"Questa
che vado a proporvi è una fan-fiction sui tre protagonisti
di final fantasy 7,
ovvero Cloud,Tifa e Aerith. Se la curiosità si è
impadronita di voi leggendo il
titolo, vi anticipo che non si tratta della solita fan-fic dove si
cerca in
tutti i modi di riportare in vita Aerith, pur amando tantissimo questo
sfortunato personaggio. And that's the bottom line, ’cause
Alex said so!!"
Erano passati
due mesi dalla fine della loro avventura contro la reincarnazione di
Sephiroth
e dalla fine dell’epidemia di geostigma, curata con della
semplice acqua e dei
fiori. Se Aerith avesse saputo che i suoi amati fiori e il suo
“posto segreto”
avessero compiuto un tale miracolo avrebbe ringraziato il Pianeta prima
di
mettersi a ridere spruzzando l’acqua in faccia a Cloud e agli
altri. Ormai,
però, era morta da qualche anno, concluse
l’ex-Soldier. Fu qualche giorno dopo
che gli venne un raptus, un lampo attraverso il cervello: aveva un
luogo dove
pregare il suo migliore amico, il povero Zack, il vero Soldier prima
classe che
era morto eroicamente nel tentativo di salvarlo. Sullo stesso luogo
aveva
conficcato in terra la sua Buster, promettendosi che avrebbe vissuto
anche per
lui. E vedendolo salutare con Aerith dopo aver salvato di nuovo Midgar
pensava
di iniziare a farcela. Si era finalmente deciso di mettersi con Tifa,
perfino.
E nella stessa chiesa fecero una sorta di cerimonia di nozze, anche se
di matrimonio
aveva in sostanza solo il nome. La loro unione era molto di
più di un bacio, di
una folle notte d’amore (c’erano anche quelle per
carità…) di un’amicizia eterna.
Ma l’epifania che gli venne, qualche tempo dopo, non lo
lasciò più: quando Aerith
morì, nella rabbia, nella disperazione, nel desiderio di
vendetta, Cloud la depositò
sul fondo del laghetto nella città degli Antichi, Ajit.
Pensava che lì
nell’acqua, potesse riposare in pace. Ma l’uso che
Kadaj stava per fare del posto,
rischiava di corromperlo: il corpo di Aerith nell’acqua
inquinata dalle cellule
di Jenova? Non poteva accettarlo.
Si sveglio
di buon mattino come al solito, per non svegliare Tifa. Non le disse
nemmeno
della sua idea di ritrovare il corpo di Aerith per darle migliore
sepoltura.
Aveva paura che le dicesse di non farlo, che era un ricordo del passato
e che
molto probabilmente l’acqua non era così
inquinata. Però glielo avrebbe detto.
Dopo. Forse.
Prese la
moto, e partì per Junon per prendere una vettura che lo
portasse fino al continente
Nord, a Bone Village. Non voleva chiedere né il Tiny Bronco,
né l’Highwind a
Cid. Il pilota, da vecchio perspicace, avrebbe intuito che gli sarebbe
servito
per una cosa importante. E probabilmente lo avrebbe convinto ad
accompagnarlo,
data la ristrettezza di competenze aeronautiche di Cloud. No, meglio
andare in
incognito, di modo che nessuno lo potesse riconoscere. Oddio, sperando
che non
trovasse sullo stesso cargo Yuffie in cerca di qualche reperto da
sgraffignare.
Ma se non ricordava male, dopo la “cerimonia” se
n’era sparita con Vincent… “La
ninja e il vampiro”. Sembrava il titolo di uno di quegli
strani romanzi mezzi
horror, mezzi dark da cui spesso tiravano fuori film ben poco
rassomiglianti
per un pubblico di adolescenti in cui si riconoscevano, specialmente
nel
vampiro. Solo che Vincent era sì affascinante, ma non era di
certo un vampiro. Figuriamoci
se Yuffie fosse scomparsa insieme a un essere morto, privo di
circolazione
sanguigna e di altri…fenomeni del basso ventre. I due
opposti si erano attratti,
per dirla in fisica. Del resto, anche lui non era forse diversissimo da
Tifa?
