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Autore: monochrome    18/10/2009    2 recensioni
Seconda classificata al 'Contest delle Sigle' indetto da hotaru.
~
Dove sei?
Ho l’impressione di essere passato davanti a questa tomba almeno cinque volte. Di te neanche l’ombra. Sono lacrime quelle che si mischiano alla pioggia.
Dove diavolo sei Nikolaos?
Nessuno ti ha vista sparire. Nessuno, che io sappia, ti ha mai vista.
Genere: Romantico, Commedia, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E qui c'è da dire qualcosa... E’ una fic strana questa. Non credo di aver sviluppato l’idea al meglio e il risultato complessivo non mi convince. Ho comunque mandato la fic per una sfida personale e sono contenta che sia stata apprezzata ^^ Ancora non ci credo che questa cosa si sia meritata un secondo posto *Q* *muore*
Spero che non dia fastidio il piccolissimo accenno all’incesto. Ho descritto i due fratelli, Schneizel, il padre di Axel, e Nikolaos con un aspetto molto diverso, così, chi vorrà, potrà immaginarseli fratelli adottivi. A vostra discrezione.
Passando alla lettura, la fic è un intreccio di ricordi (scrittura normale) e il presente (in corsivo). Ho provato a mettere quanti più dettagli e indizi possibili sulla vera natura di Nikolaos e spero sia chiaro il motivo del suo “trapasso”. Altrimenti ditemelo che provo a spiegare °A° Ora non ne ho voglia °A°
Detto questo, ultima noticina, le due citazioni a inizio e fine fic sono prese dalla canzone Endless Rain degli X-Japan.
Fatemi sapere cosa ne pensate ^^






» Vanishing before me;





The dream is over.
I can no longer hear the voice of your gentle words.

~

Cammino sotto la pioggia. A tratti corro. Non so quante volte sono stramazzato al suolo, con la milza in fiamme e il petto che si alzava e abbassava tanto velocemente che mi sorprende non sia andato in iperventilazione. I polmoni reclamano ossigeno, ma non ho tempo di fermarmi ancora. Sapendo che potresti essere qui da qualche parte, accanto a una qualsiasi di queste lapidi, non riesco a fermarmi. Continuo a correre, continuo a guardarmi intorno, incurante della pioggia che mi sferza il viso. Continuo per inerzia.
Quando non ti ho trovata accanto a me, al mio risveglio, sapevo che qualcosa non andava. Non ho voluto ammetterlo. Forse se avessi cominciato a cercati prima ti avrei già trovato. Forse ora ce ne staremmo stravaccati sul divano, io con un joystick in mano a giocare a Final Fantasy X e tu accanto a me a commentare su quanto Tidus somigli a Pikachu.
Ho pensato che potessi essere dove ci siamo incontrati la prima volta. Ho pensato che cercandoti in questo cimitero saresti comparsa dal nulla, come quella volta, due anni fa, scusandoti perché mi avevi lasciato. Però qui non ci sei. Dove sei?
Ho l’impressione di essere passato davanti a questa tomba almeno cinque volte. Di te neanche l’ombra. Sono lacrime quelle che si mischiano alla pioggia.
Dove diavolo sei Nikolaos?
Nessuno ti ha vista sparire. Nessuno, che io sappia, ti ha mai vista.

