Sembra
che la vita vada avanti come sempre. La gente passa, senza accorgersi
che si è formata una crepa, un'enorme crepa provocata dalle
ferite di sei persone in balia di un unico male incurabile. Eravamo
giovani, piene di speranze, forse ingenue. Possiamo ritenerci solo
ingenue, per quel che è successo?
Non immaginavamo cosa sarebbe successo. Iniziò tutto con un
sogno, all'apparenza bellissimo.
Sognammo tutte la stessa persona: un ragazzo, dalla carnagione chiara,
capelli lisci e neri che corniciavano un viso gentile, dagli occhi di
ghiaccio. Il viso era accomunato da un unico nome: Oliver.
Tra le sei quella con cui avevo legato di più era Christie.
Aveva la carnagione scura per via delle sue origini meridionali. Era
gentile e ottimista, e fu la prima a dire che aveva visto Oliver dal
vivo, il quale le aveva offerto un caffè nel bar sotto casa
sua. Fu l'inizio di una storia irreale e angosciante.
Oliver avvicinò anche me.
Lo avevo avvistato in un parco che leggeva un libro che mi piaceva
molto. Ironia della sorte. Mi ero seduta su una panchina diversa a
leggere e ascoltando musica, ma vidi distintamente la sua figura
muoversi con attenzione verso di me e sorridermi, accomodandosi accanto
a me.
-Non ho potuto non notare la lettura interessante che hai tra le mani.
Permetti di presentarmi?- disse così e sorrise. Io mi
lasciai convincere.
Lì per lì non sapevamo bene come comportarci,
tutte e sei. Pensavamo che era un idiota qualunque che ci provava con
tutte. Eppure… Perché aveva avvicinato solo noi
sei? Altre nostre amiche o conoscenti non avevano neanche idea di chi
stessimo parlando. Come un uomo che appariva solo a noi.
Sere dopo Oliver venne a casa mia. Fu gentile, affascinante. Non seppi
resistere. Passò la notte da me.
Il giorno dopo chiamai Christie e le raccontai ogni cosa. Lei non era
arrabbiata per il fatto che questo ragazzo fosse venuto da me quando
aveva avvicinato tutte, sembrava solo stranita dalla situazione.
Il giorno mi chiamò lei dicendo che Oliver era stato con lei
tutta la notte.
E così per tutte noi.
Oliver poi si fece vivo più frequentemente: a pranzo, a
cena, portando la colazione a letto, passando “per
caso” al negozio dove lavoravo. Anche a Christie succedeva, a
lei quasi col doppio della frequenza, alle altre ragazze un
po’ meno.
Senza sapere coem avesse fatto, Oliver ebbe anche i numeri di
cellulare. Chiamava anche 10 volte al giorno a me, a Christie 15
addirittura. Ci diceva sempre che ci amava. Sapevamo che diceva la
stessa cosa a tutte e sei, ma a noi stava bene così.
Perché sapevamo che amava tutte allo stesso modo. E noi
amavamo lui.
Una sera però conobbi un nuovo lato di Oliver. Ero appena
tornata da una serata con degli amici, e un amico si era offerto di
accompagnarmi a casa. Non era successo nulla tra noi, davvero. Stava
per saluarmi quando avvertii una strana sensazione, come se fossi
osservata, come se stesse per succedere la catastrofe.
Oliver spuntò da un angolo, scuro in volto.
-Chi è questa persona?- chiese a tono basso
-E’ un amico- il cuore batteva velocemente, mi sentii quasi
in colpa, anche se sapevo benissimo che non avevo fatto nulla di male.
Oliver non disse nulla: tirò fuori dalla tasca un coltello e
lo lanciò verso il mio amico. Con un urlo cadde a terra. Era
troppo buio perché io vedessi il sangue scorrere.
Inconsciamente me l’aspettavo, ma cercai di convincermi che
non avrebbe mai osato tanto.
-Ma cosa hai fatto…?_ ero paralizzata dalla paura e dalla
tristezza nel vedere un cao amico morto.
-Non mi piace che esci con certe persone- si avvicinò anche
a me, accarezzandomi la guancia –Stai tranquilla- concluse
–Farò in modo che non risalgano a noi-
Dieci giorni dopo sui giornali c’era l’annuncio
della scomparsa del mio amico, e da me i poliziotti non passarono
neanche a chiedere informazioni. Io nel frattempo mi dedicavo al lavoro
e a Oliver. Avevo paura a uscire con altri amici o con delle ragazze
che lui non conosceva, perché sapevo che gli avrebbe fatto
del male. Ero combattuta: sapevo che non era cattivo, io lo amavo.
Avevo imparato a capire i suoi comportamenti e cercavo di tenerlo buono
il più possibile.
Un giorno però visi che le preoccupazioni di Oliver potevano
sfogarsi anche su di noi: Christie era senza braccio.
-Stavo mandando un messaggio a un collega per dirgli che mi prendevo
qualche giorno, così lui mi ha tagliato il braccio, mi ha
medicata e mi ha detto “Non farlo più, per
favore”- il tono della sua voce lasciava intendere che non
era arrabbiata, ma solo spaventata a morte.
