Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: _Princess_    30/12/2009    16 recensioni
“Bitte, spring nicht!” la pregò Tom, ridendo, senza nemmeno alzarsi a sua volta.
Norja si voltò, le mani appoggiate alla ringhiera, e sollevò un sopracciglio:
“Come sarebbe a dire ‘Spring nicht’? Fino a due minuti fa volevi buttarmi giù tu!”
Tom finalmente si decise a tirarsi su e la raggiunse. In lontananza riuscivano a vedere la Porta di Brandeburgo, illuminata da potenti riflettori.
“È che mi sono appena reso conto che c’è la terrazza della mia suite, da questa parte.” Le rivelò, indicando il grande balcone che sporgeva un qualche metro sotto di loro. “Se cortesemente tu volessi buttarti dall’altro lato, potresti comodamente sfracellarti sulla terrazza della suite di Georg.”
Una folata di vento scompigliò i capelli di Norja mentre lei sollevava le braccia sopra la testa e si stiracchiava.
“Penso che andrò a buttarmi nel mio letto prima che accada l’irreparabile.” Dichiarò.
“Cioè prima che ci finisca io sfracellato sulla terrazza di Georg?” indovinò Tom.
“Prima che io mi innamori della tua brillante prontezza di spirito.” Rispose lei, e lui non capì se fosse seria o meno.
Probabilmente no.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Life & Troubles of a Guitar Hero' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Norja stentava a credere di averlo fatto davvero. Di essere lì.

Era folle.

No, peggio: era follemente sensato.

Norja si trattenne dal mordersi le unghie mentre si dirigeva a passo tutt’altro che sicuro verso l’ingresso del Velodrom, pensando a cosa ne avrebbe detto Bambi se avesse osato presentarsi con lo smalto rosso fresco di manicure tutto rovinato. E pensare che a lei nemmeno piaceva lo smalto.

C’era già un sacco di gente in fila davanti all’arena. Erano ormai più di due anni che lei non andava a un concerto e il solo respirarne indirettamente l’atmosfera le aveva suscitato una nostalgia che avrebbe volentieri evitato.

Quando incontrò il proprio riflesso nelle vetrate, se possibile, il suo umore si incupì ulteriormente: aveva il viso tirato, segnato dallo stress intensivo di quei giorni fitti di impegni, e vedersi così, senza la sua mascherina, la faceva sentire terribilmente nuda e vulnerabile.

Aveva ragione Tom: non era lei, quando si presentava in pubblico.

Ringraziò il cielo che l’entrata posteriore non fosse accessibile al pubblico, perché in caso contrario non si sarebbe mai azzardata a passare allegramente davanti a tutti come se nulla fosse. Era già stato abbastanza imbarazzante dover discutere con le guardie che sorvegliavano l’ingresso, che l’avevano scambiata per una fan furbastra che voleva infiltrarsi. Dopo diverbi vari ed eventuali, alla fine le avevano magnanimamente concesso di recuperare il pass dalla borsa e solo allora, senza nemmeno un accenno di scuse, l’avevano lasciata passare. Ora, il pass ben visibile al collo, stava per entrare nell’imponente edificio, e le sue mani si rifiutavano di spingere la porta come se dall’altra parte ci fosse stata chissà quale minaccia incombente pronta ad aggredirla.

Il che, tutto sommato, non era poi così distante dalla realtà.

Guardandosi nel vetro man mano che si avvicinava, si sentì immensamente stupida per come si era vestita: sembrava una scolaretta appena uscita dalle lezioni. Il problema era che qualunque scelta di abbigliamento le era sembrata assurda: vestirsi da concerto era fuori luogo, visto che non ci sarebbe stato nessun concerto prima di sera; il casual-elegante non era nemmeno un’opzione, ne aveva abbastanza già di suo; sexy, nemmeno a parlarne, si sentiva già abbastanza impacciata in quella stupida gonnellina a pieghe. Alla fine si era arresa e aveva tirato fuori dalla valigia capi a caso, e il risultato era drammaticamente simile a una divisa collegiale.

Già mi sento i commentini audaci di quella piattola di SNF…

Norja si sentì parecchio osservata quando finalmente riuscì a varcare la soglia. All’interno del palazzetto c’erano una moltitudine di persone che andavano e venivano, e molte di loro le scoccarono occhiatine sospette nel vederla farsi strada in mezzo a loro.

No, non sono una terrorista né una maniaca sessuale, gente, state tranquilli!

Mentre un tizio con una uniforme da guardia giurata le andava incontro con aria allarmata, Norja aveva già sviluppato una mezza idea di fare dietrofront e volatilizzarsi. Il solo pensiero di dover essere di nuovo faccia a faccia con i Tokio Hotel la atterriva a tal punto che quasi la sua pressione precipitò di botto. Non che i ragazzi non le fossero simpatici… Anzi, il problema era proprio quello. Aveva di meglio da fare che andarsene in giro per backstage e arene e fare l’ospite  d’onore privilegiata.

Sì, aveva decisamente di meglio da fare, eppure eccola lì, sola e sperduta nel covo del nemico.