~

Avevo tentato di parlare, ma non era scaturito alcun suono. Avevo mosso labbra immaginarie, avevo prodotto parole inudibili. Ero muto spettatore, ero incorporeo. Avrei osato dire inesistente.
Avevo provato ad afferrarla, quella ragazza, in bilico oltre il parapetto del tetto. Era aggrappata spasmodicamente alla ringhiera. Il vento le frustrava i capelli accompagnandoli in una danza vorticosa e frenetica che aveva un non so che di affascinante.
Non volevo guardare, ma non riuscivo a fare altro. Ero ferro e lei la calamita. Nonostante provassi a distogliere lo sguardo, la mia attenzione tornava inesorabilmente sulla sua esile figura. Il suo ultimo volo sarebbe stato uno spettacolo raccapricciante da cui tuttavia non avrei potuto staccare gli occhi scuri. Non potevo spostare lo sguardo da Nikolaos.
«Nick»
Lei non sembrò affatto sorpresa nel sentire quella voce. Io lo ero per tutti e due.
I miei occhi saettarono sulla fonte di quel nome sussurrato, su quel ragazzo dagli abiti fuori moda, sui suoi capelli nerissimi, i tratti marcati e gli occhi scuri. Posai lo sguardo su un me stesso un po’ più alto, un po’ più muscoloso, un po’ più distaccato.
Tornai a guardare Nikolaos solo perché la sentii parlare.
«Non la sposare» Era una richiesta pura e semplice quella fuoriuscita dalle sue labbra disadorne di qualsiasi rossetto o lucidalabbra. Si era voltata, tenendosi saldamente ancorata al parapetto d’acciaio. Rivelò il suo viso a cuore, dotato di una serietà che non le apparteneva, gli occhi azzurri inondati di lacrime che non avrebbe pianto per puro orgoglio.
«Non la sposare» ripetè.
Io – il me stesso così strano, quella mia figura visibile – scossi la testa.
«Cosa vuoi ottenere Nick?» chiesi con voce atona. Non stavo facendo nulla per impedirle quel gesto. Mi chiesi come potessi essere tanto stupido.
«Dillo» Sentii la sua voce vacillare in una supplica che mi fece male.
Il mio alterego scosse la testa.
«Dì che mi ami come io amo te!» Le lacrime le sgorgarono dagli occhi, copiose e silenziose.
Non sopportai di vedere la mia figura, seppur strana, scuotere la testa, ancora. Non sopportai la vista di me stesso che le voltava le spalle. Non sopportai neppure quell’«Addio Nick» sussurrato con la mia voce. Non riuscii a sopportare la risposta di Nikolaos, un «Addio» pieno di un amore che non meritavo.
La guardai lasciarsi cadere con quel sorriso di rassegnazione contornato dalle ultime lacrime che stonava con la sua solare bellezza. Provai a sussurrare un «Mi dispiace», aspettando i claxon delle auto in strada e l’agghiacciante urlo di terrore di qualcuno. Non uscì alcun suono.
Forse non sarei riuscito a parlare nemmeno se fossi esistito.

Mi svegliai di soprassalto in un groviglio di lenzuola e coperte. Riuscito a districarmi con fatica, mi tirai su a sedere. La stanza era fiocamente illuminata dalla luce del sole che filtrava attraverso le finestre. Mi passai una mano fra i capelli, cercando di normalizzare il mio respiro.
«Non dirmi che alla tua età hai ancora bisogno che qualcuno ti tenga la mano mentre dormi per non avere incubi!»
Non aveva neanche finito la frase che mi ero voltato verso di lei, ancora sconvolto e forse un po’ arrabbiato. Se ne stava comodamente seduta sul divanetto bianco, le gambe accavallate fasciate dai suoi jeans a vita alta, la camicetta sbottonata e i boccoli biondi raccolti in una coda.
Le rivolsi un’occhiataccia di pura indignazione, lanciandole il cuscino, la prima cosa che mi era capitata sotto mano tra l’altro.
«Sta zitta Nikolaos!» sbottai.
La bionda scansò facilmente il cuscino, mandandolo a schiantarsi contro la precaria pila di CD che tenevo lì accanto. Il fracasso non fu nemmeno particolarmente assordante, contando che i miei cento e passa CD erano capitolati sul pavimento. Balzò in piedi fiondandosi sul mio letto.
Sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
«Quante volte ti ho detto di chiamarmi Nick?» si lamentò lei con finto tono acido, mettendo su un cruccio che era una barzelletta.
«Più o meno quante io ti ho detto che non devi entrare in camera mia mentre dormo!» soffiai in risposta. Lei ridacchiò, divertita.
Stavo per tirarle quel mattone che era il mio libro di chimica, lasciato sul comodino la sera prima, quando la porta di camera mia si spalancò rivelando la figura furente di mia madre.
Non avevo preso nulla da lei, se non la corporatura esile o forse le sue labbra carnose. Da quello che mi avevano detto, mio padre era stato identico a me. Io non me lo ricordavo.
Il suo sguardo saettò dal cuscino, ai CD sparsi sul pavimento, al mio braccio alzato.
«Perché diavolo lanci cuscini Axel Bergmann?!» sbraitò, portando con rabbia le mani sui fianchi.
Mi affrettai ad abbassare il braccio che brandiva “Chimica – progetto modulare” come un’arma di distruzione di massa.
Lanciai un’occhiataccia di rimprovero a Nikolaos, ma al suo posto trovai solamente aria inconsistente. Se ne era andata. Di nuovo. Dio solo sapeva come.

