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Autore: Glance    20/10/2009    19 recensioni
Gli eventi entrano nella nostra vita prepotenti cambiandola alle volte in maniera sconvolgente. La guerra è uno di questi, dove la dimensione della realtà viene distorta dando a tutto una veste irreale come se si guardasse attraverso una lente. Si perde di vista il senso di tutto,si riesce a fare a meno di quello che prima era necessario con una sorta di fatalismo che da al tempo un ritmo nuovo inaspettatamente sconosciuto. Nessuno conosce il proprio futuro. Il destino, avidamente cela i suoi disegni e nel suo gioco di numeri interseca rette. A noi è concessa l’aspettativa di grandi cose migliori certamente di quelle che abbiamo. Alcuni dicono che nulla è scritto e siamo noi a determinare il futuro con le nostre azioni. Il tempo che passa non sa lenire le ferite che continuano a sanguinare anche se pudicamente si tenta di tenerle nascoste. Occhi attenti sanno scrutare il dolore che l’anima cerca di celare. Succede però che anche nel buio più profondo si accenda all’improvviso una luce e una mano si tenda in aiuto. Allora, che le parole sgorgano spontanee bagnandosi di lacrime che si credeva perdute per sempre nell’indurimento di un cuore a cui si era rinunciato perché il dolore era troppo grande da sopportare. Siamo l’ineluttabilità del tempo che passa e lascia dietro di se una scia di momenti , istanti che non sempre riusciamo a fotografare , ma che sono la parte più preziosa la dimensione che quasi mai assaporiamo perché il resto ci travolge con l’enormità dei suoi avvenimenti. Eppure gli attimi che fuggono non ci abbandonano mai salutandoci da lontano, passano tra un battito di ciglia e del nostro cuore. Giorno dopo giorno nella somma di istanti che fanno la vita. Un mondo minuscolo che da senso alla nostra esistenza. Fatto di piccole cose che condividiamo con chi incontriamo sul nostro cammino e a cui chiediamo aiuto per ricordare. In questa storia i personaggi sono tutti umani pur mantenendo i loro caratteri ad eccezioni dei loro poteri e sono presi in prestito dalla superlativa Stephenie Meyer a cui va ogni esclusiva e diritto. Siamo nel 1918 mentre in Europa imperversa la Prima Guerra Mondiale. Bella è invitata al fidanzamento della sua migliore amica non che vicina di casa e compagna di scuola: Alice Masen. Ci saranno tutti i personaggi Edward in primo piano ed anche quelli solo accennati nei libri o marginali che comunque ricopriranno dei ruoli diversi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Eccoci giunti alla fine di questa storia. Vi confesso che un po’ mi dispiace, perché è stato bello fare questo viaggio in un mondo lontano.
Però per tutto deve esserci una fine, mi auguro solo che sia di vostro gradimento e possiate apprezzarla come avete fatto per il resto.
Colgo l’occasione per ringraziare tutti quelli che mi hanno seguito e preferito e soprattutto la mia infinita riconoscenza a chi con i propri commenti ha dato nuovi impulsi per proseguire.
Sono grata di aver saputo da tutte voi che quello che ho raccontato ha avuto un suo valore e destato interesse ed emozioni.
Spero di avervi fatto buona compagnia facendovi provare delle emozioni con questi personaggi che la sapiente penna di Stephanie Meyer ha voluto regalarci.
Vi ringrazio ancora di cuore e spero di ritrovarvi tutte qui con le prossime storie che verranno.
Grazie di tutto, un bacio e a presto. Glance








“ Io ci sarò Bella, sentirai il mio respiro su di te, mi sentirai accanto ovunque sarai. Tutto questo passerà, ma il mio amore quello è e sarà sempre con te e mi riporterà a casa, te lo prometto amore mio.”
Quella frase, quelle parole che mi aveva lasciato sulle labbra insieme al suo ultimo bacio prima di partire, mi urlavano nella testa.
- Lo hai promesso!- ripetevo tra le lacrime.
Ero consapevole della mia reazione completamente irrazionale all’incidente occorso al piccolo pettirosso, ma non potevo impedirmi di vedere in lui un presagio.
Giaceva tra le mie mani immobile con il capo reclinato da un lato gli occhi chiusi e quella macchia rossa in mezzo al petto.
