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Autore: Gan_HOPE326    16/10/2009    11 recensioni
Cantami, o Musa, le gesta dell'uomo il cui coraggio copre d'onore lui e i suoi compagni e il cui naso copre un paio di ettari buoni di terreno; le imprese che risplendono nella Storia più luminose e sicure della Verità stessa; cantami la sua forza sovrumana, la sua bellezza divina, l'ardore con cui si getta nelle battaglie, il terrore che egli semina tra coloro che, tra i suoi nemici, sono fortunati a sufficienza da sopravvivere anche solo alla sua vista. Cantami dunque il più grande guerriero dei mari. Cantami il capitano Usopp!
Genere: Azione, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Usop
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il più grande guerriero dei mari

Storia scritta per il concorso One Piece del forum Blue Island e classificatasi al secondo posto. A lungo ho pensato di scrivere una fic che avesse per protagonista Usopp, uno dei miei personaggi preferiti di OP, specie dopo la saga di Enies Lobby. Un personaggio che ha abbandonato il ruolo stereotipato di “spalla comica” per acquisire uno spessore notevole e guadagnarsi un ruolo di pari dignità rispetto ai suoi compagni più forti. E, insomma, appena ho avuto l’occasione ho scritto questa roba XD.

La fic si ambienta tra la partenza da Thriller Bark e l’arrivo alla Red Line.

 

 

 

 

 

Il più grande guerriero dei mari

di Gan_HOPE326

 

 

The things you say,

your purple prose just gives you away;

the things you say…

you’re unbelievable.

EMF – “Unbelievable”

 

Venite pure avanti, voi, con il naso corto,

signori imbellettati, io più non vi sopporto.

Francesco Guccini – “Cirano”

 

 

Mi cola il naso.

E’ un moccolo lungo così, lungo, viscido e sufficientemente schifoso, che penzola ampiamente, dondolandosi fiero della propria grossezza, da quell’appendice abnorme che mi ritrovo poco sotto gli occhi. Non è il momento adatto, non è proprio il momento adatto; ma, probabilmente per colpa del freddo pungente della notte e di questa pioggia forte che cade giù a gocce grosse e pesanti (non tanto quanto il mio moccolo, comunque), non posso farci niente, mi cola il naso. Gli uomini della Marina, tutto intorno, si affaccendano e urlano. Mi hanno lasciato solo, qui, perché tanto sono legato, e poi nessuno si aspetta che io possa nemmeno immaginare di riuscire a fuggire. Una dozzina di genieri sta armeggiando tra i massi e il terriccio che ostruiscono l’ingresso della caverna. Un paio di loro porta, con cautela, la cassa di dinamite, coperta da un telo per impedire che la pioggia la bagni.

-         Misurate bene la carica! – ruggisce il tenente Shade, per farsi sentire bene attraverso lo scroscio dell’acquazzone – Secondo quello che ha detto naso lungo, qui, dentro dovrebbe esserci Cappello di Paglia!

Già. Secondo quello che ho detto io.

-         Significa che dobbiamo stare attenti a non ucciderlo, tenente? – chiede uno.

-           No. Significa che l’importante è che il corpo sia riconoscibile, o non potremo essere sicuri che fosse davvero lui.

I candelotti vengono sistemati. Le micce stese. Sono impregnate di petrolio, bruciano bene persino sotto tutta quest’acqua. Le accendono. Per pochi, lunghi secondi, tutti aspettano il botto.

Il rumore è forte, improvviso, cavernoso: all’unisono, i presenti hanno un unico sobbalzo di sorpresa, che si propaga come un’onda. Quindi si voltano verso di me.

-         Scusate. – balbetto, correndo a sfregare con una spalla (non posso muovere le mani, legate dietro la schiena) il cappotto di un soldato che ho imbrattato col mio colossale starnuto.

Il cappotto si sporca solo di più, e il soldato, irritato, si sbarazza di me scrollando le spalle e mi getta a terra. Dove resto, col sedere a mollo in una pozzanghera, ad aspettare che arrivi l’esplosione,  quella vera.

Ci vorrà ancora qualche secondo; quindi, se vi interessa sapere come sono finito in questa situazione, e se siete disposti a credere alle mie parole, c’è tempo a sufficienza per raccontarvi com’è andata. Pronti? Allora: era una notte buia e tempestosa…

 

Era una notte buia e tempestosa, e la piccola ma intrepida ciurma del grande, potente, impareggiabile Capitano Usopp si ritrovava a vagare senza una meta su un isolotto sconosciuto. Erano approdati laggiù in cerca di viveri e acqua, ma non avevano trovato i primi mentre la seconda aveva fatto presto ad arrivare, e fin troppo abbondante, dal cielo. Finalmente trovarono una caverna che pareva adatta a fare loro da riparo. Era un largo buco nel fianco di una montagna, dall’aspetto regolare, che sprofondava nella viva roccia. L’interno sembrava vuoto e spoglio, ma era difficile dirlo, poiché già a  pochi metri dall’ingresso la cavità era avvolta nel buio più completo. Gli uomini esitarono, timorosi di cosa quell’antro potesse nascondere, ma il capitano li incoraggiò.

-         Avanti! – disse – Qualunque cosa possa vivere in una grotta alta meno di dieci metri non può certo essere un pericolo per me!

Ahimé: il coraggioso capitano peccò forse, appunto, di troppo coraggio. Una volta che si furono inoltrati nella grotta, accendendo torce di legno per rischiarare un po’ l’ambiente, videro presto segni che dimostravano inequivocabilmente come quel luogo fosse abitato da un essere certamente molto grande e quasi sicuramente ostile. Trovarono un letto lungo almeno sette metri, sedie e sgabelli proporzionati, e uno scaffale, altissimo, su cui stavano giganteschi libri dai titoli preoccupanti come “1000 modi per cucinare un pirata” e “Quattro corsari in padella”.

-         Questo posto non mi piace. – disse uno degli uomini di Usopp.

Non fece in tempo a concludere la parola “piace” che un fragore tremendo scosse la grotta intera. Era appena arrivato un gigante, anzi, IL Gigante, quello che terrorizzava quelle contrade da anni, assaltando i villaggi e divorandone gli abitanti; e, entrando, aveva chiuso l’ingresso della caverna con un colossale macigno. Vedendolo avvicinarsi, i compagni del Capitano Usopp si rivolsero a lui, disperati, certi che il mostro li avrebbe presi e sbranati uno ad uno.

