Titolo: Il pianto del
cuore di latta
Autore: .Yuri_giovane_contadina. o TND
Fandom: D.Gray-Man
Personaggi: Lavi, Kanda (protagonisti);
Maggiordomo, Cocchiere e Bimbo (Comparse)
Avvertimenti: Shinen-ai, one-shot,
Alternative Universe, MPreg
Genere: Romantico, Triste, Malinconico, presenza elementi Fantasy
Breve introduzione: -Yu-chan- una voce petulante
salì dalla strada sotto il bordello.
Kanda si sistemò il
kimono in seta pregiata che lo avevano costretto ad incontrare. Le pieghe
irregolari del lungo abito scomparvero al tocco delle dita longilinee.
N.d.A: La storia è ambientata in un AU che non ha
nulla a che vedere con il mondo reale esclusi alcuni elementi che possono far
pensare ad un passato non troppo remoto, tuttavia in questo mondo è
tranquillamente riconosciuta l’omosessualità e la gravidanza maschile non è un
miracolo divino, ma cosa possibile, come la gravidanza femminile nel nostro
mondo.
Detto
questo vi lascio alla storia, se qualcosa non è chiaro prego di farmelo sapere.
Speriamo
di aver beccato gli errori disseminati per il testo, ma conoscendomi qualcosa
mi è sfuggito.
Buona
lettura.
Fan fiction
partecipante al contest MPreg indetto da Liyan e valutato da Valery90.
Posizione:
seconda classificata.
IL PIANTO DEL CUORE DI
LATTA
Quella sera Kanda
aveva provato una strana sensazione sin dal principio.
Un vuoto allo stomaco che aveva
scacciato in malo modo, imponendosi l’usuale impassibile incuranza.
Si era vestito prima del solito,
faticando particolarmente a sistemare il kimono e ad acconciare i capelli. Si
era seduto sul tatami, le mani posate sulle ginocchia, e aveva atteso che il
primo cliente della serata arrivasse.
Aveva dovuto aspettare che il sole
sparisse oltre le montagne in lontananza e qualcuno aveva bussato alla porta.
Kanda si era imposto
di rispondere con un ‘Avanti’ sicuro, dopotutto il senso del dovere in lui non
si era mai estinto.
Era stato un corpo snello e giovanile a
fare il suo ingresso, Kanda lo aveva osservato con
interesse, soffermandosi sull’abbigliamento regale che contrastava con i
capelli di un innaturale rosso.
Si chiuse alle spalle la porta in
maniera impacciata, saltellando appena in segno di nervosismo.
Quando si voltò verso di lui sorrise
ebete e si porto una mano a scompigliare i capelli già abbastanza in disordine.
-Tu devi essere Kanda,
giusto?- gli chiese con una vena di malcelata insicurezza nella voce. Era
chiaro che quel ragazzo dall’aria infantile non avrebbe voluto trovarsi lì in
quel momento.
Kanda comprese subito
che la sua non era una visita di piacere, era stato inviato da lui per essere
svezzato, come avveniva fra i giovani d’alta classe.
Sospirò affranto. Alle verginelle
impazzite preferiva mille volte i vecchi bavosi, almeno quelli andavano dritti
al punto.
Kanda lasciò
scivolare il kimono dalle spalle, scoprendo la pelle nivea del petto. Il
ragazzo davanti a lui arrossi e gli si avvicinò di qualche passò, tenendo
impacciato una mano.
-Io sono Lavi, piacere-.
Kanda non si
preoccupò di ascoltarlo, slegò il fiocco che fermava il chimono in vita e
lasciò che questo si aprisse, permettendo che si intravedesse più di quanto
Lavi avrebbe voluto.
Con uno slancio si protese verso il
ragazzo dai capelli corvini. Afferrò i lembi della veste e lo coprì, mentre il
volto assumeva una tonalità rossastra.
-Copriti o prenderai freddo- gli disse
innocentemente, irritando chiaramente il poco gioviale Kanda.
Il ragazzo gli si sedette accanto. La
luce flebile nella stanza illuminava il suo volto di sfumature giallognole,
rendendolo lucido e paffuto.
La prostituta lo osservò, chiedendosi
quanto tempo quel ragazzo avesse intenzione di fargli perdere.
-Allora?- gli domandò spazientito.
Lavi lo scrutò interrogativo:
-Allora cosa?-.
-Hai intenzione di sbrigarti?-.
Il ragazzo lo guardò stupefatto, non
riusciva a comprendere cosa implicassero le parole appena pronunciate da quel
giovane dall’aspetto femmineo.
Poi la luce si accese, rischiarando la
sua inconsapevolezza.
-Oh…beh, per quello c’è
tempo, no?- chiese con il chiaro intento di tergiversare.
