~ Ordinary boy, looking at the sky ~
Intendiamoci
bene: Ginga Izumo ci aveva
provato.
Aveva
tentato, aveva lottato con tutte le sue forze – ma
aveva sempre miseramente inevitabilmente fallito.
Eppure
ci aveva provato davvero ad odiare Hokuto Kusanagi.
Lui era stanco, va bene? Stufo marcio. E
che cavolo.
Hokuto Kusanagi il ragazzo della porta accanto.
Hokuto Kusanagi l’alunno modello.
Hokuto Kusanagi il bello della scuola.
Era una
situazione più che frustrante.
Un
improbabile destino aveva fatto sì che loro, due ragazzini con
assolutamente nulla in comune, si ritrovassero a condividere un segreto e
rischiassero la vita in una ancor più improbabile missione spaziale. E
per quanto ciò sapesse di assurdo, diciamo che
ci poteva anche stare.
Ma questo era troppo.
Dovunque
voltasse lo sguardo era un Kusanagi di qua, Kusanagi di là. Sembrava che tutta la città
sospirasse per quel quindicenne dagli occhioni
color cioccolato e il sorriso timido, che tutte le mamme lo sognassero
come figlio, che tutti i ragazzini lo bramassero come amico del cuore.
[ Chi ha il pane non ha i denti… ]
A scuola,
poi, si varcava il limite dell’esasperazione. Hokuto
rispondeva alla domanda di un professore, e tutto sembrava fermarsi, come per
magia. Più di una volta Ginga aveva sorpreso
la prof di ginnastica a fargli gli occhi dolci mentre
esaminava una sua capriola o la capacità del suo salto in lungo. Ma santo cielo.
E ovviamente non erano solo gli
insegnanti. Bastava che Hokuto aprisse bocca
perché una mezza dozzina di ragazze nei dintorni ridacchiassero
– in quello stupidissimo modo ridacchiantesco
che era tipico delle femmine di qualsiasi età – come oche, o che
fingessero uno svenimento, oppure, cosa ancora più inaccettabile,
invocassero a gran voce una bombola di ossigeno.
E il modo
in cui lo guardavano, Dio santo. Come se non
esistesse, se non potesse esistere altro al di là di
quegli occhi quegli occhi quegli occhi.
Come se
bastasse il suo ingresso a rendere diversa l’aria in una stanza.
Frustrante?
Se lo era.
Persino le “non-guardarmi-sono-troppo-al-di-sopra”
come Alice, con la quale Ginga aveva commesso
l’errore adolescenziale della prima cotta – no, della seconda. La prima era stata Yuki delle C-DRiVE – davanti al sorriso sognante di Kusanagi, ai suoi sguardi persi nel cielo lontano lontano verso
l’orizzonte dove volano i sogni e compagnia bella, si scioglievano e
sdilinquivano come nella più orrida soap-opera. Gente come Alice, Alice Willamet.
Roba. Da. Non. Credere.
D’altro
canto non era neppure una cosa che riguardava solo le ragazze. Più o meno cinque anni prima, quel principino alieno
col broncio perenne non si era mai preso il disturbo di dissimulare lo stato di
nervosismo in cui la vicinanza di Hokuto lo
costringeva. E magari era pure per questo che l’aveva rapito: per il suo
bel faccino e la sua spudorata innocenza. Ugh.
Classica
ciliegina sulla torta: Otome Izumo,
dodici anni[1], sorella di Ginga, era la presidentessa ufficiale dell’Hokuto Kusanagi Fan Club.
Patetico, semplicemente patetico.
Ma la cosa
che faticava di più ad accettare, quello che proprio non gli andava
giù e che gli faceva ingoiare inutile veleno, era il
fatto che Hokuto fosse completamente ignaro di tutto ciò.
Oh, beh,
se non lo era, sapeva fingere molto bene.
No,
invece, doveva esserlo sul serio: perché oltretutto era anche ingenuo. Atrocemente
ingenuo.
Ogni dannatissimo
pomeriggio, quando tornavano insieme da scuola, Ginga
adocchiava orde di ragazzine adoranti che li seguivano passo passo, gli occhi costantemente puntati su Hokuto, con la stessa fedeltà che poteva
dimostrargli il leggendario collie Jupiter. E mai,
mai una volta che Hokuto avesse dato segno anche solo
di averle viste. Mai una volta che avesse mostrato di
rendersi conto del vero motivo per cui Otome faceva la strada con loro piuttosto che con le
amiche. Così come in classe, quando ripeteva diligentemente una lezione
complicatissima, minando alle fondamenta la nomina di secchiona
di Alice, totalmente sordo ai sospiri profondi trattenuti a stento. No, niente
da fare: pur con quella quieta intelligenza e quel
proverbiale buonsenso, Hokuto Kusanagi
era e restava un tonto.