-         Non temete, ragazzi, – bisbigliò il Capitano – ho già in mente un piano. Quando ci vedrà, noi gli offriremo del vino avvelenato. Così lo uccideremo senza correre rischi.

-         Ma è disumano! – obiettò uno dei compagni – E poi, così, chi sposterà quell’enorme masso all’entrata? Resteremo intrappolati qui dentro per sempre!

Usopp si massaggiò il mento, pensieroso.

-         Giusto. – concluse – Allora faremo così: il vino sarà solo drogato, e servirà ad addormentarlo. A quel punto, usando dei tronchi d’albero dalla punta arroventata, noi gli caveremo gli occhi! Così, accecato, dovrà spostare il macigno per andare fuori a rinfrescarsi, e potremo uscire. Ed è persino possibile che riesca a sopravvivere, se la ferita non si infetta e non va in cancrena, naturalmente.

-         Fantastico, Capitano! Lei sì che è un genio! Ed è anche così compassionevole verso i suoi avversari!

Il Gigante, nel frattempo, si avvicinava…

-         Va bene, va bene! – sbottò all’improvviso il sottotenente Giles, mollando la penna con cui stava stenografando il rapporto – Ora dacci un taglio con queste storielle idiote e rispondi sul serio. Ti abbiamo chiesto una cosa molto semplice, mi pare. Chi sei tu?

Lo guardai sforzandomi il più possibile di assumere un’espressione sorpresa e scandalizzata. Abbastanza semplice da fare: si dilatano gli occhi, si aggrottano le sopracciglia, si finge un leggero tremore.

-         Come, chi sono! Mi pare di avervelo appena detto! Sono il grande Capitano Usopp, il più spaventoso corsaro di tutti i mari! Forse non mi credete, felloni?

Il sottotenente Giles fece il gesto di alzarsi dalla scrivania, protendendo le sue mani verso il mio collo, ma venne trattenuto da un collega al suo fianco. Altri marinai, qua e là, risero, chi più, chi meno apertamente. Uno sghignazzò clamorosamente. No, i felloni non mi credevano, evidentemente.

Perché racconti le bugie, Usopp? Voglio dire, non ti crederà mai nessuno.”

Mi venne in mente allora: me l’aveva chiesto qualcuno solo il giorno prima, quando la mia situazione era molto diversa. Avevo pensato subito a diverse risposte, ma darne una qualunque avrebbe significato ammettere qualcosa che non avrei mai voluto dire a voce alta, così avevo finito per restare zitto. Quindi, perché racconto le bugie? In quel momento, a guardarmi intorno, circondato come ero da quei tizi della Marina, tutti grossi come armadi, che mi tenevano a forza su una sedia, pronti a impugnare le armi, e mi sottoponevano a quel loro bell’interrogatorio, avrei detto che una buona risposta fosse: per farmi coraggio. Per sentirmi più forte di quello che sono. Sperando, assurdamente, che dirlo basti per diventarlo davvero.

-         Ascolta. – fece Giles – Se, e sottolineo se, decidessimo di credere a questa tua inverosimile balla, non ti troveresti in una bella posizione. Sei stato fermato dalla Marina in quanto tipo sospetto privo di documenti: ma da qui a pensare che tu sia un pirata ne passa. Se però tu insistessi a dire di esserlo, allora dovremmo comportarci di conseguenza. Il che significherebbe che diventeremmo molto meno gentili. Capisci cosa intendo? Quindi, la verità. Chi. Sei. Tu. Dimmelo.

E mi fissò con occhi furibondi. Carichi di rabbia. Di odio.

Sentii disperato il bisogno di sfuggire a quegli occhi, di dimostrare che non li temevo, mentre invece me la facevano fare sotto dalla paura.

-         Ve l’ho già detto, ignobili villani. – esclamai – Sono il grande Capitano Usopp!

 

-         …e allora io le ho detto: “Lila è solo un’amica, non puoi esserne gelosa”. E Marianna: “Amica un corno! Che ci faceva l’altro giorno qui a casa nostra?” E io… ah, ma che è questo casino?

-         Il sottotenente Giles sta interrogando un tizio nell’altra stanza. Un imbecille che dice di essere un capitano pirata. Capitan Usopp.

-         E com’è che urlano tanto?

-         Giles sta andando fuori di testa perchè il tizio continua a snocciolare frottole assurde. Prima l’ho sentito raccontare di un Gigante, e adesso ha appena tirato fuori una storia di un Demone del Vento.

-         Oh, fantastico! Ma dico, ci siamo arruolati in Marina per prendere pirati o mitomani?

-         Non dirlo a me. Quel tipo è proprio patetico. E’ il genere che detesto di più.

-         Quindi andremo avanti con l’interrogatorio per tutta la notte?

-         Probabile. Niente sonno oggi, siamo in servizio.

-         Che schifo. Perché non dai un colpo al bar qui vicino col den-den mushi e ci facciamo mandare due caffé? Così magari ci teniamo svegli.

-         Buona idea. Aspetta che chiamo.

-        

-        

-         Insomma, che roba. Stare dietro a un pazzo visionario. La Marina si è abbassata a questo? Dov’è finita la nostra dignità?

-         Non so. Con o senza latte?

-         Cosa?

-         Il caffé. Con o senza latte?

-         Senza.

-         Senza, capito. Allora, dicevi, di Marianna?

-         Ah, sì. E allora le faccio: “Se tu mi amassi davvero come dici, non avresti continuamente bisogno di conferme…”

 

-         e così, grazie alla mia astuzia, forza e coraggio, riuscimmo a sfuggire alle grinfie della spaventosa Banshee.

-         Basta. Io me ne vado a riposare per un po’. Lo lascio a voi.

Il sottotenente Giles si alzò, sfiancato, e, senza lasciare il tempo a nessuno di muovere obiezioni, sparì dietro una porta. Restai imbambolato sulla sedia, privato del mio principale ascoltatore ma con ancora un nutrito pubblico di marinai che mi fissavano con una sorta di divertita simpatia.

