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Autore: _Bec_    28/10/2009    38 recensioni
New York, Manhattan. David, criminale diciassettenne fuggito da casa e al soldo del più ricercato delinquente della città. Allison, la figlia del capo della polizia, una ragazza con una vita normale. Almeno fino a quando i due non si incontrano. Tra scontri a fuoco e feste danzanti, si snoda la vicenda dei due ragazzi: anche gli opposti si attraggono, no?
(Introduzione a cura di _Panna)
Dalla storia:
"Mi stavo cacciando in un guaio, un guaio da cui non sarei più riuscita ad uscire.
[...]
Una parte di me mi insultava furiosa e mi diceva di denunciarlo alla polizia, l’altra parte, invece, mi diceva di uscirci insieme e di non pensare al resto. Gia, fosse stato facile non pensarci.
L’idea che mio padre potesse venire a saperlo mi terrorizzava, ma allo stesso tempo mi elettrizzava. Il fare qualcosa di proibito, il mettermi in pericolo uscendo con lui che era un tipo tutt’altro che raccomandabile, scatenava in me una serie di emozioni che non avrei mai pensato di provare.
Non ero mai stata un’amante del rischio, né un’adolescente ribelle che si trovava il fidanzato delinquente per esasperare i genitori, eppure quella faccenda mi piaceva da morire."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo 1: A normal day of school (un normale giorno di scuola)

Capitolo 1: A normal day of school (un normale giorno di scuola)



Quella mattina, mentre mi dirigevo verso la scuola, ebbi una strana sensazione…come se ci fosse qualcuno oltre a me sotto quella pioggia scrosciante, come se quel qualcuno mi stesse osservando da lontano, approfittando della pioggia fitta per nascondersi.

Mi girai di scatto irritata; mio padre, iperprotettivo e per di più capo delle forze dell’ordine della città di New York, aveva ammesso di avermi fatta seguire quando andavo alle medie, da poliziotti in borghese perché mi controllassero. Però era da diverso tempo che non succedeva più: ero cresciuta, andavo al liceo, che bisogno c’era di mettermi qualcuno alle calcagna? Un brivido mi percosse la schiena quando realizzai che non c’era nessuno. Ero da sola. Mi ero immaginata tutto? Probabile. Continuai per la mia strada, questa volta, però, velocizzando il passo.

Quella giornata era cominciata come le altre; mi ero alzata, tanto per cambiare, dando il buongiorno di malumore al mondo. Non sapevo ancora che in quelle apparenti e noiose ventiquattrore la mia vita sarebbe cambiata radicalmente. Avevo veramente poca voglia di alzarmi dal letto; mi aspettavano il freddo e un’invitante verifica di storia.

Con una forza raccolta da chissà dove, mi ero alzata e diretta verso il bagno. Mi era bastata un’occhiata allo specchio per ricordarmi immediatamente di una delle notti peggiori che avessi mai passato, accompagnata da diversi incubi che nemmeno ricordavo bene. Le occhiaie scure ben evidenti sotto i miei occhi spiccavano sulla mia carnagione chiara e, tutto sommato, volendo cercare un lato positivo, facevano risaltare i miei occhi castano chiari, quasi sul dorato.

Mi pettinai di malavoglia, ravviando con le dita i miei mossi capelli rossicci. Odiavo da morire quella dannatissima criniera rossa che mi ritrovavo, non tanto per il colore, quanto per il fatto che non erano né totalmente mossi, né lisci, erano una via di mezzo indefinita, uno schifo insomma.

Iniziai lentamente ed incurante dell’orologio, che continuava a proseguire col suo ticchettio silenzioso, a mettermi un leggero tocco di matita sotto gli occhi per nascondere le occhiaie; il pensiero di un ennesimo ritardo non mi preoccupava minimamente immersa com’ero nella totale bambagia mattutina. Mi stupivo ogni volta di come mi comportassi da zombie appena alzata, il sonno aveva il potere di mettermi completamente KO.

Dopo essermi un po’ ripresa grazie ad una bella cioccolata calda, però, avevo dato finalmente un’occhiata all’orologio.