Kanda lo guardò
contrariato. Lanciò un’occhiata all’orologio appeso al muro e si rese conto che
no, di tempo non ne aveva affatto.
Sospirò stanco e contrariato,
liberandosi completamente del kimono e maledicendo il momento in cui quel
moccioso incapace aveva messo piede nella sua stanza.
-Che…che stai facendo?-
gli chiese impacciato Lavi, mentre il giovane, completamente nudo, gli saliva
sulle gambe e cominciava a strusciarsi sinuoso contro il suo bacino.
Lasciò un bacio umido sulla clavicola,
risalendo poi alle labbra sottili e vergini.
-Quello per cui mi hanno pagato-.
***
Da quel giorno Kanda
non era più riuscito a liberarsi del moccioso dai capelli rossi. Era passato un
mese ormai e Lavi non aveva smesso un attimo di importunarlo.
-Yu-chan- una voce
petulante salì dalla strada sotto il bordello.
Kanda si sistemò il
kimono in seta pregiata che lo avevano costretto ad incontrare. Le pieghe irregolari
del lungo abito scomparvero al tocco delle dita longilinee.
Si tastò il capo con delicatezza, la
pelle nivea in contrasto con i capelli neri, per assicurarsi che la coda alta
fosse composta e ciuffi ribelli non tentassero di sfuggire alla presa del pomposo
nastro azzurro.
-Yu-chan- chiamò ancora
una volta la voce petulante e Kanda sentì scattare
una vena di irritazione. Tentò comunque di ignorare il fastidioso ragazzino che
ogni sera si piantava sotto la sua finestra e lo chiamava incessantemente, come
se solo vedendolo avrebbe potuto raggiungere l’apice della gioia –Guarda che lo
so che sei nella stanza, è inutile che mi ignori. Resterò qui fino a quando non
mi degnerai della tua attenzione-.
Kanda saltò in piedi
e i capelli frustarono la schiena larga. Con passò pesante si diresse verso il
piccolo balconcino della stanza e si affacciò, lasciando che gli occhi neri e
sottili si posassero sul volto di un ragazzo che non doveva essere molto più
piccolo di lui.
-Smettila di importunarmi- sbraitò a
voce un po’ troppo alta. I passanti si voltarono ad osservarlo sdegnati. Kanda sfidò i loro sguardi, consapevole di essere in torto:
una prostituta non doveva permettersi di fare certe scenate in pubblico.
-Ma, Yu-chan,
io vengo qui ogni sera solo per te, non mi spetterebbe un minimo di
riconoscenza?-.
Kanda osservò i
capelli rossi e arruffati del ragazzo, il suo sorriso gioviale e l’unico occhio
visibile di un verde smeraldo. Si fermò per qualche istante ad analizzarne il
profilo che in quegli ultimi mesi aveva avuto modo di memorizzare con
precisione.
-Yu-chan- lo richiamò con
voce lagnosa e Kanda si riscosse, maledicendo il
giorno in cui si era fatto ingannare e gli aveva rivelato il suo nome.
-Kanda-kun,
dai, se me lo dici non verrò più a trovarti-
-…-
-Non
vuoi liberarti di me? Dici sempre che sono una scocciatura e quando hai la
possibilità di scacciarmi non la sfrutti?-
-…-
-Uffa,
Kanda-kun, certo che sei davvero noioso…-
-E’
Yu, il mio nome…è Yu-
Ovviamente
quel ragazzino petulante non aveva mai avuto intenzione di lasciarlo realmente
in pace.
-Vattene- rispose perentorio, puntando i
piccoli occhi neri sul volto luminoso dell’altro.
Ciò che ottenne in risposta fu un
sorriso più soddisfatto e smagliante dei precedenti. Si ritrovò ad odiare quel
ragazzo, la gioia intrinseca in ogni sua azione e il suo continuo fargli
sperare che la vita non facesse poi tanto schifo. Perché, per quanto Kanda potesse negarlo, trovarlo ogni giorno sotto la sua
finestra lo faceva sentire importante. Aveva agognato considerazione per anni,
prima dai suoi genitori, poi dai nonni ed infine dai viscidi clienti del
bordello al quale era stato ceduto in cambio di pochi spiccioli.
-Come vuoi tu!- squittì saltellando
–Allora ci vediamo domani, Yu-chan-
Si voltò e con un gesto della mano salutò
la prostituta che continuava ad osservarlo truce, mentre si allontanava
sculettando.
Quando ormai Kanda
era certo di non vederlo più per almeno altre diciotto ore, il ragazzo si
voltò. Era in mezzo alla piazza principale, abbastanza lontano da essere
distinguibile solo per la sua capigliatura infuocata.
Kanda lo guardò alzare
il volto e puntarlo nella sua direzione, sollevare le mani per metterle a conto
davanti alle labbra e protendersi in avanti leggermente.