Non ci sarebbero state conseguenze poi così gravi, dopotutto, se non si fosse presentata all’appuntamento. Al massimo Bambi si sarebbe stizzito per la sua maleducata irriconoscenza e SNF le avrebbe scatenato contro qualche trilione di maledizioni teutoniche, ma a parte quello sarebbe stato tutto perfettamente regolare.

Sì, era la cosa giusta da fare: scappare a gambe levate senza alcuna dignità.

Se solo le mie gambe volessero farmi la cortesia di collaborare…

E invece no, le sue gambe se ne stavano rigide e immobili, paralizzate, e non ne volevano sapere di portarla via da lì. Dopo tutta la fatica che aveva fatto per costringerle a portarla lì dentro, in effetti, Norja la trovò un’ostinazione ragionevole.

“Hey, eccola là!” esclamò ad un tratto una voce vivace, da un’imprecisata provenienza “Ciao, Lilli!”

Non ci voleva certo la vista di un’aquila per vedere il ragazzo alto due metri dalla vistosa cresta rizzata sulla testa che si stava sbracciando in fondo al corridoio. E, dietro di lui, un fascinoso dio greco dagli occhi verdi e la meraviglia fatta persona con un paio di bacchette da batteria in mano. E, dietro ancora, lui.

Norja pregò che la sua vista si prendesse una vacanza da lì a tempo indeterminato, perché di quel passo i già poveri resti del suo senno sarebbero defunti senza lasciare nemmeno tracce di cenere.

Tom portava la felpa bianca più enorme che si fosse mai vista, coordinata con il morbido berretto di lana e le scarpe sportive su cui ricadevano i larghi jeans chiari. La maglia che si intravedeva al di sotto della felpa era invece nera, come la bandana che gli fasciava la testa. La sua espressione un po’ ansiosa era così ingiustamente soverchiante che il cuore di Norja fece una capriola tale da finirle prima in bocca e poi nello stomaco, ritornando infine al proprio posto con un doloroso assestamento.

“Ciao, Bambi.” Salutò, la gola improvvisamente arida, mentre Bill, Georg e Gustav le si disponevano di fronte con dei sorrisi gentili. “Tarzan. Hercules.”

“Buongiorno, Lapponia.” Intervenne Tom, facendosi prepotentemente largo fra gli altri, ma con aria un po’ impacciata.

“Ciao, Pinocchio.” Ricambiò Norja, senza riuscire a imitare in modo decente i loro sorrisi. Non ricordava di essere stata così nervosa nemmeno il giorno della sua laurea.

“Come stai?” le chiese Gustav. Norja si concesse un secondo per ripristinare la connessione con la realtà, ma solo dopo essersi lasciata sfuggire un ‘Oooh!’ deliziato nella propria testa frastornata.

“Bene, se non calcoliamo il malaugurato incontro ravvicinato con uno dei vostri bestioni della security.” Rispose, sfoderando prontamente le sue preziose riserve di verve. “Anche dopo che gli ho mostrato il pass, aveva tutta l’aria di credere che fossi una fanatica maniaca stupratrice.”

I ragazzi risero.

“L’aria ce l’hai.” Commentò Tom. Bill gli sferrò una gomitata la cui potenza era probabilmente inferiore al battito d’ali di una farfalla.

“Ma non è vero! Guardala com’è dolce con questi codini!” esclamò, allungando le sue dita filiformi per dare una tiratina ai capelli di Norja. “Sembra un Cocker vero!”

Lei, miracolosamente, riuscì a non sbranarlo.

Sei fortunato che sei tanto carino e coccoloso, maledetto esserino sfrontato!

“Vieni, Lilli,” disse Bill, afferrandola per la sciarpa, e la trascinò con sé verso la porta alle proprie spalle. “Andiamo a fare un giro.”

“Mollami!” protestò lei, cercando di fargli lasciare la presa d’acciaio. “Non sono il tuo cane!”

Bill la lasciò andare, ma si voltò con un sorrisetto impertinente:

“Dai, non fare la musona! Con me non ce n’è bisogno.” Sussurrò, chinandosi verso di lei. “Non ti faccio niente.”

Norja ebbe un attimo di stordimento. L’ambiguità di quello che aveva detto Bill, con tanta naturalezza, le fece per un attimo venire il dubbio che lui sapesse. Ma non era umanamente possibile. Bill Kaulitz, pur essendo tutto quello che era, ovviamente non aveva la facoltà sovrannaturale di leggere nel pensiero.

Giusto?

Bill in testa assieme a lei, Georg, Gustav e Tom in coda, il gruppetto attraversò un’altra porta, che dava su un altro corridoio, stavolta deserto.

“Sei stata carina a venire.”

“Oh, figurati.” Norja sventolò una mano con fare distratto. “Fortunatamente la regina Elisabetta è una che non se la prende se le dai buca all’ultimo minuto.”

Bill la guardò perplesso.

“Come, scusa?”

“Niente, lascia stare.” Sospirò lei. “È il filtro anti-Kaulitz automatico. Mi spiace, ma funziona a rilevamento di DNA.”