Perché racconti le bugie, Usopp?”

Perché mi piace mettermi al centro dell’attenzione, anche solo facendo il pagliaccio. Perché è un ottimo modo per sentirsi importanti.

-         Non vi ho ancora parlato dell’Uomo che Cammina sulle Mani, vero?

-         No. Non ce ne hai ancora parlato. – fece uno, ridendo.

Cominciai a raccontare. I marinai si misero comodi ad ascoltarmi, facendomi domande e accompagnando i momenti più interessanti della storia con esclamazioni di sorpresa, preoccupazione o approvazione. Uno mi offrì una birra. Mentre continuavo a riferire nei minimi dettagli quella mia celebre avventura ci fu anche chi compose una canzoncina così su due piedi e cominciò a fischiettare:

 

Attento ad Usopp: con lui vicino

il tuo futuro diventa nero!

Se ti vedrà finirai certo

all’ospedale o al cimitero!

 

E rise, insieme a tutti gli altri. Ripeterono la canzone in coro, ed io mi unii a loro nel cantare le lodi alla mia forza spaventosa e al mio coraggio ineguagliabile. L’ambiente della caserma si trasformò, diventando più simile a quello di un’osteria piena di pirati ubriachi che fanno bisboccia.

 

Attento ad Usopp: comincia a scappare!

Se lui ti becca, finisce male!

Puoi anche fare testamento

e prenotarti il funerale!

 

Il suono della porta che sbatté con violenza quando Giles ritornò nella stanza mise fine a tutto, e il silenzio tornò nella caserma. Il sottotenente stringeva un foglietto nella mano destra, e aveva un’espressione cupa.

-         Sembra – mormorò – che quest’uomo non mentisse del tutto.

-         Cosa intende, sottotenente? – chiese qualcuno.

-         Intendo che il modo migliore per nascondere una verità, certe volte, è sbatterla sotto il naso a tutti.

Allungò il foglietto, il volantino, in modo che tutti lo potessero vedere.

-         “Il re dei cecchini”, Sogeking, con una taglia di trenta milioni di Beli. Il sedicente Capitano Usopp è davvero un pirata, anche se non un capitano. Ha avuto una parte rilevante nell’incidente di Enies Lobby.

Un brusio percorse i marinai. Uno di loro, che aveva posato un braccio sulle mie spalle, si ritrasse improvvisamente, come spaventato.

Spaventato da me!

Per un momento provai una gioia irrazionale e del tutto fuori luogo.

-         Ed è un compagno di Luffy Cappello di Paglia, con una taglia di trecento milioni di Beli. Il quale, evidentemente, non si trova lontano da qui.

Mi presero per le braccia, uno da ogni lato, sollevandomi di peso dalla sedia.

-         Come ho detto prima, con i pirati siamo molto meno gentili.

Mi trascinarono via, a forza, mentre io urlavo, gridavo, strepitavo, mi sbracciavo, strillavo che l’uomo con la maschera non mi assomigliava per niente, dicevo che stavano commettendo un errore, piangevo, chiamavo a gran voce il mio esercito di diecimila uomini, e giuravo, giuravo che non l’avrebbero mica passata liscia, tutti loro, per avere osato mettermi le mani addosso in quel modo, proprio no.

-         Portatelo di là, così potrò interrogarlo sul serio. Chiamate il tenente Shade, lui ci sa fare con queste cose. Deve dirci dove sono i suoi compagni. E, per l’amor del cielo, fatelo stare zitto.

Una mano che puzzava di cordami e polvere da sparo mi premette la bocca. Continuavo a dimenarmi. Era inutile, ma io non smettevo. Sprecavo le forze, certo: e allora? Le forze sono mie. Le uso come voglio.

E tutti, intorno, ridevano. Come avevano riso prima insieme a me, ora ridevano di me.

Come se il fatto che egli ostenti tanto la propria disperazione bastasse a rendere un uomo portato alla tortura una cosa divertente.

 

-         quando vedo Lila, è nera. Dice che non sopporta più di vivere in sospeso. “Lascia quella Marianna, se ci tieni a me” mi fa, come un ultimatum. E io: “Ma lei non è importante per me, non è niente, non c’è neanche bisogno che…”. Oh, accidenti, ma che succede, ora?

-         Il tizio di prima. Sai? Sembra che fosse davvero un pirata. Lo portano nello stanzino.

-         Uh. Qualcuno sta per passare un brutto quarto d’ora. Ma che ha da strillare così?

-         E che ne so? Come pirata, mi pare una vergogna. Mai visto uno fare tanto la donnicciola. E abbi un po’ di dignità, porco cane!

-         Infatti. Se ti metti a fare il bandito li conosci i rischi che corri. Vuoi l’oro e la gloria? Ti becchi anche questo. Ben ti sta.

-         Più che giusto. Non ha proprio niente da lamentarsi. Oh, meno male, gli hanno tappato la bocca.

-         Buon per lui. Almeno gli hanno impedito di rendersi ancora più ridicolo. Dio, ma che razza di equipaggio si tiene un codardo del genere?

-         Quello di Cappello di Paglia, sembrerebbe.

-         Stai scherzando?

-         Per niente.

-        

-        

-         Buono questo caffé che hai fatto portare.

-         Vero? Conosco una qui al bar, mi ha detto che mi faceva una ricetta speciale.

-         Oh, ecco, lo portano via, finalmente un po’ di pace.

-         Buon divertimento, nasone!

-         Ah! Infatti! Passa una buona notte con il tenente Shade!

-         Andato. Hai visto come ci ha guardati?

-         Ah-ha. Lo stenderei con un colpo solo persino io, quel mingherlino. Come fa ad avere una taglia?

-         Mistero.

-         Mistero.

-         E quindi com’è finita con Lila?

-         Sì, dunque, le ho detto: “…non c’è neanche bisogno che la lasci, è come se fossimo due estranei. Io amo solo te, Lila.”. Per ora s’è calmata.

-         Amico, non ne uscirai tanto facilmente. Perché non rompi una volta per tutte con una delle due?