-Ricorda:- gli intimò –un giorno, quando
sarò grande abbastanza, verrò a prenderti ed allora non pensare che ti lascerò
tanto facilmente-.
La prostituta arrossì e con uno scatto
secco chiuse la portafinestra.
Le guance si erano imporporate e una
manica del kimono era sinuosamente scivolata lungo la spalla.
-Yu-chan,
ma tu quanti anni hai?-
-Non
sono affari tuoi-
-E
da quanti anni stai qui dentro?-
-Non
ti riguarda-
-Sai,
Yu-chan, quando sarò abbastanza grande da ereditare
il patrimonio di famiglia verrò a prenderti e ti terrò al mio fianco, allora
sarai costretto a dirmi ogni cosa di te-
Furono quelle parole a riempire la notte
di Kanda. Fra i gemiti e le mani ruvide che
esploravano il suo corpo, non riuscì ad allontanare il ricordo di un infantile
volto sorridente che gli stava donando la forza di credere ancora.
***
Kanda si sedette sul
tatami e chiuse gli occhi. Le sue labbra si schiusero per esalare un profondo
respiro.
Era spossato. Le gambe non lo reggevano
più e i muscoli sembravano dolere senza alcuna ragione apparente. La testa aveva
cominciato a vorticare e la stanza gli sembrava più piccola di quanto non fosse
mai stata, le pareti si stavano lentamente avvicinando senza che lui potesse
opporsi alla loro volontà.
Presto lo avrebbero schiacciato.
Fuori la pioggia scrosciava. La sentiva
picchiettare incessantemente contro la finestra, appannando il vetro ed
impedendogli di vedere il mondo che non gli apparteneva.
Scosse la testa e sistemò le pieghe del
vestito. Presto sarebbe arrivato il primo cliente della serata e si sarebbe
dovuto presentare impeccabile, senza esitazione. Quel bastardo lo avrebbe
toccato, avrebbe appoggiato le sue labbra umide sulla sua pelle bianca,
lasciando segni che faticosamente sarebbe riuscito ad eliminare.
Lì odiava tutti. Odiava tutti coloro che
si permettevano di mettergli le mani addosso, che abusavano del suo corpo, che
gli chiedevano di mettersi in posizioni oscene solo per gioire ulteriormente,
mentre, senza ritegno, entravano nel suo corpo e stracciavano il suo orgoglio.
Trattenne un ringhio e sollevò il pugno
per dare un colpo al ventre leggermente gonfio.
Odiava quei dannati perché non si
preoccupavano di lui, del fatto che per la loro negligenza potesse rimanere
incinta senza accorgersene.
Eppure era successo. Non gli era chiaro
quando di preciso, né chi fosse stato a giocargli quel tiro mancino. Il
proprietario del bordello gli aveva promesso delle indagini, ma era chiaro che
il caso sarebbe presto stato archiviato e che nessuno vi avrebbe prestato più
attenzione.
-Yu-chan- ed eccola,
puntuale come le disgrazie, la fastidiosa voce roca e stridula di Lavi che
dalla strada lo chiamava come ogni giorno da almeno tre mesi.
Nonostante lo avesse cacciato infinite
volte, lui continuava a tornare; persisteva nel chiamarlo con il suo nome e a
prendersi una confidenza che non avrebbe dovuto.
Kanda anche quella
volta lo ignorò, colpì il ventre con un secondo pugno e poi con un terzo.
-Yu-chan-.
Un quarto colpo più forte dei
precedenti.
-Esci che fa freddo-.
Un quinto colpo e se ripromise di
scacciare quell’idiota se avesse aperto bocca un’altra volta.
-Per favore, mi sto inzuppando tutto,
almeno fatti vedere…solo un’occhiatina-.
Kanda si sollevò con
uno scatto, avanzò fino alla porta finestra e l’aprì, sporgendosi più del
solito.
I lunghi capelli neri, lasciati sciolti
sulle spalle, penzolarono nel vuoto e si bagnarono.
-Finalmente, Yu-chan-
-Vattene!- fu l’ordine che diede in
risposta con tono urgente –Vattene e non venire più. Nessuno ha mai richiesto
la tua presenza, sei di intralcio. Solo un impiccio inutile-.
Seguì il silenzio.
Nessuno dei due si mosse.
Kanda era irritato.
Provava un profondo rancore verso quel dannato ragazzino dai capelli rossi che
ora lo fissava preoccupato.
-E’ successo qualcosa?-
Non rispose. Gli lanciò un ultimo
sguardo severo, pregno di tutto il suo rancore e la sua tristezza.
Poi chiuse la portafinestra. Si
risedette a terra e toccò i capelli, la sua mano tremava, mentre districava le
lunghe ciocche bagnate.