Lo portai vicino al viso cercando di scaldarlo con il mio respiro, ma i singhiozzi me lo impedirono.
- Edward!- Continuavo a ripetere disperata.
Tenendolo tra le mani e non sapendo che fare scesi in cucina.
- Signora cosa succede.- Mi domandò Emma.- Sembra che abbiate visto un fantasma. Venite sedetevi… vi do un bicchiere d’acqua.- Non riuscivo ne a parlare ne a muovermi solo piangere calde lacrime di disperazione. Emma non si accorse subito di cosa tenevo tra le mani, troppo presa dalla preoccupazione nei miei confronti.
Quando si voltò e mi raggiunse porgendomi il bicchiere notò il piccolo animale che giaceva tra i miei palmi.
- Cosa tenete lì signora?- Non riuscendo a parlare glielo porsi.
- State piangendo in questo modo per… questa povera bestiola?- Mi domandò, con uno sguardo tenero.
- E’… morto?- Fu l’unica parola che riuscii a pronunciare. La vidi sorridere e farsi vicina.
- Lasciatemi vedere. Date qua.- Con delicatezza e cercando di trattenere il tremore che si era impossessato di tutto il mio corpo adagiai il pettirosso nelle mani di Emma. La vidi esaminarlo e dopo quelli che mi sembrarono attimi interminabili, corrugare la fronte e poi sorridere.
- Non è morto, signora, ma dove lo avete trovato? Forse il troppo freddo lo ha…non vi disperate ora lo scalderemo e vedrete che…- Non la lasciai finire e con la voce soffocata dissi in un sibilo.
- Ho paura che sia un segno …- Emma mi scrutò.
- Cosa dite signora? Quale segno?- La guardai vitrea.
- Un… presagio…Edward.- La vidi diventare immediatamente seria e silenziosa.
- Non pensatelo nemmeno, non dovete.- Disse severa.- Succede alle volte che queste piccole creature del cielo con il freddo …- Mi portai una mano alla bocca, incapace di contenere la disperazione.
- E’ venuto a sbattere sul mio specchio, quando ho aperto la finestra della mia camera…-Vidi lo stupore sul suo viso, ma non volle allarmarmi e decise di mantenere un tono materno.
- Ma cosa andate a pensare, signora? Sono sicura che non significa nulla. Siete solo scossa e preoccupata. Forse è meglio che vi prepari una tisana.- La guardai, nonostante apprezzassi il suo sforzo le sue parole non riuscivano a calmarmi.
Non volevo che Alice mi vedesse in quello stato, l’avrei allarmata ed angosciata inutilmente. Decisi di rimandare il nostro incontro.
Le mandai un biglietto dicendole che non mi sentivo bene e che faceva meglio a non passare perché temevo di aver preso qualche malanno di stagione.
Conoscevo Alice: se mi avesse vista avrebbe intuito immediatamente il mio tormento e avrei finito col raccontarle la mia angoscia.
Emma aveva insistito perché ritornassi a letto. Bevvi la tisana e ripresi sonno.
Sognai Edward, per tutto il tempo. Non facevo altro che cercare di raggiungerlo mentre giaceva immobile tra un groviglio di rovi. Tentavo di liberarlo, ferendomi a mia volta e non riuscendo a capire se il sangue che gli vedevo addosso fosse il mio o il suo.
Cercavo di urlare il suo nome per svegliarlo, ma dalla mia bocca non riusciva ad uscire nessun suono. Quando mi svegliai ero distrutta.
Quella giornata passò come qualcosa di irreale, non riuscivo a togliermi dal cuore quel peso.
L’angoscia dell’attesa di sue notizie mi logorava, i giorni continuavano a passare inesorabili. Fino a quando, un pomeriggio, di ritorno da una visita a casa di zia Esme, trovai Emma ad aspettarmi.
-Signora hanno portato questo subito dopo che eravate uscita.
Lo riconobbi immediatamente: non era il solito telegramma, era uno di quelli che annunciavano una tragedia.
Senza riuscire a distinguere più i contorni di ciò che avevo intorno, senza riuscire a respirare, con il cuore fermo in un unico lungo immobile battito, senza sapere più cosa fossi e dove, avvertii appena nella mia mano la sensazione della carta.
“ Siamo spiacenti di comunicare che il capitano Edward Anthony Masen risulta disperso durante una missione di ricognizione nel sud della Francia. Comando generale del….”, ma non riuscii più a leggere oltre.
