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Autore: SakiJune    30/11/2009    5 recensioni
Se la vita ti ripropone, anche se in piccolo, la scena di una tragedia che ti ha sconvolto la vita, non conta quanto tu sia coraggioso o forte. Perderai la testa, Bors, garantito. Dedicata a chi, come me, non si dà ancora pace per la fine di Dagonet.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa all'iniziativa Criticombola del sito Criticoni, prompt #77: "Remember"


Nonostante sia fondamentalmente una purista per quanto riguardi le leggende arturiane (Malory è la mia guida e la mia ragion d'essere), ho apprezzato il film "King Arthur" di Fuqua, per come ha saputo reinventare i personaggi e renderli credibili. Tranne Lancelot che detesto in qualsiasi versione, film o checchessia. Qui, la mia attenzione e il mio infuocato amore sono andati dritti verso Bors, Vanora, Dagonet e il piccolo Lucan. E lì resteranno.




REMEMBER


La grande pozzanghera era ghiacciata durante la notte, e ostacolava la strada alla piccola folla diretta al mercato. Vanora fece una smorfia e si alzò le vesti, decisa ad attraversarla; il bambino si offrì di precederla. Non era proprio il caso di rischiare che il ghiaccio cedesse e che la sua madre adottiva si prendesse un'infreddatura o peggio: era di nuovo incinta, ma questa volta non di un bastardo - Bors l'aveva sposata, finalmente, pochi mesi dopo il matrimonio di Arthur e Guinevere.

"Ma no, Lucan, ce la faccio... non darti pensiero."


Vanora si era affezionata subito al bimbo biondo, serio e risoluto, piovuto dal Nord in seguito all'ultima missione voluta dal vescovo. Era così facile volergli bene: più arduo sarebbe stato strappargli un sorriso.
Se ne stava spesso in disparte, senza partecipare ai giochi rumorosi dei suoi nuovi fratelli e sorelle. Ascoltava i discorsi degli adulti, piuttosto. La sera restava spesso davanti al fuoco, stringendo l'anello tra le dita ancora troppo sottili e delicate. Qualche volta cullava il piccolo, che non camminava ancora, e lo guardava addormentarsi. Era bello assistere a quelle scene. Bors non si meravigliava, o almeno non lo dimostrava; si schiariva la gola e biascicava qualche bestemmia di compiacimento.


Quel mattino Lucan si era avventurato sulla superficie opalescente, ipnotica, che cricchiava minacciosa sotto le sue scarpe.
Il suo sguardo era concentrato e cupo. Un passo cauto dopo l'altro, aveva raggiunto la metà del laghetto e si era voltato.

"Fin qui sembra a posto..."

Bors si era sentito gelare nelle vene. Più tardi avrebbe maledetto la figlia maggiore troppo vanesia, che voleva uno specchio ora-e-subito, e la giornata luminosa, ingannevole per chi spera nella primavera da un momento all'altro. Non sarebbero dovuti uscire, non su quella strada e non a piedi, almeno.
Ma in quel momento non pensava a nulla, mentre lentamente il terrore gli scolpiva i lineamenti rudi e un tempo feroci.
Vedeva qualcosa di già accaduto, di inarrestabile, e tuttavia sentì prepotente l'urgenza di impedirlo, di mantenere in vita ciò che aveva di più prezioso:

"Dag! Dag, fermati! Torna indietro!"


Senza dimenticare la prudenza, nonostante lo stupore, Lucan ubbidì. E quando lo vide al sicuro tra le braccia di Vanora, mentre i suoi figli e i domestici arretravano sbigottiti e lo guardavano come se fosse diventato matto, Bors tornò al presente, alla realtà, rendendosi conto di non aver ancora superato lo choc del primo scontro con l'esercito sassone e la perdita del suo migliore amico.

"Rimani... con me... con noi..."


Quella notte, accarezzando i capelli della moglie, pianse. Raccontò la storia che Vanora conosceva già a memoria, la storia di due ragazzi partiti insieme verso l'ignoto da un villaggio della Sarmazia. Due amici tanto diversi tra loro, eppure uniti da un affetto che non aveva bisogno di parole.
E si sentì meglio, dando un nome al dolore e alla gioia.
Un poco, un poco alla volta.


"Gilly è a posto. La più grande, Twaile. Poi Threnden. Ford. Fivar."
"Fivar? Non è per niente adatto ad una bambina."
"È il suono, 'Nora, il suono... ci è abituata. Sexor. Sevanna."
Quando giunsero al piccolo Evan, Vanora non chiese quale sarebbe stato il nome della creatura che portava in grembo. Era ormai tempo di ricordare e onorare il passato, non più di rimpiangerlo.

E la primavera giunse su un regno di pace.

   
 
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