria.
Chiuse
anche
lui gli occhi: non doveva lasciarsi sopraffare da pensieri del genere.
Represse, ancora una volta, i desideri che sentiva affiorare dentro
sé quando
stava in compagnia di quella ragazza.
Nonostante
fosse più piccola di lui, e non di poco, se n’era
invaghito pericolosamente.
Ma
tutto
questo non poteva certo convivere col suo dovere. Prima fosse riuscito
a
dimenticarla, meglio sarebbe stato per tutti.
Quanto
sarebbe stato difficile?
«
Ecco fatto!
» esclamò lei, svegliandolo dal torpore dei suoi
pensieri « Va meglio ora?» gli
chiese, soddisfatta del proprio operato. Tseng annuì: non
sentiva più alcun
fastidio o bruciore.
«
Grazie. »
le rispose, con un timido sorriso « Va molto meglio.
»
Lei
ricambiò,
poggiandosi sullo schienale mentre respirava profondamente. Sembrava
che si
fosse stancata. Probabilmente ancora non riusciva a controllare al
meglio i
suoi poteri: era giovane d’altronde.
Una
creatura
così fragile con un così grande
potenziale… sembrava incredibile che dentro di
sé nascondesse tutta quella forza.
«
La mamma
dice che è stato un piacere.»
«
Cosa » il
Turk si voltò verso la ragazza, un sopracciglio leggermente
sollevato.
«
Anche lei
mi ha aiutata a curarti, no? » poggiando le mani sul bordo
della panca, si
sporse facendo ciondolare le gambe magre, un movimento tipicamente
infantile ma
estremamente grazioso. « Le ha fatto piacere. Dice che sei un
bel ragazzo. »
Tseng
sgranò
gli occhi, le guance che si coloravano leggermente. Cercò di
trattenere
l’imbarazzo come meglio poté. Era solo un
complimento, ne aveva ricevuti
parecchi sul lavoro.
Perché
si
sentiva… contento? Non era nemmeno stata lei a farglielo, ma
sua madre, da
chissà quale minuscola particella di Lifestream.
Aerith
teneva
gli occhi chiusi, in ascolto. Annuì con la testa un paio di
volte, poi lo
guardò ancora:
«
E ti
ringrazia, anche. »
«
Mi ringrazia? » Tseng scosse la testa
« Deve esserci un errore.» Come
poteva voler ringraziare qualcuno che faceva parte
dell’organizzazione che
minacciava alla salute del Pianeta? Soprattutto lei che ormai faceva
parte del
flusso vitale.
«
Nessun
errore.» lei piegò la testa di lato, facendo
ricadere sulla spalla la morbida
treccia che le arrivava quasi a metà schiena. « Ti
ringrazia perché stai con me
molto spesso. »
Era
davvero
assurdo. La mamma di una bambina sorvegliata e pedinata ringraziava il
persecutore
che teneva d’occhio sua figlia per conto di una compagnia che
la voleva
utilizzare come cavia da laboratorio.
Aerith
diceva
sul serio? Guardandola negli occhi, trovava solo sincerità,
trasparenza. Ma le
sue parole risultavano incredibili. Ogni giorno lo stupiva sempre di
più. Forse
era proprio per questo che gli piaceva.
E
quegli
stessi occhi, così cristallini, lo guardavano fisso. E ora
che succedeva?
Con
un gesto
lento, quasi solenne, Aerith gli porse il dito mignolo della mano
destra.
Tseng
guardò
prima la mano, poi lei, sempre più confuso.
«
Promettimi
una cosa. » gli disse, tutto ad un tratto serissima.
Lui
restò immobile,
aspettando che continuasse.
«
Quando
parti, io non ho mai la certezza che ti rivedrò..
» con la mano libera, afferrò
la destra del Turk e gliela chiuse a pugno, lasciando libero solo il
mignolo.
«
Quindi…
promettimi che d’ora in poi tornerai sempre. Se ho la tua
parola, allora sarò
sempre sicura che alla fine di ogni missione, verrai a trovarmi.
»
L’ultima
discendente degli antichi era una ragazza dai grandi occhi verdi e la
pelle
vellutata. Adorava la natura, le piaceva parlare ed era sempre allegra.
Aveva
un bel corpo snello, anche se acerbo, che celava un animo ancora
infantile.
Un
po’
riluttante, Il Turk intrecciò il dito con quello di Aerith.
«
Lo
prometto. » disse poi, a bassa voce.
(xxx)
Si
lanciò alla propria destra, compiendo una veloce capriola.
Aveva evitato una raffica di colpi agilmente, nascondendosi dietro il
muro di
una delle poche case ancora in piedi.
Si
lasciò andare con la schiena contro i duri mattoni,
ansimando.
Il dolore lancinante delle ferite gli annebbiava la vista e accelerava
i
battiti del suo cuore. Il respiro si era fatto corto, un po’
incerto a volte.
Si tastò la spalla che era stata trapassata da un
proiettile: il rosso liquido
che gli impregnava i vestiti gli macchiò la mano e il
polsino un po’ strappato.
L’avevano
colpito con un pugno allo stomaco e in altri punti,
persino sulla faccia. Sorrise debolmente, pensando
all’espressione che avrebbe
fatto Aerith nel vederlo tornare un’altra volta ricoperto di
ferite.
Perché
sarebbe tornato.
Impugnò
di nuovo la sua arma e la caricò.
In
fondo, aveva fatto giurin giurello.
Nota
dell’autrice: Ed
ecco che
anche io ci ho provato. Non è stato per niente facile, e
devo ringraziare la
mia amata Frances, che ha avuto la pazienza di sopportare i miei scleri
e che
ha gentilmente betato la mia fic! <3
E’
la prima
volta che scrivo su Final Fantasy VII, e non sono nemmeno la mia coppia
preferita (ZackXCloud 4 evah <3), e questo è il
risultato!
Il
titolo,
che tradotto sarebbe “Mille aghi”, è
ispirato al giurin
giurello giapponese:
“Se
mentirai,
ti farò ingoiare 1000 aghi.”
La
vendetta
di Aerith sarebbe tremenda XD
Hope u like it <3