Edward, il mio Edward, era disperso. Sentii vacillare il terreno sotto i miei piedi e tutto si spense divenendo buio, irrealmente silenzioso e freddo. Tanto freddo.
Fu necessario un giorno intero prima che riuscissi a riemergere dal terrore che si era impossessato di me ad avvisare lo zio di quello che stava succedendo facendomi accompagnare da Billy al suo ospedale non volevo che nessuno sapesse, non potevo gettare nello sconforto Elisabeth, Alice nel suo stato e zia Esme ancora tanto provata.
Ero disperata, non ero riuscita neanche a parlare con i miei genitori.
Piansi per tutto il tragitto.
- Cosa succede Bella, come mai sei qui.- Mi buttai singhiozzando tra le sue braccia e gli porsi il telegramma. Lo lesse e cercò di consolarmi.
- Bella qui dice che è disperso non necessariamente vuol dire che sia…- Sperai non finisse la frase. Non riuscivo neanche ad immaginare quella parola per definire Edward.- Insomma non è detto mia cara che sia successo il peggio. Auguriamoci che sia sano e salvo nascosto da qualche parte.- Lo zio mi fece sedere e poi rivolse il suo sguardo a Blly. Notai che non aveva pronunciato neanche una parola.
- Billy va tutto bene?.- Chiese zio Carlisle.
Billy era sempre stato un uomo di poche parole e dall’aspetto fiero, ma ad un tratto sembrò fragilissimo come vetro.
- Jacob…- Disse piano,- anche lui risulta disperso.- Cominciai a tremare nuovamente. Ne avevo la conferma era vero era tutto vero stava capitando a me, a noi. L’ombra lunga della disperazione si stava abbattendo su tutto ciò che conoscevo e faceva parte del mio mondo. Non avrebbe risparmiato niente e sentii la disperazione e il vuoto erano tornati. Cosa stava accadendo nella mia vita? Sembrava che tutto si stesse sgretolando, si frantumasse ogni certezza, ogni punto fermo. Tutto quello che conoscevo e amavo stava per sfuggirmi via dalle mani.
Amore, amicizia. Cosa ne era di tutta la magia e le speranze che avevano albergato nel mio cuore solo qualche tempo prima?



***************************************************************************


A tratti riemergevo dal mio buio. Il collo continuava a farmi male, quando cercavo di parlare il dolore era tale da farmi perdere i sensi.
La voce di qualcuno di familiare mi faceva compagnia e mi incitava a non mollare.
Il viso di Bella non mi abbandonava un istante. Non potevo venire meno alla promessa che le avevo fatto. Dovevo tornare da lei, l’avrei uccisa altrimenti.
Non so quanto andai avanti in quello stato.
Quando la mente si liberava dal torpore cercavo di comprendere dove fossi. Facevo fatica a capire, l’ultimo ricordo mi vedeva in volo con Jacob, poi qualcosa mi aveva colpito. Dopo ricordavo l’atterraggio e poi più nulla, il buio.
Avevo avuto l’impressione di essere stato sollevato da due braccia forti, ma non ero sicuro delle mie percezioni. Sentivo freddo e mi doleva ovunque: avevo sete.
La testa mi girava e sentivo uno strano ronzio. Ad un tratto fu come se il fuoco mi incendiasse la ferita e nell’incoscienza istintivamente cercai di ripararla con la mano ma qualche cosa me lo impedì, una stretta salda. Continuavo a sentire la voce lontana e familiare.
- Non muoverti Edward- diceva- devi cercare di resistere.- Ma non riuscivo a mettere a fuoco a chi appartenesse.
Poi nuovamente buio e freddo, tanto freddo ovunque che mi immobilizzava, togliendomi ogni barlume di forza.
Dopo questi ricordi frammentari e rarefatti solo il buio di una lunga notte popolata da incubi da cui non riuscivo ad allontanarmi ed emergere.
Non saprei dire quanti giorni, ore, o settimane passai in quello stato, quando ad un certo momento tra tutta quella nebbia e quel buio mi arrivarono le parole di qualcuno che si stava esprimendo con un forte accento francese. Stava domandando qualcosa. Cercai di aprire gli occhi, ma le mie palpebre sembravano di piombo.