“Mi farò togliere qualche cromosoma, a scanso di equivoci.”

La pelle d’oca che dapprima era sorta solo sulle braccia di Norja, si propagò lungo tutta la schiena in un brivido di tenerezza.

“Bambi, potresti lasciar parlare gli altri, per favore?” lo pregò. “Il tuo accento mi sta uccidendo.”

“Necessita di miglioramenti, lo so.” Si scusò lui, afflitto.

“No, è che ho un contegno pubblico da mantenere e se tu mi infliggi qualcun’altra delle tue S sibilanti, posso dire addio all’ultimo dei miei neuroni.”

“Sul serio?”
“Ecco, se poi infierisci a suon di R pronunciate alla Kaulitz, siamo a posto.”

“Noi qui dietro esistiamo, tanto per la cronaca.” Si intromise una voce scherzosa, che Norja riconobbe come quella di Georg.

In quell’istante Bill si fermò davanti a una porta e la aprì.

“Scusatemi, non volevo sembrare maleducata.” Disse Norja a Georg e Gustav. “Ho bisogno di pause di almeno cinque minuti tra una parola e l’altra con voi due, giusto quel che serve per restituire un flusso normale alla mia salivazione.”

Gustav si limitò a sorriderle; Georg fece lo stesso, ma aggiunse:

“Non è la ragazza più simpatica che abbiamo mai conosciuto?”

“Proprio.” Sbuffò Tom, passandole oltre senza guardarla.

Norja ebbe la spiacevole sensazione di averlo offeso con la propria mancanza di considerazione nei suoi confronti.

“Tom, se devi fare la particella di acido muriatico, perché non evapori?” sbottò Bill, alterato.

Tom gettò un’occhiata sfuggente a Norja, poi si infilò le mani in tasca e scrollò le spalle.

“Bene! Me ne vado a cambiarmi.”

Uscì sbattendo la porta, e a quel punto Bill si concesse un sospiro esausto.

“Scusalo, Lilli. È davvero un pessimo padrone di casa, vero?”

“Per fortuna compensi tu.” Lo rassicurò Norja, che, appena Tom era uscito, si era resa conto di trovare quella stanza assurdamente vuota e fredda. Era una camera quadrata, non più grande di cinque metri per lato, con una sola finestra e un tavolo di metallo al centro, a cui erano accostate delle sedie nere da ufficio. In un angolo, appoggiati su un mobile, un minifrigorifero e uno stereo malconcio. Nell’angolo opposto, una strana batteria dai piatti rivestiti in gomma.

“Ecco,” esordì Bill, compiendo un gesto circolare con la mano. “Questo il nostro locul– Ehm, spazio ricreativo.”

Norja non riuscì a trattenere una risata. Tutta la tensione di prima era sparita d’un colpo.

“Vieni,” disse Gustav, aprendo nuovamente la porta. “Ti facciamo fare un tour della zona palco.”

Fu piacevole trascorrere qualche minuto a chiacchierare con i ragazzi. Mentre le mostravano il retropalco e lo stage, le chiesero un po’ di lei, della sua storia e della strada verso il successo. Lei raccontò loro tutto quanto come se fossero stati amici di vecchia data, e fu sincera perfino quando le chiesero se fosse mai stata una loro fan. Se lo fosse ancora.

Vi amerò sempre, aveva promesso loro attraverso un poster, diversi anni prima, e tuttora la promessa restava infrangibile.

Lei fu banale nel chiedere a loro: volle sapere della loro vita, dei loro interessi lontano dalla scena, di come le loro famiglie avevano preso il loro successo.

Nel rispondere alla domanda sulla vita personale, furono tutti vaghi e diplomatici, ma Bill usò un termine che le fece stringere il cuore: mutilata.

Quante cose ci dovevano essere nascoste dietro ai loro sorrisi da fotografia…

Il pensiero di Norja vagò verso Tom. Era stato così carino, con lei, e lei lo aveva ripagato con sarcasmo e frecciatine ostili, senza riflettere su cosa ci fosse veramente alla base di quei suoi atteggiamenti così contrastanti tra loro.

Il senso di colpa aveva appena iniziato a insinuarsi nella sua coscienza, che Tom apparve alle loro spalle. Si era cambiato: i dettagli che prima erano in nero, erano stati sostituiti da capi viola, mentre la felpa, la stessa di prima, era aperta su un’ampia t-shirt, sempre viola, con un disegno argentato che Norja non riuscì a distinguere.

Gli donava parecchio, quel colore.

“Riecco l’antisociale del giorno!” esclamò Gustav, ricevendo in risposta uno sguardo ben poco affettuoso.

“Lilli, ti lasciamo un attimo in balia dell’inetto mentre ci andiamo a cambiare anche noi.” Le annunciò Bill, facendo cenno a Georg e Gustav di seguirlo.

“No!” esclamò Norja, nel panico. “Vi – vi aspetto qui!”

Bill emise una risatina leggera.
“Non puoi, sciocchina. Qui adesso devono iniziare a montare tutto.”

