~ Gambler
Una
scommessa non andata come previsto.
Niente
di grave.
Shito
Tachibana non aveva mai avuto il sonno leggero. A volte aveva
problemi ad addormentarsi, quando dopo essersi steso e sistemato sotto
le
coperte rimaneva a rimuginare con gli occhi fissi sul soffitto; ma
solitamente,
quando alla fine riusciva a sgomberare la mente e svuotarla di ogni
pensiero
futile, solo gli incubi su Chizuru riuscivano a svegliarlo prima
dell’alba. Qualche
volta gli era addirittura capitato di non sentire la sveglia e di
rimanere
addormentato fino all’ora di pranzo; era raro, ma presentarsi
a scuola alla
sesta ora si rivelava sempre una buona occasione per stimolare
l’indole
rompiscatole di Akatsuki – il quale, da bravo ipocrita, in
quelle rare
circostanze non accennava mai al fatto di aver lui stesso saltato la
scuola molte
più volte per motivi simili.
Quella
notte era una di quelle durante cui non gli riusciva di chiudere
occhio. Si era
coricato ad un’ora ragionevole, sebbene non tanto presto
com’era invece suo
solito fare: si era incantato nella vasca, perdendo un po’ di
tempo nell’acqua
calda del bagno. E quando si era chiuso in camera, frizionandosi i
capelli con
un asciugamano – dopo aver salutato Michiru e Koyomi che si
avviavano verso le
docce – si era steso subito, non facendo caso al cuscino che
si inumidiva
appena.
Insonne,
aveva
perso la cognizione del tempo; fissava i particolari
dell’arredamento nel vano
tentativo di rendere le palpebre più pesanti. Ed ogni volta
che girava la testa
verso la sveglia analogica a forma di Betty – un cimelio che
aveva trovato ancora perfettamente
funzionante in un
mercatino dell’usato qualche anno prima –, la cifra
rossa delle ore era sempre
diversa.
23:35
00:14
01:39
Fu
intorno
alle due di notte che il suo comodino iniziò a vibrare con
violenza, facendo un
chiasso basso e insistente. Shito si voltò, osservandolo con
espressione vacua mentre
ad intervalli regolari fremeva e tornava immobile. E fu dopo qualche
minuto che
riuscì in qualche modo a farsi un’idea su quale
fosse il motivo di tale
trambusto. Sollevandosi su di un gomito, si sporse verso il primo
cassetto e lo
aprì piano: andò a tentoni, infilando la mano al
suo interno buio. Quando
individuò l’origine di quel tremore sordo e
spiacevole, lo intrappolò tra le
dita e lo estrasse dal cassetto con la stessa cautela con cui avrebbe
toccato
del materiale radioattivo.
Era
stata
Yoimachi ad insistere, quando aveva fatto presente che sarebbe stato
più
semplice tenersi in contatto se tutti si fossero scambiati gli
indirizzi e-mail.
Shito aveva scosso il capo – non aveva mai avuto un telefono
e non aveva
intenzione di procurarsi niente del genere per complicarsi
l’esistenza –, ma
gli era stato impossibile rifiutare quando lei si era gentilmente
offerta di
prestargli un suo vecchio cellulare.
Osservò
lo
schermo illuminarsi di luce intermittente per vari, lunghi istanti,
prima di
decidere che, data l’insistenza, forse avrebbe dovuto
iniziare a chiedersi come
porre fine a quel tremore. I numeri e gli strani segni che apparivano
sul
piccolo monitor come a segnalare un’urgenza erano geroglifici
sconosciuti
affiancati ad una sequenza numerica che non conosceva.
Ad
ogni
modo osservò i due tasti complementari più
riconoscibili sulla tastiera – uno
verde ed uno rosso, chiedendosi quale fosse quello per rifiutare la
chiamata.
Uno
dei
motivi che lo avevano sempre reso diffidente nei confronti dei telefoni
personali era che Toho avrebbe facilmente rintracciato il suo ID in
poco tempo,
se avesse voluto. In quel modo avrebbe avuto la possibilità
di rintracciarlo
ovunque si trovasse.
Il
numero
era sconosciuto. Era evidente che qualcuno lo stesse chiamando. Il
tremore
iniziava a diventare incredibilmente irritante.
Dopo
qualche istante, premette il tasto verde: l’esplosione che
provenne dal
telefono fu tanto forte ed improvvisa che Shito sobbalzò
all’indietro sul
letto.
«
Oi! Baka! »
…tasto
sbagliato.
