15.
Era un bell'albergo, ma non aveva l'aria condizionata
nelle stanze. Per meglio dire l'impianto c'era, ma non
era in funzione da almeno un paio di secoli a giudicare
dalle condizioni in cui versavano i ventilconvettori. C'era
da avere paura del tetano solo ad avvicinarsi.
Ma non era male. Anzi, tra tutti i posti di al-Qahira che
aveva visto fino a quel momento, era di gran lunga il
migliore. Pensò che una ragazza moderna come lei, che era
riuscita a dormire da clandestina a bordo di un doppio-v
con l'incubo che una IA annoiata depressurizzasse tutto il
ponte di comando, poteva stare dappertutto.
Poi c'erano innegabili vantaggi: contrariamente alle
stazioni orbitanti, l'acqua non era razionata. Per questo
aveva subito riempito la vasca da bagno e, denudatasi in
fretta e furia senza nemmeno controllare la temperatura ci
si era tuffata dentro, felice di poter stare finalmente in
ammollo in mezzo a tutta quella schiuma candida, felice di
avere un bagno tutto per sé.
L'incursione di Jerrylex e Ilah era andata a buon fine. Il
pirata informatico aveva compiuto l'ultima, memorabile impresa:
partendo da una rete di computer zombie lì, sulla Terra, aveva
scatenato un attacco diversivo facendo credere di voler
abbattere i server pubblici di una banca terrestre appartenente
al gruppo della Yasuda-Lejeune. Invece il suo vero bersaglio
erano i fondi neri della capogruppo, notoriamente il salvadanaio
orbitante della Yakuza. Era riuscito a spostare in modo a sentir
lui sicuro una cifra spaventosa di denaro e ne aveva dato prova
immediatamente, affittando due stanze in quell'albergo. Nessuno
avrebbe certo reclamato quei soldi, l'impresa non sarebbe mai
finita sui mass media ma aveva probabilmente provocato un terremoto
tra i figli del crisantemo. Si ricordò della tradizione degli
antichi yakuza di mozzare un dito a chi fallisce. Qualcuno, vista
la somma rubata, avrebbe forse perso più di un dito o due per colpa
di Jerrylex. Era stata Ilah a dirle tutto, e solo a impresa ormai
compiuta: l'anziano pirata informatico non aveva voluto svelarle
nulla. Infatti se lei avesse saputo da subito che c'era di mezzo
la yakuza, non avrebbe mosso un muscolo per aiutarlo.
Controllò le proprie mani facendole emergere dall'acqua, come se
temesse per le sue dita; la vista dei polpastrelli corrugati la
convinse a uscire dalla vasca. Si avvolse in un grande asciugamano
bianco non prima di aver constatato nello specchio come le sue odiate,
adipose rotondità non accennassero a diminuire nemmeno di un po'. Poi
si avvolse un altro telo di spugna intorno alla testa bagnata. Dovrò
decidermi a tagliare i capelli, si disse vedendo quanta fatica
doveva fare per contenere l'enorme massa di riccioli neri appesantiti
dall'acqua. Uscì dal bagno completamente piastrellato di mattonelle
lucide color verde smeraldo impreziosite da venature scure. Quelle
intorno ai bordi della vasca erano diverse, lavorate: un bassorilievo
verniciato d'oro con motivi geometrici e floreali. Non le aveva notate
subito. Attraversò la stanza lasciando sulla moquette consumata
impronte umide e scure di piedi scalzi diretti verso la grande porta
finestra, aperta. Solo una grande tenda bianca, debolmente mossa dal
vento, la separava dalla terrazza. Si accomodò su una delle sedie a
sdraio, in pieno sole. Jerrylex aveva scelto bene la stanza: la terrazza
dava sui tetti di edifici più bassi e sul mare poco distante. Altri
edifici alti come l'hotel Luxor, dove lei si trovava in quel momento,
erano ai lati ma i paravento di vetro colorato la riparavano da sguardi
indiscreti.
