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Autore: crimsontriforce    27/12/2009    2 recensioni
[Portal] E in tutto questo non trovare niente di strano. Chell, portali, sotterraneo.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Sotterranei” @ Criticombola di Criticoni & “Portale rosso, portale blu” (mannaggia a me e a quando me lo sono autopromptato, sapevo a cosa andavo incontro!) @ Quel certo non-so-che di True Colors.











Pensiero circolare col buco





Chell si risvegliò anchilosata e inebetita. Il primo dettaglio che mise a fuoco fu l'imbottitura familiare della pistola che le ricopriva la mano destra. La superficie liscia dell'apparecchiatura pesava invece sul suo gomito sinistro.
Chell strizzò gli occhi. Gomito? Perché sul gomito? Con estrema cautela, provò ad aprirli. La attendeva visione non entusiasmante di una solida superficie di pannelli rossi striati di ruggine e colate oleose, a non più di dieci piedi di distanza. Doveva essere legata alla parete opposta della stessa schifezza arrugginita: le spalle tiravano facendo un male boia, i piedi scalciavano l'aria. Puzzo stantio di fogna. Voleva vomitare.
Chell si complimentò con se stessa. In tutta onestà, non aveva creduto che la sua vita potesse prendere una svolta per il peggio.
Non si finisce mai d'imparare.

Una particella arancione impazzita le vorticò sotto il naso, tornando poi ad orbitare al di sopra della sua testa. Chell restò a guardarsi il naso, storcendo un poco gli occhi mentre le considerazioni di ordine autocompatit-architettonico lasciavano educatamente posto alle reazioni pavloviane acquisite. C'era un portale dove, come e soprattutto perché? Era troppo in alto perché riuscisse a vederlo, costretta com'era. Tamburellò perplessa sulla parete con la mano sinistra, che pareva incatenata all'altezza del polso.
Un momento.
Se il palmo della sua mano toccava naturalmente il pannello, ma lei era legata di schiena... probabilmente aveva trovato il suo portale: il suo braccio lo stava attraversando in quel momento, dedusse, legandola chissà dove dal gomito in su. Logico.
Tamburellò ancora, se non altro per riprendere controllo sulle dita informicolite, e fece caso al rumore che stava producendo. Lo sentì con le sue orecchie! Erano le sue orecchie quelle, non un'illusione data dal ronzio onnipresente di macchinari che si riversava anche in quella stanza, riempiendola di fastidio, un nervoso ovattato e distante. No, quello era il suo tamburellare, ta-ta-ta-ta-tap, e veniva da un punto vicino, proprio vicino, in alto a destra. Le buone notizie non vengono mai sole: aveva trovato il secondo portale. O erano le cattive? Beh, se era così, quelle erano sempre in ottima compagnia.

Tutto sotto controllo, Chell. Tutto sotto controllo. Schematizziamolo e ne usciamo. Siamo arrivate fin qui.

Visualizzò la stanza come aveva imparato a fare, proiettandosela davanti in scala come se fosse l'analisi tridimensionale di un computer. Era una stanza lunga e stretta, piena di tutti quegli aggeggi che le camere asettiche dei test nascondevano come polvere sotto al tappeto: dei tubi si diramavano e gettavano sbuffi intermittenti di vapore, vecchie lamiere erano lasciate a vista e una ventola smuoveva pigramente l'aria fetida. E vicino a un angolo, a mezz'altezza, c'era lei a penzoloni, incatenata a due portali come l'eroina di un romanzaccio fantasy. Ma quelle di solito erano tenute ferme da delle catene vere, si corresse, il che avrebbe reso i ragionamenti semplici, molto più semplici. Invece le sue braccia dovevano essere invertite dal gomito in su prima di venir bloccate da del buon ferro, cosa che rendeva i ragionamenti incasinati, dannatamente più incasinati. Chell sospirò. Era il suo mestiere. Ce la poteva fare. Sarebbero stati tutti fieri di lei.
Che poi non è mica tutto giusto, si disse, sempre tamburellando con la mano sinistra vicino all'orecchio destro e innervosendosi da sola. Quella mano sì che era incatenata, ma l'altra no. L'altra teneva stretta la Portal gun come se ne andasse della sua vita, cosa probabilmente vera, e non sembrava costretta da altro. E allora che ci faceva bloccata lì? Si sforzò di far leva sull'altro braccio per provare a liberarsi, ma quella restava incastrata. Il rigonfiamento era più grosso del passaggio.

Il portale era così piccolo. O la pistola così grande. Forse entrambe le possibilità. E da quando avevano iniziato a rimpicciolirsi i portali? Forse che scadevano dopo un po'? Chell non ricordava questi portali piccoli da cui non c'era scampo... Chell non ricordava. Ripensava alle camere dei test e vedeva le uscite allontanarsi, più piccole, sempre più piccole, mentre l'apparecchiatura assicurata alla sua mano guadagnava funzioni, parti, peso.
Nell'analisi tridimensionale del computer che era la sua testa, pianificava acrobazie che come un gioco di prestigio sciogliessero il nodo del suo corpo, con una capriola finale, oplà. C'erano dei giochini metallici, là fuori, con cerchi e asticelle inscindibili se non tramite una serie ben precisa di movimenti. Quelli li ricordava, era bravina a farli. Gambe e braccia però, e pistola e schiena, non erano tarati così al millimetro e rifiutavano di combaciare in una soluzione. E non riusciva a staccarsi dal pensiero di fondo che ci fosse uno spazio fra l'arancione e il blu: un vuoto bianco e ovattato dietro il muro cui era incatenata, che poteva percepire solo per degli attimi, al tatto, ma abbastanza per formare la certezza che un portale non conduce all'altro senza una via di mezzo.
Sapeva che c'era qualcuno che la aspettava, lì, una sagoma scura col cuore aperto.
Ogni volta doveva farsi forza per tornare coi pensieri al di qua del muro.

