7.
Come tutte le tute da vuoto, anche quella era scomoda, fredda
e umida. I moduli EVA, che le permettevano di muoversi liberamente
nel vuoto, erano però migliori di quelli della sua tuta personale
che riposava tranquilla a bordo del Coyote. Dove avrebbe voluto
essere anche lei in quel momento.
La nebulosa vista col telescopio era fantastica: rossa, blu,
gialla... era percorsa da affascinanti lampi bianchi, tendeva
filacciose estremità in tutte le direzioni, sembrava la fotografia
di un'esplosione di vapore colorato. Era ancora molto lontana ma
riempiva totalmente lo spazio intorno alla nave.
Vista dall'interno della tuta EVA, annichiliva. Una volta uscita
dalla camera d'equilibrio aveva perso il controllo del respiro ed
era caduta vittima delle vertigini, come una stupida, paurosa
principiante. Ma “paura” non era la definizione migliore per descrivere
ciò che aveva provato. Aveva chiuso gli occhi strizzandoli per vincere
le vertigini, per sconfiggere la morsa che le aveva improvvisamente
serrato il petto. Aveva aperto la bocca e cominciato a boccheggiare
contro la sua volontà, come se stesse affogando. Ma ce l'aveva fatta
e si era ripresa. Fronteggiare quel mostro la stava provando, ma
richiamando alla mente l'addestramento per le passeggiate spaziali
era riuscita a vincere lo sconforto totale, la paura e le difficoltà
di respirazione. Le girava ancora la testa ogni volta che staccava gli
occhi dallo scafo del cargo alla deriva, ma sapeva di potercela fare. Strinse
i denti e si concentrò su un solo punto dello scafo, un punto che le
pareva fisso davanti al suo naso. Come le avevano insegnato, controllava
il suo respiro.
- Controlla la velocità.
La voce di Spyro. Gli strumenti della tuta erano disturbati dalle
emissioni della nebulosa. Anche la radio era disturbata, ma riusciva
a capire quello che le veniva trasmesso dal Raja. Non essendoci modo
di sapere quale fosse la sua velocità senza strumenti, accese i motori
della tuta per frenare un poco. Solo un piccolo impulso. Un brevissimo
sbuffo d'azoto dagli ugelli. Lo scafo del cargo alla deriva appariva
scuro, privo di dettagli. La maggior parte della luce giungeva dal nucleo
della nebulosa, una chiazza chiara e insondabile. Emetteva di tutto,
facendo impazzire gli strumenti e accecando i sensori. E facendo naufragare
le astronavi, aggiunse. Si chiese se la tuta fosse un riparo sufficiente
da quelle radiazioni e che effetto avrebbe avuto sul suo corpo
quell'esposizione. Ma ormai è troppo tardi: sono fuori.
- Vedi qualcosa? - ancora Spyro. A causa della scarsa qualità del segnale
non poteva percepire il tono della sua voce, ma le sembrò ugualmente ansioso.
- Nulla. Ma sono ancora troppo lontana.
Fece scorrere gli occhi su tutta la porzione di scafo visibile. Le
serviva la camera di equilibrio, un portello di carico, qualsiasi
cosa. Doveva provare a entrare, a tutti i costi. Non sapeva che ci
fossero attrezzi simili a bordo del Raja ed era rimasta stupita
quando, seguendo le indicazioni del Secondo, aveva aperto un armadio
nella stiva 2 e trovato un laser per prospezioni minerarie. Ingombrante,
ma efficace. Lo aveva agganciato all'imbracatura del braccio destro:
bastava puntare la mano e stringere il pugno. Il grilletto infatti
era fatto per fissarsi sul palmo del guanto corazzato. Era il
suo biglietto per salire a bordo.
- Ah, i gemelli si sono svegliati. Stanno abbastanza bene e ti salutano –
la voce distorta dalle interferenze interruppe il silenzio. Le sembrò che
Spyro non riuscisse a stare zitto troppo a lungo. Doveva essere giunto al
limite della sopportazione anche lui. Dopotutto non era fatto di acciaio
come voleva far credere, pensò sorridendo dentro il casco riflettente. Ricambiò
i saluti e pensò ad Adso e Zarina: due spaziali da oltre cinque
generazioni. Spaventosamente alti e magri, i loro arti lunghi e sottili
come quelli di certi insetti le facevano spavento. Come se non bastasse
erano albini e, nonostante fossero fratello e sorella, quasi
indistinguibili. Soprattutto quando Zarina si tagliava i capelli a spazzola
come il fratello.
Lo scafo del relitto cominciò a farsi più grande all'improvviso. Miki
frenò ancora, più a lungo. Non ci teneva a sfracellarsi.
- Controllo cima di sicurezza – disse aprendo il canale della radio.
- Estensione regolare – un lungo nastro arancione si distendeva dritto
dietro la sua schiena e la collegava al Raja. In caso di necessità Spyro
avrebbe potuto riavvolgere la cima e trascinarla così dentro la camera di
equilibrio, lasciata aperta. Eventualità del tutto indesiderabile perché
presupponeva il verificarsi di una spiacevole situazione di emergenza con
lei protagonista.
