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Autore: Mue    14/12/2009    5 recensioni
Quando uno dei concorrenti di una gara clandestina di auto volanti si schianta e finisce al San Mungo senza una gamba, la sua comparsa davanti al Wizengamot sembra inevitabile.
Ma grazie a un celebre avvocato, viene invece spedito a un Magazzino di Disincantamento e Smaltimento Magico per fare otto mesi di lavori socialmente utili.
E qui, in mezzo alle brughiere solitarie di Ilkley Moor, troverà l'occasione per riscattare i suoi peccati e forse, finalmente, perdonare se stesso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Policromia' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Prima di iniziare, una premessa doverosa.
Avete letto bene i personaggi? Esatto, c'è scritto "sorpresa", il che significa che se rimanete delusi perché non c'era il vostro personaggio preferito o quello che vi aspettavate sono affari puramente vostri. Una sorpresa è una sorpresa, insomma u.u
In secundis, questa storia è stata scritta per il prompt Auto volante della tabella Seven for Side sui mezzi di trasporto magici, in collaborazione con Lady of Lorien e Calliope.
Detto questo, un grazie grande come un Ungaro Spinato -aculei compresi- a
whateverhappened che ormai è la beta di fiducissima della sottoscritta e che si è sobbarcata anche questa volta il grosso lavoro di correzione e accendiamo i motori.
Si parte!
Disclaimer: I personaggi e gli elementi creati da J.K. Rowling presenti in questa fanfiction sono suoi e solamente suoi, il resto della storia è tutto una mia invenzione. Questa storia non è scritta a scopo di lucro.

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Capitolo I







Da qualche parte in Scozia, 15 agosto

Il motore ruggiva come una Manticora affamata in gabbia.
Le gambe gli formicolavano e vampate di adrenalina gli risalivano violentemente lungo la spina dorsale.
Era pronto.
La sua testa era svuotata di tutto, concentrata solo sullo strapiombo che si apriva davanti a lui.
Laggiù, in fondo a duecento metri di vuoto, c’era la foresta, una macchia di nero assoluto in quella buia notte di tempesta.
In quel trionfo di tenebre persino i fanali delle auto in linea sull’orlo del precipizio sembravano inglobati nell’oscurità.
«Ehi, tu!»
Si voltò e vide un uomo che gli faceva gesti fuori dal finestrino. Lo abbassò di una spanna.
«Che c’è?»
«Metà dei concorrenti si è ritirata. Ti consiglio di fare lo stesso, se domani non vuoi ritrovarti in una corsia del San Mungo con la testa aperta in due. Non si vede a un Lumos di distanza.»
Lui si limitò a piegare la bocca in un ghigno. «Non temere, se succedesse ti farei avere una cartolina via gufo da Londra.»
L’uomo alzò gli occhi al cielo e borbottò qualcosa, quindi si ritrasse e si allontanò dalle auto di dieci passi. «Molto bene!» ruggì dunque, la voce amplificata da un Incanto Sonorus. «Siete ancora in quattro concorrenti in gara, e le condizioni del tempo non accennano a migliorare. Ma chi c’è, c’è, e ormai non può più tirarsi indietro. Siete pronti?»
Lui seguì l’esempio delle altre tre auto in gara e schiacciò il clacson per dare il suo assenso.
«Perfetto! E allora… tre, due, uno… VIA!»
Mollò il freno tutto d’un colpo, e la macchina scattò in avanti, dritta giù dal dirupo. Vide il mondo inclinarsi di novanta gradi e la linea del precipizio assumere un’apparenza orizzontale.
Stava precipitando.
La macchia nero inchiostro degli alberi di sotto si avvicinava rapidamente. Molto rapidamente.
Sapeva perfettamente cosa doveva fare: serrò il volante in una mano e premette con decisione un pulsante che recitava “Volo” sul cruscotto.
La discesa rallentò, ma era ancora troppo veloce.
E non sarebbe stato certo lui a frenarla.
Pigiò l’acceleratore, e l’auto si lanciò con un cigolio sinistro tra le fronde degli alberi, raddrizzandosi di botto.
Il contraccolpo non lo prese di sorpresa: era abituato alla sua antiquata Golf Cabrio e alle sue brusche riprese di quota; erano il segreto che l’aveva portato, in quei quattro anni, in vetta alle scommesse di corse clandestine di auto volanti babbane incantate. E anche in cima alla lista delle persone sgradite al Ministero.
Uno schianto a pochi metri da lui lo informò che uno degli altri concorrenti si era abbattuto contro un albero.
Meno uno, pensò soddisfatto.
Poi non pensò più, e rivolse occhi, sensi e mente al labirinto di rami e tronchi davanti a lui. Niente di problematico: ne aveva viste di peggio, giocando a Quidditch. Sebbene a Quidditch non fosse mai stato assalito dalla sensazione di brivido e di esaltazione che lo invadeva durante le corse di auto; era la sensazione del rischio, la sensazione del proibito; e, Merlino!, quanto la amava.
Poi accadde qualcosa.
Un lampo rosso in mezzo ai rami alla sua sinistra.
Si arrischiò a distogliere lo sguardo per mezzo secondo dalla strada e li vide: uomini, molti uomini a cavallo di scope; e avevano mantelli neri ben riconoscibili.
Dannazione.
Virò all’improvviso a destra e si gettò in una macchia di abeti sperando di seminarli; spense i fanali: non ci avrebbe visto nulla, ma almeno non si sarebbe fatto individuare da decine di metri di distanza.
Auror.
Dovevano aver scoperto la corsa clandestina. Chissà chi aveva fatto loro la soffiata.
Sbuffò, poi sogghignò di nuovo. Ora vediamo quanto siete bravi su quelle scope da quattro soldi.
Si appiattì ancora di più al terreno, rallentando, e premette il pulsante dell’invisibilità. Ora volava rasoterra, lentamente, guardandosi intorno circospetto.
Nessuno.
Forse li aveva…
Non finì di pensare che un lampo rosso saettò nel buio della foresta e il finestrino posteriore dell’auto s’infranse in mille schegge.
Irritato, fece accelerare di nuovo la macchina con un sobbalzo e tornò a guizzare tra i rami. Non era facile guidare al buio, ed era ancora meno facile quando avevi un Auror su una scopa che persisteva a rimanere visibile nel tuo specchietto retrovisore.
Ma non si era ancora stancato di seguirlo?
Svoltò all’improvviso, poi ancora, e per un pelo evitò un grosso ramo di quercia. Il successivo, invece, gli portò via la parte superiore del tetto di tela.
E tanti saluti all’invisibilità.
 Forse prima avrebbe dovuto spegnere la macchina: l’Auror probabilmente l’aveva individuato per il ronzio del motore e adesso non dava cenno di rinunciare alla sua preda.
Premette l’acceleratore a fondo e finalmente vide nello specchietto l’inseguitore allontanarsi e poi sparire. Soddisfatto, riportò lo sguardo davanti a sé.
Tutto ciò che vide fu solo una solida parete di roccia.
Poi nulla.



   
 
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