~

Credo che morirò. La mia milza esploderà ed io morirò.
Di te ancora non c’è traccia. Continuo a guardarmi intorno, analizzando ogni singola lapide che mi circonda, mentre riprendo fiato, stravaccato sull’erba bagnata.
Leggo i sottili e sciupati nomi incisi nelle lapide senza alcun interesse. Persone amate da qualcuno, altre completamente dimenticate.
Tento di alzarmi, avendo ormai vagamente regolarizzato il respiro. Non resisterei con le mani in mano un secondo di più. Nel farlo lo sguardo mi cade su un’altra lapide. Una come un’altra.
Marmo bianco, scritte incise.
E’ la foto a mozzarmi il respiro. Quegli occhi limpidi accesi di vitalità. I boccoli biondi che incorniciano le guance arrossate.

Nikolaos Bergmann
17-11-1971
24-06-1991
La tua caduta mi ha dato la libertà.
Schneizel Bergmann

~

«Apro?»
«Apri» ordinò lei con voce flebile. Probabilmente era addirittura più ansiosa di me. Si mordeva violentemente il labbro inferiore, risaltato dal lucidalabbra. Aveva incrociato le dita della mano destra, mentre sentivo la lieve stretta della sua mancina sulla mia.
Aprii la bustona bianca timbrata Yale, ma non appena infilai dentro la mia mano, lei mi chiamò allarmata. Se si fosse torturata il labbro con appena un po’ più di foga, avrebbe cominciato a sanguinare.
La guardai interrogativo, ma scosse la testa. Era agitata. Nemmeno fosse stata lei ad aver fatto la domanda di ammissione.
«Posso?» chiesi, leggermente perplesso di fronte a tanta ansia e… colpevolezza? Mi convinsi di star delirando. Perché avrebbe dovuto essere colpevole? E di cosa poi?
Nikolaos annuì ed io tirai fuori quel foglio, il timbro stampato che faceva bella mostra di sé e la lettera che seguiva sotto.
Non lessi ad alta voce e la biondina accanto a me cominciò a torturarsi le mani, oltre che la bocca. «Allora?» chiese, con voce titubante.
Io sbuffai, in un misto di rabbia e frustrazione.
«Ritenta. Sarai più fortunato…» sbottai, accartocciando la lettera e buttandomi sul letto a peso morto. Lei non mi guardò negli occhi. Si sedette silenziosamente al mio fianco.
«Oh» disse soltanto. Non una parola in più.
Accidenti che originalità…
Scossi la testa. Prendermela con lei non sarebbe servito a nulla.
«Beh? Che mi importa? Sono stato accettato ad Harvard dopotutto. E’ un po’ più lontano… e non è Yale, ma credo di potermi accontentare.» Se questo avesse dovuto convincerla che non me l’ero presa, sicuramente non aveva funzionato. Si agitò ancora di più.
«Più lontano?!» soffiò in protesta.
Io aggrottai le sopracciglia, confuso dalla situazione. C’era qualcosa che mi stava sfuggendo… «Mica colpa mia» borbottai, decisamente perplesso.
Nikolaos balzò in piedi, cominciando a gesticolare animatamente in un impeto di panico e offesa. Avevo decisamente perso qualche pezzo.
«Credevo che se non ti avessero accettato a Yale saresti rimasto qui!» strillò arrabbiata «Con me!» Trattenni a stento una risata. Lei lo intuì e mi guardò malissimo.
«Nikolaos, devo andarci all’università!» esclamai, tentando di farla ragionare e venire a capo dei suoi pensieri contorti.
Lei gonfiò le guance, mettendo il broncio come una bambina. Incrociò le braccia al petto, distogliendo lo sguardo, trovando stranamente interessanti le venature del parquet di camera mia. «E invece no!» bofonchiò a bassa voce, quasi avesse paura di essere sentita. «Altrimenti mi rimpiazzerai e piano piano ti scorderai di me…»
Le rivolsi un sorriso che sperai fosse rassicurante, ma si era messa in testa di non guardarmi. Quindi mi alzai per avvicinarmi a lei, in piedi in mezzo alla stanza. Le presi il mento con la man dritta, costringendola a girarsi e guardarmi negli occhi.
Le carezzai lievemente una guancia non appena notai le sue iridi azzurre piene della paura di rimanere sola.
«Nick, credimi, non potrei mai scordarmi di te.» cercai di convincerla, divertito da quella situazione, ma cercando di non darlo a vedere. Non riuscii però a trattenere quel piccolo ghigno che le fece alzare gli occhi al cielo. Non si era resa conto che l’avevo chiamata col soprannome che mi pregava di usare da anni.
«E non potrei rimpiazzarti nemmeno volendo» continuai, convinto. La bionda inarcò un sopracciglio, scettica. «Insomma» ripresi, trasformando quel ghigno in un sorriso vero e proprio «dove la trovo una bionda egoista, infantile e rompiscatole quanto te?»
Se avesse potuto, Nikolaos mi avrebbe dato fuoco con quell’occhiataccia.
Io non smisi di ridere. «E poi Yale sarebbe stata a tre chilometri da qui!» osservai infine.
Vidi il suo sguardo accendersi, fiducioso.
«Non ti trasferisci, quindi?» mi chiese, tentando di camuffare quella speranza con pessimi risultati. «Non lo avrei fatto» asserii «Ma fare il pendolare da New Heaven ad Harvard sarebbe allucinante!»
Mi rivolse un sorrisetto trionfante.
«Quindi tornerai qui tutte le sere, staremo insieme e non mi dimenticherai in questo buco!» esclamò, gli occhi pieni di felicità e la voce entusiasta.
«Ti ho appena detto che-» mi interruppi, cominciando a ricomporre i pezzi. La rimproverai con lo sguardo. «C’è qualcosa che devi dirmi, Nikolaos?»
Mi rivolse un sorrisetto angelico, la tipica espressione di un bambino colto a fregare un biscotto dalla credenza.
«Darti direi. Già, devo proprio darti una cosa…» rispose candidamente, prima di fiondarsi verso l’armadio. Si alzò sulle punte, arrivando a toccare la cima per un pelo. Tirò giù una busta bianca come la precedente.
Le lanciai un’occhiataccia mentre me la porgeva. Studiai il marchio di Yale, prima di aprirla con foga. Non appena tirai fuori il foglio, cominciai a leggere.
«Allora?» mi chiese Nikolaos con un tono fiducioso completamente diverso da quello usato solo cinque minuti prima.
Sorrisi. «Una vera sfortuna non avere una scusa per fuggire lontano da te!»
Tentò di colpirmi, ma le bloccai i polsi in una stretta gentile.
«Non sono così insopportabile!» si lamentò, seppur con una nota di divertimento.
Io risi di cuore, soddisfatto e leggero come non mai. L’abbracciai di slancio, mosso dalla felicità, ma mi ritrovai a stringere aria inconsistente. Mi guardai intorno, stordito e confuso.
La trovai seduta sul divanetto, un sorriso smagliante e le gambe accavallate.
«Come diavolo…?» mormorai, senza capire.
«Magia!» sussurrò con quel sorriso a incresparle le labbra, ma che non raggiungeva affatto gli occhi. Aveva sempre avuto il vizio di nascondere la propria tristezza.