[ Un
tonto adorabile. ]
Un tonto irritante.
Ce
n’erano, eccome se ce n’erano, di motivi per odiarlo. E Ginga li aveva esaminati uno per
uno.
Hokuto
il ragazzo della porta accanto Hokuto l’alunno
modello Hokuto il bello della scuola Hokuto il suo migliore amico.
Ma come
si poteva non perdere la testa, ad essere il migliore amico della
perfezione?
Era come essere sempre un passo indietro, sempre all’ombra
di un albero con troppi rami. Ginga non era uno che venisse notato dalle parole o dagli sguardi. Lui doveva
usare i gesti, gli atteggiamenti e – spesso – le mani. E negli ultimi cinque anni era più che mai una
questione di imporsi, perché oltre i suoi colpi di karate[2] la gente non vedeva altro che Hokuto.
Ma quant’è carino Kusanagi,
ma quant’è assennato Kusanagi,
ma quant’è rispettoso Kusanagi! In
continuazione.
« Izumo? Ginga Izumo? Ah, sì.
L’amico di Kusanagi! »
…
[ L’amico. Già. ]
E non
avevano idea, nessuno aveva idea di quanto fosse frustrante.
Di quanto
disperatamente volesse odiarlo.
[ Di
quanto disperatamente lo adorasse. ]
Qualche
volta pensava di riuscirci. Si metteva là, imbronciato e racchiuso in se
stesso, ad evitare il suo sguardo. E sentiva la
perplessità nella sua voce, avvertiva la sua incertezza e la sua paura
di aver detto qualcosa di sbagliato. E
Dio quanto ne era contento.
Ma poi,
come al solito, incontrava il suo sguardo.
«
Una passeggiata? »
«
Non ne ho voglia. »
«
Una cena a casa mia? »
«
Non ho fame. »
«
Qual è il problema? »
« Io
non ho nessun problema. »
[ Nessuno.
Davvero. ]
« Ginga? »
« Cosa? »
« … »
« … »
Poi
bastava quello sguardo, quel silenzio, quel sorriso, e
tutto sembrava fermarsi, come per magia.
Piccolo, stupido,
adorabile tonto.
La
verità era che era impossibile odiare Hokuto Kusanagi.
E,
intendiamoci bene, Ginga Izumo
ci aveva provato.
* * * * * * * * * * * * * * * * * *
*
Ok, non ho la minima idea
del perché sia nata questa shot. xD Vi assicuro che non sto
scherzando. Gear Fighter Dendoh non mi ha mai offerto il massimo
dell’ispirazione, e tra l’altro questo non è neppure un pairing che amo. Anzi, a dirla tutta non ho
mai scritto shounen-ai che non fossero incentrate su Axel e Roxas di Kingdom Hearts…
Mi è semplicemente venuta quest’idea, e
l’ho seguita. Boh. Sarà che ho voglia di
cambiare. ^^ E in effetti con questa… ‘cosa’
ho modificato in modo decisamente notevole il mio stile… .__. Aiuto,
sarò mica posseduta?! x’D
Va be’,
sproloqui a parte, passiamo ad una breve lista di note:
~ Il titolo è tratto da un verso della canzone Ordinary day di Vanessa Carlton
(adattato).
[1] Non sono sicura
dell’età della sorella di Ginga; non mi
pare che nell’anime sia specificata. Ma ho
pensato che tre anni di differenza fossero plausibili.
[2] Mi pare che Ginga pratichi il karate, ma
potrei confondermi con un’altra disciplina. Se
così, vi prego di perdonarmi. È Alzheimer.
x’D
Facciamo un piccolo passo indietro: ho scritto che questo è il
primo pairing shounen-ai
che abbia trattato dopo l’AkuRoku. Beh,
rileggendo la shot mi rendo conto che l’unico
vero riferimento yaoi è quello sul rapporto
tra Hokuto e Subaru. Da
parte di Ginga i sentimenti sono perlopiù
inespressi. Sì, so di aver scritto Di quanto disperatamente lo adorasse; ma suvvia, chiunque ‘adora’ il
proprio migliore amico. La frase è una libera interpretazione. Perciò potete anche vederla come un tributo alla loro
amicizia, e niente di più. ;) [Dico questo
anche perché, vi giuro, non ho
mai apprezzato il Ginga/Hokuto, e sto ancora
cercando di capire come accidenti mi sia venuto in mente di scrivere qualcosa
che vi si avvicini anche lontanamente xD]
Con la speranza di non avervi tediato troppo, ringrazio tutti per
l’attenzione! ^-^
Arigatou to sayonara!