Gustav annuì serio.

“Rischi di prenderti qualche trave di metallo in testa.”

“Affare fatto!”

“Torniamo subito.” Le assicurò Georg.

“No, no, un momento!” supplicò lei, ma nessuno sembrava disposto a darle retta.
“Sei affidata a Tomi, Lilli!” le disse Bill, prima di scomparire assieme ai due compagni oltre una lastra di metallo, lontano dalla sua vista.

“Ma… Ma…”

Era rimasta sola.

No, non semplicemente sola: era rimasta sola con Tom.
Non si dissero niente. Non si guardarono. Non si sfiorarono nemmeno, durante il tragitto di ritorno verso a quello che Bill, giustamente, era stato sul punto di definire ‘loculo’.

Una volta entrati, Tom si piazzò su una sedia, la chitarra imbracciata, e si mise a pizzicare a caso le corde. Norja, ancora in piedi accanto alla porta, stava andando in iperventilazione. Rimpianse di aver preso un solo Valium, a pranzo, prima di uscire, e ancor di più di non essersene portata uno in borsa, soprattutto quando Tom, senza neanche sprecarsi a sollevare lo sguardo, le disse:

“Rilassati, Lituania.”

‘Rilassati’, le diceva. Come se rilassarsi o agitarsi fosse un’attività dominabile e controllabile.

“No che non mi rilasso!”

“Ok, non rilassarti, ma non attaccarmi le tue nevrosi.”

Mentre lui suonava, Norja prese ad andare avanti e indietro per la stanza, mangiucchiandosi febbrilmente le unghie, vanificando così tutti gli sforzi precedenti di lasciarle illese. A Bill sarebbe venuta una sincope, se l’avesse vista.

“Senti, hai proprio intenzione di agitarti come una fiera in gabbia ancora per molto?” grugnì Tom, irritato. Era cupo, rispetto agli altri giorni. Norja si rifiutò di credere che fosse a causa di quanto era successo il giorno prima.

“Sono claustrofobica!”

“Se vuoi ti apro la finestra.”

“La stanza resterebbe il buco che è!”

“Ma tu potresti buttarti di sotto.”

“Ti è rimasto il rimpianto di non avermi buttata giù l’altra sera, eh?”

“Non sai quanto.” Disse Tom. Finalmente sollevò lo sguardo su di lei, senza smettere di sfiorare le corde della sua chitarra, ed era uno sguardo inconcepibilmente serio da accompagnare a una battuta.

Perché era una battuta, giusto?

Aria. Norja aveva un disperato bisogno di aria fresca.

“Come si esce da questo bunker corazzato?”

“La finestra resta la via più rapida.”

“Non respiro.” Rantolò Norja, appoggiandosi a una parete, le guance in fiamme, le mani gelate.

“Ok, ok, calma.” Allarmato, Tom le si avvicinò, cercando di aiutarla. “Su, vieni qui, adesso faccio entrare un po’ d’aria.”

Le afferrò un braccio e le pose delicatamente una mano sulla schiena, ma lei si ritrasse come se le avesse fatto del male.

“Giù le mani!”

“Scusami.” Mormorò lui, atterrito. “Volevo solo –”

“Lo so” replicò lei, la testa che le vorticava. “Lo so,” aggiunse più morbidamente. “Scusami tu. È che…”

Era scorretto. Era dannatamente scorretto che Tom disponesse di due occhi così belli e profondi da puntare dritti nei suoi per farle andare in tilt ogni facoltà cognitiva. Ed erano anche così pericolosamente vicini…

“Che cosa?”

Aveva senso vedere il proprio cuore battere furiosamente dentro agli occhi di qualcun altro?

Aveva senso sentirsi completamente annullati nella sensazione di due mani calde che ti toccavano la pelle?

“Hey, Tom, tuo fratello ha di nuovo – Oh, salve.”

Norja e Tom si separarono di scatto. Lei si sentì avvampare e fissò il pavimento, registrando a malapena chi fosse l’uomo che aveva appena fatto irruzione nella stanza. David Jost.
“Salve.” Lo salutò, in un mugolio imbarazzato.

“Ehm…” Tom si mise tra loro due, cercando di fare qualche presentazione decente. “Dunque: David, lei è Norja. Norja Schwartz, la scrittrice. Te ne abbiamo parlato.”

Jost la squadrò senza preoccuparsi di dissimulare un qual certo stupore.

“Tu sei Norja Schwartz?”

“Così mi hanno detto.”

Le palpebre di Jost batterono un paio di volte sugli occhi chiari.

“Credevo che fossi più… Meno…”

“Più carina e meno vecchia?” suggerì Tom prontamente.

“Tom!” Lo apostrofò David, in tono di rimprovero, poi si voltò verso Norja con un sorriso. Era chiaro che aveva voluto dire l’esatto contrario di quel che aveva suggerito Tom. “Sono David Jost, il –”

“Produttore di questi quattro sfaccendati.”

“È una nostra fan.” Spiegò Tom, gonfio come un pavone.
“Non è vero!”