Le labbra erano screpolate e gli occhi
pesanti, presto si sarebbero chiusi contro il volere di Kanda.
Guardò la porta chiusa della sua stanza.
Mancava ancora qualche minto, poi il primo cliente sarebbe arrivato anche
quella sera.
Non aveva tempo per riposare.
La porta si spalancò, senza che lui
potesse fare nulla per impedirlo. Si stava sistemando il kimono dall’altra
parte della stanza, assicurandosi che nulla fosse fuori posto, troppo
concentrato per potersi accorgere di un flagello che stava minacciando la
segretaria e salendo le scale nonostante i vari richiami.
Se lo ritrovò in camera. Un ombra che si
gettava su di lui e lo sbatteva a terra, mandando il lavoro degli ultimi minuti
a farsi benedire.
-Ma che…-
annaspò fra le pieghe di un cappotto pesante e in stoffa soffice.
Le sue mani premettero sul petto del
ragazzo e lo costrinsero a sollevarsi, così che potessero trovare entrambi una
posizione più comoda. Fuori dalla porta provenivano urla concitate. Una donna
di mezz’età con il volto truccato di bianco si era affacciata per qualche
istante, prima di correre via agitata.
-Cosa è successo, Yu-chan?-
gli chiese il ragazzo che solo in quel momento Kanda
riconobbe come Lavi.
Non sollevò il volto. I capelli
ricaddero davanti agli occhi e nascosero la sua espressione irritata e
malinconica allo stesso tempo.
Era incredibile che si sentisse a
disagio, quel moccioso sorridente era riuscito a portare a galla una parte di
lui che aveva sommerso anni prima.
-Nulla, vattene- gli disse severo,
cercando di riacquistare la tagliente sicurezza che aveva sempre ostentato.
-No- Lavi si sistemò sul tatami –Finché
non mi rispondi io resto qui!-
Kanda si era disposto
di fronte a lui, sfidando il suo sguardo e cercando di ritrarre la pancia.
Non voleva che Lavi vedesse.
Non voleva che Lavi sapesse.
-Non ho niente da dirti, quindi, ti
prego, esci dalla stanza e non farti vedere- deglutì –mai più-.
Lavi sbarrò gli occhi. Era incredulo e
aveva cominciato ad agitarsi. Le parole di Kanda
erano state dirette e spietate.
Se erano menzogne, Lavi non avrebbe
saputo dirlo. Leggeva decisione nei gesti del ragazzo, una fierezza che nessuno
avrebbe messo indubbio.
-Ma perché, Yu-chan?-
disse il suo nome con disperazione, aggrappandosi a ciò di più intimo che Kanda possedeva (spogliato ormai di ogni cosa non gli
restava che l’identità) –Senza di me tu eri triste, vuoi tornare a soffrire in
questa squallida vita?-
Lo disse con semplicità. La sua era
semplicemente una costatazione, una sicurezza maturata negli ultimi tempi. In
ogni urlo, in ogni rimprovero Lavi leggeva un briciolo di gioia, come se solo
parlando con lui, Kanda potesse far riemergere
quell’Io assopito da qualche parte nel suo corpo.
-Menzogne- controbatté, non ascoltando
realmente le parole di Lavi. Se lo avesse fatto, se si fosse soffermato qualche
attimo ad ascoltare, avrebbe scorto la verità dietro quel richiamo sofferente.
Ma Kanda non
lo fece, non si soffermò sui particolari, deciso a scacciare quel seccatore e a
non vedere oltre il suo brutto muso.
-Non puoi mandarmi via così, non lo
accettò- si impuntò Lavi. Si sollevò sulle gambe, gettandosi nuovamente sul
corpo spossato di Kanda che ricadde a terra con un
sonoro tonfo.
-Dimmi cos’è che ti preoccupa tanto!
Cosa è successo?- Lavi lo disse con ira e dolore, cercando di bloccare l’altro
al suolo e costringerlo all’immobilità. Voleva vedere i suoi occhi e leggervi
le tanto agognate risposte.
Fu mentre cercava disperatamente di
fermarlo che delle mani oleose lo afferrarono brutalmente scaraventandolo a
terra. Sbatté la schiena con forza e gemette al contatto cruento, fermandosi
appena prima di finire contro la parete opposta.
Sollevò lo sguardo, trovandosi a
fronteggiare un uomo dalla corporatura robusta e dalla lunga barba grigia.
Doveva essere il proprietario del bordello. Lavi lo aveva visto qualche mese
prima confabulare con suo padre, impossibile dimenticarsi quel volto suino,
incorniciato da incolti capelli di un nero sbiadito.
-Non sei il benvenuto- gli disse con una
nota di finta gentilezza nella voce calma.