«
Ooooi! »
Shito
fissò l’arnese, incerto, mentre la voce ne
prorompeva leggermente disturbata e
metallica. Di certo non era Toho, constatò, leggermente
sollevato. Ma non era
sicuro di quanto fosse positivo, visto che dall’altro capo
c’era Chika
Akatsuki.
Ponderò
riguardo l’idea di premere il tasto rosso per sperimentare le
tecniche di
utilizzo di quell’oggetto; ma le urla di Akatsuki sembravano
un invito a
rispondergli nel peggiore dei modi, così avvicinò
titubante il microfono al
volto.
«
Hai.»
La
risposta di Akatsuki arrivò a velocità
fulminante, rischiando di perforargli il
timpano.
I telefoni possono essere pericolosi.
Archiviò
l’informazione empirica prima di tornare poco interessato
alla risata di Chika,
che sembrava sollevata.
«
Sugoi! Imperdibile! Strabiliante!
Per Shito
che, dopo una trentina di squilli a vuoto, dimostra di aver intuito
come rispondere
al telefono, kanpai! » si
dilungò
inutilmente in altri strani ed eccessivi versi d’esultanza
« Sto provando a
contattare qualcuno in questo maledetto dormitorio da venti minuti e tu
sei
l’unico raggiungibile.» ridacchiò
« Ho un culo tremendo. Davvero! Mi stavo già
rassegnando. Ero certo che stessi dormendo, non avresti risposto, o che
avessi
dimenticato l’esistenza del telefono lasciandolo scarico in
mezzo al ciarpame
della tua stanza da otaku incurabile.»
Oh, no.
Si
stava
perdendo in uno dei suoi soliti sproloqui senza fine. La linea era
leggermente
disturbata, ma Shito non ci fece caso.
« Questo la dice
lunga sulla tua concezione
dell’utile. Con la memoria del cazzo e l’attenzione
scarsa che ti ritrovi,
saresti capace di perdere qualsiasi cosa non sia legata in qualche modo
alle
tue fotocopie storpie della figlia di Barbie. In più sei una
sega in fatto di
tecnologia! Ma mi hai risposto!»
«
La
prossima volta che chiamerai non farò lo stesso
errore.» Shito lo interruppe,
seccato, categorico « E guarda caso, sto per sbatterti il
telefono in faccia.»
ora sapeva come fare. C’era il tasto rosso.
«
Ieeee! » il tono di
Akatsuki divenne
lamentoso, crocchiando e raschiando nell’orecchio di Shito
« Matte te! La situazione
è critica, kusoShito!
»
«
Dove
sei?» Shito lo chiese senza tono nella voce. La sua vecchia e
tuttavia ancora precisa
Betty–sveglia
segnava le due e mezzo del mattino. Gli pareva che Akatsuki spesso
lavorasse
part-time di notte, ma non era mai tornato in dormitorio
così tardi.
Chika
ridacchiò appena:
«
Sono
chiuso fuori, baka. Questa
catapecchia serra i battenti all’una di notte. Alza il culo e
vieni ad aprirmi,
na? Sono stanco e non ho voglia di
passare la notte al freddo. Sekaseru!
»
«
Non sono
obbligato a farlo.» furono le ultime parole che disse prima
di affondare il
polpastrello sul tasto rosso e constatare che effettivamente era quello
il
tasto giusto.
E
meno di
cinque minuti dopo, era già al piano terra, nella sala
comune. Apriva il
portone principale.
«
Shikushou…»
Chika emerse dall’oscurità
pochi istanti dopo che Shito ebbe aperto i battenti, permettendo alla
fioca
luce delle candele di illuminare la fessura sulle scale
d’entrata. Ovviamente
stava imprecando « Ce ne hai messo di tempo, kuso.
Stavo iniziando a congelare.» scivolò
all’interno, tremando
appena, leggermente instabile sui piedi. La luce che veniva lasciata
accesa
nella sala comune durante la notte non era sufficiente ad illuminare
perfettamente i loro volti, ma quello di Akatsuki sembrava abbastanza
congestionato. Shito lasciò che l’altro andasse
avanti, assicurandosi di
richiudere il portone.
«
Dove diavolo eri?» gli
chiese atono,
voltandosi lapidario nella sua direzione. Era vero, non lo aveva
svegliato, ma
lo aveva pur sempre costretto a scendere ben due rampe di scale al
buio,
facendo lo slalom fra le pericolanti assi del pavimento. Chika si
fermò
incespicando, saltellando su di un piede come un idiota. Shito lo
seguì con lo
sguardo mentre si agitava nella penombra, sempre più
perplesso e seccato. Anche
perché Chika non sembrava in grado di evolvere le sue
risposte in qualcosa di
sensato: continuando a zoppicare verso le scale, dopo avergli dato una
rapida
occhiata bieca, continuava ad emettere versi senza senso, tirando su
con il
naso, o imprecando.