Pensò a Jerrylex. L'aveva tolta dai guai, almeno così sperava. Degli
scagnozzi che sua madre le aveva messo alle calcagna, non s'era più
vista nemmeno l'ombra. Che li avesse già fatti liquidare da qualcuno,
ora che poteva pagare? Lo escluse. Sua madre sarebbe stata capace di
scatenare una guerra per un motivo anche meno valido di quello. Grazie
a quel criminale informatico aveva cambiato identità e lavoro più volte:
da donna delle pulizie a sguattera a operaia del turno di notte. Aveva
fatto anche la commessa per un negozio di scarpe da donna ma alla fine
della seconda giornata di lavoro l'anziana padrona le aveva detto di
non tornare. Ancora non aveva capito dove avesse sbagliato.
Pensò a Ilah, spumeggiante e vanitosa, estasiata per aver cavalcato
al fianco di Jerrylex nella sua memorabile impresa. Giudicò che avesse
poco da vantarsi di quanto fatto: se la Yakuza fosse riuscita a risalire
fino a lei, le avrebbero tolto la pelle e non in senso figurato.
Pensò alla sua astronave, il Coyote: si ripropose di convincere Jerrylex
ad aiutarla a tornare indietro. Voleva tornare a bordo di una nave e
quel semplice pensiero le fece venire in mente Pavel, il Secondo del
Raja. Da quando aveva frugato di nascosto nel computer di quella
nave per scoprire il suo nome, non era più riuscita a scacciarlo dalla
sua mente. Pavel Zebrinsky: quel suono evocava una figura massiccia,
dolcemente odorosa d'uomo, dal petto largo e dalle braccia potenti. Si
sentì scaldare dentro, immaginandosi prigioniera stretta contro il
corpo di lui.
Rimase lì a far arrossare la sua bianca pelle da astronauta sotto i
raggi di un sole così forte da asciugarla in breve tempo. Aveva da
poco sciolto il telo di spugna intorno alla testa per fare asciugare
anche i capelli quando sentì un forte cicalino all'interno della sua
camera. Ci mise qualche secondo di troppo a capire che c'era qualcuno
che suonava alla porta e solo il secondo sgraziato squillo la convinse
a scendere dalla sdraio e ad andare alla porta.
- Chi è? - disse premendo il pulsante del citofono della serratura,
nonostante potesse vedere con chiarezza sullo schermo monocromatico
un giovanissimo fattorino dalla pelle scura che indossava la metà
superiore della divisa dell'albergo. Lo aveva già visto nell'atrio
mentre spingeva un carrello carico di valige. Controllò il nodo che
le sosteneva il telo intorno al corpo.
- Un pacco per la signorina Patris – disse a voce così alta che Miki
non ebbe alcun dubbio: ora l'intero quarantacinquesimo piano sapeva
che lei aveva appena ricevuto un pacco.
Non aspettava nulla e un po' ansiosa aprì la porta. Il fattorino
dell'albergo aveva con sé un carrello a mano ingombro di molti pacchi
e sacchetti di tutte le dimensioni. Miki riconobbe le firme di moda
del momento, evidentemente note e diffuse anche lì sulla Terra. Il
fattorino, forse imbarazzato vedendola così com'era uscita dal bagno,
afferrò un po' impacciato una busta bianca che sporgeva dal taschino
della propria giacca e gliela porse. Nel togliere i pacchi dal carrello
ne fece cadere un paio. Rimase poi lì, spostando nervosamente il proprio
peso da un piede all'altro finché Miki non si ricordò della curiosa
abitudine che c'era da quelle parti di dare la mancia a tutti quanti,
anche senza motivi particolari a giustificarla.