O, se fosse stata viva, non sarebbe stato l’opposto di Aerith
se si fossero messi…
Cloud
preferì togliersi il pensiero dalla mente. Non poteva
riempirsi già la testa di
pensieri tristi considerando quello che doveva fare. Troppo tempo aveva
trascorso a cercare di auto-perdonarsi per non essere riuscito a
salvare quella
ragazza che da semplice fioraia dei quartieri malfamati di Midgar, era
diventata
un abile maga e che poteva salvare il mondo dalla distruzione. Troppo
tempo
aveva trascorso a cercare di isolarsi da coloro che gli volevano bene.
Ed erano
parecchi, nonostante il suo caratteraccio. Ma ciò che doveva
fare, lo avrebbe
aiutato ancor di più a distaccarsi dal suo senso di colpa. E
ancor di più lo
avrebbe aiutato Tifa, se riusciva a perdonarlo per non averle detto
nulla, e
per aver continuato a pensare ad Aerith.
Lo
svegliarono la metallica voce del capitano che
dall’altoparlante avvisava i
gentili passeggeri del loro arrivo al continente Nord. Non ricordava di
essersi
appisolato. Meglio, poteva fare il lavoro più riposato.
Riprese la
moto che aveva lasciato nell’hangar dei trasporti, e con un
potente rombo si
diresse vecchio la capitale dimenticata dei Cetra. Si sentiva
stranamente
tranquillo, salvo una leggera adrenalina nel corpo alterato dalla Mako.
La
stessa che gli scorreva, prima di affrontare una missione, o un
pericoloso
nemico. Gli sembrava quasi di stare per intraprendere una delle sue
missioni da
Soldier. Tutto quello che doveva fare invece, era prendere una roccia
il più
verticale possibile, scolpirci sopra ciò che aveva
precedentemente pensato
facendo addirittura un progetto, trovare il corpo di Aerith e
seppellirlo.
L’unica cosa rischiosa che poteva capitargli era schiacciarsi
un dito col martello.
Le sue capacità di scultore non erano malvagie, aveva
scoperto cercando di modellare
delle bambole di cera per gli orfani che ospitava. Ma chissà
quanto ci avrebbe
messo prima che Tifa cominciasse a preoccuparsi. Così
portò con sé una delle
sue materie da combattimento di quelle verdi, che manipolavano il tempo
e che
acceleravano i movimenti. Ci avrebbe messo due orate, massimo tre.
Arrivò alla
città dei Cetra nel pomeriggio inoltrato. Faceva un gran
freddo. Il vento gli
sferzava il viso, e la bassa temperatura gli faceva uscire piccole
nuvole
bianche dalla bocca. Con la faticata che gli si prospettava,
pensò, quella era
la volta buona che si buscava un raffreddore coi fiocchi. La parola
“fiocchi”
gli fece venire in mente il fiocco rosso che Aerith usava per tener
ferma la
treccia. Diamine quanto gli stava bene, e quanto ci teneva.
Sarà stato un regalo
di Zack, sicuramente. Il viso sorridente della fioraia gli si
fissò in testa. Invece
di provocargli tristezza, o rancore, gli fece venire un sentimento di
determinazione.
Era
particolarmente fortunato quel giorno: nessuno lo aveva visto uscire,
non aveva
incontrato qualche conoscente nel viaggio, e la nave non ebbe ritardi
di sorta.
E adesso trovò dentro una casa diroccata, una lastra
perfettamente levigata
spezzata in due punti. Probabilmente era un tavolo di un materiale
simile al
marmo. L’ideale per una lapide.
Era intatta.
Dopo più di due anni la salma di Aerith era intatta. Il
vestito era un po’ rovinato
solo dove era passata la lama di Sephiroth, leggermente sporca di
sangue
rappreso. Mentre la sollevava dall’acqua, che vide inscurita
dall’ultima volta
che l’aveva vista, le pose sul viso un velo bianco. Toccare
un corpo deceduto
era un conto: ma guardarlo in faccia era troppo anche per lui. Se non
lo avesse
fatto cosa sarebbe successo? Si sarebbe impressionato? No, non era da
lui. Non
avrebbe avuto reazioni? Non era da lui neanche quello. Avrebbe pianto?
Ecco,
quella era una cosa che sarebbe potuta capitare. Ma non lo aveva fatto
quando
la vide morire davanti agli occhi, né dopo quando gli
affiorarono i sensi di
colpa per non averla potuta salvare. In effetti, da quanto tempo non si
sfogava
con un pianto liberatorio? Aveva pianto quando aveva saputo della morte
della
madre? Aveva pianto quando Zack gli diede la Buster in punto di morte?
Non ricordava.