E
tutto
quell’imprecare apparentemente insensato iniziava davvero a graffiare le orecchie
già provate di Shito. E la sua
pazienza, già scarsa per natura. Gli andò dietro
a grandi passi, raggiungendolo
in poco tempo: anche con tutto quell’eccessivo e scomposto
dimenarsi, Akatsuki si
stava avviando verso le scale con un’andatura insolitamente
lenta.
«
Akatsuki
Chika, dove eri?»
scandì forte le
parole, seguendolo. La sua sagoma sembrava più assurda del
solito, in
controluce. Quando finalmente si decise a proferire parola, la voce di
Chika
giunse roca e leggermente affaticata:
«
Oi,
Shito, lasciami perdere, cazzo. E poi che diamine te ne sbatte? Sai
meglio di
me che lavoro la notte, non mi rompi sempre i coglioni con la storia
del
territorio? Chiudi quella fogna una volta perITEEEEEEEEEE!»
Shito
ritirò la mano, fermandosi. Chika si accasciò su
sé stesso, premendo forte le
dita sulla propria spalla sinistra, là dove Shito lo aveva
violentemente
afferrato per fermarlo. Riprese fiato con fatica, respirando forte, poi
tornò
ad urlare, sibilando e ringhiando tra i denti:
«
Itee, temee!» ansimando
quasi, Chika non
perse tempo per voltarsi e guardarlo « Non puoi semplicemente
startene fermo e
zitto, una volta che te lo chiedono? Cazzo! Si fottano le tue maniera
di merda!
Mi hai reso il servizio di farmi entrare, arigatou
gozaimasu, » sputò il ringraziamento,
facendogli perdere ogni valore « ora
tornatene da dove sei venuto e fatti i cazzi tuoi!» si
arrampicò con dignità
sulla ringhiera, verso i piani superiori, sparendo alla vista.
Shito
rimase immobile per qualche istante, le luci fioche e lampeggianti
delle
candele che gli danzavano addosso, sfiorando i lembi del suo pigiama di
cotone
leggero e le calze bianche. Fissò la rampa di scale, senza
fare caso al
fracasso che Akatsuki provocava arrancando sui gradini, poi
sfregò il pollice e
l’indice della mano con cui lo aveva afferrato. Rimase
impassibile,
riconoscendo l’odore e la consistenza.
Maledetto incosciente.
Si
avviò a
passo sostenuto verso il piano superiore, stringendo a pungo la mano
sporca del
sangue di Chika.
«
Voglio
una spiegazione.» insistette, dopo averlo raggiunto al piano
del dormitorio
maschile; quel corridoio era sempre ben illuminato da delle lampadine
che
pendevano dal soffitto.
Trovò
Chika premuto contro una parete, la testa che gli ricedeva su di una
spalla;
respirava profondamente, come a rendere più facile il
controllo del battito
cardiaco e della pressione sanguigna – un trucco che Shito
stesso gli aveva
insegnato per le situazioni in cui il dolore delle ferite era troppo
anche per
uno zombie. La mano destra affondava tra le pieghe stropicciate della
manica sinistra,
quasi che volesse artigliare la carne sottostante. Ed era difficile non
notare
la condizione degli abiti: le spalle della camicia erano strappate in
vari
punti, i pantaloni scuri sporchi di polvere e fango.
Ciò
che
prima Shito aveva provato nel vederlo, catalogandolo come sorpresa ed
irritazione iniziò lentamente a tramutarsi in rabbia.
«
Me la
darai ora.» gli ordinò, stupendosi egli stesso
della freddezza della propria
voce « Kotaerou. »
Chika
sospirò,
sollevando appena il capo.
«
Mio Dio, Shito, sei una maledetta
piattola a volte. Una sanguisuga! Una cozza!» si
risollevò faticosamente, con
un leggero colpo d’anca contro la parete « E che ti
devo dire, guarda pure. Se
ti diverte. Sei una rottura di cazzo, comunque. Una di proporzioni
megagalattiche, accidenti.»
E
quando
finalmente Chika si fu voltato a guardarlo, con
un’espressione annoiata negli
occhi, Shito Tachibana vide il volto di un uomo morto.
O
meglio,
di un uomo in fin di vita in seguito ad un furioso pestaggio.