~

«Mamma»
Sono tornato a casa, completamente fradicio fuori, completamente vuoto dentro.
Mia madre mi corre incontro, allarmata. Mi sembra così tremendamente sbagliata. Non è lei che voglio vedere. Non è lei che voglio abbracciare. I suoi capelli lisci e scuri sono sbagliati. Anche la sua voce così anonima è sbagliata.

La tua caduta mi ha donato la libertà.
Schneizel Bergmann.
«Mio Dio Axel! Sei impazzito?! Uscire con questo tempo!» strilla, squadrando preoccupata i miei vestiti intrisi di goccioline che si riversavano sul marmo dell’ingresso.
Sta per sparire dietro alla porta del bagno, per prendermi un asciugamano presumo, ma qualcosa nella mia voce la blocca. Quel qualcosa che la sconcerta. «Mamma…» Suona così atona? Riesce ad esprimere tutto il vuoto che sento dentro? «Chi era Nikolaos Bergmann?»
Forse è la domanda che la spinge a guardarmi come se non mi avesse mai visto. Tenta di nascondermi la sorpresa e il turbamento che questa semplice frase le ha procurato. Si rifugia nel bagno. La sento aprire qualche cassetto, ma non riesco a muovermi di un millimetro.
«Era tua zia, la sorellina di tuo padre. E’ morta prima che ci sposassimo» mi parla attraverso la porta, nascondendo qualsiasi cosa nella sua voce. Aveva messo più sentimento il giorno prima, parlando del tempo.
Riemerge dal bagno con un asciugamano. Me lo porge, ma non ho la forza –e nemmeno l’intenzione- di prenderlo.
«Come?» riesco soltanto a sussurrarlo.
Sento che qualcosa sta scricchiolando dentro di me. La risposta di mia madre manda quel qualcosa definitivamente in pezzi. «Suicidio.» Distoglie lo sguardo pur di non incontrare i miei occhi castani che si stanno riempiendo di… cosa? Orrore, tristezza, rammarico, comprensione. Non riesco nemmeno a piangere. «Nessuno ha mai saputo perché…»

La tua caduta mi ha dato la libertà.
Schneizel Bergmann.