Meravigliata, Miki si sentiva stupidamente felice come una scolaretta:
tra le cose cadute c'era il sacchetto di un noto atelier da cui era
uscita una lussuosa e bellissima pochette rigida tutta coperta di
scintillanti brillantini che mandavano deliziosi riflessi
azzurri. Dopo aver contemplato da tutti gli angoli quell'abbagliante
accessorio femminile, riuscì a calmarsi abbastanza da cercare una
spiegazione all'interno della busta. Era infatti evidente che tutta
quell'abbondanza e quel lusso improvviso non fossero giunti a lei
per un caso. Lasciò cadere la pochette sull'enorme letto a baldacchino
che le piaceva moltissimo per via dei veli. Utili per ripararsi dagli
insetti, erano raccolti da eleganti fiocchi di passamaneria
consumata. Si chiese se era proprio lì che qualcuno aveva intenzione
di portarla: sul materasso. L'idea la preoccupava e la stuzzicava al
tempo stesso. Il suo facoltoso corteggiatore sconosciuto la stava
attaccando frontalmente, senza perdere tempo: avrebbe dovuto
premiarlo? Certo non subito. Aprì la busta con uno strappo deciso
e spiegò il foglio di carta in essa contenuto. Carta vera, le dissero
i polpastrelli strofinandola per bene percependone con gioia lo spessore
e la ruvidezza. Una cosa che solo sulla Terra potevano ancora
permettersi.
I suoi occhi lessero la prima riga scritta a mano, una grafia obliqua
e stirata ma abbastanza leggibile. Dopo aver passato tutta la vita a
leggere schermi di computer, pubblicazioni digitali e via dicendo,
ebbe qualche difficoltà col corsivo. Forse per quello, forse per
l'ansia di sapere chi le mandasse quel tesoro, saltò subito alla
firma.
- Jerrylex!
Non poté fare a meno di pronunciare quel nome ad alta voce tale
fu la sorpresa. Il resto del biglietto diceva che lui sarebbe stato
onorato di averla al suo fianco alla festa che l'albergo aveva
organizzato per quella sera. Si scusava inoltre se aveva sbagliato
la taglia di qualcosa. Improvvisamente squillò il terminale. È lui,
le disse il cuore con un tuffo.
- Hey, Miki!
Sul monitor del terminale era apparso il volto di Ilah. Era
alloggiata anche lei al Luxor, ma aveva trovato una stanza al
quarantanovesimo piano. A giudicare dall'inquadratura bizzarra
doveva aver spostato il terminale sul letto e stava sdraiata
sulla schiena.
- Ciao... - Miki non sapeva se essere delusa: davvero si
aspettava di ricevere una chiamata da Jerrylex?
- Senti, ti pare che i miei piedi siano troppo grandi?
Ilah offrì un piede scalzo alla telecamera del terminale e
quello campeggiò sullo schermo di Miki fino a quando non andò
fuori fuoco per l'eccessiva vicinanza.
- Mi hai chiamato per farmi vedere i tuoi piedi?
Lo schermo fu sgombrato, ma solo dopo qualche secondo
ancora. Ilah certe volte era proprio solo una bambina
dispettosa.
- Hai ricevuto nulla da Jerrylex?
Esitò a risponderle, sorpresa. Se anche Ilah era stata invitata
alla festa dell'albergo, tutto il romanticismo della serata
svaniva in un sol colpo. Forse Jerrylex aveva qualcosa da farsi
perdonare da entrambe?
- Mi... ha detto che c'è una festa nel salone grande dell'albergo,
stasera. Vuole che vada. Tu ci vai?
- Masseifuori? Mi ha appena mandato una esclusiva card d'invito
per uno spettacolo di lotta nel fango... lotta maschile, bella
mia! Non mi perderei l'evento per nulla al mondo. Anche se questa
gravità mi sta uccidendo! Sai, c'è la possibilità che sia un posto
di quelli dove tirano dentro anche il pubblico...
Senza volerlo Miki si trovò a dover dissimulare un sospiro di
sollievo. Ilah col suo cervello cablato era capace di non farsi
sfuggire un solo dettaglio, specie se era concentrata su uno
schermo. Ma per il momento sembrava che la sua attenzione fosse
tutta per il suo piede destro e per la card d'invito che stava
sventolando davanti alla telecamera in quel momento.