I
capelli
incrostati di fango e sangue gli coprivano la fronte come un ammasso
informe di
creta argentata, nascondendo un taglio nella cute che aveva fatto
colare
un’ampia striscia rossa lungo la tempia e la guancia
tumefatta. Un
orribile cratere scuro interrompeva di
botto il setto nasale, il labbro inferiore era spaccato malamente su di
un
lato, uno zigomo recava un taglio che dall’orecchio
– il cui lobo era
frastagliato e bagnato, forse gli era stato strappato
l’orecchino – gli
arrivava fino al sopracciglio, troncandolo in due parti. Ma se la sua
faccia
distrutta fosse stata la cosa peggiore, forse la situazione di Akatsuki
non sarebbe
stata poi così orribile. All’altezza della spalla
la camicia era lacerata con
la perfezione di un affondo da arma da taglio: il sangue era colato
inzuppando
la stoffa fino a renderla di un cupo colore amaranto scuro. E il
braccio
sinistro pendeva lungo il fianco in una posa scomposta.
Quando
Shito ebbe finito di analizzarlo, sollevò gli occhi per
incontrare quelli
ancora vispi di Akatsuki – almeno quelli non erano stati
cavati o altro, o
probabilmente Shito sarebbe impazzito.
«
Un
intero branco di leoni zombie o qualcosa di simile? Formica leoni
giganti in
mezzo alla strada?»
Chika
riuscì a sorridere:
«
Una
scommessa finita male. Niente di grave.» inarcò un
sopracciglio in
un’espressione sarcastica e divertita al tempo stesso.
Coraggiosamente, dato
che anche il solo parlare sembrava fargli un male tremendo «
Certo che tu dici
cose strane a volte. I formica leoni? Come fa a venirti in mente una
cosa
simile adesso?»
Sotto
la
luce gialla delle lampadine il colorito di Chika sembrava
particolarmente
pallido, il suo sorriso tirato. Quanto sangue aveva perso?
Ignorando
la sua osservazione, Shito decretò:
«
Yuuta.»
non avrebbe sopportato di vederlo in quelle condizioni per
più di altri dieci
secondi.
Akatsuki
schioccò
la lingua:
«
Hai. Certo.»
annuì, facendo debolmente
spallucce « Domani.»
Gli
occhi
di Shito guizzarono.
«
Cosa
stai dicendo? Lo chiamiamo ora.»
«
Non dire
cazzate, sai che ore sono?» Chika sbuffò,
accigliandosi « Non sono messo così
male da non resistere una maledetta notte. Accidenti, ti sembro messo
così
male?»
Il
silenzio di Shito fu abbastanza eloquente e sembrò
infastidirlo.
«
Senti, baka, è colpa
tua. Tua e della tua maledetta
mano. Se avessi avuto la mia katana
non sarei in queste condizioni
pietose.» si passò il dorso della destra sulle
labbra per pulirsi il sangue
alla meno peggio « Dei coglioni hanno voluto scommettere a
biliardo, mi hanno
fermato mentre servivo ai tavoli. All’inizio erano diecimila
yen, ma continuavo
a vincere e sono diventati ventimila!»
«
La tua
venalità ti porterà alla morte prima
dell’anello nero.» lo rimproverò atono
Shito, ma Chika trovò subito il modo di contraddirlo,
puntandogli un dito
insanguinato:
«
Chigau. Ti sbagli. E’
proprio grazie a
questa mia fissazione che presto saremo vivi.» liberando per
un attimo il
braccio fratturato iniziò freneticamente a tastarsi i
pantaloni, poggiando
nuovamente la spalla alla parete « E comunque, cazzo, da come
avrai intuito a
quei tizi non è andata bene. Non scendeva proprio
giù.» infilò la mano destra
in una tasca « Erano cinque ed io ero solo. Uno aveva pure un
coltello, merda,
me la sono vista abbastanza brutta in certi momenti. Ma comunque li ho
fatti
piangere, credimi.» estraendo trionfalmente la mano dalla
tasca, gli mostrò
delle banconote stropicciate. Gliele sventolò davanti al
naso « Ed ecco qui il
mio bottino. Sono un grande. Non si sputa sui soldi anche se sono
sporchi di
sangue, na?»
Shito
lo
fissò per lunghi istanti. Il labbro gonfio continuava a
pulsare, il taglio del
sopracciglio aveva fatto colare il sangue sulle ciglia. Non riusciva a
contare
i graffi che gli incrostavano la pelle del volto.
I
suoi
occhi erano intatti. Brillavano ancora.
Almeno
i
suoi occhi dorati.
Incosciente senza cervello.
