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Autore: Shinra    05/10/2009    2 recensioni
Cosa è successo durante gli anni che hanno segnato la distanza tra i bambini dell'orfanotrofio? Quali sono state le esperienze che hanno vissuto, e che li hanno fatti diventare adulti?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'Autrice: Sembro essere fissata con la parola “Lost”... in realtà, questo titolo mi è venuto in mente dopo aver letto i capitoli di Berserk “Lost Children”. Ripensando al fatto che Squall, Quistis, Zell, Selphie, Seifer e Irvine sono tutti stati all'orfanotrofio, mi è venuta la curiosità di pensare a come potevano aver vissuto per tutti quegli anni separati, fino a quando non si erano rincontrati al Garden...
Sarò schietta, così come tutti gli altri miei progetti, anche questo potrebbe finire nel dimenticatoio... in buona parte dipenderà da me, ma anche da voi... capite cosa intendo. :-P
P.S. La mia memoria mi ha fatto un brutto scherzo. °_°; Ricordavo che anche Rinoa fosse stata all'orfanotrofio... Ringrazio blue_angel per avermelo fatto notare. Per adesso la tolgo, ma siccome volevo inserirla rispunterà più avanti. ;-)

You'll receive what you give
And this is like nothing

Is this all you have to give?
Go. March.
In chains. Surrender.