- Ah, che culo... - iniziò un commento di circostanza, ma la
giovane la interruppe subito, com'era sua abitudine.
- Mi dispiace tanto, ma la card è valida per una sola persona. Temo
proprio che o tiri fuori un mal di testa o ti toccherà andare a
quella noiosissima festa. Ah, non dirgli che hai le tue cose... gli
ho già detto che non è il tuo momento. Non mi sputtanare con Jerrylex,
eh!
- Ma... cosa vai a raccontare in giro? E perché, poi? Ma non ti fai
mai i cazzi tuoi, razza di... - Miki sbottò, ma aveva il sorriso
sulle labbra.
- Scusami... mentre tu non c'eri quando eravamo nell'atrio mi ha fatto
un po' di domande qua e là... non so come siamo finiti a parlare delle
tue mestruazioni.
- Lo so io com'è andata: quando Jerry ti guarda negli occhi, tu perdi
completamente la rotta.
- Ah, io! Ho soltanto un quarto dei suoi anni! – Ilah scoppiò a ridere,
una risata squillante e sincera. Miki le fece una smorfia, sapendo di
avere ragione. L'ammirazione che Ilah dimostrava di avere per il vecchio
cavaliere del cyberspazio era seconda solo a quella per la nonna. Ammirazione
che da parte di Jerrylex non era granché ricambiata. Come lei ben sapeva,
al contrario lui era quasi infastidito da Ilah e dal suo talento
informatico.
- Ma se da quando ti ha visto non ha smesso di ronzarti intorno! Ce
l'ha con te, scema! Non te ne sei accorta? Sai che sono gelosa? Lui è il
mio idolo da sempre e come mi ringrazia? Facendo il cascamorto con te! -
aggiunse subito dopo, offrendo nuovamente la pianta del piede scalzo alla
telecamera, agitandolo.
Miki guardò il mucchio di scatole e sacchetti al centro della stanza. Sì,
se n'era accorta nei giorni scorsi, soprattutto dopo il suo “ultimo colpo”,
come definiva il suo colossale furto ai danni della Yasuda-Lejeune. Aveva
avuto anche un'inequivocabile conferma.
- Ma smettila – si difese però con Ilah, che le rispose imitando una
risata beffarda.
- Ma quanto sei scema... a te la festa di lusso in albergo, non troppo
lontani dal materasso. A me, la bambina rompicoglioni da mettere a letto
subito dopo cena, un biglietto gratis per starmene fuori dalle palle fino
a tardi! Più chiaro di così!
- Questo è quello che pensi tu – la difesa di Miki era inefficace: Ilah
era una pettegola di prima grandezza.
- Piuttosto, dimmi se hai intenzione di mandarlo in orbita già da stasera
o se lo farai soffrire, poverino...
- Ma fatti i cazzi tuoi, tu! - fu l'inevitabile risposta di Miki.
- Daaai, dimmelodimmelodimmelo... non lo saprà nessuno.
Ilah si sdraiò sulla pancia per arrivare più vicina col viso alla
telecamera incorporata nel terminale dell'albergo. Miki vide quella
faccia sbarazzina e impertinente ingrandirsi sempre più fino a occupare
tutto lo schermo. Gli occhi chiarissimi le brillavano e non solo perché
vi si rifletteva la luce del monitor.
- No!
- No cosa? Non gliela dài?
- Non te lo dico!
- Dài, da donna a donna... - la faccia tosta di questa ragazzina è
invidiabile, pensò Miki scuotendo la testa negativamente.
- Peggio per te: invecchierai e morirai vergine, zitella e
acida. Ciao!
- Io non sono vergine! - scattò Miki, ma troppo tardi: la ragazzina
aveva già chiuso la comunicazione. Rimase da sola, seduta sulla sponda
dell'enorme letto intatto, a cercare di giustificare a se stessa lo
sfarfallare ansioso che sentiva nel petto.