Magari si sarebbe liberata in grande stile. Spazamm! Il portale di sinistra sparato sul muro di fronte! La pistola puntata addosso... mirare un po' più a destra, un po' più in alto, mica semplice vedendo il tutto al contrario e wwwwzamm! Un portale sulla manetta! Clonk. Senza un sostegno quella sarebbe caduta per terra, come lo scherzo che aveva fatto talvolta alle telecamere di sicurezza.
Ma c'erano due braccia che entravano nel portale di sinistra: uno finiva con una pistola, ma l'altro con una spalla, attaccata a un busto, attaccato a un'altra spalla con un altro braccio con un dannato polso imprigionato. Si sarebbe squartata.



Stava per lasciarla andare, quella maledetta pistola. Ci si aggrappava solo per testardaggine. Chell si aggrappava a molte cose, per testardaggine – alle idee, per esempio. Se qualcosa non funziona, prova ancora. Se ancora non funziona, prova ancora. Se proprio non funziona, cuoci una torta.
O cambia prospettiva.

Tese allo spasmo i muscoli dolenti per tornare a togliere peso dal braccio destro e poterlo muovere. Non per uscire, stavolta: per mirare. Al muro alla sua sinistra, appena oltre l'angolo. Quando sparò, si sentì ribaltata come un calzino e stirata come lo stesso (ma si stirano, i calzini?), mentre parti di entrambe le sue braccia venivano spostate da un istante all'altro qualche piede più lontano, qualche grado più in fuori, e non tutto il resto del suo corpo poteva seguirle.

Urlò. Non aveva anticipato di rompersi un polso cambiando angolazione rispetto al muro. Si impara. Sempre. Qualcosa. Di nuovo. Strinse i denti, quella mano in fondo era inutile. Seguì finalmente con lo sguardo la traiettoria della pistola – era gonfia, ora che la vedeva, e di un bianco malato – e mirò alle manette. Avrebbe giurato di poter contare gli strappi muscolari e avrebbe anche imprecato per ognuno, ma non poteva permetterselo. Un solo tentativo, Chell. Non resterai lucida ancora per molto. Ora!
Bzzzzpwhumpclonk.
Meno coreografico del progetto originario, forse, ma meno suicida. Si lasciò andare.

Ruzzolò per terra, raccolse la pistola e restò sola e libera in una stanza chiusa.


***



Chell si risvegliò anchilosata e inebetita. Aveva dormito chissà quanto rannicchiata sotto quello schifoso calendario di donnine e il suo rifugio, immerso nella luce rossastra dei macchinari, iniziava a darle i brividi.

Stava bene, stava bene, stava benissimo mai stata meglio. Era tutto a posto, checché ne dicesse il suo inconscio. Qualunque destino l'attendesse, giurò a se stessa che non avrebbe finito i suoi giorni plagiando poesie vittoriane su un muro. Raccolse una lattina scaduta da poco, la sua dignità, la sanità mentale, aprì un portale e uscì.

Il Companion Cube la attendeva festante.




















Note:
zomg è un sogno le meccaniche non devono funzionare alla perfezione, 'k? Volevo scrivere qualcosa con una dinamica di portali, ma all'interno delle regole standard ha già fatto tutto il gioco e non credo che sia qualcosa che si possa veramente scrivere in fanfiction.
A dir la verità, se sposti un portale mentre sei in mezzo al portale il gioco ti fa avanzare di quel passettino necessario a non farti essere in mezzo al portale. In teoria dovrebbe troncarti a metà e game over, penso. Micro-portali e macro-pistola mi sembrano invece cambiamenti sensati nel contesto 'sogno', assegnando agli uni il simbolo di 'uscita' (lontana) e all'altra quello di 'compito' (pesante).
Dato per buono questo, il resto dovrebbe funzionare. Credo. Due pomeriggi andati a fare simulazioni con un peluche di Goemon in veste di novella cavia... lasciamo stare XD
Ah sì, la mia Chell Ha Dei Problemi ™. E la amo anche per questo.
@ prompt della Criticombola: tutto il complesso di Aperture Science è un sotterraneo... l'incatenamento è una situazione da dungeon trucido, come nota anche Chell, e m'è venuta grazie al prompt... e quella stanza inventata in particolare voleva essere molto sotterraneosa. Spero basti. Volevo farla proprio di muri di pietra ma poi m'è venuto in mente “Ma i portali funzionano, sulla pietra?” e insomma sono fatta così u_u
   
 
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