-         Ah, non è mica facile. Ci vuole coraggio, con le donne…

 

Quando passai accanto a quei due, li mandai mentalmente a fanculo. Sembravano sorpresi che io avessi paura. Cosa si aspettavano? Certo che avevo paura. Avrei voluto vedere loro, al mio posto, in questa situazione. O magari in quella in cui mi trovai quando incontrai quello squalo gigante…

 

-         Capitano Usopp! – gridò la vedetta, dalla sommità dell’albero maestro – Pinna a babordo!

 Usopp e tutti i suoi uomini corsero a sporgersi dalla fiancata sinistra della nave, per controllare cosa si stesse avvicinando. Un largo triangolo azzurro e lucido fendeva le acque, dirigendosi verso lo scafo. Uno squalo, si sarebbe detto: ma di dimensioni inaudite, a giudicare da quella pinna enorme.

-         Mano agli arpioni! Gli arpioni! – ordinò il capitano; gli uomini si affrettarono ad armarsi e tornarono al suo fianco.

Vennero calate due scialuppe. Su una di esse si ergeva in piedi, del tutto indifferente agli scossoni causati dalle onde, il Capitano Usopp, levando senza sforzo una gigantesca fiocina che doveva pesare almeno una decina di chili.

-         Arriva!

Gli uomini dell’altra scialuppa gridarono quando vennero quasi travolti dalla bestia, che era improvvisamente sorta dalle acque, pronta a divorarli. Era lo squalo più immenso su cui occhio di marinaio si fosse mai posato. Ma solo Usopp non perse la calma nemmeno per un istante: scagliò l’arpione, con tanta forza e precisione da farlo volare in una perfetta linea retta, come il dardo scoccato da una balestra. Il ferro entrò dritto in un occhio della belva e uscì dall’altro, spappolandogli miseramente quel poco di cervello che un pesce può ritrovarsi. Non abbastanza cervello per capire che non ci si mette mai, MAI, contro il più grande Capitano di tutti i mari, comunque.

-         Issatelo a bordo! Per stasera, basta carne salata! – ordinò Usopp.

Il mostro venne trascinato con molte funi fin sul ponte. L’arpione gli venne estratto (ci vollero tre uomini per tirarlo fuori) e finalmente il Capitano Usopp, con un coltellaccio in mano, si preparò a squartarlo. L’onore di aprirlo spettava a lui, trattandosi della sua preda. Infilò la lama poco sotto la gola della carcassa e, con un taglio netto, la tirò giù fino alla coda. Sulle prime, dallo squarcio non uscì niente.

Poi ci fu un guizzo, e gli uomini si ritrassero spaventati mentre qualcosa, qualcosa di spaventosamente forte, agguantava Usopp e lo sbatteva contro l’albero maestro.

-         Capitano!

Ma il capitano non poteva rispondere: una mano gigantesca gli stringeva la gola. Mentre il sangue e le budella dello squalo colavano via dal nuovo pericolo, fu finalmente chiaro di chi si trattasse. Un essere né umano né animale. Lo spaventoso Uomo-Bestia, che dopo aver ucciso e devastato in quella regione per decenni era scomparso meno di un mese prima. Era adesso chiaro che quell’essere era stato in qualche modo inghiottito in un sol boccone dallo squalo, e aveva vissuto nel suo ventre per tutto quel tempo, finché non aveva potuto liberarsi grazie all’involontario aiuto dei pirati di Usopp.

-         Capitano! Cerchi di resistere!

L’Uomo-Bestia non aveva pietà. Teneva il capitano premuto contro il legno dell’albero con una mano, e con l’altra lo colpiva selvaggiamente, spietatamente, sul volto, una, due, cento volte. Il viso di Usopp era ormai una maschera di sangue; era tumefatto e schiacciato; e i suoi uomini piangevano, disperati, non sapendo cosa fare per aiutarlo, certi di non potersi opporre in alcun modo a quel mostro spaventoso…

L’ennesimo colpo al viso mi fece girare la testa di novanta gradi buoni. Sentii qualcosa scricchiolare, dalle parti della mascella, sotto l’impatto, ma non percepii poi molto dolore. Probabilmente perché il dolore che già provavo era tanto, e tanto diffuso, che era difficile aggiungercene dell’altro. Quel sottotenente Giles era uno che con le sberle ci sapeva fare. Tirava dei terribili manrovesci.

-         Smettila una volta buona con queste stronzate! – gridò, esasperato – Non ci interessano gli squali! Non ci interessano gli Uomini-Bestia! Vogliamo sapere di Cappello di Paglia e degli altri tuoi compagni! Dove sono?

Mi trovavo nello stanzino. Un po’ dappertutto nello stanzino. Per esempio, molto del mio sangue era sulle pareti. Qualche dente doveva essere a terra, sul pavimento. Il grosso di me, comunque, era legato a una sedia sporca del sangue di qualcun altro, afflosciato, mezzo morto.

E grottesco.

Non so perché, ma è così. Il mio corpo reagisce in questo modo alle ferite. Agli altri il sangue può dare un’aria cupa, o disperata, talvolta feroce. Per me è diverso. I colpi si trasformano in enormi bitorzoli ballonzolanti; la faccia si copre di bozzi e tumefazioni dai colori iridescenti; la bocca, storta e sdentata, diventa quasi clownesca; e tra bernoccoli ed ecchimosi svetta il mio naso, ahimé fin troppo facile a spezzarsi, storto e piegato come un ramoscello.

Ma vi assicuro: anche se fa ridere, non fa meno male.

-         Andiamo avanti da tre ore in questo modo. – disse una voce calma, quasi suadente.

Il tenente Shade, l’unico uomo presente nello stanzino oltre a me e Giles, si fece avanti emergendo dalla penombra. Fino ad allora si era praticamente confuso con il buio, e non era difficile. Giacca di pelle nera, capelli neri, tirati all’indietro, occhi neri, guanti neri. L’unica traccia di colore nella sua figura era il viso, rosato anche se pallido, e soprattutto la luce fioca di una sigaretta stretta tra le labbra; ma d’altro canto, il fumo lo rendeva solo ancora più sfuggente e confuso. Il tipo che ti aspetteresti sia capace di scivolarti alle spalle e tagliarti la gola prima ancora che tu possa renderti conto di cosa stia succedendo.

Mi prese un attacco di strizza feroce.

