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Autore: Flora    19/06/2005    10 recensioni
Zadrakarta, Ircania. In una notte piena di profumi e di cose taciute, Alessandro ed Efestione si trovano ad affrontare i cambiamenti avvenuti nel loro rapporto.
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“Ci sono momenti in cui, anche di fronte a questo mondo che ho voluto e sognato con tutte le forze, vorrei che potessimo tornare a essere come quando eravamo ragazzi, ti ricordi, Efestione? Solo io e te, il calore di una coperta e di un lume che brucia. E tutto il resto chiuso fuori al di là della nostra porta. So quant’è difficile a volte. So quant’è difficile per te…“
“Persino così, Alessandro, io ho più di quanto un uomo potrebbe mai desiderare.”

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Questa storia fa parte del mio ciclo di racconti su Alessandro il Grande.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Nota dell’autrice: Questo racconto è ispirato a fatti e personaggi storici. La ricostruzione degli eventi e della cronologia, così come la caratterizzazione dei personaggi, è basata sulle relative fonti storiche accreditate. Nel delineare la figura di Alessandro il Grande di Macedonia e dei suoi contemporanei, mi sono rifatta ad Arriano, Plutarco e Curzio Rufo. Nel delineare il personaggio di Efestione, ho tenuto conto di alcune teorie che gli attribuirebbero probabili origini ateniesi, anziché macedoni. La ricostruzione della sua vita precedentemente all’incontro con Alessandro è tuttavia di mia invenzione, dato che Efestione appare nelle fonti solo successivamente.