-Ma ho bisogno di parlare con Kanda-kun!- esclamò, tirandosi in piedi e scoprendo con rammarico
che il colpo era stato più forte di quanto avesse pensato.
L’uomo lo guardò truce. Lo stava
esaminando con attenzione meticolosa e Lavi si sentì appena in soggezione, ma
non perse mai la sicurezza che aveva contraddistinto fino a quel momento i suoi
gesti e le sue parole.
L’uomo si voltò verso Kanda, emettendo un sospirò che Lavi faticò a non scambiare
per un grugnito infastidito.
-E’ lui il padre di tuo figlio?- chiese
e per un istante l’aria divenne irrespirabile.
Fu un attimo in cui Lavi e Kanda si guardarono con la stessa silenziosa disperazione.
Si fissarono come se avrebbero potuto cogliere da uno sguardo tutto ciò che
dilaniava le loro menti.
-Figlio?- chiese Lavi in cerca di
conferme. Guardò l’uomo, sarebbe stato lui a rispondergli.
Questi sospirò, chinandosi e
afferrandolo per il bavero del pullover, lo sollevò da terra e gli soffiò in
faccia.
-A quanto pare non hai nulla a che fare
con questa storia, quindi sei pregato di andartene-.
L’uomo lo trascinò fuori dalla stanza.
Inutili i tentativi del ragazzo di aggrapparsi a pareti e stipiti, non riuscì a
fronteggiare la forza di quell’energumero.
L’ultimo sguardo, prima di uscire dalla
stanza, lo lanciò a Kanda, che era rimasto seduto a
terra. Non si era mosso, forse per lo shock o semplicemente perché di lui non
gli interessava davvero nulla e quelle che Lavi si era fatto non erano altro
che stupide favole a lieto fine.
Non abbassò lo sguardo, si guardarono
come avevano fatto poco prima, cercando di carpire i segreti di un cuore che
attorno a sé aveva retto insormontabili mura.
-Perché- sussurrò Lavi prima che l’uomo
lo trascinasse lungo il corridoio e gli precludesse la vista di Kanda.
***
Kanda aveva avvertito
il trascorrere del tempo. Lo aveva visto nel suo ventre che di giorno in giorno
si gonfiava, ricordandogli che presto avrebbe avuto un figlio e che tutto nella
sua vita sarebbe cambiato.
Aveva ignorato il fatto il più a lungo
possibile. Aveva tentato di non far ricadere lo sguardo sulla pancia, di non
sentire le mani dei clienti inspiegabilmente attratte da quell’inusuale
protuberanza.
Ci aveva provato fino alla fine, fino a
quando la vita che portava in sé non aveva cominciato a scalciare.
I primi giorni era stato terrificante.
Aveva avvertito il muoversi agitato del bambino come un orologio a pendolo che
di tanto in tanto si decideva a suonare cupo e a ricordargli che prima o poi
avrebbe dovuto tenere fra le braccia un fagottino indesiderato. Poi ci aveva
fatto l’abitudine ed ogni movimento si era trasformato in una semplice
avvertenza. Bastava accarezzare il pancione perché il bambino si quietasse e lo
lasciasse libero di pensare.
A volte in quei mesi gli era capitato di
riflettere su Lavi.
Non si era più presentato da quando
aveva scoperto la verità dietro al suo malumore. Per i primi tempi aveva
creduto di sentire il suo richiamo puntuale come sempre. Si era sporto più
volte dalla finestra, pronto a urlargli contro qualche insulto. Ma le sue si
erano rivelate sciocche allucinazioni in grado di far salire la rabbia nei
confronti della sua debolezza e verso quel marmocchio che gli aveva promesso di
stare al suo fianco, di non lasciarlo solo. Alla fine le sue si erano rivelate
parole vuote e Kanda, che fino a quel momento non
aveva dubitato un solo istante della sua forza, aveva compreso di essersi
lasciato trascinare e aver ceduto dinnanzi a quel sorriso ingannatore.
Quella sera lo avevano fatto vestire più
meticolosamente del solito. Gli avevano portato un nuovo kimono, incartato da
una stoffa semitrasparente, e acconciato i capelli in uno chignon, abbellito da
fiori colorati e freschi che emanavano un piacevole e delicato profumo.
Avevano impiegato ore a truccarlo e
rendere impeccabile la sua eterea figura. Si era ritrovato con le mani di
cinque signore di mezz’età addosso, completamente immerse nel sistemare
particolari che nessuno avrebbe notato.
-Grandi novità- gli aveva detto una di
loro, stampando sulle labbra sottili un sorriso estasiato.
-Grandi novità- aveva ripetuto un’altra,
portandosi alle sue spalle, infilzando l’ennesima forcina fra i capelli.