Si controllò ancora una volta nello specchio grande che occupava una
buona parte della parete opposta al letto, a fianco della porta del
bagno. Tutta la gioia e l'eccitazione che aveva provato aprendo i
pacchi uno a uno sembravano sgocciolate via da lei, lasciando posto
a un crescente nervosismo. Aveva avuto in dono il cofanetto per il
trucco più grande che avesse mai visto e non era stata capace di
usarlo bene come avrebbe voluto. Dopo essersi struccata tre volte
per cancellare dei pessimi risultati, aveva scelto di usare un colore
scuro un po' sfumato per gli occhi insieme a ombretto e matite, scure
anche queste. Anche così però le era sembrato di non aver sfumato il
colore nello stesso modo sugli occhi e aveva la netta sensazione che
vista da lontano sembrava avere un occhio pesto.
Dopo il trucco andò a prendere il vestito. Con un tuffo al cuore
aveva trovato un bellissimo abito da sera di un fantastico azzurro
scuro. L'azzurro, il suo colore preferito! Indossandolo però aveva
scoperto non senza disappunto che l'abito era molto scollato davanti
e le lasciava mezza schiena nuda. Ciò significava essere costretta ad
andarsene in giro con i suoi due pesanti carichi anteriori senza
ormeggio e la cosa le dava fastidio. Non le piaceva l'idea e anche
dopo un milione di prove e di controlli non era ancora convinta che
non si sarebbero verificati imbarazzanti incidenti.
L'abito però era stato scelto con accortezza: oltre a essere della
taglia e del colore giusti, era fatto con un tessuto liscio e morbidissimo;
era anche molto lungo. Miki lo apprezzava perché riusciva così a nascondere
i suoi muscolosi polpacci, le ginocchia nodose e le cosce arrotondate da
qualche chilo di troppo. Doveva solo fare attenzione allo spacco che aveva
sul fianco sinistro. Una cintura si stringeva poco sotto il seno permettendo
così che la linea dei suoi fianchi troppo larghi non venisse sottolineata. Dovrò
fare qualcosa per questo culone un giorno o l'altro, si disse mettendosi di
profilo allo specchio. Bastava guardare bene e tutti i suoi difetti apparivano
uno dopo l'altro.
Perfino i capelli le avevano fatto perdere la pazienza: non era riuscita a
domarli come avrebbe voluto e se la prese in silenzio con Jerrylex per non
averle mandato in camera anche una parrucchiera.
Quando lo sgraziato cicalino della porta suonò, facendola sobbalzare per
lo spavento, era ancora in bagno, seduta davanti allo specchio con il
cofanetto dei trucchi completamente dispiegato. Sussultando sbavò un poco
il cupo rossetto che si stava applicando meticolosamente. Con un moto di
stizza abbandonò il delicato pennello e si alzò per andare alla porta
d'ingresso.
- Miki! Sei pronta? La festa è cominciata.
Era Jerrylex. In piedi davanti alla porta chiusa, coi capelli di nuovo
raccolti dietro la nuca da un banale elastico colorato, con indosso il
vestito blu ma scalza, lei strillò al limite dell'isterismo.
- Come faccio a essere pronta? Devo fare ancora un sacco di cose!
Tornò svelta sui suoi passi fino al centro della stanza dove c'erano
i resti delle confezioni degli abiti. Si chinò bruscamente in avanti
a raccogliere le scarpe, innervosita. Si risollevò rossa in viso e
con la mano libera premuta sui seni. Devo ricordarmi di non piegarmi
in avanti così, si disse controllando che non fosse sfuggito qualcosa
alla presa del vestito.
- E poi ci vai in giro tu con queste cose ai piedi! - gridò agitando
l'elegante sandalo dal tacco alto verso la porta, ancora chiusa. Non
aveva mai portato scarpe col tacco alto più di pochi centimetri:
preferiva di gran lunga le sue morbide scarpette di tela con la suola
di velcro fatte apposta per camminare sulle astronavi quando non c'è
gravità.
