Capitolo 1
*Just my
luck*
1
(Alicia)
«Maledetta pioggia!»
Londra, 23 luglio 2006. I secondi
erano scanditi minuziosamente dalle goccioline di pioggia, che cadevano
sull’asfalto , schiantandosi contro i finestrini delle auto londinesi. La
coltre di nubi aveva interamente ricoperto il cielo, negando ad ogni raggio di
sole di penetrare quella plumbea barriera.
Come al solito la capitale inglese
era stretta in una morsa gelida che bloccava lo scorrere della vita; e proprio
fra la folla e qualche pozzanghera sfrecciavano i piedi di Alicia, che correva
alla disperata ricerca di un luogo caldo ed accogliente.
«Maledetta pioggia!»
Aveva diciotto anni da cinque mesi,
ma abbandonate le prime illusioni, Alicia si era resa conto che avere un anno in più non l’aveva portata a
quella libertà tanto agognata.
Viveva a Roma con sua madre, una
cinquantenne dai vecchi e “sani” principi con i quali aveva cresciuto una
figlia ben lontana dal suo cliché. Suo padre , Harold Simmons, era invece uno
dei più influenti discografici del Regno Unito; aveva lasciato l’Italia qualche
anno dopo la nascita della figlia, perché non riconosceva più in sua moglie la
donna che aveva portato all’altare.
Così, costretta ad errare tra una
casa e l’altra, la ragazza viaggiava ogni anno per le vacanze o non appena ne avesse avuta l’opportunità. Tuttavia,
anche quando soggiornava a Londra il padre spesso si assentava per impegni
improvvisi di lavoro, e quando lei era più piccola l’aveva spesso affidata alle
amorevoli cure della sua vicina di casa: la signora May Johnson . Oh, i
dolcetti della signora May, come le mancavano in quel momento!
Ripensava a come sarebbe stato
trascorrere il pomeriggio con Lena, la
figlia della donna, e con lei perdersi nei discorsi più insensati, disegnando
un futuro che le vedeva unite, e lontano dalle loro attuali vite. Lena era una
ragazza tipicamente inglese, dai tratti morbidi e la silhouette snella sulla quale poter adagiare qualsiasi
capo d’abbigliamento. Amava la letteratura ed i film dell’orrore, per non parlare
poi della sua più grande passione: Danny Jones, un giovane chitarrista di un
qualche gruppo locale, di cui Alicia non ricordava mai il nome.
Tutti questi particolari
riaffioravano nella sua mente dopo aver trovato un luogo adatto in cui
rifugiarsi: l’androne di un portone, la cui luce funzionava ad intermittenza.
Si lasciò cadere esanime e zuppa sugli scalini, con la testa contro il muro. Sfilò
l’ i-pod dalla borsa, mentre socchiudeva gli occhi e
viaggiava col pensiero, portandosi le cuffie alle orecchie.
« Well,
when you go don't ever think I'll make you try to stay. And maybe when you get
back I'll be off to find another way».
Se ne stava lì, in silenzio, aspettando che spiovesse. Si legò i
capelli neri con un elastico, scoprendo il collo.
Qualcuno al piano
superiore doveva aver chiamato l’ ascensore.
«And after all this time
that you still owe, you're still the good-for-nothing I don't know.»
I cancelli
si aprirono e ne uscì una vecchietta dai capelli lunghi e argentei; le sorrise,
ed Alicia ricambiò.
La vide
scendere le scale una alla volta.
-Le serve
una mano?-
-Oh, grazie
tesoro.-
La ragazza
scattò in piedi e l’aiutò, le aprì il
portone e l’ombrello, dopodiché la signora s’incamminò per la sua strada.
Alicia la vide avviarsi lemme lemme. Sorrise.
Si voltò
verso l’interno per andarsi a sedere un’altra volta, ma una sagoma varcò la
soglia barcollando, inciampando sui suoi stessi piedi, cadendo infine contro il
pavimento.
«So take your gloves
and get
out, better get out while you can. When
you go, would you even turn to say "I don't love you like I did
yesterday”.»
In dosso
aveva un giacchetto nero completamente zuppo. Il ragazzo aveva sbattuto la
testa violentemente, inciampando nello scalino del portone. Alicia allora
spense l’i-pod e corse in suo soccorso.
-Hai bisogno
d’aiuto?-
Gli portò
una mano sulla spalla delicatamente, sollevò il busto all’indietro e lo fece
sedere.