-         Non cederà tanto facilmente. – disse ancora Shade.

-         Già. – mormorò Giles – Magari non lo sembra, ma è un duro.

-         Niente affatto. E’ solo troppo codardo, persino per tradire i suoi compagni. Ha più paura di quello che gli farebbero loro che di quello che possiamo fargli noi. Facciamo così: lavoratelo tu ancora un po’, Giles. Poi passalo a me.

-         Hai sentito, capitano? – Giles mi strinse la faccia tra le mani e se la girò verso di sé – Questa è la tua ultima chance. Tu non hai idea di cosa può farti il tenente Shade. Quello che hai passato con me è nulla, al confronto. Quindi parla! Parla, una buona volta! Dicci quello che vogliamo sapere!

-         Forse – suggerii con la voce gorgogliante di chi ha la bocca piena di sangue – vi interessa la storia della mia battaglia con la Donna Piovra…?

-         BASTARDO!

Il pugno fu così forte da sbriciolare quel che ancora restava intatto del mio setto nasale e ribaltare la sedia, mandandomi a sbattere la testa contro il pavimento. Restai intontito, come uno scarafaggio sul dorso, a guardare la sola lampadina che penzolava dal soffitto.

Perché racconti le bugie, Usopp?”

Per avere qualcosa da dire quando voglio assolutamente impedirmi di dire qualcos’altro.

Buona risposta.

-         Te lo lascio, Shade. Buona fortuna. Quanto a te, nasone: te la sei cercata.

Sentii la porta chiudersi, poi Shade che armeggiava con qualcosa. Ci fu come uno sfrigolio, e nell’aria spessa e calda dello stanzino si diffuse un odore di bruciato. Alla fine, le mani di Shade afferrarono lo schienale della mia sedia e mi rimisero in piedi. Vidi cosa aveva fatto.

Aveva acceso un braciere.

Ci aveva messo dentro dei ferri.

Ne teneva uno in mano.

-         Ora sistemeremo questa faccenda. – disse, imperturbabile – Solo tu ed io.

 

-         Ora sistemeremo questa faccenda, solo tu ed io! – gridò il Capitano Usopp, in piedi in mezzo all’arena, puntando il dito contro il Drago Sputafuoco.

Il mostro lo guardò con un ghigno, quindi dondolò la testa e iniziò a muoversi in cerchio, guardingo, tenendo sempre d’occhio l’avversario e mantenendo le distanze. Strusciava la coda sul terreno, spazzando la sabbia con ampi movimenti. Il suo sguardo era intelligente e maligno, ben più di quello che ci si aspetterebbe da un semplice animale. Il pubblico che affollava gli spalti dell’anfiteatro esplose in grida di incitamento.

-         Uccidilo, Capitano! Uccidilo!

Il Drago teneva nella propria morsa il villaggio da anni; e ogni anno, nel mese del raccolto, esigeva un orribile tributo. Gli abitanti dovevano consegnargli i cento migliori cavolfiori trovati nei campi. Non c’era verso di farlo rinunciare alle sue pretese. Un anno provarono a sottoporgli semplicemente la più bella fanciulla del villaggio; ma il Drago, dopo averle dato un’annusata, la snobbò. Pare si trattasse di un drago vegetariano.

Ma ora il grande Capitano Usopp avrebbe messo fine a tutto ciò!

Nel colosseo le cui rovine si ergevano vicino al villaggio da secoli, costruito da chissà quale popolo in tempi dimenticati e che il Drago aveva recentemente eletto a propria dimora, erano accorsi tutti gli abitanti della zona per assistere a quella battaglia, perché avrebbe deciso il loro destino. E anche perché il biglietto costava davvero poco.

Usopp si mise in guardia. Sfidare un drago non poteva essere una cosa semplice. La creatura, infatti, si dimostrò molto astuta. Fintò un attacco con la coda, costringendo Usopp a gettarsi di lato per scansarlo. A quel punto sputò una veloce fiammata. Il capitano fece appena in tempo a scartare, ma il fuoco lo lambì comunque. Usopp si afferrò il fianco destro, ustionato, trattenendo a stento un urlo di dolore.

Urlai come un pazzo mentre il ferro arroventato mi bruciava la carne. Shade lo risollevò lentamente e ordinò:

-         Parla.

Ferito ma non battuto, il guerriero scattò in avanti, impugnando la fionda. Non poteva sconfiggere il Drago con la forza bruta, ma forse poteva vincere individuando il suo punto debole. Doveva capirlo. Conoscerlo. Studiarlo. Come un libro.

Ma a differenza dei libri, i draghi reagiscono. La seconda fiammata sfiorò Usopp in volto e lo fece cadere.

-         Parla. – ripeté Shade, mentre la mia guancia sinistra fumava ancora.

Cominciai a piangere. Ad implorare pietà. A dire, di nuovo, inutilmente, che era tutto uno sbaglio.

Il Drago Sputafuoco non perdette l’occasione, e si gettò immediatamente sul Capitano Usopp, tenendolo fermo al suolo con gli artigli e soffiandogli vicino al viso col suo alito caldo, pronto a dargli il colpo di grazia. Staccargli la testa con un morso, forse, o incenerirlo definitivamente.

Non c’era più nulla da fare. E allora…

-         Ora basta.

Shade mi sbatté di nuovo giù a terra  e portò il ferro a un millimetro, giuro, un millimetro dal mio occhio destro. Il calore mi strinava le sopracciglia.

-         Sei indegno. Una vergogna. Un’offesa per gli occhi. Racconti frottole, piangi, sbraiti e te la fai sotto. Non so cosa tu ci faccia qui, o cosa ti faccia credere di essere un pirata: tu non lo sei. Odio i pirati, ma devo riconoscere loro che almeno posseggono qualcosa che tu non hai. Orgoglio. Tu non hai orgoglio. Non fingere di essere quello che non sei e risparmiati questo dolore. Dimmi dove si trovano i tuoi compagni, dimmi dove si trova Cappello di Paglia. Tu non sei degno nemmeno di sporcare le mannaie dei nostri boia, lui sì. Indicamelo, e avrai salva la vita. In caso contrario…

Il ferrò fece avanti e indietro, come se prendesse la rincorsa per venirmisi a ficcare dritto nella pupilla.