Kanda non aveva fatto
domande. Probabilmente era solo l’ennesimo cliente straricco che chiedeva le
sue prestazioni e quella volta aveva sborsato più del solito. Nulla per cui
esaltarsi.
Lasciò che le donne lo toccassero,
reprimendo il desiderio di cacciarle dalla stanza e non far entrare nessuno
fino all’arrivo del cliente. Poi aveva deciso di lasciar perdere.
Per la prima volta aveva valutato l’idea
di avere compagnia, giusto per distrarsi un po’ dai soliti pensieri spossanti e
funerei.
La mezzanotte era scoccata ormai da
diversi minuti e Kanda non aveva visto entrare nella
sua stanza anima viva.
Aveva atteso per ore, seduto a terra,
che il facoltoso cliente si presentasse, ma di lui non v’era stata traccia sino
a quel momento e nelle ore successive nessuno si degnò di varcare quella
soglia, fino a quando, ai primi bagliori dell’alba, Kanda
ricadde esausto sul tatami e, con i capelli ancora acconciati ed il kimono
immacolato, si addormentò.
I giorni seguenti lo avevano visto
partecipe del medesimo rituale: ore impiegate per vestirsi, senza che nessuno
si presentasse nella sua stanza.
Aveva provato più volte a chiedere
spiegazioni, ma nessuno si era offerto di dargli una risposta esauriente. Così,
Kanda, si era riscoperto a sperare in qualcosa di
indefinito, come se, giunto alla fine di quell’oscuro tunnel d’attesa, ci fosse
un tenue bagliore pronto ad accoglierlo.
Si diede dell’idiota, mentre si sedeva
compostamente e attendeva per la decima sera consecutiva l’arrivo del suo
acquirente.
Però, quella volta, era stato diverso.
La porta si era aperta poco dopo le tre del mattino, lasciando entrare una
figura incappucciata dai capelli chiari, nascosti raffinatamente da un
cilindro.
Kanda l’aveva
guardata, chiedendosi se quell’uomo fosse il cliente che aveva sborsato chissà
quanto per averlo.
-Alzati- gli disse perentorio.
Kanda non obbedì,
sfidò lo sguardo dell’uomo nella penombra e non demorse.
-Alzati- ripeté con una vena di fastidio
nella voce.
Quello non doveva essere il suo cliente,
troppo nervoso per potersi definire lieto frequentatore di quel genere di
posti.
-Cosa desidera da me?-.
-Ho ricevuto l’ordine di scortarla sino
alla residenza, per cui si alzi e mi segua-.
Kanda questa volta
non replicò. Si sollevò lentamente e percorse a piccoli passi la distanza che
lo separava dall’uomo. Dopotutto, se non avesse obbedito di sua sponte, qualcuno
sarebbe sicuramente venuto per trascinarlo via e, in un modo o nell’altro,
quell’uomo dal raffinato cilindro avrebbe ottenuto ciò che voleva.
La carrozza lo trasportava lungo le vie
della città.
Era tutto così diverso dall’ultima volta
che era uscito dal bordello. Le strade, illuminate dalla luce fioca delle
lampade, acquistavano un’aria antiquata e l’unico rumore che si udiva era
quello dei cavalli al trotto che, spronati, turbavano la quiete della notte.
Non avrebbe mai creduto di poter rivedere tanto presto il mondo al quale era
stato sottratto crudelmente.
Il cocchiere incitò nuovamente i cavalli
che aumentarono la rapidità e fecero sobbalzare la carrozza. Kanda non si scompose, troppo intento ad osservare le
ultime case cittadine far posto alla verdeggiante campagna.
Erano diretti da qualche parte fuori
città e lui non aveva ancora compreso cosa il destino gli avrebbe riservato.
La villa, davanti alla quale si
fermarono, era di dimensioni mastodontiche, circondata da un parco ben tenuto
dove alberi secolari e siepi perfettamente tenute ricordavano ai visitatori che
dietro quel palazzo c’era una storia durata centinaia di anni.
Kanda scese con
difficoltà dalla carrozza, il pancione cominciava ad infastidirlo e si dovette
sbilanciare all’indietro per evitare una rovinosa caduta sui sassi del viale.
-Seguimi- gli intimò
l’uomo con il cilindro che lo stava precedendo verso l’imponente portone.
Kanda restò qualche
attimo immobile, osservando quel luogo sconosciuto e chiedendosi chi fosse il
folle che aveva dato l’ordine di trascinarlo fino a lì.
Il kimono strusciò sui ciottoli, mentre
si spostava lentamente, sotto lo sguardo lussurioso e divertito del cocchiere
che non aveva smesso un attimo di fissarlo con una certa voglia nelle mani
tremanti e callose.
Kanda riuscì ad
ignorarlo con facilità; con sguardo fiero e camminata ingoffita dall’evidente
ventre raggiunse l’uomo al portone ed entrò, fronteggiando uno sfarzoso
ingresso illuminato.