Aveva i
capelli biondi particolarmente arruffati, probabilmente aveva corso sotto la
pioggia senza ombrello. Alicia gli tese la mano, chinandosi verso di lui e non
poté fare a meno di notare il colore dei suoi occhi: verde smeraldo.
-Oh,
grazie!-
Si alzò in
piedi e con la mano ancora nella sua si ritrovarono faccia a faccia.
È stupenda,
pensò Dougie, è veramente stupenda.
«Cazzo Doug, quante ne avrai già viste? Una vale l’altra!.»
Per lui
ormai erano tutte uguali, tutte stronze; ed ogni volta era la stessa storia. Ma
lei, quella sconosciuta lì, ad un palmo di naso da lui, aveva qualcosa di
diverso. Il suo profumo.
Avvertiva
una dolce fragranza provenire dai suoi capelli neri. Scosse la testa mollando
la presa.
«Che sia una fan? Un’altra? Cavolo! La prossima
volta, che quella scimmia di Danny mi fa uscire di nuovo senza bodyguard, lo
faccio fuori!»
«Cavolo Doug, è solo una ragazza, cosa vuoi che
ti faccia?» Ecco
che si immaginava il viso del suo amico che non vedeva l’ora di abbordarla. A
lui, del resto, andava bene qualunque ragazza.
«Non come te, che sei troppo infantile, troppo
timido, troppo!». Tom
come al solito lo rimproverava.
-Tutto
bene?-
La ragazza
interruppe i suoi pensieri, ed ora la sua mano era lì, di nuovo sulla sua
spalla.
-Si, sto
bene.-scostò la spalla per allontanarla.- Credo di dover andare, ora.-si mosse
verso la porta ma lei afferrò la sua felpa.
-Io credo
invece che ti debba riposare un attimo, e poi, fuori piove a dirotto.-
Aveva
ragione, dove diavolo aveva intenzione di andare con quel tempo? E se lei lo
stesse dicendo solo per stare con lui? Non era niente male ma non era il caso
di ricominciare, non dopo Louise. Eppure il suo sguardo era sincero, come se
davvero lo facesse senza un secondo fine.
Si convinse
ed annuì, ed entrambi si sedettero sulle scale, l’uno di fianco all’altra.
-Comunque,
piacere, Alicia.-gli tese la mano e lui la esaminò incerto; ma la sua coscienza
ebbe la meglio ancora una volta, esortandolo ad stringerla.
-Io sono…-ci pensò su un attimo-…Tom.-
«Ma perché?»
«Perché
voglio vedere se lei è o non è una fan!» ribadì il concetto rabbioso. Era
difficile ormai fidarsi.
Alicia
sorrise, stringendogli la mano; poi, frugò nella sua borsa e dunque disse:
-Ehm, non
credo di avere nulla che ti possa servire.-sfoderò un timido sorriso come se
gli stesse chiedendo scusa, e Dougie sentì le guance divampare.
-Non fa nulla.- avrebbe voluto alzarsi ed
andarsene, ma qualcosa dentro di lui lo teneva ancorato lì accanto a lei. Ed
era così assolto nei suoi pensieri da non accorgersi nemmeno che Alicia lo
stava guardando, sebbene cercasse in tutti i modi di non darlo a vedere. Il suo
sguardo cambiò ben presto direzione, puntando alla porta constatando che stesse
ancora piovendo a catinelle.
-Puoi
dirmelo se vuoi.-
-Cosa?-
-Non lo so.
Che vorresti chiedermi? Un autografo? Un appuntamento? Quello che ti pare…- si lasciò andare ad un sospiro snervato.
-E perché?-
-Non fare
finta di nulla.-
Alicia si
sistemò provando a capire cosa stesse dicendo, eppure, non ne aveva la più
pallida idea.
-Scusa Tom,
non ti seguo.-
-Finiscila
di chiamarmi così.-ringhiò.
-Perché sei
stato tu stesso a dirmi che ti chiami Tom.-Dougie si voltò scocciato, ma quando
incrociò i suoi occhi capì di aver appena fatto una figura del cavolo; quella
ragazza davanti a lui non lo conosceva veramente.
-Ah, s-si.-balbettò incerto. Dubitava che stesse dicendo la
verità, ma giusto o sbagliato che fosse continuò la sceneggiata. Voleva vedere
sino a che punto sarebbe arrivata.-Scusa, colpa mia.- incrociò le mani
poggiandole sulle ginocchia.