-         …ti ucciderò.

e allora il Capitano Usopp vide l’Angelo della Morte, scheletrico, con la sua falce in mano, avanzare verso di lui, e capì che era la fine. Se non avesse fatto subito qualcosa…

(“Perché racconti le bugie, Usopp?”)

-         Ti do tre secondi. Meno tre…

…qualcosa tipo ingannarlo… convincerlo che non era ancora giunto il suo momento… o magari una sfida a scacchi

(Per mentire a me stesso. Per sfuggire alla realtà.)

-         Meno due…

ma alla fine… non gli veniva in mente niente… e l’Angelo era lì…

(Ma non si può farlo all’infinito. in qualunque situazione. C’è una linea che non si può superare.)

-         Meno uno…

…niente…

nessun’idea…

Niente.

-         TI DIRO’ TUTTO! – gridai – BASTA! TI PREGO! DIRO’ TUTTO! TUTTO!

-         Molto bene. – Shade sorrise e ritirò il ferro.

E io dissi ogni cosa. Tutto. Tutto quello che dovevo dirgli.

Alla fine, Shade parve soddisfatto. Mi lasciò lì e andò ad aprire la porta.

-         Preparate un po’ di dinamite! – gridò al resto dei suoi uomini – Andiamo a catturare un vero pirata!

E questo è quanto.

 

Mentre la miccia a combustione lenta sta per consumarsi completamente, Shade fa un ultimo, sbrigativo briefing ai suoi uomini. La pioggia lo ha inzuppato e gli appiccica i capelli alla fronte, ma lui non perde minimamente il suo atteggiamento professionale. Un militare dalla testa ai piedi.

-         Le informazioni che abbiamo in nostro possesso sono chiare. La ciurma di Cappello di Paglia è sbarcata su quest’isola circa quindici ore fa, con il capitano in preda a un grave accesso di febbre. Il medico di bordo gli ha somministrato un farmaco capace di guarirlo, che però non fa effetto prima di tre giorni. Nel frattempo il malato resta in uno stato di incoscienza; i pirati, perciò, nell’impossibilità di salpare a causa dei tempi necessari per memorizzare il magnetismo dell’isola con il Lock Post, hanno deciso di lasciare il loro capitano in un luogo protetto, al sicuro, e sparpagliarsi sull’isola per far trascorrere il tempo evitando di essere catturati. Il luogo scelto, visto che nessuno di loro poteva stare di guardia, è stata questa grotta, di cui hanno poi fatto franare l’ingresso, convinti di nasconderla così a chiunque, e sicuri di poterla riaprire poi una volta che fosse stato necessario. Quindi abbiamo molti pericolosi ricercati in giro per l’isola, ma, cosa ancora più importante, abbiamo Cappello di Paglia in persona, qui dentro, convalescente e indebolito. Possiamo facilmente mettere le mani su uno dei più famigerati pirati in circolazione; un’occasione come questa non ricapita facilmente.

Accenna nella mia direzione:

-         E tutte queste informazioni le dobbiamo alla gentile collaborazione del nostro amico dal naso lungo, che me le rivelate durante una nostra amabile chiacchierata.

Abbasso la testa, sommerso dalle risate di scherno dei marinai, che additano le mie ferite e le ustioni. Bruciano da matti; meno male che la pioggia allevia un po’ il dolore.

-         Ragazzi, anche se è malato o addormentato, quello che troveremo qui dentro sarà pur sempre un pirata da trecento milioni di Beli. Quindi non corriamo rischi. Appena l’ingresso della caverna salta, entrata a bottone, due alla volta. Dieci restano qui fuori per dare copertura e tenere d’occhio il prigioniero. Voglio un lavoro pulito.

Gli uomini annuiscono, impugnano i fucili, si mettono in formazione. Rigidi, perfetti, come devono essere i soldati. Senza esitare, senza paura.

L’esplosione è assordante. Mi schiaccia i timpani; la vertigine mi getta in ginocchio e mi fa vomitare. Escono roba gialla e sangue.

Shade mi guarda da sopra in sotto, ancora perfettamente piantato sui suoi piedi, e mi fa un sorrisino.

-         Fate irruzione!

Con prudenza ed efficienza i marinai si fiondano dentro la grotta, il cui ingresso è ormai sgombro da massi e detriti. Non dal fumo prodotto dallo scoppio, però, che ancora aleggia davanti e dentro la caverna. Gli almeno trenta uomini armati fino ai denti che sono entrati per arrestare un pirata in coma si ritrovano persi in una specie di nebbia che puzza di zolfo e irrita occhi e gola. Nella nebbia perdono un po’ del loro ordine. Cominciano ad avanzare leggermente a tentoni, esitando, per esplorare la grotta senza però perdersi di vista.

-         Cos’è quello?

Qualcuno scorge una sagoma nel bianco. Un’ombra nera. Qualcun altro non la vede. Poi c’è un tonfo. Chi non aveva visto la sagoma si volta e adesso non vede più nemmeno i propri compagni; chi l’aveva vista, prima di non riuscire a vedere più niente, l’ha anche vista ingrossarsi, diventare una forma enorme e incombente, pronta a schiacciare, a sbriciolare, a distruggere.

Come il pugno di un Gigante.

-         Ragazzi? – mormora qualcuno, girandosi lentamente, il fucile teso – Ragazzi, ci siete?

Il sibilo passa tra lui e il compagno al suo fianco. E’ spedito e silenzioso. Un soffio d’aria che al suo passaggio taglia tutto ciò che incontra. I marinai perdono il fiato e cadono a terra, colpiti da un nemico velocissimo, impercettibile, letale.

Come un Demone del Vento.

Il vento, ma un vento diverso, colpisce anche altrove. Quasi nello stesso istante, a pochi metri di distanza, altri tre uomini vedono l’aria turbinare intorno a loro. Intravedono, nella nebbia che si dirada, una sagoma che li sorprende, una donna dai capelli di fuoco, circonfusa di fulmini; ma forse è solo un’illusione, perché quell’immagine sembra moltiplicarsi, distorcersi, svanire. E alla fine, intorno a loro, è solo tempesta. Un lampo li colpisce. Mentre i loro corpi scivolano a terra, il vento turbina ancora, in una piccola tromba d’aria, e urla feroce e trionfante.