“E poi Pinocchio sono io!”

“Che succede qui?”  La testa bionda di Gustav fece capolino dalla porta. “Oh, ciao David!”

“Hai conosciuto Norja?” disse Bill, entrando in un tintinnio di catene e ferraglie varie.“Non è deliziosa?”

“Fin troppo. Senza offesa. Scusa l’accoglienza poco calorosa, ma mi aspettavo una tizia alla JK Rowling.”

“Una vecchia rugosa e noiosa?” suggerì nuovamente Tom, sempre più pronto.

“Hey, a me piace JK Rowling!” obiettò Norja.
“Sì, ma potrebbe essere la madre di tutti i presenti.” Precisò Georg. “Tu decisamente no.”

“Be’, Norja, è un piacere conoscerti. Spero che siano stati educati con te.” Le disse David, in un tono che trasudava dubbio.

“Ehm… Certo.”

“Vuoi assistere all’intervista?”

“No!” rispose lei immediatamente. “No, credo – credo che sia meglio che vada.”

L’ultima cosa di cui aveva bisogno era che si spargesse la voce che lei e i Tokio Hotel si frequentavano. A ben pensarci, non sapeva nemmeno perché si trovasse lì. No, lo sapeva: si era lasciata fregare dalla brillante performance di Bill Kaulitz nel ruolo del dolce persuasore.

Era stata un pessima, pessima idea.

“Vi ringrazio di cuore per l’invito, siete stati molto gentili, ma ora devo proprio andare. Ho un appuntamento con... Con il… Ho un appuntamento.”

“Allora ci si vede domani a colazione?” domandò Tom. Non era esattamente cupo come lo aveva trovato appena arrivata; sembrava anzi che in lui si fosse riacceso qualcosa.

“No.”

“Come no? Dai, non fare la scorbutica, possiamo –”

“Parto per Londra domani mattina alle sette.”

Il silenzio cadde sulla stanza come un macigno. Bill, Gustav e Georg si voltarono tutti verso Tom con facce piene di compassione; Jost, logicamente, non ci stava capendo un bel niente. Tom, dal canto suo, sembrava pietrificato.

Mortificato, forse?

“Ma come? Avevi detto –”

“Mi hanno spostato un paio di interviste.” Fece lei, sbrigativa. Non doveva spiegazioni a nessuno. Era il suo lavoro. Era così, punto. “Devo essere là per domani pomeriggio.”

“Ma…”

“Grazie di tutto. Mi ha fatto davvero piacere conoscervi.”

“Lilli…” pigolò Bill, con un musetto costernato che la devastò.

Proprio come circa un’ora prima, le gambe di Norja non avevano nessunissima intenzione di mobilitarsi per portala via, nonostante la sua testa le stesse letteralmente implorando. Non poteva restare. Doveva andarsene prima che la situazione le sfuggisse completamente di mano. In fretta.

“Ciao, Bambi.” Sussurrò, deglutendo a fatica. Strinse le mani a tutti, iniziando a sentire la tristezza che scava in lei. “Tarzan, Hercules, David…” Ebbe un attimo di esitazione nell’incontrare lo sguardo di Tom. “SNF… Buon proseguimento.”

“Olanda, aspetta!” Tom la bloccò per un polso appena prima che lei si voltasse. “Hai da fare, stasera?”

Norja boccheggiò.

“Come?”

“Sei impegnata?”

“Ho… Ho una cena con –”

“E dopo cena?” La forza della presa di Tom aumentava con l’aumentare della speranza nei suoi occhi. “Noi qui ne avremo fino a mezzanotte, ma…”

“Dopo cena sono al Crimson,” lo stroncò lei, prima che potesse aggiungere altro. “Ho un incontro di –”

“Ti passo a trovare appena mi libero del concerto.”

“Non è necessario.”

“Ma lo voglio fare.” Insisté lui.

Norja non sapeva cosa fare. Era lì, tutti la stavano guardando, tutti erano in attesa di qualcosa, ma era qualcosa che lei non poteva dare a nessuno di loro. Tom men che meno.

Lei voleva rivederlo. Voleva salutarlo. Voleva qualche altra ora da passare con lui, ma non poteva cedere, perché, come ogni altra cosa che creava dipendenza, non avrebbe fatto altro che nuocerle.

“Tom,” Lo costrinse a lasciarle il polso, ma non osò guardarlo in faccia. “Non venire, per favore.”

“Ti voglio salutare!”

La vibrazione supplichevole nella sua voce le fece male. Le face male anche obbligarsi a rivolgergli quell’occhiata feroce:

“Sei nutri un minimo di pietà nei miei confronti,” gli disse a mezza voce. “Per favore, non venire.”

E poi, senza guardarsi indietro, se ne andò.

 

***

 

Se n’era andata.

Norja se n’era andata via, e lui non l’aveva fermata. Non aveva fatto niente. Niente di niente.

A quello aveva pensato Tom per tutta la durata del concerto, senza un secondo di tregua. Aveva suonato con quell’ossessione in testa, arrabbiato e offeso, demoralizzato e pieno di domande.