-Ok.-Alicia
invece guardò nuovamente oltre la porta, e con suo grande rammarico vide che
non aveva ancora smesso di piovere. Dunque prese il cellulare che teneva nella
borsetta nera, e continuò,- Chiamo qualcuno e dico di venirmi a prendere, dove
siamo?-il ragazzo la guardò incuriosito.
-A
Londra.-rispose lui.
-Ci ero
arrivata anche io, che via?-
-Non lo
so.-scosse la testa
-Bene, se
non lo sai tu che sei di qui!-fece una breve pausa,-Perché tu sei di qui,
vero?-
-Tu
no?-sembrava confuso.
-No.-scosse
la testa-Sono italiana, sono in vacanza a Londra e mi sono persa. A quanto pare…-
-Italiana?-Dougie
parve confuso.
«Ecco la tua
prova genio, ora fatti avanti e prova ad abbordarla!»
-Si. Vengo
da Roma.-
-Roma?-le fece
eco, ed i suoi occhi s’illuminarono.
-Si, è
bellissima Tom, dovresti venire una volta in Italia. Credo che ti piacerebbe.-
- Lo credo
anche io.-
« Ti
riferisci all’Italia o alle italiane Doug?» Questa volta era d’accordo con la
sua coscienza, senza dubbio il paese era bello, ma le ragazze lo erano di più.
-Sinceramente,
nessuna città è come Roma.-sospirò, già si immaginava
per le strade della sua città, con i suoi amici; sorridevano, scherzavano e
progettavano ciò che avrebbero fatto il giorno seguente, ed il giorno
successivo a quello seguente, e così via discorrendo: le lunghe passeggiate per
i fori, senza parlare di villa borghese, il Colosseo, e tutti i luoghi più
belli. Roma le mancava da morire, ma non aveva alcuna fretta di tornare a casa.
-Ti manca la
tua città.-glielo si leggeva negli occhi.
-I miei
amici.-digitò un numero, si portò l’oggetto all’orecchio e restò in attesa,-Cavolo!
Non è raggiungibile!- gettò il cellulare da dove lo aveva preso e sbuffò
irritata. Dougie la vedeva ticchettare con il piede velocemente, come di solito
faceva Harry. –E adesso? Come torno a casa? Non mi ricordo le fermate della
metro!- poi, un lampo di genio, frugò ancora nella sua borsa ed estrasse quella
che qualche minuto prima doveva assomigliare ad una mappa, ed ora era
completamente bagnata.
-Non credo
ti possa tornare utile quella, sai?-soffocò un risolino.
-Già, bene!
Sono fregata. Non ricordo quale metro devo prendere!-
«È il tuo
momento Doug. Vai e colpisci. E possibilmente non ti affondare!»
-Posso
accompagnarti io. Dove abiti?-
-Nothing Hill.-lei sorrise stupita, e Dougie avrebbe voluto vederla
sorridere all’infinito.
2
(Dougie)
Camminavano
vicini, a tal punto da sfiorarsi persino le mani delle volte. Alicia parlava
continuamente, instancabile e con discorsi sempre nuovi. Gesticolava
timidamente e spesso scuoteva il capo per correggere un qualche errore. In lei
non sembrava esserci niente di sbagliato, ed erano sulla stessa lunghezza
d’onda in qualsiasi cosa. Capitava però
che incappasse in argomenti delicati per Doug, e senza che lui le dicesse o
facesse nulla lei cambiava discorso soltanto guardandolo negli occhi.
Dal canto
suo Alicia non riusciva a fare a meno di non gettare un’occhiata su di lui,
sebbene non fosse carino fissare qualcuno, ma “Tom” aveva un certo fascino,
forse la sua timida risata, o il fatto che evitasse qualsiasi sguardo; durante
il viaggio in metro le persone li studiavano indiscreti, e si chiedevano come
facesse ad essere così tranquilla vicino a lui. Ovviamente Dougie cercava di
non dare nell’occhio sebbene fosse davvero difficile, tuttavia qualche ragazza
aveva provato ad avvicinarsi, anche se
poi ci aveva sempre ripensato.
D’improvviso
Alicia parlò, domandandogli ingenuamente cos’avessero da guardare tutte quelle
persone.
-Nulla.-la
sua risposta fu secca, e non appena le porte del vagone si spalancarono la
prese per mano e la trascinò via con sé.-Non è colpa tua.-
-Fa niente.
Solo non vedo il motivo di fissare così chi non si conosce.-arrancò dietro di
lui che la stringeva per il polso.
-Ti assicuro
che sarebbe meglio se guardassero soltanto.-lei zittì. Come risposta era più
che sufficiente.