Fallen embers






Zadrakarta si era rivelata un’infinita fonte di delizie per Efestione. La primavera era gentile con la città dopo le ristrettezze invernali, l'aria di mare filtrava dalle ampie finestre del palazzo rendendo la notte umida e fresca, profumata di sale. Efestione non si era reso conto di come gli fosse mancato quell’odore fin quando non si erano lasciati alle spalle gli aspri altipiani della Media, e la distesa azzurrina del mare Ircanio aveva luccicato e sfolgorato sotto i raggi del sole.
Il fortilizio in cui si erano accampati da alcune settimane era vecchio e dava sulla costa. Gli piaceva stare lì; l’aspro effluvio di agrumi e alberi di limone gli ricordava i pomeriggi della sua infanzia, passati a nuotare e a pescare nelle acque scure del Falero, fuori dalle mura di Atene. Era cresciuto vicino al mare e quegli aromi avevano tutto il sapore di un ritorno a casa.
I suoi passi risuonavano pesanti nel corridoio immerso nell’oscurità; i rumori e gli schiamazzi del banchetto ancora in corso nella sala delle cerimonie sembravano scivolare tra le pietre fredde e spillar fuori nell’immobile aria notturna.
Alessandro aveva indetto un periodo di giochi e celebrazioni appena arrivati a Zadrakarta e i soldati si erano prontamente dati a ogni sorta di bagordi. Gli uomini avevano bisogno di un po’ di riposo, rifletteva Efestione, e anche lui.
Giunse davanti al pesante portone di legno che dava accesso ai quartieri privati, e i due soldati addetti alla guardia si fecero da parte senza dire una parola. Erano abituati alla sua presenza e avevano ordine di lasciarlo passare a qualunque ora del giorno e della notte.
I suoi stivali di cuoio da soldato affondavano fino al calcagno nei soffici tappeti armeni mentre attraversava la stanza e scostava le pesanti tende che separavano l’ingresso dalla camera interna.
Il Re era adagiato sull’enorme letto, circondato da cuscini di seta, e sorseggiava il vino che un giovane schiavo dai capelli scuri gli stava versando in una coppa. Efestione indugiò sulla soglia schiarendosi la voce e il ragazzo indietreggiò rispettosamente.
Quando Alessandro alzò gli occhi, il suo sguardo si accese di un rapido e improvviso sfolgorìo.
“Ti aspettavo. Di solito non ti trattieni così tanto ai simposi. Dove sei stato?”
“Perdicca aveva voglia di brindare, mi ha praticamente obbligato a restare per un paio di sorsi in più. Ti sei perso i lamenti di Liside. Avresti dovuto sentirlo mentre cantava uno dei suoi peana.”
Alessandro fece una smorfia, alzandosi in piedi. “Non credo che lo rimpiangerò. Quando è ubriaco, tuo fratello canta come una donna in preda alle doglie.” Appoggiò la coppa sulla mensola vicino al letto e rivolse un cenno allo schiavo che era rimasto immobile e in silenzio in un angolo. “Puoi andare, Bagoa, ti ringrazio. Ti vedrò domattina.”
Il giovane fece un breve inchino. “Ti auguro una felice notte, mio Signore,” mormorò poi si avviò verso le tende. Efestione si scostò per lasciarlo passare e Bagoa si inchinò impercettibilmente anche a lui – senza alzare lo sguardo – prima di sparire nell’oscurità dell’anticamera. I tendaggi si richiusero con un fruscìo di sete dietro le sue spalle.
Efestione sospirò poi si fece avanti, lasciandosi affondare su uno dei divani. Afferrò una coppa piena di vino, l’annusò e la lasciò ricadere con una smorfia, spargendo gocce di liquido rosato sopra il tavolo.
“Ne ho abbastanza di vino per stasera. Soprattutto di questa piscia di cavallo annacquata. “
Alessandro alzò un sopracciglio e sorrise mentre gli si avvicinava. “Si può sapere cosa hai fatto a quel ragazzo? Si spaventa a morte ogni volta che ti fai vedere in giro.”
“Io lo spavento? Non sarebbe una novità. Molta gente pare trovarmi spaventoso da un po’ di tempo a questa parte. A ogni modo no, non gli ho fatto nulla, gli ho a malapena rivolto la parola.“
“Sei troppo severo,“ rispose Alessandro e non sembrava più alludere a Bagoa, “incuti timore ai soldati più giovani e mi è stato riferito che il tuo rigore è ormai una leggenda tra i miei paggi.“
“Sono efficiente,“ ribatté Efestione. “Come tu hai voluto che fossi. Si fa già un gran parlare di quello che sono, di dove sono e di chi mi ci ha messo, senza che a questo debba aggiungere accuse d’inettitudine.“
Alessandro levò le mani in segno di resa e si sedette accanto a lui, allargando le braccia e stendendosi sui cuscini. “Ho capito. Non sei di buon umore stasera. Che ne dici di lasciar perdere l’argomento?”
Efestione si passò le dita tra i corti capelli scuri, reprimendo un sospiro. “Sì, mi sembra una buona idea. Ripensandoci, credo che un’altra coppa di quel tuo vino disgustoso non mi dispiacerebbe.“ E allungò una mano per afferrare il calice che Alessandro gli porgeva.
La stanza era illuminata dalle lampade a olio e dalle candele; le tende damascate alle finestre erano mosse dalla brezza notturna che soffiava dal mare e le faceva gonfiare come respirassero. Nell’aria stagnava un odore acre di olio bruciato e incensi, salso di mare e gli effluvi della gomma arabica lasciata a bruciare nei tripodi. Quel miscuglio selvaggio di odori faceva girare la testa a Efestione, che si chiedeva spesso come ad Alessandro potesse piacere un talamo che puzzava come un bordello. C’erano cose a cui non era ancora riuscito ad abituarsi, mentre Alessandro sembrava assolutamente a proprio agio, e certo non solo con i profumi e le spezie orientali.
C’erano molte cose, di quelle terre, che pareva apprezzare.
Fece una smorfia. Dalla terrazza affacciata sull’ampio giardino gli arrivava il brusìo indistinto degli uomini e delle donne che si erano trasferiti all’aperto, per continuare la loro festa privata, e il suono impalpabile di un aulos.
Un giovane stava intonando una canzone, lasciandosi accompagnare dalle note del flauto, e la sua voce si alzava in volute flebili e incorporee, filtrando tra i tessuti e mescolandosi ai fumi degli incensi e del sandalo nella stanza.
Efestione chiuse gli occhi, cercando di distinguere le parole trascinate dal vento notturno.

un tempo, come ricorda il mio cuore
tutte le stelle non erano altro che braci cadute.
un tempo, quando la notte pareva durare per sempre, io ero con te