L’aveva lasciato così, senza spiegazioni o ragioni valide, chiedendogli soltanto – ‘per favore’ – di non andare da lei. Il comportamento di Norja nei suoi confronti era stato un susseguirsi di contraddizioni fin dal primo istante in cui si erano incontrati, un oscillare continuo tra l’ostilità e la confidenza, e lui più confuso di così non sarebbe potuto essere. Il suo modo di rapportarsi con il genere femminile era di norma molto semplice ed elementare: uno scambio equo di favori a breve scadenza, e il nulla dopo. Con Norja, per qualche strano motivo, non aveva funzionato. Lui aveva cercato in ogni maniera di trovare un contatto con lei, ma ogni volta che ne avevano stabilito uno, lei aveva sempre trovato il modo di interromperlo e rovinare tutto. C’era qualcosa, tuttavia, che lei si era tenuta gelosamente dentro, rifiutandosi di condividerlo con lui. Era una sensazione che Tom aveva avuto fin da subito, ma che si era consolidata man mano che la aveva conosciuta. Che cosa fosse, poi, quel qualcosa, non sapeva immaginarlo.

Probabilmente non lo avrebbe mai nemmeno scoperto.

Non c’era molta gente per strada a quell’ora tarda. Era anche stato complicato trovare un taxi a mezzanotte passata, ma alla fine ce l’aveva fatta. Davanti a lui, l’insegna scarlatta del Crimson illuminava di bagliori rossi le fitte e finissime gocce di pioggia che scendevano dal cielo.

Sapeva che non avrebbe dovuto trovarsi lì, ma era stato più forte di lui. Non pretendeva molto: solo un saluto decente – un addio decente – nient’altro. Voleva solo parlare con lei un’ultima volta.

Era cosciente che le sarebbe apparso patetico: lui, un ragazzino di poco più di vent’anni, che si ostinava a rincorrere lei, più grande di ben quattro anni, più intelligente e matura, più seria, più professionale, più…

No, non ci credeva nemmeno lui. Per quanto provasse a convincersi che Norja non era adatta  a lui, il ricordo del pur esiguo tempo trascorso con lei era una dimostrazione fin troppo concreta dell’esatto contrario. Non sarebbe arrivato fin lì, contro gli ordini di Norja stessa, se non avesse avuto la certezza che ne valesse la pena.

Entrò, le gocce di pioggia che gli colavano lungo la giacca impermeabile, e fu inondato da un gradevole sbuffo di calore. Non era mai stato lì: era un locale buio, con luci e colori sui toni caldi del fuoco, divanetti in pelle nera e tavolini circolari di vetro, musica jazz dalle casse sparse ovunque. Non esattamente il suo club ideale.

Iniziò a guardarsi intorno, un po’ spaesato dalla folla borbottante, ma di Norja nessuna traccia. Fortunatamente nessuno sembrava far caso a lui.

“E tu che diavolo ci fai qui?”

Una scheggia di ghiaccio trapassò il cuore di Tom. La voce era quella giusta, quella che aveva sperato di poter risentire, ma il suo tono era duro come mai avrebbe pensato potesse essere. Ma Tom non si perse d’animo; si voltò, sicuro di sé e delle proprie ragioni, e le sorrise:

“Te l’avevo detto che sarei passato a salutarti, no?”

Fece fatica a parlare con disinvoltura, perché vederla lo lasciò senza fiato, e non in senso lusinghiero. Non sembrava nemmeno lei.

“E io ti avevo espressamente chiesto di non venire. Devi andare via. Non ho tempo per te.”

Portava un abitino nero, che le abbracciava la spalle lasciandole scoperte ed evidenziandole il decolleté, una catenina di fine oro giallo a cingerle il collo, ai piedi, delle scarpe a punta con un tacco assurdamente alto e sottile. La mascherina le nascondeva metà del viso, gettando ombre che rendevano i suoi occhi praticamente invisibili. I capelli, raccolti in un rigido chignon, sembravano bruciare assieme alle luci della sala. Un ciocca sottile, però, era sfuggita all’acconciatura e le sfiorava la guancia, ricadendole subito accanto alle labbra, non rosse, come d’abitudine, ma velate da un lucido strato di gloss trasparente.

Non era lei. Tom non la riconosceva nemmeno.

“Andare via? Sono appena arrivato!”

“Non dovresti nemmeno essere qui, infatti!”

Le guance rosate di Norja si fecero appena più colorite, le sue mani strette in due pugni frementi.

“Che ingrata che sei!” le rinfacciò Tom, amareggiato. Non c’era verso di trovare punti di contatto con lei.

“Senti, apprezzo il pensiero, ma devi sparire.” Gli intimò Norja, senza troppi giri di parole. “Adesso. Se Julian ti vede, io...”

“Julian?” Tom aggrottò la fronte, un senso di gelo che gli percorreva la schiena. “Chi è Julian?”

Era single. Glielo aveva detto lei. Era single, maledizione.

“Ti prego, vattene!”

