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Autore: Mia    22/11/2009    3 recensioni
Terza classificata al concorso "When I was a child" indetto da OttoNoveTre.
-Perché sei triste?-
La domanda venne spontanea, come se fosse stato da sempre convinto che quell'albero potesse capire e magari anche rispondere...
Genere: Malinconico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'Autrice: Secondo la mitologia greca, Cecri suscitò l'ira di Afrodite, avendo osato affermare che la bellezza di sua figlia Mirra superasse quella della Dea: allora ella la punì facendo innamorare Mirra di suo padre Cinira. La giovane donna, per merito della compiacente nutrice, riesce a giacere dodici notti di seguito con il padre, inconsapevole della sua vera identità. Quando però Cinira si accorse di aver giaciuto con sua figlia, volle ucciderla e la fanciulla allora, per sfuggire all'ira patera, pregò gli Dei affinché la salvassero e questi la tramutarono nell'albero della mirra. Ma dentro di lei già era stato concepito il figlio di quell'unione incestuosa, Adone, che nacque uscendo direttamente dalla corteccia dell'albero, per poi essere allevato dalle Naiadi, Ninfe dei bacini d'acqua dolce.

Sub robore creverat infans
...il delitto di Cinira cresceva nell’alvo incestuoso...
Capitolo Unico

Il fanciullo correva nella foresta, facendosi largo fra rocce insidiose ed ortiche. Numerosi rovi crescevano lì intorno, con le loro piccole spine appuntite, che avevano strappato in più punti la leggera veste di lino, graffiandolo mentre cercava di farsi largo fra di esse, ed ora, come tante bambine offese e capricciose a cui fosse stato fatto un gravissimo torto, piangevano piccole lacrime rosse di sangue. Le esili braccia del ragazzino non soffrivano per le numerose escoriazioni, che si era procurato già nei giorni precedenti, percorrendo quella stessa strada impervia all'insaputa di tutti, anche della cara Phoebe.
Era ormai giunto a destinazione e, come aveva fatto il giorno precedente e quello prima ancora, si ritrovò a fissare il bellissimo albero con titubanza, quasi con pudore: i suoi rami intricati si tendevano in ogni direzione, come braccia amorevoli che volessero stringere in un abbraccio affettuoso l'azzurro cielo.
“Chissà se riesce ad accarezzare le nuvole?” pensò il bambino, mentre si perdeva nel disegno complesso di quei rami.
Ormai la distanza che lo separava dall'albero era di pochi metri, ma sembrava incolmabile ora più che mai: nei giorni scorsi era sempre giunto fin lì, con il piccolo cuoricino che batteva all'impazzata per la grande emozione unita allo sforzo fisico, ma non era mai riuscito ad avvicinarsi più di così. Era rimasto immobile per ore ed ore a fissare quel miracolo degli Dei, per poi fuggire via, senza una ragione apparente, trafelato ed emozionato, tanto che, quando era tornato da Phoebe con le belle gote arrossate, la fanciulla aveva creduto avesse la febbre.
Anche quel giorno si fermò a qualche metro di distanza, soppesando con lo sguardo il magnifico arbusto e studiandone ogni particolare: l'estate era ormai giunta all'apice e il suo odore erboso si spandeva ovunque, ma per il fanciullo un solo odore prevaleva su tutti gli altri ed era quello pungente e fresco della sua pianta, che lo avvolgeva completamente, inebriandolo. Quel giorno c'era qualcosa di diverso in quel profumo e forse fu la curiosità a spingerlo a fare un altro passo, e un altro, e poi un altro ancora... fino a ritrovarsi di fronte a quell'arbusto per lui così speciale.
L'esile tronco era molto più basso rispetto agli altri alberi ed emanava una fragranza squisita; guardando meglio, il bambino poté vedere che era ricoperto di piccoli, verdi boccioli così chiari che, una volta sbocciati, sarebbero stati bianchi come latte.
Mentre osservava le curve sinuose del tronco, così simili a braccia e seni umani, il bambino pensò che somigliasse a colei che gli aveva fatto da madre: la sua Phoebe, che egli tanto amava.