Con uno sforzo riuscii ad aprirle e finalmente mettere a fuoco.
Vidi Jacob affiancato da un uomo di mezza età.
-Finalmente si è svegliato- disse.
Cercai di parlare ma il dolore mi stordì. - Non parlare Edward o rischi di aprire la ferita.- Lo guardai mentre l’altro uomo mi metteva una mano sulla fronte.
- Sembra che la febbre sia scesa. – disse quello che capii essere un medico francese. Io rivolsi lo sguardo verso Jacob.
- Siamo stati attaccati Edward – disse come se avesse letto le mille domande che mi vorticavano nella mente - e tu sei rimasto ferito, ma sei riuscito a metterci in salvo. Poi io ho cercato di tamponare la ferita come ho potuto. Ti ho tirato fuori dall’aereo e tu dopo hai perso i sensi. Ho cercato di allontanarci il più possibile eravamo proprio in mezzo alla linea di fuoco nemica.- Lo sentivo parlare, ma io non ricordavo nulla.- Siamo stati fortunati, abbiamo incontrato il dottor Fournier. Sai sua madre era inglese e…- Non ero sicuro di comprendere tutto quello che diceva. Mi spiegò che eravamo stati aiutati da questo medico di un piccolo paesino nella campagna francese, che la mia ferita era seria e che aveva temuto non ce l’avessi fatta. Bloccare l’emorragia era stato difficile, ma adesso ero fuori pericolo.
Gli feci cenno di darmi qualcosa per scrivere, volevo sapere da quanto eravamo lì.
Erano dieci giorni.
Il mio pensiero andò a Bella, sperai che il mio comando non mi avesse dato per disperso, perché questo voleva dire un altro duro colpo per lei.
“Al campo sanno che siamo vivi?”Scrissi sul foglio che Jacob mi aveva porto.
Mi rispose di no e il mio cuore si fermò.
Dovevamo trovare il modo di avvisare che non ero morto.
Bisognava farlo prima che la notizia arrivasse a Bella. Passarono diversi giorni prima che riuscissimo a raggiungere il nostro ospedale da campo che avrebbe provveduto ad avvisare il mio comando. Le conoscenze del dottor Fournier furono provvidenziali.
Bella avrebbe potuto allontanare dal cuore quel dolore.
Conoscevo mia moglie ormai e sicuramente quest’ultimo periodo doveva averla provata in maniera indicibile , mi auguravo solo che avrebbe potuto superare tutto al più presto.
Con una ferita come la mia per me la guerra finiva lì.
Fu il mio comandante a darmene notizia venuto personalmente a sincerarsi del mio stato di salute.
- E’ stato un onore avervi conosciuto capitano mi disse stringendomi la mano. Il vostro valore e la vostra tempra morale non li dimenticherò facilmente. Potete fare ritorno a casa nell’ assoluta convinzione di avere dato il meglio di voi senza risparmiarvi mai. Siete e sarete un esempio per tutti noi. Tornate e casa da vostra moglie Edward e siate felice ve lo meritate, figliolo.- Ci salutammo.
Sarei partito dopo qualche giorno, per me quel capitolo si concludeva lì, dove avrei scritto la parola fine.
Sarei tornato a casa, alla mia vita e non riuscivo ancora a crederlo. Tanti miei compagni, amici perduti troppo presto sarebbero rimasti lì per sempre, sepolti da una terra che non li conosceva. Scomparsi, strappati ai loro affetti, sarebbero stati il mio ricordo indelebile. Il tempo avrebbe guarito ferite, allontanato la paura e diluito l’orrore, ma la guerra aveva portato via con se spensieratezza, gioventù, ingenuità.
Le nostre mani erano macchiate del sangue di nostri simili che avevamo chiamato nemici.
Li vedevamo come macchie scure, distanti e indistinti che cadevano sotto i nostri colpi.
Sagome di pupazzi di pezza che sobbalzavano sotto i colpi dei nostri fucili.
Ma non erano sagome, non erano bambole di stoffa.
Dentro quelle uniformi diverse dalle nostre, ma così simili, c’erano ragazzi come noi. Con sogni, speranze, ambizioni e amori che li aspettavano a casa.
Avevano occhi e braccia e gambe e cuori che battevano e bocche che sapevano ridere e piangere: come noi.