-Mi hanno riferito- cominciò l’uomo,
quando ancora lo stupore in Kanda non si era placato
e lo portava ad osservare di sottecchi le pareti ocra della stanza –che il
signore si è già ritirato nelle sue stanze, pertanto l’incontro verrà rimandato
a domani. La prego di seguirmi le mostrerò la sua camera-.
Kanda aveva annuito,
come se gli fosse possibile fare altro.
Seguì l’uomo lungo i corridoi stretti e
dall’aria inquietante, fino a raggiungere la porta in legno di una stanza.
-Le auguro buonanotte-.
Kanda non lo aveva
degnato di alcuna risposta. Era entrato e si era coricato sul letto: il peso
della gravidanza cominciava a farsi sentire, la stanchezza giungeva quando meno
se lo aspettava, privandolo di ogni energia e costringendolo a lunghi sonni
ristoratori.
La mattina seguente, quando tirò la
tenda ed aprì la finestra, si ritrovò a fronteggiare un ampio spiazzo
verdeggiante. La sera prima non gli era sembrato tanto vasto e vedere l’erba
baciata dalla tenue luce del sole autunnale catturò il suo sguardo come da
tempo non avveniva.
Sentì il calore del giorno sul volto e
si riscoprì rasserenato nel costatare che le quel luogo non era spaventoso come
le ombre della notte lo avevano fatto apparire.
Si infilò il kimono della sera prima e
si sciacquò il volto con l’acqua che qualcuno si era premurato di lasciargli in
una bacinella sul comodino. Si rassettò al meglio e aspettò, seduto sul letto,
che venissero a chiamarlo e lo conducessero dal cliente.
Non dovette attendere molto prima che la
porta si aprisse e l’uomo della sera prima facesse la sua comparsa e lo
invitasse a scendere per la colazione.
-Il signore la sta aspettando- lo avvisò
con un inchino. Non indossava più il raffinato cilindro della sera precedente e
sul suo capo i capelli biondi erano vagamente radi, segno che la vecchiaia
stava colpendo anche lui.
Kanda annuì e lo
seguì diligentemente. Il corridoio che aveva percorso la sera precedente gli
sembrò infinitamente più rassicurante ora che il sole entrava dalle ampie finestre,
illuminando i muri ornati da splendidi quadri.
-Da questa parte- lo invitò l’uomo,
indicando una mastodontica porta in legno che Kanda
non esitò ad attraversare, lasciando che la sua attenzione passasse dalla
contemplazione delle pareti color crema all’enorme sala da pranzo sfarzosamente
decorata. Mobili pregiati in legno pesante e tovaglia in pizzo, piastrelle di
un tenue colore rosato e posate in argento.
In fondo alla lunga tavolata un uomo
sedeva compostamente. Il volto ornato da un sorriso gioviale e i capelli rossi
più lunghi di quanto Kanda li ricordasse.
-Benvenuto- lo salutò.
Kanda si ritrovò
impietrito sulla soglia. Non ascoltò oltre la voce del maggiordomo che lo
invitava ad accomodarsi e puntò gli occhi sgranati sul volto di Lavi.
Era come lo ricordava: infantile e
sognatore. Un dannato moccioso.
Serrò i pugni e strinse i denti,
digrignando appena. Lo sguardo si assottigliò e divenne nuovamente duro.
-Me ne torno indietro- disse fermamente,
dimenticando del tutto le buone maniere e voltandosi con l’intento preciso di
lasciare quella dannata villa.
Il sorriso morì sulle labbra di Lavi e
gli occhi vennero percorsi da un lampo di paura. La consapevolezza che Kanda se ne stava andando lo fece protendere in avanti.
-Yu-chan- lo chiamò, ma
il ragazzo aveva già lasciato la stanza e stava percorrendo rapidamente il
lungo corridoio alla ricerca dell’uscita.
Lavi scostò in malo modo la sedia che
strusciò sul pavimento e fischiò. Corse verso la porta e prese il corridoio.
Avvertiva la sensazione di affanno nel petto, un’ansia che aveva preso possesso
del suo sangue e lo faceva scorrere più rapidamente nelle vene.
I passi ticchettavano sul pavimento
rapidi e precisi. Percorse a sua volta il corridoio verso l’uscita nella
speranza che Kanda non se ne fosse già andato.
Lo trovò in procinto di aprire il
portone e il cuore accelerò il battito.
-Yu-chan- lo chiamò con
voce roca e stanca di chi ormai non crede più di poter vincere la partita –Ti prego…resta-.
Kanda non lasciò la
grossa maniglia del portone, ma si voltò appena per affrontare lo sguardo
implorante di Lavi.
