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Autore: Miriam85    07/06/2005    12 recensioni
E' un mio esperimento, dato che non ho mai scritto su questo manga che in ogni caso amo moltissimo! Beh, ditemi cosa ne pensate... I personaggi sono IC? E' da proseguire? Lasciatemi tutti i suggerimenti e consigli del mondo, non c'è di meglio per chi scrive ;)
Genere: Avventura, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cadde. Cadde sotto quel caldo sole estivo, su quella fine sabbia color oro, lambito dalle pigre onde della bassa marea. Le sentì avvicinarlo, inzupparlo, ritrarsi, in un infinito gioco che solo loro sembravano trovare divertente.
Quante volte era stato atterrato da un nemico? Ma non una, non una!, aveva rinunciato a rialzarsi, grondante sudore e sangue, per finire ciò che aveva cominciato; per finire chi l’aveva sfidato.
“Bastardo, cosa gli hai fatto?” Rufy, questo era Rufy, che parlava da un qualche mondo forse sconosciuto ma in ogni caso lontanissimo. Sì, la domanda era pertinente: cosa gli avevano fatto? Non perdeva sangue, non aveva neppure avuto l’occasione di attaccare. Solo una goccia di linfa scivolò dal collo, là dove il proiettile di cerbottana lo aveva colpito, causando un minuscolo foro.
“Questo era solo un avvertimento, ragazzo di gomma!”
L’uomo pesce ringhiò, divertito. Lo avevano sfidato per… per…? Non ricordava. Zoro si portò una mano alla fronte, confuso, mentre una nuova onda lo bagnava senza pietà. Forse era il caldo… i suoi sensi andavano offuscandosi, così come il cinico raziocinio che sempre aveva guidato pensieri ed azioni dell’uomo. Giaceva lì, semplicemente, faticando a ricordare il proprio nome.
E a soffrire il caldo. Era davvero terribile, quel sole, gli sembrava di essere in una fucina infernale, e ora i giochi d’acqua delle onde altro non erano che piacevole rinfresco; avrebbe voluto alzarsi, e tuffarsi per intero in quelle cristalline acque, ma non vi era un solo muscolo nel corpo che obbedisse alla sua volontà.
“Rufy, credo sia veleno.” Quella mano che gli aveva sfiorato delicatamente una guancia era fresca come la primavera, morbida come una pesca; un dolce refrigerio, che tentò di catturare tra le proprie dita, prima di accorgersi di aver perso ogni sensibilità alle mani. Ma cosa…?
“Brava ragazza, perspicace! E’ veleno, e l’antidoto è troppo lontano da lui, perché possiate sperare di salvarlo!” Una risata stridente riecheggiò nella mente confusa del pirata, oltremodo deluso perché quella gentile mano aveva smesso di tastare la sua pelle, allontanandosi senza rimorso.
“Io ti ammazzo!”
Rumori vaghi, passi di furiosi guerrieri che si allontanavano, inseguendo la sardonica preda.
“Sanji, Rufy… Non lo seguite! Potrebbe essere… Oh, che mi sgolo a fare?”
“Fammi vedere, Nami!” Ora era qualcosa di peloso che lo tastava, che cercava nel suo collo… avvertì una leggere punta di fastidio, mentre la piccola punta intrisa di veleno veniva estratta. “Dovrei analizzarlo, ma gli strumenti sono sulla nave…”
“Ti accompagno io.” Il familiare suono della loro piccola scialuppa trascinata sulla sabbia distorse le labbra di Zoro in un affaticato sorriso; quante avventure, quante a risate…
“Grazie Robin. Dobbiamo fare in fretta!”
“E io?”
“Tu stai con lui, Nami. Torno subito. Spero.”
Ed ecco la piccola barchetta che riprendeva il mare, le gentili onde che ne accarezzavano i legnosi fianchi, e due remi che affondavano nelle acque, cercando di guadagnare velocità. Avrebbe voluto essere lì sopra, e non in quel caldo infernale.