-Merda!- Balzai in piedi terrorizzata. Fortunatamente non c’era nessuno in casa, altrimenti i miei mi avrebbero fatto tardare di almeno una mezz’ora rimproverandomi per il linguaggio scurrile che usavo, che avrebbe condizionato il mio povero ed innocente fratellino e bla bla bla.
Il mio dolcissimo fratellino Nicholas era più viziato del principino Harry d’Inghilterra in persona, veniva servito e riverito dalla mattina alla sera, andava benissimo a scuola -motivo per cui i miei avrebbero eretto una statua in suo onore- e aveva un sacco di amichetti con cui usciva anche se aveva solo dieci anni. Con me facevano storie per farmi uscire anche se ne avevo quasi diciassette di anni, assurdo!
Venivo
considerata quasi come la pecora nera della famiglia, solo perché ero la classica ragazza che faceva il minimo indispensabile a scuola, che studiava solo per avere la sufficienza e che passava le giornate con le amiche riducendosi all’ultimo, anche di notte, a fare i compiti. I miei professori non facevano che lamentarsi con i miei dicendo che “ero una ragazza intelligente e che dovevo impegnarmi di più”. Fancu…ehm, che andassero a quel paese.
Ero la tipica ragazza simpatica con le persone che le ispiravano fiducia e antipatica con tutte le persone che non sopportava; motivo per cui ero parecchio odiata dai miei sopraccitati professori che, più di una volta, mi avevano rimproverata per la mia mancanza di rispetto nei loro confronti.

Per quanto riguarda il carattere, ero molto orgogliosa e testarda e per nulla un tipo romantico, davo consigli alle mie amiche in amore, ma non avevo una vera e propria esperienza in materia. Non era un problema per me fare la cretina, ridere e scherzare con dei ragazzi, il mio problema era pensare ad uno di loro come il mio ragazzo, la cosa mi imbarazzava da morire.
Fino a qualche anno prima, poi, il solo pensiero di avvicinarmi ad un ragazzo e di baciarlo mi immobilizzava. In prima elementare era capitato che un bambino di un’altra classe -un bambino porca miseria!- che non conoscevo nemmeno tra l’altro, mi avesse baciata seriamente con tanto di lingua in bocca. La mia non era stata proprio una bella esperienza, ero corsa in infermeria a vomitare l’attimo dopo. Perciò, diciamo che per via di quell’esperienza, all’inizio baciare il mio quasi-ragazzo Mark ogni volta era quasi un’impresa…

Il telefono mi risvegliò dalla sorta di trance in cui ero caduta e mi fece cadere di mano una scarpa che stavo valutando se fosse il caso o no di mettere. Dannazione, quale scarpe potevo mettermi?
Imprecai contro il telefono maledicendone l’inventore; dannato apparecchio telefonico utile soltanto a produrre stupide musichette che ti avvisavano se qualcuno rompeva le scatole, ma perché non lo staccavano?! Ah già, perché mio fratello Nicky lo usava tutto il giorno per stare al telefono con la sua fidanzatina.
Ignorai lo squillo del telefono ed optai alla fine per le classiche All Star.
Appena uscita di casa, mi accorsi del fatto che stesse piovendo ed etichettai automaticamente quella giornata come "la più sfigata della mia breve vita".

-Ma che cavolo! Non me ne va una giusta!- Esclamai di nuovo irritata. Non avevo il tempo di tornare indietro a cambiarmi le scarpe che si sarebbero inevitabilmente inzuppate, così, mi diressi di di corsa verso la scuola, ignorando quella fastidiosa sensazione di essere seguita.

Mentre prendevo i libri dall’armadietto, mi accorsi che quel brutto presentimento non se ne era ancora andato. Mi capitava spesso di avere brutte sensazioni e quasi sempre succedeva qualcosa di non piacevole. Mia madre diceva scherzando che avevo preso tutto da sua nonna che era una specie di veggente fissata con le premonizioni e la lettura delle carte; io, però, mi ero sempre rifiutata di pensare che le mie sensazioni fossero una specie di premonizione, anche perché non avevo mai creduto in quelle cose.