Lo scafo era sempre più vicino. Aveva puntato al secondo modulo di carico
dopo quello abitabile che costituiva la prua del cargo. Era una classe di
astronavi da trasporto molto vecchia, ma vide che certe strutture erano
sempre più o meno le stesse. Col diminuire della distanza cominciò a notare
i particolari: i moduli non erano tutti uguali. Quello aveva un solo portello
di carico, enorme. A giudicare dall'aspetto, non doveva essere
pressurizzato. Ciò la fece stare più tranquilla. Era stata categorica:
per nessun motivo sarebbe entrata nel modulo abitabile. Non aveva nessuna
voglia di sapere se era vero tutto quello che si diceva dei cadaveri nelle
navi rimaste abbandonate a lungo. Finalmente poté manovrare per posare gli
stivali adesivi al metallo dello scafo del relitto e provare a
camminare. L'atterraggio fu un po' brusco ma se la cavò con un semplice
spavento. Mi verranno i capelli bianchi prima della fine di questa storia,
si disse.
- Ho toccato.
- Ottimo. Ti guido io. Girati leggermente a destra e comincia a camminare.
Spyro la stava tenendo d'occhio col telescopio di bordo e poteva avere una
visione d'insieme molto dettagliata anche senza il video proveniente dalla
sua tuta. Le interferenze erano troppe per trasmettere il video e la
telemetria. Miki pensò che ora poteva immaginare come si sentisse un insetto
posato su una parete o sul soffitto. Semplicemente non faceva differenza.
- Ferma. Guarda a destra.
Miki obbedì e accese la luce orientabile della tuta. La segnaletica era ancora
visibile: c'era qualcosa lì. Sembrava un portello di qualche genere: c'era un
profilo evidenziato da uno spesso bordo rosso verniciato sul bianco sporco del
relitto. Pensò che era da secoli ormai che non si usava esclusivamente la vernice
bianca per lo scafo esterno, ma che probabilmente era stato proprio per merito di
quella che aveva notato la nave alla deriva.
- Direi di tagliare – disse soddisfatta. Non vedeva l'ora di usare quel laser che
portava attaccato al braccio destro.
- Attenta: quell'affare è pericoloso – che carino Spyro: si preoccupa per me,
pensò ridacchiando. Quando torno lo bacio.
Tagliò quello che sembrava il meccanismo di chiusura di un portello secondario. Tra
gli attrezzi della tuta EVA c'era un divaricatore elettrico auto-alimentato,
piuttosto potente. Non riuscì a combinarci nulla fino a quando non ebbe tagliato
il portello in altri cinque punti. Per essere il portello di un cargo è chiuso
bene, pensò.
Si calò nell'apertura buia. Il metallo era spesso, il portello doveva pesare
parecchio. Sembrava blindato: il laser aveva fatto fatica a tagliare e ci aveva
messo parecchio tempo. I fari ora illuminavano un ambiente vasto: ci mise un poco
a capire che quella era una stiva piena. Oltre il vicinissimo orizzonte di una
passerella metallica c'erano container impilati ovunque, in bell'ordine, assicurati
con un vecchio sistema a cavi metallici per impedire che se ne andassero a spasso
durante le manovre. Miki quasi si commosse al pensiero che quella stiva era ferma
nel tempo esattamente come l'avevano lasciata gli ultimi che vi avevano avuto
accesso. Chissà dove, chissà quando.
- Cosa vedi? - la radio era ancora disturbata e per di più ora il segnale si
era attenuato per via dello scafo del relitto che si frapponeva fra lei e le
antenne del Raja.
- Vecchi container... somigliano a quelli di tipo D: grandi, rettangolari,
ormeggiati. Tutto in ordine.
- Tagliane uno.
Facile a dirsi per te, pensò Miki. Controllò puntando in giro le luci di profondità
della tuta creando ombre spettrali in movimento. Le si insinuò il fastidioso pensiero
che in mezzo a tutte quelle ombre che sembravano fuggire da lei si potesse nascondere
qualcuno. O Qualcosa. Troppi olofilm sui mostri spaziali, si disse. Si assicurò che
la cima di sicurezza non fosse impigliata e cominciò a scendere con molta cautela.
Quando fu accanto al container più vicino azionò il laser stringendo il pugno
destro. Fu come tagliare il burro con un coltello caldo: aperta una finestra
rettangolare nel metallo puntò la luce dentro il buco.
Roccia?
- Come sarebbe? - la voce di Spyro era un sussurro lontano, debolissima.
- Roccia, sabbia, pietre... pezzettini di quarzo... non sono una geologa, non so
cosa sia questa roba. Luccica, va bene?
- D'accordo, non discutiamo. Preleva un campione e vieni via.
Quelle parole le fecero balenare nella mente che forse aveva reagito un po'
troppo bruscamente. Aprì il contenitore tubolare che aveva portato con sé e
cominciò a scavare fuori dal foro nel container tutto quello che poteva prendere.