Nami scosse il capo, non sapendo se essere più preoccupata o arrabbiata con colui che giaceva miseramente innanzi a lei.
Zoro era una testa dura, cuore orgoglioso che muoveva un potente e apparentemente indistruttibile corpo, ma questa volta aveva proprio fatto i conti senza il proverbiale oste.
Appena si erano ritrovati davanti quel putrido e viscido uomo pesce, con il quale aveva in sospeso chissà quali questioni che la fanciulla aveva da subito rinunciato a capire, gli si era fiondato addosso, spade sguainate e urlo disumano; una creatura pronta ad uccidere che… che era stata fermata da uno stupido ago lanciato attraverso una cerbottana.
“Lo sai che sei proprio scemo?” In attesa del ritorno di Chopper, o di magari di quei due idioti che invece che soccorrere l’amico lo avevano abbandonato nel nome della vendetta, gli si sedette accanto, per nulla infastidita dal movimento del mare che ora bagnò anche le sue gambe. “Zoro?”
Già prima aveva allungato un braccio, poggiando la mano su quella pelle calda come una brace; qualunque cosa fosse, stava agendo in fretta. Forse troppo.
Era sempre stato così forte, così invincibile… lo aveva sempre visto proseguire ogni lotta, senza battere ciglio per le ferite ricevute; era sempre pronto a lanciarsi sul nemico, e molto spesso lo aveva fatto per salvare proprio lei.
Di nuovo la mano della fanciulla si mosse, indipendente da ogni razionalità: vederlo a terra, morente (perché sì, stava morendo, e questo l’avrebbe capito anche un imbecille), aveva mosso qualcosa dentro di lei, qualcosa che non seppe bene definire. Gli si avvicinò ulteriormente, ora seduta così vicino da poter avvertire l’irregolare movimento del torace, segno di una respirazione non proprio tranquilla.
Chopper, fa’ in fretta.

Di nuovo la mano era tornata su di lui, acqua nella gola dell’assetato, questa volta non più per un parere medico, ma per una semplice e incoraggiante carezza.
Nella confusione sensitiva e mentale, non poté fare a meno di avvertire quella misteriosa creatura farsi ancora più vicino al suo corpo, che avvertiva solo a tratti; la percepì mentre gli si sedeva così accanto da non poter evitare contatto tra le due pelli.
D’istinto, ma con uno sforzo che gli parve quasi impossibile da sopportare, cinse quella sottile vita con un braccio, assaporando il fragrante profumo che lo pervase.
Se quello era un angelo, e questa la morte, poteva sopportarla.

“Ma che fai?” Sbottò, non del tutto certa che lui la potesse udire; d’improvviso, senza destarsi da quel sonno malato, lui l’aveva stretta con un braccio, portandosela ancora più vicina, costringendola quasi a chinarsi sul suo volto.
Provò a ribellarsi, ma quei muscoli così scolpiti in lunghe giornate di allenamento si contrassero, irrigidendo la presa. Comprese subito di non avere speranza contro la sua forza, anche se dimezzata dal guaio in cui si era cacciato, e quindi si rilassò, pur non avendo la minima intenzione di approvare o godere di quella costretta vicinanza.
Non appena smise di opporsi, anche lui cessò di schiacciarla, e un sorriso di nuovo increspo le sottili labbra cotte dal sole. Ancora, Nami tentò di sfuggirgli, e di nuovo il suo arto si trasformò in una indistruttibile catena.
“Ho capito, va bene. Sto qui.” Ma lui non rispose.

Gli sembrava quasi di aleggiare nell’etere, sospinto da soffici nubi color notte, attaccato da mille spilli che, in stormo, lo punzecchiavano senza sosta; unico contatto con sé stesso, con la realtà, era la presenza di quelle carni accanto a lui, quelle carni che a volte tentavano di scivolare dalla sua presa, e che quindi era costretto a stringere, quasi con disperazione.
Poi, tutto mutò; avvertì di nuovo delle zampe pelose che armeggiavano con il suo braccio, e quindi nulla più.
  
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