Lo sapevo, lo avevo visto. Il pianto, il lamento di chi soffre non ha nazionalità. Il dolore ci accomuna tutti sotto un’unica identità.
Tornavo a casa, anche per chi non ce l’aveva fatta.
Tornavo, con il ricordo di tutti loro, amici e nemici, impresso a fuoco e dolente come la mia ferita. Si sarebbe rimarginata, ma avrebbe continuato a fare male.
Qualunque cosa avessi fatto da quel momento in poi, non sarebbe stato mai sufficiente ad espiare la colpa di avere privato qualcuno della sua vita.
La notte sarebbe stata difficile da affrontare d’ora in avanti.
Avevo creduto in tutto quello, al punto da sacrificare tutto me stesso. Ora capivo che l’uomo può generare immense follie.
“Bella”. Il ricordo del suo viso, del suo sorriso e il buio che si era impossessato dei miei pensieri venne squarciato. Non mi sarei mai perdonato ciò che avevo fatto, niente mi sarebbe apparso più come prima, ma lei sarebbe stata la speranza per ricominciare a cercare un significato perduto.
Avrei imparato nuovamente insieme a lei a ritrovare il gusto dei piccoli gesti e della quotidianità.
Il suo amore mi avrebbe riconsegnato alla vita che non sarebbe stata più la stessa, ma sapevo che insieme, la mia notte sarebbe stata meno buia e i suoi fantasmi meno spaventosi.






Epilogo.

Mi era sempre piaciuta la campagna in quel periodo dell’anno. Il tepore del primo sole di primavera.
Me ne stavo beando, sdraiato sulla panchina, poggiato sulle gambe di Bella: era stato lì che le avevo chiesto di diventare mia moglie. Gli occhi chiusi mentre sentivo la sua mano delicata accarezzarmi la cicatrice ancora ben visibile del collo. Posava sempre una mano sul quel segno, quasi a volere portare via tutto il dolore che aveva procurato. La gioia di riabbracciarla fu immensa , le sue lacrime, il suo avere paura di avvicinarsi per non farmi male. Dovetti faticare a farle capire che niente ormai poteva farmi più male accanto a lei.
Mentre ripensavo a tutto questo, avevo il viso poggiato sulla rotondità del suo ventre dove, l’improvviso scalciare di mio figlio, mi fece depositare un bacio.
Sentii la mano di Bella regalarmi l’ennesima carezza e con l’altra passare le dita leggere tra i miei capelli per cercare di metterli in ordine.
Ascoltavo le risate di Emmett e Rosalie intenti a dare disposizioni per il loro matrimonio che sarebbe avvenuto tra qualche giorno. I miei erano andati al matrimonio di Jessica e Mike.
La loro storia era qualcosa di singolare e tutto sommato un ottimo compromesso per entrambi.
Lui aveva perso l’uso delle gambe e a lei serviva un marito per riparare ad uno sbaglio.
Lui avrebbe avuto una moglie e lei un padre per suo figlio.
Chi avrebbe potuto additarla come una poco di buono e compatire lui come un povero infelice? Del resto Jessica era una bella ragazza e di ottima famiglia che legava la sua vita ad un uomo che si era sacrificato per un ideale. Nessuno avrebbe mai conosciuto la vera natura del loro legame e chissà, magari, sarebbero stati anche felici. Mi venne da sorridere.
- Perché sorridi?- La voce di Bella che da quando aspettava il nostro bambino era ancora più dolce e melodiosa.- A cosa pensi?- Aprii gli occhi e la guardai.
- Alla felicità.- Le risposi. Ricambiò curiosa il mio sguardo. – A come per qualcuno è e resterà solo una parola. A come non finirò mai di ringraziare il cielo per avermi dato te.- Mi sollevai per sfiorarle le labbra con un bacio.
- Sei felice?- Mi domandò.
- Sì.- Le risposi scansandole una ciocca di capelli dal viso e guardandola negli occhi.- Vorrei poterti mostrare quello che ho nel cuore per farti sentire con quale intensità ti amo.-
- Ma io lo sento caro, ogni attimo, perché anche io ti amo così.- Mi sorrise prendendo le mie mani.- Sei l’aria che respiro, il sole che mi scalda, l’acqua che mi disseta: sei tutta la mia vita.- La guardai. Non riuscendo a non commuovermi. Quella creatura meravigliosa era mia e diceva di amarmi di un amore totale e incondizionato e io sapevo che sarei stato capace di tutto per lei. Mi sollevai prendendola tra le braccia. E baciandola teneramente.