Alessandro si sfilò i sandali e stese le gambe su di lui, mentre sorseggiava lentamente il vino.
Efestione notò che indossava un corto chitone di porpora fenicia e sorrise compiaciuto. Il Re era affascinato dalle lunghe ed elaborate tuniche persiane e aveva preso a indossarle sempre più spesso, ma quella sera sembrava perfettamente a suo agio negli abiti che gli aveva visto addosso per gran parte della sua vita.
La cosa era ben lungi dal dispiacergli.
Appoggiò una mano sulla coscia di Alessandro e prese a massaggiarla lentamente.
“Non intendevo spaventarlo; il ragazzo, voglio dire. Ma non posso farci niente. È nervoso come un gatto, si allarma per ogni cosa e si è probabilmente messo in testa che io lo voglia vedere morto in cima a un palo, o qualcosa del genere.“
Alessandro, che aveva chiuso gli occhi, li riaprì a metà, una scintilla divertita nelle iridi chiare. “Non dimenticarti da dove viene. Era il ragazzo di piacere di Dario, ha dovuto imparare a stare all’erta per forza di cose. In una corte come questa ognuno deve imparare a badare a se stesso, soprattutto quelli come lui. E comunque,” aggiunse dopo un attimo, “il ragazzo ha le sue utilità.“
“Di questo non dubito.” La frase gli era uscita per caso, involontariamente aspra, ma era ormai troppo tardi per rimediare.
Scoprì che non gli importava affatto.
“L’ironia non ti si addice, Efestione.”
Efestione irruppe in una risata. “Nessuna ironia, era solo un tentativo maldestro di cambiare discorso. Vedrai, prima o poi il ragazzo capirà che non ho alcuna intenzione di torcergli un capello. Ho già il mio bel da fare con i soldati senza che debba preoccuparmi anche del tuo eunuco da compagnia, Alessandro.”
Alessandro sorrise, scoprendo i denti bianchi, e mosse lentamente un piede contro la sua gamba, facendogli risalire il chitone lungo la coscia.
“Molto nobile da parte tua. So che ti chiedi come mai io abbia deciso di tenerlo con me, ma... “
“Ah, dunque si tratta di questo. Diciamo che ho archiviato la cosa come una delle tue tante stranezze,“ lo interruppe Efestione, socchiudendo gli occhi e rilassandosi al tocco leggero di Alessandro. “Il ragazzo è bellissimo, come tutti quelli della sua razza. Dovrei essere cieco per non notarlo. La bellezza sembra essere un tratto comune da queste parti.”
Alessandro ritirò il piede di scatto, sbattendo la coppa sul tavolino basso davanti al divano.
“Mi fa piacere che apprezzi le bellezze locali.“ Il suo tono si era fatto di colpo tagliente. “Proprio ieri, Filota mi raccontava di come tu abbia trovato le danzatrici di Dario decisamente di tuo gradimento a Susa. Bene. Il fascino orientale pare essere di tuo gusto.” Si mise in piedi e si diresse a grandi passi verso la terrazza.
Il vociare che veniva dal giardino si era ormai ridotto a poco più di un mormorio sommesso. Solo il limpido canto del ragazzo si poteva ancora udire; si ritraeva e si increspava come il suono della risacca notturna che filtrava dalle finestre.
“A quanto mi risulta è stato proprio Filota a beneficiare più di tutti delle attenzioni delle ragazze di Susa. Sai bene che ha un certo gusto per queste cose,“ rispose Efestione fingendo di ignorare il cambiamento di tono. Si sporse per guardare Alessandro che gli dava le spalle, voltato verso l’enorme balcone, e levò di poco la voce. “E poi non ho tempo per questi svaghi. Il mio Re mi tiene piuttosto occupato con gli affari dell’ esercito, come dovrebbe sapere.”
“Lascia perdere. Non voglio discuterne.“ Alessandro si voltò di scatto e si appoggiò alla balaustra della terrazza. Il suo volto era nascosto dalle ombre ma Efestione poteva vedere i suoi occhi mandare lampi pericolosi persino da quella distanza. Su questo non poteva sbagliarsi.
Represse un sorriso e si alzò, raggiungendolo all’aperto. Da lì, poteva udire meglio la musica dimessa del flauto e le parole che l’accompagnavano e salivano fino a lui in pigre, languide spire.
Era un canto familiare che gli ricordava i richiami dei pastori sui pascoli di montagna, in Macedonia, e gli parve per un attimo di risentire sulla pelle quell’aria fresca e carica di pioggia, il vento dell’ovest che soffiava stridendo tra le rocce e nei crepacci – portando con sé il profumo della prima neve d’inverno. Quante volte si era addormentato all’aperto su quei prati, aspettando il mattino e guardando le stelle, ardenti come un fuoco acquattato che covi incessante sotto le ceneri.

un tempo, nel conforto del mattino,
tutto era nell’aria.
un tempo, quando il giorno stava per sorgere
io ero con te

quanto siamo lontani dal mattino,
così lontani.
e le stelle risplendono nell’oscurità,
precipitando nell’aria