Ma ciò al momento non era importante. Ora doveva pensare a
un posto dove
seppellirla. E non doveva nemmeno preoccuparsi che qualche animale
selvaggio
poteva farne un facile pasto. Aerith era una Cetra, una protettrice del
Pianeta. Il Lifestream stesso non lo avrebbe permesso, come non aveva
permesso
alla sua salma di decomporsi. Dove poteva tumularla? Nel posto in cui
era stata
trafitta da Sephiroth no: era stata colpita a tradimento, mentre
pregava.
Sarebbe stato un affronto, e avrebbe portato rabbia a chi sarebbe
venuto a
visitarla. Già, ma chi? Doveva dirlo agli altri, non poteva
mica andare
solamente lui a trovarla, anche gli amici l’avevano compianta
e l’avevano amata
come lui. Altra domanda: ma lui davvero l’aveva amata? Ora
che stava con Tifa
forse era difficile rispondere. Forse era difficile rispondere anche
quando le
vedeva tutte e due addormentate a un metro da lui nella tenda che
montavano per
la notte. Ma fu Sephiroth a decidere per tutte e due. Anzi per tutti e
tre. Forse
Tifa non la odiava, ricordava benissimo le lacrime che aveva versato
per la
morte dell’amica. Ma neanche la considerava come una
qualsiasi altra ragazza
che si avvicinava incautamente al suo Cloud. Altro motivo per non
averle detto
dell’idea che aveva. Ma di nuovo, si tolse queste idee dalla
testa. Decise di
seppellirla dinanzi all’entrata del santuario della
città, poco vicino al punto
dove aveva riposato per tutto questo tempo.
Cavolo, ecco
cosa si era dimenticato! Un badile! Era sul punto di rinunciare, quando
si
ricordò che non riuscendo bene a distinguere quale fosse la
materia “Tempo”
dalle altre, se ne portò diverse. Poi ne riconobbe una che
avrebbe fatto al
caso suo: la materia “Terra”. Lanciò la
magia al suo livello più basso, ed una
piccola conca si aprì nel terreno sparpagliando il terriccio
tutt’intorno.
Adagiò il corpo sul fondo e distese il velo per tutta la sua
lunghezza.
All’altezza dei piedi si fermò, anzi si
pietrificò: non riusciva per quanto
tentasse di lasciare il velo, il suo cervello comandava
l’azione, ma i muscoli
non eseguivano. Doveva vederla. Dopotutto, tutti i becchini del mondo
vedevano
tutti i giorni decine e decine di visi sconosciuti prima di
seppellirli. No,
non era per quello. Aveva come la paura di dimenticarsi del suo viso,
cosa che
mai e poi mai sarebbe successa. “Certo che la mia testa
funziona proprio male”
si disse.
Sollevò il velo.
Il viso di Aerith era sereno, leggermente pallido, inumidito da anni in
acqua. Era
sorridente. Diavolo, si era scordato che prima di accasciarsi fra le
sue braccia,
Aerith con ancora la Masamune infilata nel ventre, aveva sorriso a
Cloud. Tutto
il risentimento, tutta la tristezza che aveva patito per quel tempo gli
riaffiorano
in petto. Ma non una lacrima che una gli sgorgò dagli occhi.
Si sentiva male,
malissimo, doveva sfogarsi. Non voleva urlare, avrebbe disturbato il
suo sonno,
pensava. E come tante altre volte, non fece nulla: rimase in silenzio.
Mise il velo
fin sopra il volto; si alzò e con foga cominciò a
rimettere con le mani la terra
al suo posto: la spianò con la stessa lastra di pietra che
aveva scelto e la conficcò
vicino all’altezza in cui era la sua testa. Adesso era il
momento di scolpirla:
il progetto che aveva in mente, consisteva nel creare un fiore con un
foro al
centro in cui avrebbe incastonato una foto che la ritraeva sorridente
insieme
al resto del gruppo, una delle più belle che avevano fatto;
poi sotto avrebbe
scritto il suo nome, il cognome e la data di morte. Indossò
sottopelle la materia
“Tempo” e lanciò Haste alla massima
potenza. Il lavoro di Cloud, seppur lento e
impacciato, durò meno di due ore, alla massima
velocità. Quando si fermò, Cloud
notò una cosa che non aveva ipotizzato nel progetto, che
teneva di fianco alla
lapide: sotto il nome aveva involontariamente scritto:
“Qui giace l’ultima degli antichi,
uccisa
mentre cercava di adempiere al suo dovere nei confronti del Pianeta. La
sua
preghiera, insieme a quella dei suoi amici salvò il mondo
dalla distruzione. Addio,
dolce fioraia: i tuoi compagni ti ameranno e ti ricorderanno sempre.