Gli
strappò i soldi di mano in un moto di rabbia estrema,
ricevendo in risposta un
verso di sorpresa. Allontanò la mano dalla sua portata prima
di intimargli,
freddo come il ghiaccio:
«
Togliti
quella roba di dosso. Fai pena. Almeno lavati.»
Seccato
–
forse voleva che Shito lo ringraziasse
per ciò che aveva fatto – Akatsuki strinse le
labbra, di nuovo astioso:
«
Non mi
dici cosa devo fare o non fare, baka.
Se andrò a lavarmi lo farò perché lo
decido di mia spontanea volontà.»
«
Come
vuoi tu.» Shito voltò lo sguardo, avviandosi a
passi ampi verso la sua stanza «
Basta che lo faccia prima che io vomiti.»
«
Vaffanculo.»
Shito
non
si voltò. Continuò ad avanzare, freddo, le
banconote umide che gli crepitavano
tra le dita.
Si
sbatté
la porta di camera sua alle spalle, gettando con violenza il denaro per
terra.
Seguì i movimenti placidi della filigrana incrostata di
sangue che si
afflosciava sul pavimento di legno.
Akatsuki
Chika era un idiota! E doppiamente stupido era Shito Tachibana, a
stargli
dietro! Lo era stato a rispondergli al telefono – anche se
per puro caso –, lo
era stato di nuovo a farlo entrare; e infine aveva dato sfoggio della
propria stoltezza
nell’inseguirlo per il corridoio, nel modo in cui il sangue
gli era defluito
dal volto nel vedere le sue condizioni, nella velocità con
cui la rabbia lo
aveva assalito nel constatare la sua completa noncuranza.
Chika
Akatsuki non si meritava nulla!
Si
sedette
sul letto, piantando i forte i piedi per terra in un gesto definitivo,
le toghe
che scricchiolavano rumorosamente. Fissò torvo le banconote
abbandonate davanti
alla porta serrata, quasi che con quello sguardo potesse innescare la
scintilla
che le avrebbe rese cenere in un istante.
Tutto a causa della sua maledetta fissazione per
il denaro. Avido e stupido. Non avrebbe più mosso
un dito per quel
disgraziato. Quella feccia. Per
quanto gli importava avrebbe anche potuto morire quella notte,
galleggiando
nell’acqua calda del bagno mentre il sangue gli defluiva
dalle maledette
ferite. Che morisse pure!
E
meno di mezz’ora
dopo, quando ebbe terminato di scaricare la propria rabbia su qualsiasi
cosa il
suo sguardo toccasse, stava attraversando ancora l’andito,
muovendo lenti passi
pieni di frustrazione. Andava da lui.
Trovò
aperta la porta della sua stanza: Akatsuki era al suo interno, con
addosso i
pantaloni bianchi della tuta che usava per dormire ed un asciugamano
bianco in
testa che gli pendeva su di una spalla. Shito si fermò sulla
soglia, senza fare
rumore. Lesse lentamente la storia impressa sulle scapole nude di
Chika, sulla
sua schiena, sul suo braccio spezzato, su ogni centimetro di pelle
scoperta.
Quei lividi erano davvero troppi: gli punteggiavano il corpo come
crudeli baci
infuocati. I graffi aveva smesso di sanguinare, ma non erano di meno.
Quanto a
lungo era durata quella maledetta rissa? Per ore? Shito
deglutì forte,
ingoiando il malessere fisico che provava nel vedere il corpo di Chika
ridotto
a quel modo.
Il
braccio
sano di Akatsuki si mosse lentamente, afferrando
l’asciugamano poco prima che
scivolasse via: prese a frizionarsi goffamente i capelli bagnati e
puliti,
mentre tentava di sollevare qualcosa da terra con rapidi movimenti del
piede.
Era riuscito a lavarsi in poco tempo, ma di quel passo avrebbe finito
per
coricarsi al sorgere dell’alba. E soprattutto, con un braccio
solo cosa avrebbe
combinato?
Shito
respirò forte dal naso, irritato. Fu alle sue spalle in due
soli passi: guardandolo
mentre sussultava, le spalle ampie e magre che si incurvavano, gli
strappò di mano
l’asciugamano:
«
Frana.»
gli disse, mentre lui voltava appena lo sguardo accigliato per
guardarlo.
«
Oi!
Potresti almeno bussare! Non sei tu il primo a tenere alla tua
maledetta privaoow..?» le
parole gli morirono in bocca
quando Shito gli sbatté in testa prima
l’asciugamano e poi entrambe le mani, con
forza ed i palmi aperti, facendogli emettere un sommesso lamento. Stava
per
ribattere con la sua solita furia ma ammutolì,
l’asciugamano che gli ricadeva
sulla fronte e sugli occhi; Shito gli stava asciugando i capelli,
frizionandoli
piano. Gli occhi di Chika si spalancarono, ma non fu in grado di
proferire
parola. Strano.
