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Autore: Novelist Nemesi    01/12/2009    2 recensioni
Non è altro che un sogno. O incubo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sembra che la vita vada avanti come sempre. La gente passa, senza accorgersi che si è formata una crepa, un'enorme crepa provocata dalle ferite di sei persone in balia di un unico male incurabile. Eravamo giovani, piene di speranze, forse ingenue. Possiamo ritenerci solo ingenue, per quel che è successo? 
Non immaginavamo cosa sarebbe successo. Iniziò tutto con un sogno, all'apparenza bellissimo. 
Sognammo tutte la stessa persona: un ragazzo, dalla carnagione chiara, capelli lisci e neri che corniciavano un viso gentile, dagli occhi di ghiaccio. Il viso era accomunato da un unico nome: Oliver. 
Tra le sei quella con cui avevo legato di più era Christie. Aveva la carnagione scura per via delle sue origini meridionali. Era gentile e ottimista, e fu la prima a dire che aveva visto Oliver dal vivo, il quale le aveva offerto un caffè nel bar sotto casa sua. Fu l'inizio di una storia irreale e angosciante. 
Oliver avvicinò anche me. 
Lo avevo avvistato in un parco che leggeva un libro che mi piaceva molto. Ironia della sorte. Mi ero seduta su una panchina diversa a leggere e ascoltando musica, ma vidi distintamente la sua figura muoversi con attenzione verso di me e sorridermi, accomodandosi accanto a me. 
-Non ho potuto non notare la lettura interessante che hai tra le mani. Permetti di presentarmi?- disse così e sorrise. Io mi lasciai convincere. 
Lì per lì non sapevamo bene come comportarci, tutte e sei. Pensavamo che era un idiota qualunque che ci provava con tutte. Eppure… Perché aveva avvicinato solo noi sei? Altre nostre amiche o conoscenti non avevano neanche idea di chi stessimo parlando. Come un uomo che appariva solo a noi. 
Sere dopo Oliver venne a casa mia. Fu gentile, affascinante. Non seppi resistere. Passò la notte da me. 
Il giorno dopo chiamai Christie e le raccontai ogni cosa. Lei non era arrabbiata per il fatto che questo ragazzo fosse venuto da me quando aveva avvicinato tutte, sembrava solo stranita dalla situazione. 
Il giorno mi chiamò lei dicendo che Oliver era stato con lei tutta la notte. 
E così per tutte noi. 
Oliver poi si fece vivo più frequentemente: a pranzo, a cena, portando la colazione a letto, passando “per caso” al negozio dove lavoravo. Anche a Christie succedeva, a lei quasi col doppio della frequenza, alle altre ragazze un po’ meno. 
Senza sapere coem avesse fatto, Oliver ebbe anche i numeri di cellulare. Chiamava anche 10 volte al giorno a me, a Christie 15 addirittura. Ci diceva sempre che ci amava. Sapevamo che diceva la stessa cosa a tutte e sei, ma a noi stava bene così. 
Perché sapevamo che amava tutte allo stesso modo. E noi amavamo lui. 
Una sera però conobbi un nuovo lato di Oliver. Ero appena tornata da una serata con degli amici, e un amico si era offerto di accompagnarmi a casa. Non era successo nulla tra noi, davvero. Stava per saluarmi quando avvertii una strana sensazione, come se fossi osservata, come se stesse per succedere la catastrofe. 
Oliver spuntò da un angolo, scuro in volto. 
-Chi è questa persona?- chiese a tono basso 
-E’ un amico- il cuore batteva velocemente, mi sentii quasi in colpa, anche se sapevo benissimo che non avevo fatto nulla di male. 
Oliver non disse nulla: tirò fuori dalla tasca un coltello e lo lanciò verso il mio amico. Con un urlo cadde a terra. Era troppo buio perché io vedessi il sangue scorrere. 
Inconsciamente me l’aspettavo, ma cercai di convincermi che non avrebbe mai osato tanto. 
-Ma cosa hai fatto…?_ ero paralizzata dalla paura e dalla tristezza nel vedere un cao amico morto. 
-Non mi piace che esci con certe persone- si avvicinò anche a me, accarezzandomi la guancia –Stai tranquilla- concluse –Farò in modo che non risalgano a noi- 
Dieci giorni dopo sui giornali c’era l’annuncio della scomparsa del mio amico, e da me i poliziotti non passarono neanche a chiedere informazioni. Io nel frattempo mi dedicavo al lavoro e a Oliver. Avevo paura a uscire con altri amici o con delle ragazze che lui non conosceva, perché sapevo che gli avrebbe fatto del male. Ero combattuta: sapevo che non era cattivo, io lo amavo. Avevo imparato a capire i suoi comportamenti e cercavo di tenerlo buono il più possibile. 
Un giorno però visi che le preoccupazioni di Oliver potevano sfogarsi anche su di noi: Christie era senza braccio. 
-Stavo mandando un messaggio a un collega per dirgli che mi prendevo qualche giorno, così lui mi ha tagliato il braccio, mi ha medicata e mi ha detto “Non farlo più, per favore”- il tono della sua voce lasciava intendere che non era arrabbiata, ma solo spaventata a morte. 