Chiusi l’armadietto appoggiandoci poi la fronte sopra e sospirando ad occhi chiusi; era solo uno stupido presentimento il mio, non avrei dovuto guardare The exorcism of Emily Rose la sera precedente, i film horror non mi aiutavano a calmare le mie sensazioni.

-Ciao Lily!-

Una voce squillante proveniente da dietro mi fece sobbalzare e cadere tutti i libri che avevo in mano.

-Mio Dio, mi hai spaventato cretino!- Sbottai furiosa contro il mio “ragazzo” Mark che rideva divertito della mia reazione.

Il nostro rapporto era molto strano; non stavamo insieme, ma eravamo più che amici visto che da mesi ci frequentavamo. Lui…beh lui non aveva mai nascosto il fatto che gli sarebbe piaciuto essere il mio ragazzo, ma io non me la sentivo ancora. Mark era un tipo piuttosto tradizionale e pretendeva già di conoscere i miei genitori, -neanche stessimo per sposarci!- cosa che solo a pensarla mi faceva morire dall’imbarazzo. Già vedevo la faccia di mio padre mentre glielo presentavo…e riuscivo anche ad immaginare le raccomandazioni sul sesso che avrebbe fatto mia madre.

-Scusa, volevo farti una sorpresa.- Si difese lui sorridendo, mentre mi porgeva i libri che aveva gentilmente raccolto. Aveva un bel sorriso e i capelli cortissimi di un castano scuro che al sole sembravano quasi rossi, tanto che per scherzare ci chiamavano i “rossini”.

Alzai lo sguardo verso di lui che era poco più alto di me e sospirai teatralmente riprendendo il libro in mano. -D’accordo, per stavolta ti perdono.- Sorrisi divertita, avvicinandomi per baciarlo a stampo sulle labbra.

-A cosa devo questo?- Mi intrappolò in un abbraccio.

-Devo avere un motivo in particolare per baciarti?- Alzai un sopracciglio maliziosa.

-No, sai che puoi farlo quando vuoi.- Ridacchiò, baciandomi di nuovo con molto più trasporto di prima.

-Oh, la smettete con queste smancerie tesori miei?- Una voce divertita mi fece girare.

Victoria McFinn se ne stava di fronte a noi sorridendo sbarazzina. Era una mia compagna di classe , nonché amica da…neanche ricordavo da quando, probabilmente da quando eravamo all’asilo. Era una piccoletta tutto pepe, i capelli cortissimi e biondi che da dietro la facevano sembrare quasi un ragazzo, ma che le incorniciavano il viso bellissimo simile a quello di una bambola. Aveva un modo affettuoso e strano di chiamare le persone; per lei eravamo i suoi tesori, i suoi cuccioli, i suoi bimbi, i suoi amori… L’unica cosa che nessuno di noi aveva mai capito, era perché si fosse sempre rifiutata di farsi chiamare Vicky. Diventava furiosa –ed era rarissimo vederla arrabbiata dato che sorrideva quasi sempre- quando qualcuno la chiamava così.

-Se non vi dispiace dovrei andare al mio armadietto e vorrei arrivarci senza prendermi il diabete…-

Feci la linguaccia: -Ma come sei acida tesoro stamattina.- Ridacchiai.

-Senti pupattola, o ti sposti tu o ti sposto con la forza e sai che potrei anche farlo.- Incrociò le braccia sorridendo in modo fintamente minaccioso. Ecco cosa intendevo quando dicevo che usava epiteti curiosi per chiamarci, pupattola era un esempio.

-Un corpo a corpo fra donne? Eccitante…- Fece Mark sorridendo.

-Deficiente.- Gli diedi un leggero pugno sul petto, prima di rivolgermi di nuovo a Victoria. – Hai vinto cosetta-, altro modo che usava lei per chiamare le sue amiche di solito, -sono costretta a spostarmi, tu hai fatto una lezione di karaté, non posso mica competere con te.- Commentai fingendomi terrorizzata all’idea di un confronto.