-Come assomiglia alla mia Phoebe!- si ritrovò ad esclamare il fanciullo, con gioiosa meraviglia. Un sorriso illuminò i suoi splendidi occhi color delle nocciole, facendogli dischiudere il fiore delle labbra, rivelando dei denti di perla e facendo affiorare sulle gote un paio di fossette in un sorriso così puro e gaio che persino il vento ne fu contagiato; difatti, proprio in quel momento cominciò a soffiare, emettendo suoni fruscianti che la fantasia di un bambino poteva scambiare per risa gioiose e cristalline.
Il fanciullo non poté contenere la sua gioia davanti a tanta bellezza e cominciò a saltellare attorno all'albero, ridendo allegramente e battendo le mani.
Poi si fermò e alzò gli occhi, osservando con vivo interesse i ghirigori della corteccia. Quanti disegni la sua sfrenata fantasia era in grado di rintracciare in quei segni apparentemente privi di significato! Ecco lì un capriolo, mentre cerca di sfuggire alle frecce di un cacciatore; più in alto una fanciulla che si bagna nel fiume, mentre un satiro la spia. E cosa c'è lì a destra? Un uccello dalla coda variopinta e poco più in là un guerriero che, avvolto nella sua lucente armatura, impugna un giavellotto, preparandosi al lancio.
Avrebbe potuto rimanere lì per ore ad osservare le volute create dal legno: era come quando stava seduto in grembo alla bella Phoebe, lasciando che la sua immaginazione vagasse, fino a formare sequenze di immagini meravigliose di eroi, Dei ed esseri mostruosi, usciti da miti e storie che Phoebe gli raccontava. Sì, era proprio come se quel bell'albero dal profumo inebriante gli stesse raccontando delle favole per allietarlo...
I suoi occhi continuarono a seguire i contorni e le linee della corteccia, e furono catturati da un'immagine diversa dalle altre. In un punto poco più in alto, a due spanne dal suo volto, la corteccia era più chiara e liscia. Guardando meglio al bambino parve di scorgere gli zigomi e il naso di un volto umano, sotto i quali una curva si divideva in due pieghe deliziose, così simili ad un sorriso da incantare il fanciullo, invogliandolo a sorridere lui stesso; infine, al di sopra di questo strano disegno nella corteccia, sembravano esserci un paio d'occhi, che lo osservavano con uno sguardo di profonda malinconia.
Il cuore del piccolo ne fu profondamente scosso, quasi addolorato.
-Perché sei triste?-
La domanda venne spontanea, come se fosse stato da sempre convinto che quell'albero potesse capire e magari anche rispondere... e il vento sembrò dargli voce: cominciò di nuovo a spirare fra le fronde facendolo parlare con dolore e malinconia. Un turbinio di fili d'erba strappati si sollevò in aria, passando davanti agli occhi del bambino, che scorse un taglio profondo nella corteccia, più o meno all'altezza del suo volto. Era come se il vento avesse voluto mostrarglielo...
Si avvicinò ancora per poter osservare meglio e vide che assomigliava ad una ferita.
-E' per questo che sei tanto triste e sembri soffrire tanto, bella fanciulla? Quanto dolore deve averti procurato questa ferita e quante lacrime devi aver versato!-
Mentre pronunciava queste parole alzava la testa dai riccioli scuri verso il viso scolpito nel legno e cercava di leggervi tutti i sentimenti che sembravano incisi in quella corteccia.
Fu un gesto del tutto naturale, uno di quei gesti di affetto profondo di cui sono capaci i bambini, quello di sollevare le manine verso l'alto fino a toccare quel viso, ed accarezzarlo, come per dargli conforto: al contatto con le sue mani la superficie era liscia, quasi fosse davvero un volto umano. Ed ecco che, lentamente, quasi con pudore, da alcuni noduli del tronco cominciarono a sgorgare piccole gocce ambrate. Il piccolo percepì sulle dita una sostanza vischiosa, alzò lo sguardo e vide che essa sembrava scendere lentamente da quei noduli dalla forma tanto simile ad occhi. Le piccole lacrime dorate rigavano le guance lignee di quel volto silvano, che ora sembrava quasi contorto in una smorfia di malinconica sofferenza.