- Disconnected, In Flames


Capitolo 1: Squall

“Buongiorno, tu devi essere Squall, vero?” l'uomo gli sorrideva, sembrava gentile e disponibile. Lo aveva visto parlare con la Madre dalla porta a vetri che dava sul cortile.
Aveva una vaga idea di quello che stava per succedere. L'ultima visita l'avevano ricevuta appena qualche settimana prima, da una signora un po' anziana che aveva addosso un profumo di marmellata di mele e un cappello di piume. Selphie se n'era andata con lei.
Ma non aveva immaginato che così presto sarebbe arrivato il suo turno.
Non rispose al saluto dell'uomo, e nemmeno ricambiò il suo sorriso; si limitò a fissarlo per qualche secondo. Era alto, il viso solcato da qualche ruga profonda, ma non doveva essere vecchio, nonostante i capelli fossero appena brizzolati. Le sue guancie erano rasate, e davano al suo viso un aspetto più giovanile di quanto gliene dessero invece i suoi occhi stanchi e grigi. Nonostante tutto, dava l'impressione di essere un uomo forte: le sue spalle erano larghe, il suo petto ampio e le sue mani larghe e callose.
L'uomo si accovacciò a qualche metro di distanza da lui, forse per paura di incutergli timore con la sua altezza, e lo guardava adesso faccia a faccia.
“Sembri un ragazzino sveglio,” riprese l'uomo, sorridendo ancora.
A dire il vero, era la prima volta che gli dicevano una cosa del genere. Gli altri erano di certo più movimentati di lui, e aveva sentito parecchie volte la Madre lamentarsi di come Zell non stesse mai fermo, e di come Irvy lo seguisse ovunque andasse. Da quando la sorellina Elli se n'era andata, lui era a stento uscito di casa, e per giorni si era rifiutato di andare insieme agli altri a giocare nel cortile, e addirittura di lasciare il suo letto. La Madre aveva lottato per tirarlo giù dal letto a castello, e quando c'era riuscita, Squall aveva messo in atto un ostinato silenzio. Era così che combatteva lui. Gli altri urlavano, stringevano i denti o piangevano. Lui restava in silenzio.
Quell'uomo, invece, combatteva con il suo sorriso e con le sue parole gentili.
Squall non riusciva proprio a provare simpatia nei suoi confronti.
“Ti piace usare la spada?” insisté quello.
Squall, nonostante caratterialmente fosse diverso dagli altri bambini, condivideva con loro la passione per la lotta. Sia lui che il suo fratellino Seifer avevano una spada giocattolo, una innoqua, di legno. Amavano combattere contro gli alberi e con altre creature misteriose che popolavano il giardino. Una volta avevano salvato Zell, che stava per essere mangiato da una Zucca, ma poi la Madre li aveva rimproverati per aver ridotto la pianta a pezzi, e li aveva puniti facendogli mangiare per due giorni cavoli bolliti.
Non era cattiva però, e neanche troppo severa. Squall correva da lei, da quando non c'era più Ellione, attirava la sua attenzione tirandole il vestito, e lei rideva, lo prendeva in braccio e cercava di farsi dire che cosa era successo. Ma visto che lui ormai non rispondeva, decideva di lasciarlo stare fino a quando non gli passava il broncio, e continuava a svolgere i suoi affari domestici tenendolo solo con un braccio, con quelle di lui che si aggrappavano attorno al suo collo. Da qui nasceva la convizione di Squall che le persone molto alte fossero anche molto forti. Seifer era sempre qualche centimetro più alto di lui, e lo batteva sempre quando combattevano con la spada.
Quell'uomo era molto alto e robusto. Però forse Seifer sarebbe riuscito a sconfiggerlo.
“Squall, chi è questo signore?”
Zell arrivò dietro di lui, facendo il giro intorno all'albero e arrampicandosi su un ramo, come faceva sempre per dimostrare la sua forza. Però i suoi occhi continuavano a correre dal fratello al signore, e Squall pensò che anche Zell stesse pensando a lui come a un possibile avversario da battere.
L'uomo rise. “Hai ragione, perdonami, non mi sono ancora presentato.”
Stava ridendo per il comportamento di Zell? Anche lui, come Seifer, pensava che Zell fosse simile a una di quelle scimmie che si arrampicano sempre sugli alberi? Perché l'essere una scimmia faceva tanto ridere le persone? Non capiva...
“Il mio nome è Dolmen, e sono un generale dell'esercito di Galbadia, piacere di fare la vostra conocenza.” sorrise ancora.
“Un Generale? Uno Generale vero??” esclamò Zell, scendendo giù dal ramo con un salto.
L'uomo rise di gusto, la sua risata era profonda.
“Sì, un generale vero, ragazzo, di quelli che hanno combattuto tante battaglie e ora tornano a casa dalla famiglia a godersi il meritato riposo... tu come ti chiami, ragazzo?”
“Zell!” rispose lui, mettendosi dritto e stando sull'attenti come aveva visto fare ai soldati nei film.
“Zell, è un piacere conoscere un ragazzo come te armato di tanta passione e rispetto per l'esercito. Posso sperare di vederti un giorno arruolato fra le nostre file?”
Zell rimase per un attimo senza parole, incredulo.
“C-certo! Voglio dire... Signorsì, signore!”
L'uomo di nome Dolmen rise ancora, e si avvicinò a Zell per dargli una sonora pacca sulla spalla. “Ben detto, soldato!” Zell barcollò ricevendo il colpo. Squall alzò gli occhi verso l'uomo, che nel frattempo si era avvicinato anche a lui.
Dolmen ricambiò il suo sguardo.
“Ti farebbe piacere venire con me, Squall?”
Lo aveva detto così, semplicemente.
A Squall non interessava molto andare con l'uomo, ma anche lui, come Zell, sentiva di dover ubbidire in qualche modo a quel signore dall'aspetto tanto imponente quanto autoritario.
Annuì soltanto, ma all'uomo bastò. Fece dietrofront, e Squall, senza neanche rendersene conto, si ritrovò a seguirlo all'interno della casa.