- Sono sicuro che te la caverai benissimo. Dài, muoviti... ti aspetto
agli ascensori... - disse l'uomo accompagnando le sue parole con un
sospiro rassegnato.
Uscì dalla camera dell'albergo con cautela, quasi come se non osasse
fare rumore. Fece scivolare il badge che apriva la serratura elettronica
dentro la sua scintillante pochette e, procedendo incerta sui vertiginosi
tacchi, raggiunse la zona degli ascensori. Lì, seduto su una delle
poltroncine di cortesia, c'era un uomo che scattò in piedi non appena
si accorse di lei.
Ci mise un secondo a riconoscerlo. Aveva raccolto i lunghi capelli grigi
e argento in uno strettissimo codino dietro la nuca, mantenendoli aderenti
al cranio in modo molto ordinato. Il viso, non più ombreggiato dai capelli
sciolti e scarmigliati, sembrava aver perso dieci anni di età e gli occhi
castani tempestati di piccole schegge chiare risaltavano molto. Barba e
baffi erano stati curati, le guance rasate e le basette assottigliate. Nemmeno
le rughe dell'età riuscivano a togliergli quell'aria da irresistibile
mascalzone che lo rendeva attraente. Vestiva in modo sobrio ed elegante
un abito grigio e nero che gli stava a pennello. Quell'accenno di pancia
sporgente che aveva notato fin dalla prima volta che l'aveva visto sembrava
sparito. Gli offrì il braccio nudo, ornato dalla bigiotteria che lui stesso
aveva scelto per lei.
- Tienimi, eh! Sento che prima di sera riuscirò a farmi male cadendo
da questi cazzo di tacchi che mi hai rifilato!
- Sei bellissima – disse quello estasiato prendendola sottobraccio. Con
quei tacchi Miki superava il metro e novanta e lui non la raggiungeva
nemmeno quando scalza.
- Sei un bugiardo. Mi sembra di essere una... un... sono un disastro,
ecco!
- Non è affatto vero: sei incantevole – disse Jerrylex chiamando
l'ascensore. Questo si precipitò fino al sotterraneo dove era stata
ricavata la più grande sala di tutto il Luxor. Qui c'erano già una
cinquantina di persone che, servite da scuri camerieri in divisa da
gala, si dividevano tra la pista da ballo, i salottini e i lunghi tavoli
con il buffet.
Con gli occhi Miki passò immediatamente in rassegna tutte le donne
che poté. Ben presto si rese conto che non era certo lei che aveva
esagerato con la scollatura. Né era l'unica con problemi di giro-vita
o a barcollare sui tacchi.
Jerry passò tutta la serata a sbavarle addosso. Non sapeva perché
la corteggiasse così tanto: la riempiva di attenzioni, si affannava
per farla sentire a suo agio. Ballarono e bevvero anche qualche
bicchiere di troppo. A parte il dolore ai piedi, che cominciò a farsi
sentire abbastanza presto, andò proprio tutto bene. Almeno fino alla
fine dell'ultimo ballo. Avevano già deciso che se ne sarebbero andati:
Miki era stanca e sentiva di aver bevuto troppo. Jerrylex aveva allungato
le mani già un paio di volte e non era il caso che si prendesse ulteriori
libertà. Ma tornando ai divani per riposare un poco dopo l'ultimo ballo,
Miki per poco non si distorse una caviglia a causa dei tacchi. Solo
aggrappandosi prontamente al suo attempato accompagnatore riuscì a evitare
il peggio. Quando se la sentì di camminare, si fece accompagnare fino in
camera. Durante la salita con l'ascensore si sfilò le scarpe e con esse
minacciò scherzosamente Jerrylex.
- Tu e le tue scarpe col tacco!
- Te la sei cavata benissimo fino all'ultimo, amore.
- Non chiamarmi amore – mise astio nella voce, ma il sorriso che le
affiorò sulle labbra la tradì. In un angolo del suo cervello ancora
abbastanza sobrio prese forma il pensiero che si era fatta fregare come
un adolescente al primo appuntamento. E che Jerrylex era una persona
affatto spiacevole. Avrebbe potuto essere suo padre, ma era elegante,
carino e ci sapeva fare.