Efestione sollevò lo sguardo e le stelle erano davvero braci incandescenti quella notte, piccoli punti rossi che cadevano silenziosi, frantumandosi contro il cielo. Pensò che se avesse allungato una mano avrebbe potuto sentire il calore pungente e familiare del fuoco nel palmo chiuso.
Alessandro era rimasto in silenzio, voltato di spalle. Efestione si chinò e gli poggiò un bacio lieve su una spalla, facendolo sussultare. La sua voce era roca e dolce contro la sua pelle.
“Per quanto entrambi possiamo apprezzare la bellezza e le seduzioni di questo mondo così nuovo per noi, ci sono certe cose che non cambieranno mai, Alessandro.”
Alessandro sospirò e appoggiò una mano sulla sua, senza voltarsi.
“Un mondo, sì. E così vasto che neanche nei miei sogni avrei mai potuto immaginare. Eppure adesso siamo qui, lontani dalla nostra casa, le spezie e i tesori d’oriente versati ai nostri piedi e la mia sete non si è ancora estinta, né so se mai si estinguerà. Ma certe cose non sono mai cambiate, hai ragione. Non potranno mai cambiare.” Si voltò e si ritrovò a fissare i suoi occhi, lo sguardo lucido contro le ombre dorate che si muovevano sul suo volto. “Besso è lì fuori da qualche parte e tu sai che non avrò pace finché non l’avrò stanato. E dopo... dopo raggiungeremo la Scizia, la Battriana, le montagne che persino Dioniso volle attraversare e oltre ancora, finché ci sarà una strada da seguire, e tu lo sai. Ci sono ancora tante cose da fare, Efestione, ma mi sei mancato. Mi manchi ogni giorno.” Gli appoggiò il volto contro il petto, facendo risalire le mani lungo le sue braccia nude, rese fredde dall’aria notturna. Sospirò ancora, questa volta più forte. “Ci sono momenti in cui, anche di fronte a questo mondo che ho voluto e sognato con tutte le forze, vorrei che potessimo tornare a essere come quando eravamo ragazzi, ti ricordi, Efestione? Solo io e te, il calore di una coperta e di un lume che brucia. E tutto il resto chiuso fuori al di là della nostra porta. So quant’è difficile a volte. So quant’è difficile per te…“
“Persino così, Alessandro, io ho più di quanto un uomo potrebbe mai desiderare.”
Fu solo un sussurro. Alessandro si fermò a guardarlo. Affondò d’improvviso le dita nella carne soda delle sue braccia, lasciandovi segni rossi come ferite.
Il flauto continuava a suonare, un lamento dolce, appena udibile tra i fruscii delle piante e il frinire lontano dei grilli.
“Andiamo a letto.”
Efestione trattenne il respiro. Gli occhi di Alessandro apparivano offuscati e impenetrabili come olio nero. Sentì qualcosa muoversi dentro di lui, un flusso selvaggio di sensazioni, un desiderio feroce di cui non era prudente ricordare il nome. Era passato molto tempo dall’ultima volta in cui avevano giaciuto insieme – la guerra li aveva tenuti lontani, i suoi doveri di soldato e, soprattutto, quelli di re, per Alessandro. La guerra, il dovere e le campagne, sì – ma lui sapeva cosa sussurravano i soldati alle sue spalle, sapeva che era considerato sconveniente che un uomo mantenesse i rapporti avuti durante la propria giovinezza.
Nessuno si aspettava che un re condividesse il talamo con un uomo adulto, e lui avrebbe preferito morire che svergognare Alessandro. Il ragazzo persiano dagli occhi neri era sicuramente più adatto di lui a quel ruolo.
Sapeva che questo non aveva cambiato nulla tra loro, ma c’erano volte in cui gli mancava disperatamente il calore ruvido del suo corpo, il contatto intimo e familiare della sua pelle. Era vero, nemmeno lui aveva certo vissuto nella più totale continenza, ma nulla era paragonabile a questo. Quell’odore che era solo suo e capelli biondi sparsi in onde morbide lungo il collo. Il calore ardente di pelle scottata al sole.
Alessandro lo stava ancora guardando. “Andiamo a letto, Efestione.”
Efestione si lasciò inghiottire dalla sensazione che la voce rauca e smorzata di lui gli provocava, perdendo ogni cautela.
Si baciarono a lungo sulla terrazza di pietra umida, quasi timidamente – come fosse la prima volta. Ma non durò. Alessandro lo condusse in camera e si ritrovarono sdraiati sull’enorme letto, i cuscini sparsi per terra e le coperte di seta ammucchiate in un angolo.
Si sfilarono i vestiti con gesti impazienti, ansiosi di ritrovare il contatto della loro pelle, muovendosi ruvidamente l’uno contro l’altro, senza alcuna gentilezza. L’aulos ormai non vibrava più, gli unici suoni erano i loro gemiti soffocati e il sibilo del vento che faceva frinire le sete e affogava la stanza di fragranze di cedro e sale marino.
Anche il corpo di Alessandro sapeva di sale, pensava Efestione mentre passava la lingua sul suo petto, sull’addome, e Alessandro si muoveva sotto di lui, accarezzandogli i muscoli tesi delle spalle e della schiena. Eccolo finalmente, quello strano miscuglio di sale e sudore – e qualcos’altro che era così indubitabilmente Alessandro – che lui conosceva meglio di chiunque altro. Quanto gli era mancato.
Si prese in mano il membro indurito e lo chiuse nel pugno assieme a quello di Alessandro, facendo scorrere la mano veloce su entrambi. Alessandro gridò e imprecò allo stesso tempo, e unì il palmo a quello di lui, assecondando e accelerando il ritmo dei suoi colpi.
“Alekos!“ gridò Efestione, e il suo lamento si confuse con la voce di Alessandro che lo incitava e con il suono dei loro corpi che schioccavano l’uno contro l’altro, all’unisono. Non durò molto e alla fine si lasciarono cadere l’uno accanto all’altro, in silenzio, mentre il seme si seccava sui loro addomi e il vento caldo asciugava il sudore della pelle.
Alessandro si sporse su un gomito e prese un calice dalla mensola, sorseggiando quel poco di vino che era rimasto. Poi lo porse a Efestione, che bevve a sua volta, come avevano fatto infinite volte nella loro giovinezza quando condividevano tutto – persino la stessa coppa e lo stesso piatto.
Striature rosse e arancioni squarciavano l’orizzonte e la prima bruma mattutina stava già galleggiando sul mare, rendendo i contorni opachi e iridescenti. Un uccello notturno lanciò un ultimo richiamo solitario poi tacque, ed Efestione si ritrovò a ricordare le ultime parole della canzone che aveva sentito quella notte, parole che gli erano rimaste impresse come un marchio – e che serbavano anch’esse il sapore acre e salato di una promessa.