-Ecco, brava cosetta, togliti che è meglio; il mio gancio destro è micidiale.- Rise divertita. Victoria era portatissima per tutti gli sport, ma era proprio negata per qualsiasi tipo di arte marziale e l’unica lezione del corso di karaté a cui aveva partecipato ne era la prova. Aveva pagato una fortuna quel corso di 34 lezioni in tutto, ma alla prima si era già arresa capendo che il karaté non faceva proprio per lei.

Il suono della campanella interruppe i nostri discorsi cretini, ricordandoci che probabilmente il nostro prof di geografia non sarebbe stato molto contento se avesse avuto 3 persone in meno da interrogare.

Mi guardai intorno un po’ spaesata ricordandomi improvvisamente una cosa.

-Avete visto Angie per caso?- Di solito Angela, la mia migliore amica, anche quando arrivava in anticipo mi aspettava sempre. Quel giorno ancora non l’avevo vista…

Si girarono entrambi verso di me improvvisamente consapevoli della sua mancanza.

-No, è vero non c’è…Di solito prende il treno delle 7.45, la incontro sempre in stazione, ma stamattina non l’ho vista- Affermò confusa Vicky (nella mia mente potevo anche chiamarla così, no?) girandosi verso Mark che fece segno di no con la testa.

-Sarà stata male.- Alzai le spalle lasciando perdere. In fondo, capitava a tutti di stare male qualche volta, no? Strano però che non mi avesse avvisata...

-Stasera cinema?- Mi chiese poi al volo con un sorriso a trentadue denti Mark. Vicky alzò di nuovo gli occhi al cielo schifata, -Vado in classe, a dopo bimbi.- E, borbottato quello, si diresse velocemente verso la classe in fondo al corridoio.

-Perché no!- Risposi a Mark alzando le spalle sorridendo. –Riproiettano Titanic al cinema e tu sai quanto adoro quel film!- Ero sicura che gli occhi mi stessero brillando dalla gioia. Anche se lo avevo visto migliaia di volte –vedendo il povero Jack morire ogni volta, cosa molto deprimente tra l’altro, continuava a piacermi.

-Ma lo hai già visto 130 volte!- Esclamò esasperato. Il povero Mark mi aveva fatto compagnia molte volte mentre mi riguardavo il dvd a casa. Si era capito?

-134.- Precisai con una smorfia, mentre ci incamminavamo verso la classe. –E poi vederlo al cinema è un’altra cosa, si provano un sacco di emozioni!- Dissi estasiata all’idea di vedere il mio film preferito in uno schermo così grande.

-Ho visto talmente tante volte quel film che ormai non provo più niente.- Scosse la testa –Ma che gusto c’è a vedere un film di cui conosci già il finale?- Mi chiese ingenuo. Non sapeva che avrei potuto fargli un discorso di più di un’ora sul perché Titanic fosse il Film più bello del mondo e non mi annoiasse mai. Per sua fortuna il prof stava arrivando e dovemmo affrettarci a prendere posto nei nostri banchi.

-Ricordamela stasera questa domanda e avrai risposta.- Una lunga risposta, sapevo essere davvero logorroica quando volevo, –Facciamo alle nove?- Chiesi battendo le ciglia con uno sguardo implorante.

-Alle nove.- Cedette infine. Avrebbe rivisto anche lui Titanic per la 32esima volta.

Proprio in quel momento, entrò il professor Spyne, il mio amatissimo insegnante di geografia, e fui costretta a sedermi al mio banco, quel giorno affiancato da un suo gemello vuoto. Angie, la mia migliore amica, era appunto assente. Mi chiesi come mai non mi avesse chiamato per avvertirmi, ma poi mi tranquillizzai pensando che quello era il giorno di riposo di sua madre e che quindi non sarebbe stata sola a casa.