Ma non finì qui. Il vero terrore iniziò quando
partimmo per una gita scolastica.
Eravamo tutti insieme: noi sei, i professori, i nostri compagni maschi
e femmine.
La destinazione era molto diversa da come ci aspettavamo: era tutto in
degrado e le condizioni igieniche erano pessime. Pensavamo di essere
sole e senza aiuto, ma ci sbagliavamo. L’aiuto
arrivò, ma solo per noi.
Oliver era lì, come aveva fatto a sapere dove andavamo non
lo so, ma aveva indicato una stazione ferroviaria e dei vagoni pronti a
ospitare migliaia di persone. Disse che determinate persone dovevano
salire.
Tutti alzarono le mani, anche dicendo il falso, pensando che erano
salvi. Noi sei le mani non le alzammo, e qualche ragazzo. Sapevamo che
era come buttarsi a un campo di concentramento. Avevamo imparato a
evitare i suoi attacchi.
Il treno partì, senza darci la possibilità di
salutare nessuno. Andavano tutti a morire, senza saperlo.
E i ragazzi rimasti con noi? Avevano solo ritardato di qualche minuto
la loro fine.
Oliver infatti fece con loro un gioco crudele, lanciando un coltello a
uno a caso e dicendo col sorriso –Statemi lontano per due
giorni se non volete trovarvi come lui-
E noi? Tutte insieme, che facevamo? Opporci? No, assolutamente no. Noi
gli volevamo bene, sapevamo che faceva del male ma d’altra
parte non riuscivamo ad odiarlo, così come lui amava noi
più di ogni altra cosa.
Quei ragazzo, che erano sette, morirono uno dopo l’altro in
modi orrendi.
Oliver ci lasciò andare –Tornerò presto
a trovarvi- sorrise e mi baciò la mano.
Era vero, torno il giorno dopo. Continuava a dire che ero importante
per lui, ma non accettava che fossi andata in gita senza dirglielo. Mi
diede dei sonori schiaffi e mi accoltellò alla spalla,
medicandomi subito.
Fu dopo quell’incontro che mi chiesi chi fosse davvero. Dopo
averlo sognato, era comparso nella mia vita e in quella delle mie
amiche, e toglieva di mezzo chiunque. Dovevamo esserci solo noi e lui.
Perché noi? Perché questo piano?
Da allora la mia attenzione fu sempre maggiore, ma c’era
sempre qualcosa che non andava, e Oliver si alterava, tornando a essere
dolce subito dopo.
-Io ti amo- diceva sempre, e io ricambiavo. Lo sapevo.
Però non potevo dimenticare che Christie c’aveva
rimesso un braccio. Andai a trovarla nella gioielleria dove lavorava e
ne parlai in gran segreto con lei.
-Non so perché fa così- disse lei –Le
altre dicono che viene un giorno sì e due no da loro, e a
volte neanche si ferma la notte. Sembra che le predilette siamo tu ed
io-
-E tu sei la prima in assoluto-
-Comunque, ti confesso che ho paura anch’io. non ho il
coraggio di parlargli di queste cose. Io a lui ci tengo, ma non so che
fare. Ora torna a casa, ne parliamo al telefono-
Uscii un po’ rincuorata. Christie riusciva sempre a
tranquillizzarmi.
La tranquillità finì presto, però: mi
sentivo strana, improvvisamente il terrore tornò a salire.
Mi voltai tremando, e Oliver camminava lento verso di me con un
coltello in mano.
Io scoppiai a piangere e dissi –Non ho fatto
niente… Non ho fatto niente, ti giuro… Io ti
amo…-
-Lo so- disse lui, tirando fuori un coltello più grande
–Anch’io- mi colpì al cuore, senza farmi
spiegare altro.
di colpo mi rividi bambina, mentre andavo a scuola con un cane. Un
randagio, un cucciolo che stava sempre lì e mi accompagnava
per tutto il tragitto, mi aspettava all’uscita di scuola e mi
riaccompagnava a casa.
Quel cucciolo ricordava Oliver. L’affetto era quello.
Sentii Christie urlare e piangere. Io chiusi gli occhi, pensando che
era meglio così.
Mi svegliai senza difficoltà, feci la doccia, mi vestii e
scesi al bar sotto casa di Christie. Ci trovammo tutte e sei per
prenderci una cioccolata calda e poi girare insieme in città.
Stavo bene. Nessun colpo al cuore. Era un dubbio che non riuscivo a
levarmi: perché non ero morta? E Oliver? Se lo chiedevano
anche le altre. Sembrava sparito.
-Eccovi le cioccolate, signorine- disse il cameriere. I capelli erano
più corti, ma somigliava parecchio a lui.
-Grazie, signor…- la targhetta sul petto mi fece ammutolire.
Oliver, accompagnato da un cognome.
Noi il cognome del nostro Oliver non lo sapemmo mai.
-Mi scusi… Lei lavora qui da molto?-
-Da due anni. perché?-
-No, niente… Buona giornata…-
Fu allora che ce lo chiedemmo insieme.
Chi era Oliver?