Ed ecco che, per un breve attimo, fuggevole come una visione, quel viso di donna parve uscire da quella prigione di legno, per tornare umano e bellissimo: vide una fanciulla dai capelli mossi color del miele, che le ricadevano in boccoli sulle tempie, gli zigomi alti, i lineamenti dolci, gli occhi colore delle nocciole…
Il volto era bello e delicato e l'espressione, più che di sofferenza, era di gioia malinconica: l'espressione di chi ha rinunciato a qualcosa di meraviglioso e, ritrovandoselo davanti, sa di non poterlo più riavere.
Ed ecco che, in quel fugace attimo, le splendide labbra della fanciulla-albero si dischiusero in un sorriso melanconico per poi pronunciare una sola parola, che si diffuse nella radura come un'eco dai toni gioiosi:
Adone!
one…
one…
one…
ne…
ne…
e…
e…

Lo smarrimento si impadronì del bambino che, mentre il suo nome echeggiava per la radura fino a perdersi fra le rocce, con la mano ancora appiccicosa a causa di quella sostanza resinosa, fece un passo indietro, senza staccare gli occhi da quelli della fanciulla…così simili ai suoi, nel colore e nella forma… così simili...
In quel momento qualcosa scattò, nella sua mente, facendogli ricordare un passato remoto ed arcano, che neppure sapeva di aver vissuto. Ricordava una flebile luce che filtrava attraverso le palpebre umide di pianto, ricordava un brusio di voci che pronunciavano parole incomprensibili e sconosciute, ma ricordava soprattutto un odore dolce e delizioso, che aveva pervaso la radura. Ricordava molto bene quanta sete gli avesse messo in corpo quell'odore e quanto avesse pianto, si fosse proteso, per quanto gli fosse possibile, in direzione di quel profumo, per potersi nutrire di esso. Ma non gli era stato possibile... aveva lottato e lottato, ma il suo fragile corpicino – così piccolo allora! - non si era mosso, trattenuto da una forza amorevole e calda, il cui odore per un attimo si era mescolato a quello della pianta... un odore che ancora adesso per lui significava rifugio e protezione: il profumo del seno e dei capelli di Phoebe.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse trascorso, ma ricordava bene la prima volta in cui aveva aperto – con grande sforzo – gli occhi per guardarsi attorno. Come tutto gli era sembrato grande allora! Anche ciò che adesso aveva dimensioni normali gli era parso gigantesco. Aveva visto il cielo ed aveva imparato ad amare e riconoscere quel colore rassicurante e meraviglioso che era l'azzurro; come erano belle quelle soffici masse bianche che si spostavano nel cielo come tante barche in mezzo all'oceano, e come era colorata l'erba ricoperta di fiori. Ricordava anche un'altra cosa: quando li aveva aperti, i suoi occhi si erano subito posati su quell'albero odoroso. Non avrebbe saputo dire perché, ma la superficie dura e levigata, con inciso quel volto di donna, gli aveva trasfuso subito sicurezza ed amore, ed aveva avvertito un sentimento grande di fronte a quello squarcio nella corteccia, da cui usciva copiosamente un liquido colore dell'ambra, come fosse sangue – o forse lo era...? Un sentimento grande a cui non avrebbe saputo dare un nome. Ed anche allora i suoi occhi si erano soffermati su quel volto silvano, cogliendone i lineamenti, la curva della bocca dolce, distesa in un sorriso di gioia, che disegnava due fossette sulle guance e gli occhi castani così simili ai suoi, benché più seri ed assorti.
Erano ricordi vaghi, confusi e lontani, ma ora tutto si ripresentava davanti a lui con la potenza straordinaria, che porta con sé un'importante rivelazione.
Con passo incerto, il fanciullo ripercorse i pochi passi che lo avevano allontanato dal tronco, allungando le braccia, posò le manine su quel volto, cercando di asciugare le lacrime resinose che ancora sgorgavano copiose dagli splendidi occhi, ma non poté far nulla per arrestare le sue, che gli rigavano le guance facendolo singhiozzare.
Infine, in uno slancio di amore, il piccolo Adone strinse forte la corteccia di quell'albero in un abbraccio, ripetendo una sola parola che, ancora una volta, si disperse per la radura, portata dal vento in un'eco traboccante di amore.
Mamma!

  
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