Il professore spiegò per venti lunghissimi minuti di agonia per la classe e di ozio per me che non facevo altro che scrivere “Edward” sul mio libro. Sì, lo sapevo, era da ochetta deficiente sbavare per un vampiro esistente solo in un libro, ma...era così perfetto in Twilight, così simile al mio modello di ragazzo ideale.
Certo, tolta quella cosa inquietante dello stalking, non mi sarebbe piaciuto affatto se un ragazzo mi avesse seguita o se fosse entrato in camera mia per guardarmi dormire, non ero a quei livelli.
Capii subito quando la spiegazione giunse al termine; d’un tratto piombò il gelo glaciale in classe e il professore, con un ghigno divertito e maligno al tempo stesso, si acciambellò sulla sedia lentamente.

-Allora, interroghiamo oggi?-Chiese retoricamente. -Qualcuno si offre?-

Fece scorrere il suo sguardo su studenti improvvisamente distratti a cercare qualcosa nella cartella o presi da appunti infiniti sul quaderno. Nessuno osava incrociare lo sguardo del professore. Mentalmente tutti imploravamo Loris Finnigan, il secchione della classe, di farsi interrogare, ma lui non sembrava intenzionato a farlo.

-Devo usare la mia amica penna?- Chiese perfidamente sadico con un sopracciglio inarcato.

Quando nessuno si offriva, l’adorabile prof Spyne si divertiva a far cadere la sua penna sul registro che andava ad indicare i nomi dei poveri sfortunati che dovevano essere interrogati. Rifiutare di farsi interrogare quando la penna chiamava per il professore era una specie di sacrilegio ed equivaleva ad una bella F.

-Bene- Disse sorridendo placidamente e lasciando cadere la penna sul registro.

Gli studenti non fiatarono, si alzarono e abbassarono leggermente dal banco col fiato sospeso per osservare meglio la penna che rotolava sadica sul registro. Poco dopo, però, chi era in fondo al registro e chi all’inizio si tranquillizzò; la penna si era fermata al centro.

-Bene bene, mi fanno il piacere di venire qui la signorina Lowell e il signor Maxwell?-

Ovvio, vi ho già parlato della mia fortuna? Naturalmente la sua domanda era retorica, bisognava andare per forza o tanti cari saluti alla sufficienza in pagella.
Mi alzai e camminai come diretta verso il patibolo, verso la mia fine. Non avevo studiato praticamente niente e Angela non era nemmeno presente per potermi suggerire uno straccio di parola dal libro. Figurarsi poi se avrebbe potuto aiutarmi Mark che sorrideva al vuoto attorcigliandosi i capelli con la matita e pensando probabilmente alla sua prossima partita di football.
Che cavolo, alla fine poi chi della classe pensava a studiare una materia inutile come geografia? Si pensava alla letteratura, alle lingue, alla matematica e alle altre materie scientifiche, ma la geografia non contava molto nel programma scolastico. Tuttavia era comunque rilevante per la pagella finale, un’insufficienza e la bocciatura scattava.

-Prof , scusi…-

Una voce parecchio sicura e spavalda proveniente dalla mia destra attirò l’attenzione del prof e della classe.

Il prof sorrise maligno, mentre si infilava i suoi occhiali alla Harry Potter.

-Mi dica signor Maxwell-

-Ecco, vede, in questi ultimi giorni ho avuto la febbre parecchio alta –controlli pure sul registro ero assente- quindi non ho potuto prepararmi adeguatamente…-

Sì, certo, come no! Ovviamente il fatto che non si era “preparato adeguatamente alla lezione” voleva dire che non aveva studiato. E poi, chi ci credeva alla storia che Theodor Maxwell non veniva a scuola perché malato? Dio solo sapeva quante volte aveva marinato la scuola falsificando poi la firma dei genitori.

-Temo che questa non sia una giustificazione sufficiente signor Maxwell…- Spyne arricciò le labbra come un bambino indispettito, -Inoltre- Aggiunse ancora con quell’aria fintamente dispiaciuta mentre controllava sul registro , -Mi risulta che lei ieri fosse presente, quindi stava abbastanza bene per studiare…- Concluse togliendosi gli occhiali e sorridendo compiaciuto. Theodor si morse il labbro non sapendo più in che modo replicare.

