Teatro e Musical > La piccola bottega degli orrori_(musical)
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Autore: Rowena    16/10/2009    3 recensioni
Aveva già avuto esperienza di cosa poteva farle l’elettricità quando aveva infilato uno dei suoi rametti in una presa di corrente, così, incuriosita da quei buchi sulla parete. E Seymour, recalcitrante a morire, aveva colto l’occasione al volo.
Per un cavo elettrico, tutto per uno stupido cavo elettrico.
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Note alla storia: Questa storia è stata scritta senza scopo di lucro. Non detengo io i diritti, bensì ad Alan Menken e alla Warner Bros. Nessuna violazione del copyright è intesa.




Per un cavo, tutto per uno stupido cavo elettrico.
La festa era finita, il suo tentativo di prendere il controllo del mondo fallito, e il suo involontario servetto sarebbe scappato con quella stramba donna che chiamava fidanzata.
E lei, tra le macerie, era sul punto di restarci secca. Un bello shock, anzi, un elettroshock coi fiocchi.
Aveva sbagliato, maledizione, e ancora peggio aveva sottovalutato quell’omuncolo occhialuto che aveva scelto come vittima. Se fosse riuscita a divorare la sua ragazza prima che arrivasse, allora sì, l’avrebbe spezzato definitivamente e avrebbe potuto mangiare anche lui, liberandosi così da ogni pallido controllo umano. Ne aveva avuto bisogno per crescere, per diventare famosa, per accattivarsi la gente sembrando una semplice e comune innocua piantina esotica…
Era diventata grande, forte, e si era nutrita di sangue a sufficienza per prendere il comando della situazione. Almeno, così aveva creduto.
Si era lasciata prendere la mano, proprio come accadeva a quegli stupidi esseri, quei sacchi di carne che andavano in giro su due gambe per tutta la superficie del pianeta! Nella gioia di aver vinto e di essere finalmente nelle condizioni di rivelarsi per quello che era davvero, aveva distrutto il negozio di fiori in cui aveva vissuto dal suo arrivo sulla Terra, senza rendersi conto però di aver dato così a Seymour la sola arma capace di sconfiggerla.
Quel dannato cavo elettrico…
Aveva già avuto esperienza di cosa poteva farle l’elettricità quando aveva infilato uno dei suoi rametti in una presa di corrente, così, incuriosita da quei buchi sulla parete. E Seymour, recalcitrante a morire, aveva colto l’occasione al volo.
Dannato, non poteva accettare il dono che gli aveva fatto e lasciarsi schiacciare dalle macerie? Sarebbe stato molto più dignitoso che farsi mangiare dalla sua stessa pianta, dopotutto, e in più ci avrebbe guadagnato anche lei: Seymour, infatti, non aveva per niente un buon sapore, e il vegetale alieno aveva ciucciato il suo sangue solo per stretta necessità, sebbene ne avrebbe fatto volentieri a meno.
La scarica elettrica liberata dal cavo spezzato si riversò in lei senza freni, raggiungendo anche i suoi più giovani e teneri ramoscelli, sotto lo sguardo di un esterrefatto Seymour Krelborn.
Era dunque arrivata la sua fine, maledizione; eppure, la conquista del Pianeta Terra non le era mai sembrata così difficoltosa quando era partita dalla sua ultima conquista: si era trattato di dover dipendere da un umano per il tempo necessario a soggiogare mentalmente tutta la specie del povero aiutante fioraio, mentre diventava sufficientemente forte per trovarsi da sola da mangiare. Di mondi così ne aveva assoggettati a bizzeffe, senza troppe difficoltà, forse per questo era arrivata a trattare da subito Seymour come un essere tropo debole e incapace per contrastarla in forma adulta, ma evidentemente il legame che si era legato tra loro grazie al sangue che l’aveva a lungo tenuta in vita lo aveva protetto dalla sua influenza telepatica.
E, da non dimenticare, per la prima volta si era trovata di fronte al senso di colpa: i suoi precedenti padroni non avevano fatto troppe scene quando avevano capito che per ottenere un posto di riguardo nella loro società avrebbero dovuto nutrirla con i loro simili, ma Seymour alla fine si era ribellato, incapace di proseguire.
Era arrivato a sfidare lei, continuando a chiamarla con quel ridicolo e insulso nome terrestre, Audrey II, e a quanto pare stava anche vincendo. Pochi attimi rimanevano alla pianta venuta dallo spazio prima di soccombere, e non era certo il momento per lunghe digressioni introspettive, come aveva visto fare in certi cartoni animati sugli sport, in TV.
Con le sue ultime forze, Audrey II simulò la propria dipartita, imprecò come aveva subito imparato appena arrivata sulla Terra e lottò per salvare almeno un piccolo germoglio di se stessa, una minuscola talea che riuscì a separare dal suo enorme corpo vegetale. Lei poteva anche essere stata sconfitta, ma avrebbe avuto la sua vendetta. Sua figlia avrebbe pensato a Seymour, e si sarebbe presa una bella rivincita anche sulla bionda svampita di cui portavano il nome.
Vai e conquista, Audrey III, questo fu l’ultimo pensiero della pianta carnivora. E in quello che una volta era stato il negozio del signor Mushnik, cadde il silenzio.
Fuori, la Audrey originale attendeva, piena di terrore, pregando che il suo uomo riuscisse a vincere quella mostruosità che aveva tentato di mangiarla. Aveva temuto per il peggio quando il negozio era crollato, ma i suoi che provenivano dall’interno ora erano davvero incomprensibili!
Dall’improvviso silenzio, però, e dalla nuvola di polvere provocata da quello scontro epocale comparve lentamente una sagoma decisamente umana. Audrey controllò: sì, camminava su due gambe, anche se sembrava zoppicare, e non aveva liane o foglie da nessuna parte. Seymour!
Presto avrebbero trovato la tanto sognata casetta col giardino, si sarebbero sposati e tutti i suoi desideri sarebbero diventati realtà…
E mentre i due si allontanavano dal negozio distrutto, qualcosa tra i calcinacci si nascondeva, in attesa di essere abbastanza forte da allontanarsi da quel posto. Audrey III era pronta a vendicare la madre, consapevole del primo insegnamento ricevuto nella sua giovane vita: prima staccare la corrente elettrica, poi gustarsi fino in fondo la tanto sognata vittoria.

   
 
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