Come una Banshee.

Il trambusto giunge fuori dalla caverna.

-         Che cazzo succede? – impreca Shade – Voi dieci, anche voi, dentro la caverna! Presto!

Non riescono nemmeno ad entrare, li vediamo praticamente volare fuori, malconci e sanguinanti. C’è qualcuno all’ingresso, nascosto dal fumo. Qualcuno che mulina in aria due lunghe mazze con velocità e forza – o forse sono gambe. Sembra assurdo, ma sono gambe; gambe di un corpo capovolto che si regge sulle proprie braccia.

Come un Uomo che Cammina sulle Mani.

-         Vengo dentro anch’io!

Shade salta in avanti inferocito, mettendo mano alla spada corta e sottile, quasi un pugnale, che tiene allacciata al fianco, e così mi lascia solo. Io ne approfitto per chinarmi vicino a un marinaio mezzo morto e usare la lama della sua spada piantata a terra per tagliare le corde e liberarmi.

Il tenente è riuscito in qualche modo ad entrare nella grotta, e adesso fa quadrato con una dozzina dei suoi. Una dozzina, fino a poco fa; adesso sono undici. Dieci. Nove. Qualcuno sta facendo piazza pulita. Emerge dalla nebbia, sferra un pugno poderoso che stende qualcuno e poi scompare di nuovo. L’unico rumore che fa percepire è quello di un ansare, pesante, possente; l’unica cosa che fa vedere di sé è un braccio muscoloso e coperto di pelliccia che scatta.

Come un Uomo-Bestia.

Una spada, da qualche parte, guizza, e un marinaio grida di gioia, ritrovando finalmente un barlume di speranza.

-         Gli ho tagliato un braccio! – dice – Ho visto un braccio e l’ho tagliato! Credo fosse una donna!

Ma la speranza gli muore in cuore quando scopre con angoscia che sulla sua lama non c’è sangue: solo qualche petalo rosa, che vola via, leggero. E poi sono decine le braccia che gli si intrufolano ovunque, sul corpo. Sono tre le mani che gli afferrano testa e collo. Lo scricchiolio, sinistro, mette terrore anche a chi non ha visto cos’è accaduto. Chi ha visto, invece, non ha dubbi. Sono in balia di una creatura capace di avvinghiarli nei suoi tentacoli e stritolarli senza sforzo.

Come una Donna Piovra.

E alla fine Shade rimane solo. Intravede, di tanto in tanto, qualcosa che si muove nella foschia, ma solo per sparire subito dopo. Agita la spada nell’aria, senza tagliare nulla di più del fumo.

-         Fatevi vedere! Fatevi vedere, bastardi! – ruggisce.

Una sagoma grossa e quasi sproporzionata, un unico fascio di muscoli, appare e si fa più definita in mezzo al biancore. Shade gli getta addosso la propria spada. La lama d’acciaio cozza contro il petto dell’essere, ma si limita a produrre un sonoro clangore, per poi ricadere a terra. Mentre il tenente indietreggia, l’essere gonfia i polmoni, quindi soffia verso di lui una fiammata.

Come un Drago Sputafuoco.

Shade è mezzo accecato; i suoi vestiti prendono fuoco e lo costringono a gettarsi a terra e rotolarcisi furiosamente per spegnere le fiamme. Quando si rialza, ustionato, coperto di fuliggine, dolorante, quasi nudo, non riesce più a vedere ciò che lo aveva attaccato. Ansima e ringhia di rabbia come un animale, si guarda intorno alla ricerca di qualcuno, qualcosa da combattere. E quando finalmente vede qualcun altro, una figura esile, magra, alta, non ragiona nemmeno prima di lanciarsi furiosamente all’attacco.

-         Sei morto, pirata di merda! – strilla – SEI MORTO!

Ma man mano che la figura si avvicina i suoi contorni si definiscono. Le orbite vuote. Il naso scavato. La mandibola schioccante.

Il tenente si ferma. Cade in ginocchio, tremante, tenendo gli occhi levati in alto, mentre le forze e il coraggio lo abbandonano. Davanti a lui si trova uno scheletro che leva in alto una spada.

Come l’Angelo della Morte.

Che schiude la bocca arida per pronunciare qualcosa, certamente le parole fatali, la sentenza finale che ogni uomo attende e teme.

-         Devo darti ragione. – dice – In effetti, lo sono.

E a questo punto, con un grido acutissimo, il tenente fugge, inseguito da una lugubre risata cantilenante, scappa inciampando nei corpi dei suoi compagni caduti, finisce nel fango e comincia a strisciarci dentro, senza più riguardi, senza più compostezza, pensa solo a scappare, abbandonandosi finalmente a una liberatoria paura. Urla, piange, e chiede aiuto, a Dio o alla mamma. Vuole solo andarsene da qui.

Ma si trova davanti me.

Che gli pianto un piede nella schiena ed esclamo, trionfante:

-         Dove credi di scappare, tu? Al Capitano Usopp non si sfugge!

-         I mostri. – balbetta a stento, praticamente in preda al delirio – I mostri. Ci sono i mostri. Avevi detto che c’era Cappello di Paglia. Solo Cappello di Paglia. Che stava dormendo!

-         Beh. – dico io, facendo spallucce – Ho mentito.

-         Ma quelli! Quelli! I mostri! Non sono veri! Non è possibile!

-         Non chiamerei mostri i miei compagni. Non sarebbe gentile.

E aggiungo, con un sorriso intenerito e paterno:

-         Ma, lo ammetto, ogni tanto fanno paura persino a me.

Gli ci vuole qualche secondo per capire tutto a fondo. Via via, il suo sguardo passa dal terrore più folle a un timore discretamente ragionevole e, per finire, a semplice e pura rabbia.

-         CI HAI INGANNATI! – ringhia.

-         Sì.

-         ERA UNA TRAPPOLA!

-         Più o meno.

-         Perché? PERCHE’?