“Chi è Julian?”

In quel momento si avvicinò un uomo biondo e affascinante sulla trentina. Appoggiò con confidenza una mano alla base della schiena di Norja, facendo vedere rosso a Tom.

“Hey, biscottino, chi è il piccolo? Ha un’aria familiare.”

“Nessuno.”

“Julian?” fece Tom, sempre più irritato.

Il biondo inarcò le sopracciglia.

“Ci conosciamo?”

“Non ancora.”

“Jool, arrivo subito.” Intervenne Norja, spingendo Julian verso la porta che dava sulla sala attigua. “Tu inizia ad ordinare. Prendo un Dama Bianca senza ghiaccio.”

“Ma di là ci sono –”

“Non ci metto molto, giuro. Dammi solo un minuto.”

“D’accordo.”

Julian occhieggiò Tom con ben poca convinzione, ma alla fine si decise a togliere il disturbo. Tom lo guardò andare via con mille domande sulla punta della lingua.

“Carino.” Ironizzò, tornando a rivolgersi a Norja.

“Sì, certo.” Borbottò lei, senza ascoltarlo davvero. “Tom…”

“Bei muscoli. Fa palestra?”

“Non ne ho idea. Ora, per favore…”

“Da quanto uscite insieme?”

Un lampo di sofferenza apparve per un infinitesimale di secondo sul volto di Norja, ma sparì troppo in fretta perché Tom potesse essere certo di averlo visto davvero o di esserselo solo inventato.

“Oh, dio, ma perché a me?” Norja sembrava davvero sul punto di esplodere. “Stammi a sentire: Julian è il mio manager, ok? È sposato, due figli, un cane, tre gatti e una station wagon. È qui perché c’è della gente con cui dobbiamo assolutamente parlare, di là. È importante, quindi apprezzerei che tu levassi le tende adesso.”

Tom si lasciò spingere fino all’ingresso, osservato da diversi clienti incuriositi.

“È una mia impressione o mi stai letteralmente sbattendo fuori?”

“Brillante deduzione,” berciò Norja, trascinandolo fuori dal locale, all’aria fredda della notte. “Sono sbalordita.”

“Ma sta piovendo!”

“Non è colpa mia.”

Lei fece per tornare dentro, ma Tom le si parò davanti, ostruendole il passaggio.

“Lasciami restare, prometto che non disturbo nessuno!”

“Disturberesti me.”

“Sto zitto e buono!”

“Mi disturberesti comunque.”

“Come faccio a disturbarti se mi limito a starmene in un angolino a respirare?”

Norja si portò stancamente una mano alla fronte, chinando la testa da un lato.

“Vorrei tanto saperlo anch’io.”

Sembrava esserci del rimpianto in quelle parole. O forse era rimorso. Tom non aveva mai capito bene la differenza.

“Mi molli per strada così?”

“Sì!”

“E partirai senza nemmeno salutarmi in modo decente?”

“Sì!” Norja rispondeva con determinazione mordace, reggendo egregiamente tutti i tentativi di Tom di fare breccia attraverso la sua corazza. “E adesso piantala di rompere! Ora io torno là dentro e tu non oserai seguirmi, sono stata chiara? Sono sicura che Berlino pulluli di sensuali galline cerebrolese che non aspettano altro che intrattenere Tom Kaulitz per una bollente notte di sesso casuale, quindi vai, infilati nel primo club che trovi e –”

Silenzio.

Il mondo si era fermato per permettergli di compiere quel gesto che in cuor suo sapeva che non avrebbe mai dovuto commettere. Perché lei glielo aveva detto, gli aveva proibito di farlo, eppure, come lei si rifiutava di dare retta a lui, lui aveva scelto di non dare retta a lei, e così l’aveva fatto.

Le labbra di Norja erano rigide e fredde contro le sue, che cercavano in tutti i modi una risposta che non sarebbe mai venuta.

L’aveva fatto, però. L’aveva baciata. E nell’incontrarsi in quel bacio, la sua mascherina le era caduta, impigliandosi nella scollatura del vestito.

Tom non volle abusare di quell’attimo di follia. Si era già spinto fin troppo oltre la linea di confine stabilita. Si separò da lei lentamente, gli occhi chiusi, aspettandosi uno schiaffo, un urlo, o una reazione di qualunque tipo, che però non ci fu.

Norja era in piedi davanti a lui, e adesso poteva vedere i suoi occhi, pesantemente truccati di nero, con sfumature rossastre sulle palpebre. Non erano velati d’odio, come si era aspettato lui, ma di un sentimento forse peggiore: la delusione.

“Ora spiegamelo.” Farfugliò Norja, la voce flebile e spezzata da un nodo alla gola. “Spiegami perché l’hai fatto, dopo che io ti ho tanto pregato di lasciarmi stare.”

Sembrava sconvolta. Sembrava persa. Sembrava furiosa e disperata.

Ferita.

“Non – non sono riuscito a trattenermi.” Biascicò Tom, sorpreso della sua stessa azione. Eppure lo aveva fatto con assoluta coscienza di sé.