«
Almeno
ora non puzzi di morte in quella maniera ripugnante di
prima.» Shito lo disse
con un cenno di disgusto nella voce. Sentiva un vago odore di pulito ma
il
fetore del sangue non sarebbe sparito fino a che le ferite non fossero
state
risanate.
Tch.
Dopo
qualche istante di silenzio la protesta di Chika provenne fioca da
sotto
l’asciugamano:
«…
non mi
pare di averti chiamato, baka. O di
aver chiesto aiuto. Posso farcela da solo.»
«
Hai.» Una risposta come
un’altra, che fu
ignorata da entrambi. Se fosse stata diversa non avrebbe fatto alcuna
differenza: a volte le proteste di Akatsuki erano davvero un infantile
modo di
far prendere aria alla bocca.
E
mentre
Chika si lasciava docilmente aiutare, Shito lo osservò.
Quasi tutte le ferite
avevano smesso di sanguinare: erano pulite ed iniziavano ad annerirsi,
senza
cicatrizzarsi. Il sangue degli zombie coagulava ma non c’era
modo per la carne
di rimarginarsi: era in quelle condizioni il corpo di Chika. Il taglio
sulla
spalla era profondo, slabbrato e nero, come l’affondo di una
lama infuocata.
«
Questa è
brutta.» constatò, attirando appena
l’attenzione di Akatsuki « Ti ha intaccato
l’osso,» si vedeva uno squarcio di bianco avorio
oltre i lembi lacerati « E
immagino che ti sia partita la succlavia.»
Chika
ridacchiò, sollevando lo sguardo verso di lui:
« A Yuuta
piacerà.» ghignò, sbattendo le
palpebre « Mi chiedevo cosa fosse tutto il freddo che
sentivo. Anche ora sto
davvero gelando, cazzo.» rabbrividì appena.
Shito
represse il desiderio di toccarlo, poggiando le dita vicino alla
ferita, sul
suo collo sottile. Avrebbe sentito il suo cuore che batteva oppure si
era
fermato anche quello?
«
Se non
fossi stato uno zombie, ora saresti già morto per
dissanguamento.»
Chika
questa volta sbuffò; rise debolmente, sarcastico:
«
Se non
fossi zombie, non sarei qui a farmi fare una testa così
delle tue paranoie e
prima ancora di certo non sarei finito in quel fottuto vicolo a farmi
pestare a
sangue da quei tre teppisti del cazzo. Saremmo vivi entrambi,
» abbassò lo
sguardo e la sua risata iniziò ad assumere il sapore della
tristezza « e sarei
di certo molto più felice di quanto lo sia ora.»
Shito
non
seppe come rispondere. E preferì rimanere in silenzio.
Abbassando
appena lo sguardo oltre le clavicole di Akatsuki aveva intravisto solo
macchie
di cupo viola, probabilmente delle costole rotte – le vedeva
in trasparenza,
che premevano contro la pelle del suo torace piatto. Un secondo taglio
perfetto
e profondo allo stomaco, poco al disotto del polmone sinistro, gli fece
chiudere gli occhi con forza. Il sollievo di non vederlo imbrattato di
sangue
non era niente in confronto a ciò che sentiva in quel
momento, più forte ogni
volta che lo sguardo coglieva nuove ferite. Fu costretto a cercare i
suoi occhi
mielati per non perdere il controllo. I suoi occhi che non erano
cambiati.
«
Vado a
chiamare Michiru o Koyomi.» sentenziò, guardandolo
in faccia « Devi almeno
farti fare una medicazione provvisoria.» qualsiasi cosa
sarebbe andata bene,
purché coprisse quello scempio « Se non fai
attenzione anche Yuuta potrebbe
avere problemi ad aiutarti.»
Chika
emise un verso stizzito, soffiando tra i denti:
«
Non
svegli proprio nessuno, wakatta yo?»
indicò
il cumulo informe di garza bianca che giaceva scomposto sul bordo del
suo letto
– stranamente la scimmia aveva mostrato un pizzico di
buonsenso ed aveva preso
delle bende e dei cerotti dall’infermeria prima di tornare in
camera « Ad una
cosa del genere ci arrivo da solo, accidenti. Non sono così
idiota.» si chinò
scricchiolando ed afferrò un lembo di stoffa bianca,
iniziando goffamente ad
avvolgerlo intorno ad un grosso taglio che aveva riportato sul polso
del
braccio rotto « E non ho bisogno di una femminuccia amorevole
che mi
impacchetti come una mummia per la notte. So badare a me
stesso.»