Cloud, Tifa,
Barrett, Vincent,
Nanaki, Yuffie, Vincent, Caith Sith, Cid”
Cloud si
terse il sudore dalla fronte e osservò la sua opera. Mancava
qualcosa. Sì, decisamente
mancava qualcosa. Si guardò intorno, alla ricerca di quel
qualcosa. Tutto ciò
che trovò furono l’insistenza di due occhi
ambrati, che lo osservavano,
contornati da un bellissimo viso e da capelli neri che conosceva
benissimo: era
Tifa. Mosse a scatti la bocca, non pronunciando suono, cercando di
trovare una
qualche scusa. La ragazza con un bel sorriso gli si avvicinò
e gli disse:
«Quand’è che mi renderai
partecipe delle
tue scelte? Ho visto sai il tuo progetto ieri sera, e sono rimasta
stupida per
la sua bellezza: è un pensiero molto bello, e credo che
Aerith se lo meriti.»
Ecco perché la
amava. Anche se lui, da bastardo non le diceva cosa gli passasse per la
testa,
lei non gli chiedeva nulla. Le bastava un piccolo indizio per capire
tutto. E
non si era impicciata, pregio raro.
«Credo di sapere cosa manchi.» disse
prendendo dal suo zaino un contenitore di plastica contenente decine e
decine
di fiori di tutti i tipi, e colori, presi dalla Chiesa del Settore 7.
Cloud si
avvicinò titubante, e tutto ciò che
riuscì a dire è:
«Seguito da vicino da una ragazza di cui
dovrei conoscere tutto… sto iniziando ad
invecchiare.»
«Che stupido sei...» le rispose
dandogli
un buffetto sulla guancia. E si misero insieme a ricoprire la tomba
della loro
amica con tutti quei fiori, facendone un vero e proprio manto. Dal
cielo,
miracolosamente discese un fascio di luce solare che filtrava dagli
alberi.
L’opera era finita, e i due si misero silenziosamente a
guardare la tomba, come
si fa solitamente. Tifa vide il ragazzo tremare, e stringere i pugni
sussultando.
Fece per andarsene, ma venne trattenuta dalla sua mano e dalla sua voce
irriconoscibile
che le disse:
«Rimani.»
E per la
prima volta da quando si ricordava, dinanzi alla tomba di Aerith, Cloud
pianse.
Passarono i
giorni, e i mesi. Fu Cloud stesso a dire ai suoi amici della tomba con
un
rapido messaggio e-mail, in cui scriveva di andare alla capitale
dimenticata
all’ingresso del santuario e di guardare attentamente. Tutti
gli risposero:
Barret gli scrisse uno spiazzante: “Sei il solito stronzo, ma
sei un grande. Lo
sapeva anche lei”. Per non parlare di Cid: “Dannato
figlio di buona donna,
potevi almeno avvertire!” Vincent fu come al solito laconico:
“E’ la tomba più
bella che abbia mai visto.” Per conto di Red XIII scrisse la
piccola Marlene:
“Non avresti potuto fare di meglio. Meritava davvero il tuo
affetto.” Yuffie
invece: “Non ho fatto altro che piangere!
BUAAAAAAH!!!!” Reeve mandò una lettera
con su scritto: “Le volevo bene anch’io. Mi chiedo
perché non ci ho mai pensato”.
Tifa,
invece, non riuscì più a parlare con Cloud di
Aerith per molto tempo. Come per
magia, all’anniversario della sua morte, dopo aver riportato
dei fiori sulla
lapide le vennero le parole. A letto, di sera, mentre guardava un Cloud
taciturno
più del solito, abbracciandolo le disse una frase, che forse
qualche tempo
prima non avrebbe mai detto, seppur pensandola:
«Non ti devi preoccupare. Non sono gelosa
di Aerith.»
«Mi manca tanto. Terribilmente.» le
rispose con voce rotta. Si baciarono, si abbracciarono e rimasero
così, a
sentirsi l’una le lacrime dell’altro.
The
End
"Ringrazio
tutti quelli che sono arrivati fin qui! Commentate
numerosi!"