-Facciamo così- Il prof si sistemò meglio sulla sedia mentre parlava. -Venga alla lavagna e mi dica quello che sa- Si grattò il mento soddisfatto, -Sono di buon umore e se sa qualcosina potrei premiarla con una D, anziché una F, che potrà poi recuperare più avanti.- A volte non era del tutto perfido in fondo.

Theodor, incoraggiato da quel sorriso, annuì e si diresse verso la cattedra un po’ più tranquillo.

Andò abbastanza bene alla fine…per me ovviamente. Theodor si beccò una D, come gli aveva promesso il prof se avesse detto qualcosa sulla lezione, io invece una B-, voto che mi andava comunque bene; non volevo assolutamente essere la migliore e avere tutte A, mi bastava la sufficienza.

Non ero mica mio fratello che faceva una tragedia greca con tanto di pianto disperato in stile “moriremo tutti” ogni volta che prendeva una A- o una B. Con una B- probabilmente quell’idiota avrebbe preso a testate il muro.

Il resto della giornata passò piuttosto lentamente; la verifica di storia fu rimandata per via dell’assenza della prof e nelle altre materie ero già stata interrogata, quindi trascorsi il tempo ascoltando le lezioni e prendendo appunti che studiavo poi mentre gli altri venivano interrogati. In mensa mi sedetti al tavolo con Judith Kingsley e Meredith Parker, due mie compagne di classe abbastanza simpatiche. Mark doveva discutere di una strategia di football con gli altri giocatori della squadra e avevo volentieri declinato la sua gentile offerta di sedermi al tavolo con loro. Preferivo pranzare con quella squilibrata mentale della professoressa di chimica Josien e farmi spiegare la sua lezione del giorno decine di volte piuttosto che sentire le “strategie” di quello stupido gioco con la palla.
Ad ogni modo Jude e Mary erano un po’ strane, non socializzavano quasi mai con nessuno tanto che a scuola aveva iniziato a circolare una voce sul fatto che stessero insieme. Ovviamente la voce era stata messa in giro da quella scema della mia ex migliore amica Helena Elbow, la cui patetica esistenza si basava sui pettegolezzi, sullo smalto e sui vestiti. Che tristezza.
A smentire poi le totali cavolate che diceva Hele, c’era pure la presenza di Philip Joseph, fidanzato super innamorato di Meredith che si unì a noi durante il pranzo. Quella era la prima volta che lo vedevo e lo trovai decisamente simpatico nonostante la sua maniacale fissazione per gli animali. Philip non aveva fatto altro che parlare del suo odio verso i bambini e verso l’uomo in generale , sostenendo che la loro presenza rovinasse la natura. Affascinante.
Il suono della campanella mi salvò in corner proprio quando Meredith, altrettanto animalista e ambientalista, voleva farmi provare una crema per il viso dall’aspetto estremamente disgustoso che aveva in borsa agli estratti naturali di olio di zucchina. Oltretutto quella roba puzzava da morire. Me la cavai con un:

-Magari un’altra volta Mary.- E un sorriso poco convinto.

Passarono altre due ore di agonia e finalmente preparai la cartella pronta a tornare a casa.

-Lily tesoro.- Una voce assurdamente finta e mielosa mi bloccò proprio sull’uscio della porta. Maledissi mentalmente chiunque fosse stato nel mio raggio visivo in dieci lingue diverse.

-Che vuoi Hele?- Inarcai il sopracciglio infastidita. Non era mai stato un problema per me esporre la mia totale antipatia verso una persona.

-Sono preoccupata per Angie…sai cosa ha avuto?-

Eccola che iniziava con una ridicola sceneggiata alla fine della quale mi avrebbe chiesto con nonchalance di passarle i compiti fatti per il giorno dopo.

-No.- Dissi svelta iniziando a camminare verso l’uscita, trascinandomela inevitabilmente dietro.

-Se la senti per telefono poi chiamami, ok?- Sbatté le ciglia in modo pietoso.

Ero certa che alla frase avrebbe voluto aggiungere “così poi mi dici i compiti.”

-Ok.- Non mi sprecai neanche a salutarla prima di andarmene. Come se l’avessi davvero fatto poi!