Shito
tirò
via l’asciugamano, smuovendogli i capelli arruffati ed ancora
umidi. Lo studiò
per lunghi istanti, mentre tentava di bendarsi da solo, seduto sul
letto,
stringendo forte i denti ad ogni movimento. E rimase in piedi fino a
che non lo
vide prendere la garza tra i denti e tagliarla con un secco strappo, la
mandibola che scioccava. Faceva quasi tenerezza nel suo orgoglioso
ostentare
coraggio ed onnipotenza. Nel suo ostinarsi a non chiedergli aiuto,
sebbene cercasse
di non gridare ogni volta che inavvertitamente muoveva il braccio
sinistro.
Imbattibile.
L’imbattibilità dei giovani
stupidi.
Dopo
che
Akatsuki si fu lasciato scappare l’ennesima imprecazione
– non riusciva a fare
il nodo intorno alla medicazione raffazzonata intorno al polso
– Shito si curò
di strappargli di mano anche le bende.
E
quando
fu riuscito a zittire tutte le sue proteste oltraggiate, fece
attenzione a fasciarlo
nel modo più rude possibile. Qualsiasi strattone, qualsiasi
nodo troppo
stretto, qualsiasi colpo involontario sulla sua schiena tumefatta era
una
giusta punizione. E Akatsuki si lamentava ad ogni gesto.
«
Shito, cazzo.» Chika lo
sibilò dopo che la
medicazione attorno all’osso rotto fu ultimata con una
soddisfatta e brusca
tirata alle bende « Hai la delicatezza di un
fottuto…»
Shito
non
udì le parole che seguirono. Non le udì per
niente.
Si
immobilizzò nell’atto di tendere un nuovo lembo di
garza, nell’osservare il
gesto con cui Akatsuki si era portato la mano destra
a volto per sistemarsi un cerotto sul sopracciglio.
La
mano di Akatsuki.
La
fissò,
assorto, percependone i movimenti come se fossero rallentati. Il
pollice si
piegava con un’angolazione innaturale, il palmo era nero e
raggrumato, quasi
che la pelle fosse stata poggiata sulla marmitta bollente di una
motocicletta e
si fosse sciolta. Le nocche erano scarnificate, l’indice ed
il medio erano
coperti da mozziconi frastagliati e neri, ciò che rimaneva
delle cuticole.
E
poi dopo
qualche istante Shito Tachibana comprese che la leggera disperazione
che quella
vista gli suscitava era dovuta ad un semplice fatto.
Quella
era
la mano destra.
La sua.
Akatsuki
si accorse del suo sguardo e sbiancò appena – come
se non fosse già abbastanza
pallido: perdendo interesse per il cerotto messo di traverso sul
proprio zigomo,
abbassò la mano, affondandola nel materasso su cui era
seduto come a nasconderla.
«
Matte! Non iniziare ad urlare,
chiaro?
Dimenticatene fino a che non sarà domani. Yuuta te la
rimetterà apposto. E
comunque scusami tanto, eh!» alzò la voce, subito
acido « Sai, ad un certo
punto un coglione mi ha spezzato un braccio con una spranga, e la tua
maledetta
mano era l’unica rimasta. Non avevo tempo di farci molta
attenzione.»
Shito
fece
una smorfia.
Con la spranga. C’era bisogno
di aggiungere
quel particolare?
«
Sei un
disastro.» Shito ringhiò tra i denti «
Feccia.»
Quando
si
sporse verso di lui, Chika reagì spostandosi appena da una
parte. Forse pensava
che lo avrebbe colpito in qualche modo, ma come poteva anche solo
sfiorare
l’idea che osasse toccarlo nelle condizioni in cui era?
Con quale arma ancora?
Il coltello, la spranga. E poi?
Cos’hai affrontato, da solo?
Akatsuki
cercò di nascondere ancora la mano destra. Forse pensava che
Shito volesse
scambiarla. Che volesse puntargli l’ennesima arma della
serata.
Shito
si avvicinò
ancora, riuscendo infine ad intrappolargli il polso, raggiungendo la
mano.
Perché sei così, Chika
Akatsuki?
Gliela
prese tra le proprie, questa volta sfiorandola con delicatezza. Vi
impresse dei
baci leggeri, a fior di pelle, ripercorrendo le sottili dita graffiate.