La Madre posò un vassoio di biscotti fatti in casa sul tavolino del soggiorno, e offrì nuovamente all'uomo la teiera, ma quello la rifiutò cordialmente con un gesto della mano. Lei allora si sedette, prese tra le mani la sua tazza da thè e soffiò delicatamente sul liquido ambrato.
Era tesa. Squall lo sentiva, e ne attribuiva il motivo al carisma spiazzante dell'uomo che sedeva di fronte a loro.
Sedeva diritto, a spalla larghe, fiero. Le sue sopracciglia erano appena corrugate, forse per il fumo dolciastro del thè gli appannava gli occhi mentre portava la tazza alle labbra. Poteva tenerne due insieme sul palmo di quella mano gigantesca. Con l'altra afferrò un biscotto, e lo annuso prima di addentarlo, emettendo subito dopo un mugugno di piacere.
“Quando avete intenzione di partire?” chiese la Madre con la voce un po' più bassa del solito.
Squall la sentì deglutire, e in un attimo si affacciò nella sua mente il ricordo di lei distesa sul letto, con i suoi lunghi capelli sparpagliati sul cuscino, e il suono dei suoi singhiozzi tremare nell'oscurità. Era successo quando Selphie se n'era andata... o era stata portata via dalla signora gentile che profumava di mele.
“Domattina stesso,” rispose subito l'uomo, “purtoppo,” aggiunse con aria grave, alzando gli occhi dalla sua tazza di thè.
“Capisco,” mormorò lei, abbassando i suoi occhi sulla sua. “Be' io...” aggiunse nervosamente, “Credevo di avere il tempo di aspettare il ritorno di mio marito, è in viaggio di lavoro, sa... E compilare i moduli insieme con calma, e tutto il resto...”
L'uomo sorrise, e Squall si scosse tremendamente notando che in quell'espressione non risiedeva la minima gentilezza.
“Mi dispiace,” disse semplicemente. Il suo tono non era duro, ma non ammetteva ripensamenti.
“Capisco,” ripeté Edea.
La sua mano viaggiò involontariamente fino a posarsi sui capelli di Squall. Lui alzò lo sguardo verso di lei, e vide una lacrima brillare sulle sue ciglia.
Era... colpa sua...?
I suoi pensieri viaggiarono indietro, fino a quando aveva visto per la prima volta l'uomo, fino a quando, poco dopo, gli aveva annuito.
Se fosse potuto tornare indietro nel tempo... Se avesse potuto fermarlo...
Il tempo continuò a scorrere.
La Madre raccolse in pochi minuti i suoi vestiti e i suoi giocattoli in una borsa. L'uomo aspettava di sotto, davanti al cancello. Squall poteva vederlo dalla finestra della mansarda. Si voltò verso sua madre: il suo corpo magro era chino sulla borsa nella quale stava cercando di fare entrare la sua spada di legno, avvolta in un vecchio giornale. Adesso non le sembrava più forte, solo immensamente fragile.
Quando ebbe finito, lei andò verso di lui e lo prese per mano. Delicatamente, come si tiene una piuma.
Spense la luce, prima di chiudere la porta cigolante e scendere le scale di legno che lui e Zell scendevano di corsa ogni mattina, e risalivano con lentezza snervante la sera. Zell avrebbe avuto paura a dormire lì da solo di notte? Diede un'ultima occhiata al letto di suo fratello: vide il suo pupazzo preferito pendere assieme alle lenzuola dal bordo, e un po' si rassicurò.
Arrivarono al portone di ingresso. Squall si voltò, e vide i suoi fratelli e le sue sorelle affacciarsi da dietro il muro ad angolo, con le facce contorte in espressioni troppo serie. Lui li guardò uno per uno.
“Bambini, venite a salutare Squall.”
Non aveva detto “vostro fratello”, come si rivolgeva a loro di solito. Uno strano sapore amaro si raccolse alla base della sua gola, e Squall degludì a fatica per mandarlo giù.
Quistis, Zell, Irvine e Seifer si avvicinarono a loro.
“Ciao Squall,”
“Ciao Squall,”
“Ciao Squall,”
“Ciao.”
Gli occhi di Squall scivolarono su quelli di Seifer con semplice naturalezza. Vide che lui teneva ancora in mano la sua spada di legno, mentre la sua era impacchettata sul fondo della sua borsa assieme a tutte le sue cose.
Voleva combattere ancora con lui, avere un'ultima rivincita.
Ma il tempo era passato.
Edea aprì il portone, e lo richiuse poco dopo alle sue spalle. Davanti a lui c'erano solo le scale di pietra, un cancello e un automobile.
Percorse in silenzio il vialetto, e in silenzio salì a bordo.
  
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