~

Alzò gli occhi al cielo, esasperata.
«Insomma, non puoi metterci tanto ad elaborare un obbligo!» proruppe, incrociando le braccia al petto e guardandomi storto.
Le restituii la stessa identica occhiata. «Deve essere diabolica» risposi, pacatamente, cosa che la fece sbuffare d’insofferenza. «In questo modo ti pentirai di avermi costretto in questo gioco da ragazzine e anche di non aver risposto alla mia domanda.»
Non diedi peso al suo borbottio di risposta. Tanto ero convinto che il senso fosse il «Capirai che domanda! Chiedermi di indovinare che tempo farà domani sarebbe stato più divertente!» che mi aveva rivolto solo cinque minuti prima.
Avevo deciso di mettere da parte il mio orgoglio di uomo per quella sera e accontentarla in uno dei suoi passatempi da tredicenne, solo per vederla vagamente felice. Il sorriso amaro che aveva vestito qualche giorno prima nel mio sogno non mi aveva abbandonato nemmeno un secondo.
Inoltre, c’erano domande a cui avrei voluto trovare risposta, ma al momento in cui lei aveva pronunciato «Verità» con tanta enfasi, la mia determinazione –oltre che il mio cervello- era andata a farsi benedire e mi ero ritrovato a chiedere «Credi negli alieni?» come un cretino. Non la biasimavo per non avermi risparmiato nemmeno una delle sue frecciatine.
«Potresti… imitare tutti i personaggi principali del Mago di Oz.» buttai lì all’improvviso, sovrastando il brontolio di Nikolaos.
Mi guardò sconvolta per un paio di secondi, nei quali mi illusi di aver avuto un’idea, se non brillante, almeno vagamente decente.
Le mie speranze evaporarono come una gocciolina d’acqua nel deserto quando sussurrò incredula un «Ci rinuncio…».
Si passò una mano fra i boccoli biondi, chiaramente disperata dalla mia inettitudine. Mi chiesi se avrei dovuto scusarmi per non essere una tredicenne ai primi passi con uomini e trucchi, ma che comunque ne sapeva molto più di me riguardo quel gioco chiamato «Obbligo o Verità». Mi chiesi anche se non avessi dovuto passare i miei pomeriggi a guardarmi Gossip Girl o quelle cose là, invece che drogarmi di playstation.
«Provo a cercane un’altra?» chiesi, sull’orlo di una crisi. Altri cinque minuti del suo shock più completo davanti alla mia “ignoranza” e avrei cominciato ad urlare come una donnicciola isterica. Forse quello era il primo passo verso la comprensione dell’universo femminile, chissà.
Scosse la testa, rivolgendomi un sorriso divertito.
La guardai malissimo. Oltre che umiliarmi, mi prendeva anche in giro.
«Me la trovo da sola la penitenza»
Una sola occhiata al mio broncio e scoppiò a ridere. Non trovai nulla lì intorno a noi, sul pavimento, che potesse vagamente assomigliare ad un’arma, quindi mi limitai a trasmetterle minacce inespresse con lo sguardo.
«Scusa» tentò, una volta ripreso fiato, senza aver perso il suo sorriso. Almeno quello mi impediva di pensare al mio sogno. «Sei davvero senza speranza!»
Se fossi stato un gatto, probabilmente le avrei soffiato. Mi fece cenno di avvicinarmi, ma non l’accontentai. Incrociai le braccia al petto e sbuffai.
Nikolaos non perse il sorriso. Gattonò nella mia direzione per inginocchiarsi accanto a me. Mi accarezzò una guancia, un tocco lieve che mi diede i brividi, costringendomi poi a voltarmi nella sua direzione. Era pericolosamente vicina. Sentii il cuore perdere qualche battito, così come io mi ero completamente perso nei suoi occhi, di un colore tanto bello da fare male.
«La mia penitenza per non aver risposto alla tua particolarissima domanda» sussurrò sulle mie labbra, prima di ridurre la distanza che c’era fra noi.