Si
chiese cosa esattamente stesse facendo, a che diavolo servisse poggiare
piano
le labbra sulle ferite sentendone il sapore amaro, ma in fondo baciare
la
propria mano sarebbe stato stupido, quindi forse stava baciando
Akatsuki.
E
quello avrebbe
di sicuro avuto più senso.
Chika
lo
guardava con gli occhi leggermente socchiusi:
«
Baka, yamero.»
la voce si era improvvisamente abbassata di qualche tono,
era stanca, abbandonata e sofferente. E mentiva «
E’ rivoltante.»
Shito
mugolò,
attirandolo piano a sé, sostenendolo mentre le gambe stanche
lo reggevano appena
mentre si alzava, tremando:
«
Hai.» un’altra
risposta inutile.
Insignificante.
E
quando
lo ebbe tra le proprie braccia, sentendo le ossa spigolose contro di
sé, quando
percepì la fragilità di quel corpo provato ed
allo stremo, quando ebbe affondato
il volto tra i suoi capelli argentati, si chiese come diavolo avesse
fatto a
resistere fino a quel momento senza toccarlo neppure una volta.
Gli
esplorò il volto con le dita, sfiorando i graffi, toccando
appena le guance, il
pollice e l’indice che gli inclinavano il mento dopo aver
carezzato piano il
solco del labbro spaccato.
Un
istante
dopo baciava Chika Akatsuki.
Non
riusciva a pensare a nulla che potesse avere più senso.
Chika
ricambiò il bacio immediatamente, quasi che quel contatto
fosse l’unica vera cosa
avesse voluto da lui, sin da quando lo aveva cercato al cellulare. La
sua bocca
sapeva di sangue, la sua pelle, la sua lingua: tutto in lui quella
notte aveva il
sapore della morte. Era nauseante, ma se fosse servito a guarirlo
lì sul posto,
immediatamente, se avesse fatto sparire il naso rotto o la ferita che
gli aveva
quasi trafitto il cuore, sarebbe stato pronto a baciarlo fino
all’alba, senza
mai riprendere fiato.
E
forse lo
avrebbero fatto, se Chika non avesse emesso un gemito sulle sue labbra,
bisbigliando:
«
Itai, Shito.»
soffocò un sospiro di
dolore, muovendosi appena nel suo abbraccio « Fa male.
Lasciami.»
Shito
obbedì subito, anche se avrebbe preferito non farlo. Ebbe la
consapevolezza
immediata di aver circondato i suoi fianchi tumefatti e indolenziti con
troppa
forza.
Ci
fu un
istante di silenzio, si sentiva solo il ronzio freddo della lampada
appesa al
soffitto; Akatsuki abbassò lo sguardo in preda a brividi,
forse di freddo,
Shito non poteva sapere. Poi Chika ricadde di peso sul letto,
stendendosi,
sospirando:
«
Forse è
meglio azzerarmi, per oggi.»
Shito
annuì, riluttante. Era d’accordo ma a volte odiava
davvero quel suo modo di
esprimersi.
Lo
osservò
mentre sofferente cercava una posizione comoda sul letto, senza neppure
smuovere le lenzuola. Fu a quel punto, dopo più o meno
un’ora e mezzo di lotta,
che Chika si sfilò il cuscino da sotto la testa e se lo
premette con forza
sulla faccia. L’urlo di dolore che proruppe dalla sua gola
venne attutito e
assorbito, un lamento estremo e soffocato. Shito fu l’unico a
sentirlo nella
sua chiara e angosciata esplosione, prima che morisse.
Quando
si
sedette sul bordo del letto era certo che se Akatuski lo avesse fatto
di nuovo
sarebbe probabilmente uscito definitivamente di testa.
«
Hai
freddo.» lo constatò, sfiorandogli una mano. La
sua temperatura corporea era
quella di un cadavere. Di solito, pur essendo un cadavere, la pelle di
Chika
Akatsuki bruciava sempre come il sole.
Chika
non
tolse il cuscino, ma annuì.
Non farlo mai più, Chika Akatsuki.
Shito
Tachibana
spense la luce. Sapeva che il proprio corpo non sarebbe mai stato
abbastanza
caldo da dargli sollievo.
«
Cerca di
dormire. Almeno provaci.»
La
voce di
Chika gli giunse debole. Sembrava quasi il suo ultimo respiro:
«
Hai. »
Non combattere da solo.
Shito
Tachibana rimase con lui tutta la notte, in silenzio. Lo
guardò respirare.
Accertati che io sia con te per coprirti le
spalle.
Lo guardò
respirare.
(xxx)