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Autore: Akarai92    15/11/2009    5 recensioni
Quel non appena si era trasformato in dieci maledettissimi anni, ma alla fine ce l'aveva fatta a tornare a casa
[Artù/Merlino] Di nuovo per la community ClichèClash
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Years I Missed
Cliché: #98, Partenza e/o Ritorno (La Torre)
Fandom: Merlin BBC
Pairing: Artù/Merlino
Rating: PG-13
Warning: Slash, ispirazione fulminante (leggasi 'schifezza'), Future!fic quindi AU
Numero di parole: 1255
Riassunto: ‘Mi avete chiamato, Sire?’ E come sempre, quando Artù non ha più appigli, Merlino arriva a tendergli la mano.
Disclaimer: I personaggi e le ambientazioni di questa storia non mi appartengono magari, signore mie, magari e non guadagno nulla scrivendola.
Note: Notoriamente, io mi metto a scrivere mezz'ora prima di uscire, quindi a) faccio tardi e b) scrivo baggianate. Ho scoperto di scrivere Arhur/Merlin per compensare la mancanza dei miei ragazzi nella seconda serie (cattiva BBC, cattiva u.u), quindi mi rifugio nei miei filmini mentali per sfuggire alla cruda realtà è.è In questa storia ho immaginato la relazione tra Arthur e Gwen più come un 'devo sposarmi per forza, siamo amici, sposiamoci' ma lei ha sempre saputo di Merlin e Arthur (l'AU qui si spreca ù.ù). I due versi in inglese all'inizio sono da Gravity di Sara Bareilles.