Non ebbi il tempo di sbattere le ciglia, che mi aveva incatenato in un bacio casto, che avevo sempre sognato, in cui non avevo mai sperato.
Chiusi gli occhi per assaggiare le sue labbra, dal sapore di ciliegia tremendamente lieve. Si muoveva tanto leggera sulla mia bocca, da sembrare inconsistente.
Portai una mano ai suoi capelli, giocandoci un po’, trovandoli setosi e senza peso, mentre approfondivo il bacio, bramoso di quel contatto.
Si ritrasse poco dopo, lasciandomi stordito. Il suo volto si aprì in un sorriso.
«E’ abbastanza?» chiese, candidamente. Avrei tanto voluto risponderle che no, non era abbastanza, che non avrebbe dovuto interrompere quel bacio, che avevo ancora voglia delle sue labbra.
Invece sbuffai, divertito.
«Più che per te, la penitenza era per me.» borbottai imbarazzato. Nascondermi in quel modo era molto più semplice e lei avrebbe capito comunque.
Mi rivolse un occhiata scettica, prima di alzarsi e invitarmi a fare altrettanto. «E’ l’una passata. Domani non hai un esame?»
Saettai in piedi ad occhi sbarrati. «Merda!» imprecai. Tirai fuori il cellulare dalla tasca per controllare l’ora. La dicitura 1.18 lampeggiava allegramente sullo sfondo bianco, quasi a volermi sfottere. Emisi un mugolio di insofferenza senza rendermene conto, mentre mi davo mentalmente dell’idiota. «Potevi anche dirmelo prima!» mi lamentai, avviandomi a passo spedito verso camera mia.
Lei mi seguì, senza un’emozione apparente. I suoi passi erano assolutamente silenziosi, rispetto ai miei, pesanti e affrettati.
Non appena mi fui precipitato all’interno della stanza, mi lasciai cadere a peso morto sul letto, alla sinistra della porta. Non mi misi nemmeno il pigiama. Non ne avevo tempo. Già in quel modo avrei dormito solo cinque ore, o forse nemmeno quelle, visto che da giorni non chiudevo occhio pensando a Nikolaos.
La bionda in questione mi raggiunse con tutta la tranquillità del mondo. Si stese su un fianco accanto a me, silenziosamente, guardandomi con l’aria di voler sapere ad ogni costo qualcosa, ma non avendo il coraggio di dirlo. Avevo riconosciuto quell’espressione nonostante la luce spenta.
«Chiedimi pure Nikolaos» dissi, chiudendo gli occhi e provando ad appisolarmi. La sua mano sul mio petto non aiutava affatto.
La sentii indugiare, ancora indecisa. «Obbligo o verità?» domandò timidamente. Io non riuscii a trattenere un sorriso esasperato.
«Ancora?»
Non sentii risposta, ma seppi per certo che aveva annuito.
«Verità, sono troppo concentrato ad addormentarmi per essere obbligato a fare qualcosa» risposi. Niente da fare, non avrei dormito nemmeno quella notte.
«Dicevi sul serio, ieri, quando mi hai promesso di non dimenticarmi?» Lo aveva detto con voce flebile e bassa ed ero pronto a scommettere che avesse distolto lo sguardo verso il soffitto, mentre si mordicchiava il labbro.
«Non ricordo di aver promesso» asserii, sorridendo. Non le diedi il tempo di lamentarsi di nulla. «Ma posso farlo ora. Non ti dimenticherò.»
Sospirai, cominciando a sentire un’effettiva stanchezza. Chissà, magari un paio d’ore sarei riuscito a dormire. «Credo di essermi innamorato di te, Nick»
Tre, due, uno… aspettai che scoppiasse la bomba, che si ritraesse e mi dicesse che era lusingata ma non ricambiava i miei sentimenti. Invece trattenne il respiro, artigliandomi la maglia con le dita sottili, quasi a volermi impedire di andare via.
Posò le sue labbra leggere sulla mia guancia. Come risposta mi bastava.
Mi parve di sentire un «Anch’io fratellone», mentre svaniva il tocco della sua mano sul mio petto, ma mi costrinsi ad ammettere che me l’ero immaginato.
Poi fu soltanto luce, nonostante gli occhi chiusi.