Camminarono
velocemente, e finché non fu sicuro che lei fosse fuori dalla portata di
qualsiasi londinese indiscreto non mollò la presa.
Stare al suo
fianco era come essere tornato indietro nel tempo; quando ancora andava in giro
con i suoi amici senza che delle ragazze inferocite gli saltassero addosso non
appena lo vedessero. Alicia emanava familiarità, tranquillità, come se bastasse
la sua presenza per dimenticare ogni problema. All’improvviso tornò ad essere Douglas, il ragazzino di
Corringham, quello che andava matto per Tom Delonge e
che suonava negli Ataiz. Lo sfigato del liceo.
Non erano
bei ricordi quelli ma evocavano pace ed una normalità ormai perduta, dopo aver
fatto quel provino al Covent Garden. Aveva sognato a
lungo la celebrità, ed ora eccolo lì che ringraziava segretamente una perfetta
sconosciuta per la quale anche lui sapeva di essere un perfetto sconosciuto.
3
(Alicia)
Perché stesse
parlando ininterrottamente nemmeno lei lo sapeva con certezza. Forse era una
scusante per non far piombare un improvviso ed imbarazzante silenzio, forse era
semplicemente per poter parlare con qualcuno che non conoscesse. E che non la
conoscesse.
Sapere di
essere solo Alicia, e non Alicia Simmons era un sollievo, una sensazione nuova.
Di tanto in
tanto i loro sguardi si incrociavano, per poi allontanarsi timidamente, consci
di pensare entrambi la stessa cosa. Sorridere era divenuto di colpo più
semplice, eppure, c’era ancora un campanello d’allarme nella sua mente.
«È così che
ti sei uccisa, fidandoti. Ti sei fidata di un ragazzo che ha spaccato il tuo cuore
spargendone poi i pezzi; mentre tu morivi dov’era lui? Mentre tu ti frantumavi
dov’era lui? Mentre tu ti struggevi dov’era lui? Cosa faceva?»
«Era con
l’altra.» c’era sofferenza nelle risposte di Alicia, un dolore incalcolabile
che l’aveva distrutta lentamente, creando il vuoto totale.
«Vuoi morire
ancora? Vuoi ancora che giochino con il tuo cuore? Lo vuoi davvero?»
«No.»
«E allora
vacci in punta di piedi, come fanno le ballerine.»
Ma camminare
sulle punte non l’aveva tirata su, aveva soltanto peggiorato le cose.
-Io sono
arrivata Tom.-si fermò davanti al portone, sfilando
le chiavi dalla borsa. Lui squadrò il palazzo da cima a fondo, poi chiese:
-Questa è
casa tua?-
-Si.- indicò
la finestra della sua camera da letto,-Vedi quella finestra al terzo piano? Lì
c’è la mia stanza.-
-La stanza
del terzo piano.-lo disse quasi senza rendersene conto.
Strano,
buffo. Una coincidenza oppure era tutto reale? Non poteva essere. Non era
possibile.
-Si, al
terzo piano, e lì accanto c’è la mia vicina, Lena; è l’unica persona con la
quale ho fatto amicizia qui.-
Al suono di
quel nome strabuzzò gli occhi.
-Come hai
detto che si chiama?-
-Lena,
perché la conosci?-
Scosse la
testa.
-No, no.
Solo, si chiama come una mia vecchia amica.-tagliò corto, e stette a guardare
Alicia mentre si voltava ed apriva il portone. -Davvero non conosci nessuno?-
-All’infuori
della mia vicina, della sua famiglia e di mio padre no, non conosco nessun
altro.- si voltò lasciando le chiavi inserite nella serratura.
-Cavolo.-fece
portando il busto in avanti.
-Che c’è?-
-Solo una
gocciolina nell’occhio.- ed una goccia dopo l’altra la pioggia cominciò a
scendere lenta.
È ora di
tornare a casa!
«La mia solita sfortuna!» Dougie
affondò la punta del piede nel pavimento, quasi volesse distruggerlo.
-Credo sia
meglio che tu vada.-mise le mani in tasca e calciò un sassolino.
-Già, credo
sia meglio così.-sospirò Alicia.
-Allora, ci
si vede.-se ne andò correndo con il cappuccio della felpa.
-Si certo, grazie
di tutto Tom!- a metà strada si fermò. Quasi l’aveva dimenticato, si voltò e
disse arrossendo:
-Di niente
Alicia.-sorrise dopodiché sparì fra la pioggia e l’oscurità.