Per strada, avvertii nuovamente la strana sensazione di quella mattina.
Ero in un vialetto praticamente deserto che mi accorciava di molto la via per tornare a casa.

Di solito la facevo con Angela che abitava vicino a me e quel giorno non era stata per niente una buona idea decidere di farla da sola.

Mark si era anche offerto di accompagnarmi, ma avevo rifiutato dicendogli di stare pure con i suoi amici ad allenarsi. Pessima idea.
Sentii di nuovo un rumore alle mie spalle. Ok, stavo iniziando a spaventarmi seriamente, chi c’era lì?
Mi girai e questa volta scorsi un leggero movimento: una persona. Non l’avevo vista bene, ma ero sicurissima che ci fosse.
Okay.
Feci un grosso respiro per cercare di calmarmi. Non era di certo lì per me quella persona. Era lì per caso. Per caso, ripetei a mente per evitare un decisamente prossimo attacco di panico.
Accelerai il passo con l'intento di raggiungere una zona più frequentata e, per chissà quale motivo, sentivo che anche l’individuo dietro di me aveva fatto lo stesso.
Completamente spaventata, feci la cosa più sbagliata di tutte: incominciai a correre più forte che potessi.
Sapevo che non era una buona idea, ma in quel momento il mio cervello non era più in grado di produrre buone idee.
Corsi a perdifiato finché, arrivata ad una piccola svolta prima di una stradina che dava sulla strada principale, vidi spuntare due uomini davanti a me.
Circondata.
Era l’unica parola che riuscivo a pensare, mentre mi fermavo a pochi metri dai due tipi. Alle mie spalle, poco dopo, sentii distintamente altri passi.

Frugai immediatamente nelle mie tasche e presi il cellulare per cercare di chiamare aiuto, ma non feci in tempo a far nulla: li sentii addosso a me l’attimo dopo.

-Lasciatemi!- Gridai, mentre un uomo coperto al volto mi aveva afferrata da dietro immobilizzandomi. Gli altri due, sempre con il volto coperto, si avvicinarono lentamente da davanti. -Che cosa volete?!- Strillai ancora.

Soldi? Il telefono? Che cosa potevano volere quei tizi da una ragazza del liceo? Io non avevo soldi con me! Forse volevano…no…le lacrime iniziarono veloci e frenetiche a scendermi dal viso mentre cercavo con le mani di liberarmi.
Raccolsi tutto il fiato che avevo in gola per tentare un disperato urlo. Cercai di mordere e di prendere a calci il tipo che mi teneva, ma i miei tentativi di liberarmi sembravano del tutto indifferenti a lui.

-Stai buona.- Lo sentii borbottare nervoso.

-Aiuto!- Cominciai continuando a dimenarmi.

Improvvisamente, sentii qualcosa di ruvido sfregarmi la bocca e il naso. Della stoffa.
Piano piano , la vista di quei due tizi ghignanti si offuscò.
No.
Le forze mi stavano abbandonando e sentivo le gambe cedere. Prima di sentire i miei occhi chiudersi del tutto, pensai disperata ai miei genitori che forse non avrei più rivisto.




Beh...a mio modesto parere questa storia non meritava di finire su efp XD se alla fine, dopo tanti di quei tentennamenti e indecisioni, ho deciso di iniziare a pubblicarla è stato grazie alla mia meravigliosissima beta, Chiara** la beta migliore che potessi trovare^^ Non so davvero come ringraziarla, mi ha sopportato tantissimo, ma soprattutto ha sopportato i miei mille dubbi e la mia totale incapacità di usare l'html (e ancora non ho capito bene che è...-.-) non ho le parole per esprimerle la mia immensa gratitudine ç_ç (sono lacrime di commozione xD)posso solo ordinare (scherzo, suggerire ù_ù) di leggere la sua stupenda storia, Secretly** Ne vale la pena davvero^^

Secretly

Detto questo, qualsiasi commento è ben accetto, anche "un fai schifo, non scrivere" andrebbe benissimo :P

Edit: Mi ero dimenticata di linkare il blog dove potrete vedere le varie schede dei personaggi se volete^^: Blog
   
 
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