Le porte dell'ascensore si aprirono sull'atrio del quarantacinquesimo
piano illuminato da grandi lampade gialle. Lei con le scarpe in una mano
e la borsetta sfavillante nell'altra lo attraversò zoppicando leggermente.
- Ti fa ancora male? Vuoi che ti accompagni?
L'attacco finale, pensò Miki.
- No grazie, me la cavo da sola.
Ma l'uomo la seguì ugualmente fino alla porta. Col cuore che le
martellava nel petto per l'ansia, la paura e l'eccitazione, estrasse
il badge e sbloccò la serratura. La luce si accese all'apertura della
porta mostrando l'interno lasciato completamente in disordine: le
confezioni aperte e lasciate cadere alla rinfusa erano ancora lì dove
lei le aveva abbandonate. Quando vide tutta quella confusione, la tenda
mossa da un alito di vento, segno che aveva dimenticata aperta la porta
del terrazzo, il letto stropicciato, il caos del bagno, si vergognò e
desiderò che Jerrylex non fosse mai entrato.
- Vattene – gli disse poco convinta sedendosi sulla sponda del
letto col baldacchino.
- Non ti sei divertita? - le chiese quello sedendosi al suo fianco,
così vicino che i loro gomiti si toccarono.
- Tantissimo. Sei bravo a ballare, sai? Ma vattene lo stesso, O.K.?
Si sentiva la testa un po' troppo leggera. A un certo punto aveva
visto girare della gialla nel salone, ma ne era stata lontana. E credeva
di essere riuscita a tenere lontano anche lui, che gliel'aveva addirittura
offerta. Ma non era certa che lui non l'avesse presa di nascosto.
- Nemmeno il bacio della buonanotte? - chiese lui con la migliore
delle sue espressioni da contrita, adorabile canaglia.
Miki si toccò con un dito la guancia destra.
- Autorizzo il bacio della buonanotte. Ma poi smammi, eh? Ti ricordo
che sono armata – gli mostrò il tacco acuminato della scarpa che teneva
ancora in mano, pronta per ogni evenienza. Non sono poi così tanto ubriaca,
pensò.
Lui obbedì e le appoggiò le labbra contornate da ispidi baffi dove
indicato. Sentì qualcosa di caldo e soffice, molto sensuale, percorrerle
lentamente la spina dorsale lasciata scoperta dal vestito.
- Non sai cosa ti perdi... - le sussurrò nell'orecchio. Lei si ritrasse,
incerta, voltando la testa dalla parte opposta. Il contatto della mano di
lui sulla sua schiena si interruppe.
Sentì le molle del materasso reagire alla diminuzione del peso che le
caricava. Lo guardò attraversare la stanza con la sua andatura felina,
calcolata. Scavalcò le scatole aperte e voltandosi un'ultima volta sulla
soglia per farle un cenno di saluto con la mano, se ne andò chiudendo
delicatamente la porta dietro di sé.
Miki tirò un sospiro di sollievo, ma stava già rimpiangendo di averlo
lasciato andare via. Davvero mi sarei buttata tra le sue braccia, si
chiese. Era eccitata, non poteva negarlo. Ma non poteva darsi al primo
che le regalava un vestito e la invitava a una festa. Jerrylex era un
seduttore, l'aveva capito. Era anche un criminale, un cavaliere del
cyberspazio, abituato da sempre a vivere e agire al di là del margine
della legalità. Forse voleva dimostrare qualcosa a se stesso. Il furto
era servito per dimostrare di essere ancora in gamba e lei sarebbe stata
la prova della sua mascolinità ancora integra. O forse voleva solo
portarla a letto.
Andò in bagno a prepararsi per la notte, ma una volta a letto faticò
ad addormentarsi per la tensione, l'eccitazione e il rimorso. Quando
finalmente si addormentò mancavano poche ore all'alba.