-         Perché la storia vera è un po’ diversa da quella che ti ho raccontato. Siamo approdati qui perché avevamo finito i viveri; abbiamo trovato quella caverna. Credo che fosse un rifugio di contrabbandieri, o forse altri pirati, perché qualcuno ci aveva immagazzinato dentro un sacco di cibarie. Io ero andato a fare una passeggiata fuori dalla grotta quando ho sentito il rumore della frana. Naturalmente, i miei compagni non ci avrebbero messo molto a liberarsi da soli, ma il nostro carpentiere mi ha fatto sapere, gridando da là dentro, che era meglio non ci provassero, perché da quello che vedeva lui se avessero toccato qualcosa all’interno c’era il rischio che venisse giù tutto. Quindi dovevo pensarci io; trovare della dinamite, qualcuno che sapesse usarla, e convincerlo a far saltare l’ingresso.

Shade boccheggia. Anche la sua furia sembra essersi placata, probabilmente perché è troppo esausto anche per quella.

-         Vuoi dire che ti sei fatto catturare apposta?

Non rispondo niente.

-         Ma non è possibile!

Ma no, non esageriamo.

-         Ti abbiamo torturato per ore! E tu ci hai rivelato tutto solo alla fine! Nessuno è in grado di mentire in quelle condizioni!

Eh, nessuno, nessuno… si fa presto a dire nessuno…

-         E tutte quelle balle che ci hai raccontato prima! Tutto il tempo per cui hai resistito!

-         Una buona bugia – dico io – ha bisogno di essere preparata.

E se c’è un argomento su cui posso pontificare, porco cane, è proprio questo!

Quello mi guarda come fossi un pazzo.

-         Sei davvero una vergogna!

Ci risiamo.

-         Che razza di pirata si comporta così? Non hai il coraggio di combattere a viso aperto e ricorri a questi trucchetti! Battiti sul serio, se sei un uomo! Sei indegno! Non ti rendi conto di quanto sei ridicolo? Di quanto sei patetico?

Beh, detto da un uomo che sbraita e si agita goffamente mentre lo tengo schiacciato dentro una pozzanghera di fango…

-         Sei senza spina dorsale! Senza orgoglio!

Ok, è il momento di finirla. Gli punto la mia fionda, tesa al massimo, dritta dritta in mezzo agli occhi, a un millimetro di distanza, come il suo maledetto ferro arroventato.

-         Sarà – dico – ma tu sei senza armi.

Gli tolgo il piede dalla schiena. Ficcando le dita nel terreno e tirando, Shade riesce in qualche modo a tirarsi fuori dalla pozza, anche perché glielo lascio fare. Si rimette in piedi, barcollante, e finalmente comincia a correre! Accidenti, come corre! Come avesse il diavolo alle calcagna! E il diavolo sono io! E rido! E canto! E sparo vanterie assurde! E gli dico che se l’ho lasciato in vita è perché possa andare a riferire a tutti quanto sia terribile il grande, potente, impareggiabile Capitano Usopp!

Sono soddisfazioni che capitano di rado, queste. Bisogna pur gustarsele fino in fondo.

Poi lui sparisce, e il dolore delle ferite e delle bruciature si fa sentire di nuovo, tutto di un colpo. Fossi uno di quei machos che non batterebbero ciglio nemmeno se gli sparassero una palla di cannone nelle parti basse, potrei anche stringere i denti e sopportarlo. Ma io non ho nessuna reputazione del genere da difendere; così, trovo semplicemente più comodo svenire.

 

-         Mi sa che questa è la volta buona che ci lasciamo le penne. Hai paura, Usopp?

Questa non è la realtà – questo è un sogno. Ne sono sicuro perché questa scena l’ho già vissuta. E’ quello che mi è successo ieri, prima che avvistassimo quest’isola, quando eravamo semplicemente persi in mare, senza viveri né acqua dolce da due giorni, indeboliti e, apparentemente, destinati a morte sicura. Ci siamo io e Nami abbandonati sul ponte, sotto il sole cocente, troppo fiacchi per fare qualunque cosa. E’ un sogno di sicuro, anche perché mi manca quel senso di fame feroce, lo stomaco che si torce su stesso, e la sete, con la bocca che sembra fatta di sabbia arida pronta a sbriciolarsi. Sto bene, invece, mi sento perfettamente in forma. Per il resto, tutto è identico, anche la nostra conversazione. E infatti:

-         No. – rispondo io.

-         Perché racconti le bugie, Usopp? Voglio dire, non ti crederà mai nessuno.

Ecco, a questo ieri non ho risposto. Ci sono tante risposte possibili a questa domanda. Però quella giusta è una sola.

-         Perché è vero. Non ho paura.

Non ne ho. Improvvisamente, capisco di trovarmi esattamente dove desidero essere. Su una cosa aveva ragione Shade, dicendo che i pirati devono avere orgoglio. Ma ognuno ce l’ha a modo suo. Su questo mare c’è chi va orgoglioso della propria abilità con la spada, chi della propria forza bruta, chi del proprio innumerevole equipaggio: il mio orgoglio è semplicemente esserci. Tutto qua. Sono un tipo normale. Non ho superpoteri e non ho una forza straordinaria, sono debole, fragile, fifone e bugiardo, sono fuori posto, eppure sono qui, a combattere fianco a fianco con dei compagni incredibili contro nemici spaventosi. Certo che ho paura, chiunque ce l’avrebbe. Certo che me la cavo con trucchetti e menzogne, spesso non possiedo altre armi. Ma ci sono, e tengo duro, alla faccia di tutti quelli che possono anche ridere di me, ma solo perché non hanno mai affrontato nulla di quello che ho affrontato io. Dopotutto, ci vuole più fegato per essere un codardo su una nave pirata che un coraggioso su una poltrona.

-         Ma questo – fa Nami, con gli occhi chiusi e un sorriso sulle labbra, intervenendo nel filo dei miei pensieri – lo pensi solo perché siamo in un sogno. Perché ieri, in realtà, la paura ce l’avevi eccome. Se avessi avuto abbastanza acqua in corpo saresti scoppiato a piangere, credo.

-         Non è vero!

-         Non mentire. Ti conosco.

-         Non diciamo fesserie! Figurati se potevo mai avere paura!

-         Certo, certo…

Resti fra noi, magari, sotto sotto, un po’ di paura ce l’avevo davvero.

Un pochino, però.

Solo un pochino.

Parola di Usopp.

 

 

FINE

  
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