Era stanco.
Erano entrambi stanchi.
-Perché dovrei?-.
-Perché te lo avevo promesso.- fu
l’ovvia risposta di Lavi che si poggiò alla parete, spossato dall’invisibile
peso che era costretto a sostenere –Sono riuscito finalmente ad ottenere il
posto di mio padre a capo della nostra casata ed ora voglio solo che tu resti-.
Kanda lo guardò. I
piccoli occhi neri scrutarono quel volto niveo e dai lineamenti delicati. Poi
scosse il capo, come se la convinzione che quelle parole fossero solo menzogne,
avesse battuto definitivamente la speranza.
-Non ho intenzione di piegarmi al tuo
volere- sbottò, abbassando la maniglia e tirando per aprire il portone.
Lavi lo guardò agitato. Non lo avrebbe
costretto a restare con la forza, eppure il suo più grande desiderio era che Kanda non se ne andasse, che accettasse i suoi sentimenti e
comprendesse che le promesse fatte sarebbero state per sempre mantenute.
-Addio- proclamò Kanda.
In un ultimo, folle gesto Lavi si protese
in avanti e allungò il passo per raggiungere l’altro.
-Yu-chan- Kanda si voltò ancora, inconsapevolmente attratto da quella
voce dal tono infantile –voglio crescere insieme a te quel bambino-.
E con un ultimo, opaco sorriso gli fu
addosso e lo abbracciò.
***
Kanda si infilò i
pantaloni e lanciò uno sguardo alla sua immagine riposata allo specchio. I
capelli si erano allungati. Si sistemò la coda alta e la giacca grigia con
qualche gesto deciso.
La luce entrava tiepida dalla finestra
aperta, segnando l’arrivo della primavera. Se si concentrava, riusciva a
sentire il profumo dei primi fiori che erano sbocciati nell’immenso giardino
della villa, era leggero ma piacevole, un misto di lavanda e rosa che si
mescolava all’odore dell’erba appena tagliata, producendo un profumo deciso che
stuzzicava le narici.
-Yu-chan- una voce
petulante e dannatamente fastidiosa lo disturbò durante l’attenta
contemplazione del suo corpo tonico.
Sbuffò infastidito, chiedendosi per
quale ragione quell’idiota se ne stesse di mattina ai piedi della finestra
della loro stanza e lo chiamasse come se ci fosse qualcosa di tremendamente
importante di cui informarlo.
Non rispose al richiamo e si sciacquò il
volto con l’acqua nel catino.
-Papà!- questa volta fu una voce
infantile a chiamarlo.
Sbuffò ancora, chiedendosi per quale
ragione suo figlio possedesse lo stesso tono di quell’idiota di Lavi.
Con qualche passò aggraziato e svogliato
raggiunse la finestra, il volto ancora umido.
Si affacciò e i capelli gli scivolarono
sulla spalla.
-Cosa volete?-.
Due volti lo stavano fissando gioiosi.
Sulle labbra il sorriso soddisfatto e infantile di chi è consapevole di aver
ottenuto l’ennesima vittoria. Gli stessi capelli di un rosso fiammeggiante e
occhi vispi e luminosi. Kanda non poteva ancora capacitarsi
che il bambino atteso con tanta paura era in realtà figlio suo e di Lavi. Era
impossibile crederci anche dopo due anni.
-Papà,-lo chiamò il più piccolo,
indicando un punto imprecisato alle sue spalle –guarda cosa abbiamo fatto!-.
Kanda spostò lo
sguardo interrogativo ad osservare Lavi che sollevò semplicemente le mani,
mostrando evidenti, sebbene non profondi, tagli risplendere sui palmi spellati.
-Che è successo?-.
Sollevò appena il volto e tentò di
seguire con gli occhi la direzione indicata dal figlio, raggiungendo una
piccola altalena dall’aria instabile.
-Lavi-kun ha detto che
voleva regalartela per festeggiare…- si fermò qualche
istante a pensare –per festeggiare il giorno in cui ti sei dichiarato, papà!-.
Kanda arrossì di
fronte alla schiettezza di quel piccoletto dalla zazzera rossa.
-Non è venuta bene?- chiese orgoglioso
Lavi ed i due scocciatori si esibirono in un perfetto sorriso compiaciuto.
Kanda osservò ancora
l’instabile asse di legno che componeva il sellino e sospirò.
Senza degnare i due di una risposta,
rientrò in casa e chiuse la finestra, lasciandosi alle spalle urla di
insoddisfazione.
Sorrise fra sé, mentre abbandonava la
stanza e percorreva il corridoio ormai familiare.
Ringraziò Lavi per averlo fermato quel
giorno di due anni fa, per aver accettato quel bambino e per avergli dimostrato
che alla fine le promesse possono essere mantenute.