- Scusate se vi interrompo.- La voce di Jasper risuonò alle nostre spalle.- Non riesco a trovare lo zio.- Il suo aspetto non era dei migliori.
- Non ti senti bene?- Domandai allarmato. Lo vidi sospirare pallido.
- No, io sto benissimo.- Scambiai con Bella un occhiata preoccupata.
- Non si direbbe, cognato, sembra tu sia lì lì per svenire.- Fece un altro sospiro profondo.
- Alice.- Disse quasi balbettando.- Penso che ci siamo. Il bamb…- Vidi Bella trattenere un urlo di gioia e portarsi le mani al viso.
- Rosalie…- Chiamò scappando via, mentre l’ammonivo di non correre a quel modo. Le vidi prendersi per mano ed entrare in casa.
- Penso sia il caso di avvisare zio Carlisle.- Vidi Jasper annuire e mi venne da sorridere per la sua espressione. Lo avevo visto in battaglia, ma mai una volta il suo sguardo era stato terrorizzato come in quel momento.
L’attesa fu snervante, vedevo Jasper fare su e giù e non potevo fare a meno di pensare a quando sarebbe toccato a me.
Nel frattempo si era riunita tutta la famiglia.
I miei genitori erano rientrati dal ricevimento di Jessica e Mike e avevano trovato quella novità ad attenderli e mia madre si era precipitata da Alice.
Dopo qualche ora una splendida bambina arrivò ad allietare tutti noi.
Quando entrai a conoscere mia nipote sembrava che quello che era successo nelle nostre vite appartenesse ad un tempo lontano, che sarebbe stato sempre in noi ogni giorno, avrebbe fatto male ricordare, ma sarebbe stato più sopportabile.
Lasciai tutti loro a contemplare la piccola Ann e uscii sulla veranda a fumare.
La voce di Jacob mi fece voltare. - Ho saputo che la piccola di Alice e Jasper è nata.- Feci cenno di sì e gli offrii una sigaretta. La prese e poi mi porse un piccolo dono.
- Questo è per la bimba, è un acchiappasogni: l’ho fatto io.- Disse. -La nostra gente crede che serva a tenere lontani i brutti sogni. Lo presi, sorridendogli.
- Jacob…- Dissi.- Io volevo ringraziarti…- Mi guardò.- Fino ad ora non l’ho fatto e…- Alzò una mano.
- Ti prego Edward non è necessario.- Sospirai.
- Lo so, ma se non fosse stato per te…- Mi poggiò una mano sulla spalla.
- Avresti fatto lo stesso.- Annuii.
- Si ma non so se sarei riuscito a salvarti. Tu sapevi cosa fare, come aiutarmi.- Sorrise.
- Sono stato fortunato.- Era un bravo ragazzo.
- Come vanno i tuoi studi di medicina?- Gli domandai.
- Sono duri, ma procedono.- Gli porsi la mano.
- Spero che realizzerai il tuo sogno al più presto e che tu possa essere felice.- Ci salutammo.
- Con chi parlavi, fratellino?- era la voce di Emmett, che mi aveva raggiunto.
- Con Jacob.- Risposi.- Lo stavo ringraziando per ciò che ha fatto per me…e ha portato un piccolo regalo per Ann.
- E’ un bravo ragazzo.- Disse piano mio fratello, mentre rimanevamo ad osservare quel nuovo giorno che portava nelle nostre vite rinnovata speranza e felicità.
Al nostro fianco apparvero Bella e Rosalie.
Cinsi con un braccio mia moglie tirandola a me, sfiorandole i capelli con un bacio e inspirando il suo profumo.
- Ti ho già detto che il tuo profumo mi fa impazzire, signora Masen?- Feci in un bisbiglio.
- Sì.- Rispose sorridendo.
- E che ti amo?- Continuai senza staccare le mie labbra da lei.
- Anche.- Disse continuando a sorridere.
- …E che sarà così per sempre?- La strinsi un po’ di più.
- Si, anche questo.- Replicò divertita.
- Allora già sai tutto quello che c’è da sapere.- Risi piano, chinandomi verso di lei baciandola.





FINE.
  
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