Something always brings me back to you
It never takes too long


C’è luce a Camelot, quel giorno, come non se n’è vista da anni.
Luce nei campi, nelle capanne dei contadini, sulle mura.
Luce nelle stanze ombrose del palazzo, nel cortile dove i Cavalieri si stanno allenando, luce nella stanza della regina che guarda pensierosa attraverso la finestra.
Luce nel cuore del Re, seduto solo sul suo trono – da ormai dieci lunghi, infiniti anni – semplicemente ad aspettare.
E’ immobile, con le braccia ai lati, la corona sfolgorante sulla testa, come stesse attendendo la delegazione di un qualche re.
Potrebbe essere così, in fondo. Lui sta aspettando un re. Il suo Re.
E lo sente, chiaro sulla pelle, avvicinarsi dalla foresta a cavallo, e lo immagina mentre si guarda attorno con la stessa aria svampita di dieci anni prima, le orecchie enormi, i capelli corvini, quegli occhi così mortalmente blu.
Lo vede chiaro di fronte a sé mentre oltrepassa i cancelli guardando con sfida le guardie, che hanno l’ordine perentorio di non fermare nessuno che corrisponda a quella descrizione, e scendere da cavallo al centro del cortile illuminato dal sole del mattino.
Sa che la sente sulla pelle, Camelot, come le dita esperte di un amante; la città lo sta riaccogliendo a casa con quella sua arte magica, e per un momento resta là, a godersi il suo amore.
Poi guarda esattamente una delle finestre della sala del trono, e quella vista chiara improvvisamente scompare. Avrebbe dovuto immaginarlo, Re Artù, che era stato quell’idiota a permettergli di vederlo. Aveva sempre amato sfoggiare – solamente in sua presenza, si ricorda con compiacimento – quanto fosse bravo con la magia.
Si rimette dritto sul trono, fissando le iridi celesti dritto sulla porta a due battenti, sgombra di qualsiasi guardia, soldato, Cavaliere o essere vivente in generale.
Nessuno deve toccarlo prima di lui. Gwen lo sa, ed è rimasta nella sua stanza – quando glielo aveva chiesto, guardandola come fosse la sua ultima speranza di vita, lei aveva sorriso con quel suo modo tutto personale, materno e complice insieme, e lo aveva baciato sulla fronte – ad aspettare il suo turno. Morgana non è più qualcosa che riguarda Camelot ormai da tanto tempo.
Sente la brezza della magia nelle narici come una sferzata di vento caldo in una giornata d’inverno, e il brivido che gli percorre la schiena è totalmente involuto.
Sta arrivando.
Si costringe a restare fermo, a non correre verso la porta per poi strapparla dai cardini, per vederlo e terminare quello stillicidio.
I suoi passi risuonano ormai chiari nel corridoio oltre la porta, sembra che lo stia facendo apposta, a farli risuonare così maledettamente forte.
Si aspetterebbe che entri sbattendo le porte, che si materializzi al centro della stanza, che addirittura faccia esplodere un muro per annunciarsi.
Invece, con tutta la sua semplicità, Merlino bussa.
Se non avesse ogni singolo nervo del corpo teso come la corda di un arco, Artù scoppierebbe a ridere. Invece si schiarisce la gola, e tuona un regale ‘Avanti!’ che avrebbe fatto impallidire qualsiasi servo.
Ma quel servo semplicemente spalanca le porte, una mano su ogni battente, e rimane fermo sulla soglia.
Al Re improvvisamente manca il fiato. Merlino non è cambiato di una virgola: sul suo viso si è forse formata qualche ruga, i suoi occhi hanno in parte perso quella luce bizzarra che prima li animava, e – dei del cielo! – quella è proprio una barba, ma rimane sempre lo stesso Merlino.
Occhioni immensi, da cervo sperduto, di un blu che farebbe arrossire di vergogna qualsiasi cielo. Quelle orecchie che gli spuntano ai lati della testa come dovessero aiutarlo a spiccare il volo. La sua andatura strana, impacciata, come avesse troppi arti e non sapesse dove metterli.
Sempre lo stesso stupido Merlino, che si era fatto cacciare dieci anni prima da Camelot con l’accusa di stregoneria, che Artù aveva tirato fuori da una prigione e lasciato su un cavallo nella notte, con l’ombra fuggevole di un bacio e la promessa di tornare non appena fosse diventato Re.
Quel non appena si era trasformato in dieci maledettissimi anni, ma alla fine ce l’aveva fatta a tornare a casa.
E adesso lo fissa dal centro della stanza, con le porte finalmente chiuse alle spalle, in una tunica stracciata che ha il sapore dei druidi.
Improvvisamente, Artù non sa cosa dire.
Ha passato anni a pensare a cosa dire allo stupido mago una volta che fosse tornato, discorsi, frasi, in uno scenario era anche incluso un pugno o due.
Ora è senza risorse.
‘Mi avete chiamato, Sire?’ E come sempre, quando Artù non ha più appigli, Merlino arriva a tendergli la mano.
In un unico, fluido movimento si alza dal trono, facendo risuonare l’eco dei suoi stivali sul pavimento lucido per quelle tre falcate che lo separano da lui. Merlino non si muove di un centimetro quando lo avvolge con le sue braccia fasciate del rosso dei Pendragon, schiacciando tra i loro corpi il drago dorato.
Semplicemente, dopo un secondo di stupore, gli abbraccia la vita, affondando la testa nella sua spalla, facendo ballare il suo respiro in quei centimetri scoperti di pelle tra la tunica reale e i capelli.
‘Sei un idiota, Merlino. Il peggior servitore che io abbia mai avuto’ gli mormora nella chioma scura. Merlino ride nella sua spalla, mandandogli una sequenza infinita di brividi lungo tutto il corpo, smovendolo dall’interno.
‘Sono contento che non siate cambiato, Sire!’
Si separano dopo un secondo, guardandosi negli occhi. Merlino giocherella con un filo dorato non ricamato a dovere sul fianco di Artù, mentre questi lo scruta indagatore, come a cercare qualcosa che non va, per il quale potrebbe rimproverarlo, e far scattare tutto di nuovo a posto, nella loro normalità.
Merlino come al solito è più veloce e più ardimentoso di lui, perché fa incontrare le loro fronti, ghignando. Nella sua semplicità, è sempre stato il più coraggioso.
Artù sente il suo respiro caldo e confortante sulle labbra, un invito tremendamente esplicito.
‘Merlino?’
‘Sire?’
‘Sei la persona che più mi ha fatto preoccupare, dannare e stare sulle spine di qualsiasi altra, te ne sei andato dicendo che saresti tornato quando fossi diventato Re, sono Re da dieci infernali anni e non ti sei mai presentato, e solo perché ti amo più di quanto credo sia umanamente possibile non ti ho fatto buttare nel fossato con un sasso appeso al collo, ma se ora tenterai in qualche modo, qualsiasi modo, di evitare che io ti prenda e ti baci, facendoti dimenticare anche il tuo stesso nome, ti ucciderò con le mie stesse mani’
Ha sussurrato tutto, concitato e mangiandosi le parole, dritto sulle labbra di Merlino, che ridenti accolgono le sue, non tentando alcun tipo di resistenza. Aveva desiderato baciarlo in quel modo, aveva desiderato quella bocca, più di ogni altra cosa nella sua vita, e sapere di non poterla ottenere gli aveva roso l’anima come la risacca su una scogliera.
‘Se osi scappare ancora una volta, ti riprenderò in capo al mondo e ti farò incatenare nei sotterranei al posto del Drago’ alita corrucciato, bevendo come acqua ad un disperso la risata del compagno – aveva cercato di immaginarla infinitamente, nei momenti duri, dove avrebbe voluto solamente prendere Camelot e scuoterla dalle fondamenta, e mai era sembrata così bella –
‘Mi sei mancato anche tu, asino’ gli risponde affettuoso, facendolo arrossire fino alla radice dei capelli color grano – anche se in futuro, quando Merlino racconterà a Gwen l’episodio, semplicemente negherà, incolpando la cattiva vista dell’altro e la luce –

C’è luce a Camelot, quel giorno, e Re Artù la sta vivendo direttamente dalla sorgente, come la luna col suo sole.
  
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