Ma non finì qui. Il vero terrore iniziò quando partimmo per una gita scolastica. 
Eravamo tutti insieme: noi sei, i professori, i nostri compagni maschi e femmine. 
La destinazione era molto diversa da come ci aspettavamo: era tutto in degrado e le condizioni igieniche erano pessime. Pensavamo di essere sole e senza aiuto, ma ci sbagliavamo. L’aiuto arrivò, ma solo per noi. 
Oliver era lì, come aveva fatto a sapere dove andavamo non lo so, ma aveva indicato una stazione ferroviaria e dei vagoni pronti a ospitare migliaia di persone. Disse che determinate persone dovevano salire. 
Tutti alzarono le mani, anche dicendo il falso, pensando che erano salvi. Noi sei le mani non le alzammo, e qualche ragazzo. Sapevamo che era come buttarsi a un campo di concentramento. Avevamo imparato a evitare i suoi attacchi. 
Il treno partì, senza darci la possibilità di salutare nessuno. Andavano tutti a morire, senza saperlo. 
E i ragazzi rimasti con noi? Avevano solo ritardato di qualche minuto la loro fine. 
Oliver infatti fece con loro un gioco crudele, lanciando un coltello a uno a caso e dicendo col sorriso –Statemi lontano per due giorni se non volete trovarvi come lui- 
E noi? Tutte insieme, che facevamo? Opporci? No, assolutamente no. Noi gli volevamo bene, sapevamo che faceva del male ma d’altra parte non riuscivamo ad odiarlo, così come lui amava noi più di ogni altra cosa. 
Quei ragazzo, che erano sette, morirono uno dopo l’altro in modi orrendi. 
Oliver ci lasciò andare –Tornerò presto a trovarvi- sorrise e mi baciò la mano. 
Era vero, torno il giorno dopo. Continuava a dire che ero importante per lui, ma non accettava che fossi andata in gita senza dirglielo. Mi diede dei sonori schiaffi e mi accoltellò alla spalla, medicandomi subito. 
Fu dopo quell’incontro che mi chiesi chi fosse davvero. Dopo averlo sognato, era comparso nella mia vita e in quella delle mie amiche, e toglieva di mezzo chiunque. Dovevamo esserci solo noi e lui. Perché noi? Perché questo piano? 
Da allora la mia attenzione fu sempre maggiore, ma c’era sempre qualcosa che non andava, e Oliver si alterava, tornando a essere dolce subito dopo. 
-Io ti amo- diceva sempre, e io ricambiavo. Lo sapevo. 
Però non potevo dimenticare che Christie c’aveva rimesso un braccio. Andai a trovarla nella gioielleria dove lavorava e ne parlai in gran segreto con lei. 
-Non so perché fa così- disse lei –Le altre dicono che viene un giorno sì e due no da loro, e a volte neanche si ferma la notte. Sembra che le predilette siamo tu ed io- 
-E tu sei la prima in assoluto- 
-Comunque, ti confesso che ho paura anch’io. non ho il coraggio di parlargli di queste cose. Io a lui ci tengo, ma non so che fare. Ora torna a casa, ne parliamo al telefono- 
Uscii un po’ rincuorata. Christie riusciva sempre a tranquillizzarmi. 
La tranquillità finì presto, però: mi sentivo strana, improvvisamente il terrore tornò a salire. Mi voltai tremando, e Oliver camminava lento verso di me con un coltello in mano. 
Io scoppiai a piangere e dissi –Non ho fatto niente… Non ho fatto niente, ti giuro… Io ti amo…- 
-Lo so- disse lui, tirando fuori un coltello più grande –Anch’io- mi colpì al cuore, senza farmi spiegare altro. 
di colpo mi rividi bambina, mentre andavo a scuola con un cane. Un randagio, un cucciolo che stava sempre lì e mi accompagnava per tutto il tragitto, mi aspettava all’uscita di scuola e mi riaccompagnava a casa. 
Quel cucciolo ricordava Oliver. L’affetto era quello. 
Sentii Christie urlare e piangere. Io chiusi gli occhi, pensando che era meglio così. 
Mi svegliai senza difficoltà, feci la doccia, mi vestii e scesi al bar sotto casa di Christie. Ci trovammo tutte e sei per prenderci una cioccolata calda e poi girare insieme in città. 
Stavo bene. Nessun colpo al cuore. Era un dubbio che non riuscivo a levarmi: perché non ero morta? E Oliver? Se lo chiedevano anche le altre. Sembrava sparito. 
-Eccovi le cioccolate, signorine- disse il cameriere. I capelli erano più corti, ma somigliava parecchio a lui. 
-Grazie, signor…- la targhetta sul petto mi fece ammutolire. 
Oliver, accompagnato da un cognome. 
Noi il cognome del nostro Oliver non lo sapemmo mai. 
-Mi scusi… Lei lavora qui da molto?- 
-Da due anni. perché?- 
-No, niente… Buona giornata…- 
Fu allora che ce lo chiedemmo insieme. 
Chi era Oliver? 
  
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