un tempo, mentre la notte se ne andava,
tessevamo dentro di noi i nostri sogni.
un tempo, valeva la pena conservare tutti i sogni,
e io ero con te

Alessandro lo guardava in silenzio ed Efestione gli sorrise, accarezzandogli il viso. Poi si alzò in piedi con uno scatto agile e cominciò a infilarsi il chitone.
“Che stai facendo?”
“Me ne vado prima che faccia giorno.“
Alessandro si mise a sedere e gli prese la mano, tirandolo di nuovo verso il letto. “No. Rimani qui.”
Efestione lo osservò confuso. “Sarà prudente? Gli uomini parlano già abbastanza. Non siamo più due ragazzini alla scuola di Aristotele.“
“Non siamo neanche due adolescenti in balìa di qualcuno che può decidere per noi,“ rispose Alessandro traendolo verso di sé. “Nessuno può più dirci cosa fare, ormai. Tutto questo potere dovrà pur avere i suoi vantaggi, non credi?”
Efestione rise, mentre Alessandro lo guardava con un lampo divertito negli occhi grigi.
“Questa è decisamente una buona ragione. Se me l’avessi detto prima, ti avrei obbligato ad attraversare il maledetto Ellesponto molto tempo prima.”
Si lasciarono entrambi cadere sul letto mentre ridevano, poi rimasero vicini – a occhi chiusi – ad ascoltare lo sciacquìo delle onde e i rumori flebili degli uccelli che salutavano l’alba.
Efestione passò un braccio attorno al torace di Alessandro e poggiò il viso nel morbido incavo tra il collo e la spalla, sfiorando con le labbra la vecchia cicatrice che s’era fatto a Gaza quasi due anni prima. Dopo pochi istanti poteva sentire il ritmo regolare del suo respiro nel sonno, e l’abbassarsi e alzarsi leggero del suo petto contro la sua mano aperta. Il cuore pulsava lieve al di sotto.
Il cielo era screziato d’indaco e ocra pallidi, i primi raggi del sole si allungavano sull’acqua, all’orizzonte, lacerando la superficie blu di sfolgoranti squarci argentei. Efestione strinse gli occhi, accecato dai bagliori. La stanza era impregnata di incenso bruciato e del grasso delle candele, ma il vento portava con sé un profumo leggero di erba bagnata.
Si rilassò contro la spalla di Alessandro, respirando a fondo, e chiuse gli occhi. Prima di perdersi nel sonno gli parve di risentire la nota prolungata di un aulos e una voce lontana che intonava le ultime rime di una canzone che non riusciva più a ricordare. Tentò di richiamare le parole alla memoria ma non ci riuscì.
Pensò che ormai non aveva più importanza.