~

Days of joy, days of sadness slowly pass me by
As I try to hold you, you are vanishing before me
You're just an illusion...













Giudizi:
2° Classificata al Contest delle Sigle

Frase scelta: “Nessuno l’ha vista sparire la stella che un giorno ritroverò...”
Grammatica e lessico: 9.5
Stile: 8.5
Originalità: 9
Trattazione dei personaggi: 8.5
Trattazione della frase: 9
Giudizio personale: 4
Totale: 48.5

La grammatica è molto buona, eccezion fatta per qualche svista di poca importanza. Anche lo stile, così sospeso tra passato e presente, è ben calibrato, sebbene in qualche punto risulti un po’ confuso. Riconosco che la struttura della storia stessa lo richieda, e trovo bello che il lettore riunisca i tasselli man mano che avanti… comunque si potevano rendere le cose un po’ più chiare e comprensibili, a mio parere.
La storia ha dell’incesto, è vero. Però ruota tutto attorno a questa ragazzina particolare, questa Nikolaos che sembra avere qualche strana vena di follia. Un personaggio molto interessante, che sarebbe stato bello approfondire ulteriormente, come anche il personaggio di Axel. Molto bello questo senso del “circolo vizioso”, di questa “cosa” che unisce padre e figlio malgrado non abbiano avuto molti contatti, quasi come un’eredità. Per questo trovo la tua storia molto originale, tanto che sarebbe stato interessante allungarla un po’.
Anche la trattazione della frase è originale ed interessante… molto libera, ma quando ho indetto il contest volevo vedere se qualcuno sarebbe riuscito ad estrapolare più di un significato dalla stessa manciata di parole. E ne sono molto soddisfatta, quindi complimenti!
   
 
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