un tempo, quando i nostri cuori cantavano,
io ero con te



Fine





Once, as my heart remembers
All the stars were fallen embers
Once, when night seemed forever
I was with you
Once, in the care of morning
In the air was all belonging
Once, when that day was dawning
I was with you
How far are we from morning?
How far are we?
The stars shining through the darkness…
Falling in the air…
Once, as the night was leaving
Into us, our dreams were weaving
Once, all dreams were worth keeping
I was with you
Once, when our hearts were singing
I was with you

Enya – “fallen embers”


Note:


Può sembrare strano che, in questa storia, Efestione appaia così accomodante nei confronti del rapporto che Alessandro intratteneva con Bagoa. In realtà, credo che ogni rapporto vada sempre messo in relazione con la cultura e il credo dell’epoca in cui è nato, e la cultura greco-macedone di quel tempo era fortemente poligama – e promiscua.
Ciò non vuol dire che non potessero esistere legami che si basavano sull’amore e il rispetto reciproci (e quello tra Alessandro ed Efestione era certamente tra questi), ma la monogamia sessuale come valore aggiunto alla coppia e come un mezzo per dimostrare la propria fedeltà e impegno è nato solo con l’avvento del cristianesimo.
Al tempo di Alessandro era comunemente accettato che un uomo adulto si dovesse sposare – come da consuetudine – e che potesse al contempo continuare a intrattenere rapporti con altri/e amanti – concubine o ragazzi molto giovani. Penso che Efestione questo l’avesse sempre saputo, e l’avesse accettato come parte della realtà in cui viveva.
Dopotutto, lui e Alessandro erano insieme da tutta una vita. Ricordiamoci che la società greca era fortemente gerarchizzata, per cui gli schiavi contavano meno di una persona. Non credo che uno schiavo persiano contasse molto nello schema delle cose. Stesso discorso per la sua sposa barbara Rossane: anche le donne, come gli schiavi, erano considerate “inferiori”. Può sembrare una visione un po’ poco romantica, ma a quei tempi non c’era molto spazio per il romanticismo – almeno come lo intendiamo noi.
La reazione di Alessandro all’idea che anche Efestione possa aver avuto altri amanti, (una reazione senz’altro più “ardente” di quella avuta da Efestione) l’ho dedotta più da quello che si sa della sua natura che non da un anacronistico valore culturale. Alessandro era accentratore, fortemente competitivo, voleva essere il primo in ogni cosa. Ho pensato che con Efestione dovesse essere lo stesso.

La stessa cosa vale per la non “legittimità” del loro rapporto agli occhi degli altri uomini della loro società. Anche qui, ovviamente, non è tanto un discorso sulla non accettazione di un legame omosessuale (come potrebbe essere oggigiorno), ma si lega a quelle che erano le convenzioni del rapporto omoerotico nella società ellenica del tempo.
Il rapporto omoerotico prevedeva sempre un adulto e un ragazzo; anche quando era concesso che gli amanti potessero essere due giovani pressappoco della stessa età (come in Macedonia), ci si aspettava che – una volta divenuti adulti – i due giovani abbandonassero il legame dell’infanzia per sposarsi – o per prendersi amanti molto più giovani (come, ad esempio, l’eunuco Bagoa che appare in questo racconto).
Questo perché il ruolo passivo in un uomo adulto era ritenuto inaccettabile – lo rendeva simile a una donna – e questo ruolo poteva essere ricoperto solo da un ragazzo giovane.
Tenendo conto, però, della rivoluzione compiuta da Alessandro in ogni campo della cultura e della politica, trovo plausibile che lui sia andato contro le convenzioni anche in questo caso, e che quindi – anche se probabilmente non negli stessi termini della loro giovinezza – abbia continuato a essere l’amante di Efestione anche in età adulta.

  
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