“Vaffanculo.” Sbottò Norja, tremando da capo a piedi. “Vaffanculo, Tom!”

Frastornato nel vederla voltargli bruscamente le spalle, Tom la afferrò per le braccia e la costrinse a voltarsi:

“Non odiarmi, Finlandia…” la implorò, sentendo la sua stessa voce incrinarsi dal dispiacere.

Gli occhi neri e lucidi di Norja lampeggiarono di una pericolosa luce esasperata.

“PER L’ENNESIMA VOLTA, TOM KAULITZ: IO NON TI ODIO, MALEDIZIONE, LA VUOI CAPIRE O NO? IO TI AMO, D’ACCORDO?! TI AMO DA QUANDO ERO UNA PATETICA SEDICENNE ORMONALE E TU UN RIDICOLO RAGAZZINO CON UNA CHITARRA PIÙ GROSSA DI LUI IN MANO! TI AMO DALLA PRIMA VOLTA CHE TI HO SENTITO APRIRE QUELLA TUA MALEDETTA BOCCACCIA PRESUNTUOSA PER VANTARTI DELLE VENTICINQUE RAGAZZE CHE TI ERI FATTO PRIMA DEI QUINDICI ANNI! LO SAI CHE COSA VUOL DIRE QUESTO? CHE SONO QUASI DIECI FOTTUTISSIMI ANNI CHE SONO INNAMORATA DI TE! DIECI ANNI DELLA MIA VITA AD AMARE UNA PERSONA CHE NON ERA REALE! SAI COSA SIGNIFICA?!”

Tom aprì la bocca in cerca di aria, ma non riuscì ad inspirarne. Era stato travolto da quel discorso come un fiume in piena, e qualche parte non la aveva compresa del tutto, ma il concetto basilare lo aveva perfettamente afferrato. Ed era stato un pugno in pieno stomaco.

Non aveva capito niente.

Tuttora non capiva niente.

“Ma io… Io sono reale…”

La pioggia sottile continuava a cadere, a scivolare via dalle spalle di Tom e ad inzuppare irrimediabilmente il leggero abito di Norja e i suoi capelli, che stavano pian piano sciogliendosi dallo chignon, cadendole sulle spalle nude.

“No, Tom! Tu sei reale nel tuo mondo, dall’altro lato della transenna, capisci? Nel mio mondo tu eri solo un bel sogno che apparteneva a una dimensione del tutto separata dalla realtà! Eri nel tuo Olimpo, lontano anni luce dai comuni mortali come me… E non puoi – non puoi, Tom! – immaginare cosa abbia significato per me vederti materializzato davanti a me dal nulla, quella sera! Te ne sei uscito così dalla mia fantasia e hai preteso di entrare nella mia vita come se nulla fosse, come se fosse normale! E non sei diventato vero solo, tu, ma anche tutto il resto, e io… Io…” La frase morì lì. Mordendosi il labbro, Norja si nascose il viso tra le mani. “Dio, ma com’è potuto succedere?”

Tom restava una statua di sale. C’erano troppe cose aggrovigliate nella sua mente che lottavano l’una con l’altra per essere sciolte e metabolizzate con la giusta attenzione.

“Io… Io non…”

Cosa poteva dire? Cosa poteva dire per rispondere anche a una sola di tutte quelle cose gli aveva appena rivelato lei? Anche volendo, non avrebbe saputo da dove cominciare. E poi non capiva il senso di tutto quell’inveire. Se davvero anche lei provava qualcosa per lui, dove stava il problema? Perché scappare così?

Non sapeva nemmeno cosa stesse provando lui stesso.

“Io non ti conosco, Tom.” Disse Norja, con una nota di rammarico. “Non so niente che valga veramente la pena di sapere di te. Sei… Un emerito sconosciuto che è saltato fuori da un poster e mi è piombato nella vita senza lasciarmi nemmeno il tempo di capire come e perché, quindi scusami se sono confusa!”

“Ma noi… Noi siamo stati bene…”

Lei scosse ostinatamente la testa, l’acqua che le incollava i capelli rossi lungo il viso stravolto.

“Hai presente la storia della falena e del fuoco? Lei è attratta all’inverosimile da quel fuoco, è tentata di avvicinarsi, ma il fuoco è troppo caldo, il fuoco scotta… Lei lo sa che non le farà bene avvicinarsi troppo, sente che finirà male, ma non può farne a meno, e così si avvicina sempre di più, anche se si sente bruciare… E alla fine è troppo tardi.”

Tom si sentiva stupido a starsene lì con la bocca spalancata, incapace di razionalizzare, incapace di reagire.

“Io… Che cos’è una falena?”

A Norja sfuggì suono strano, forse più simile a un singhiozzo che a una risata.

“Oh, Tom…”

Rimasero a scrutarsi l’un l’altra per un tempo indefinito, che poteva essere pochi secondi, così come ore intere. Tom voleva parlarle, cercare di sbrogliare qualcosa da tutto quel caos che era scoppiato, ma non era mai stato bravo con i discorsi, e ancor meno ad affrontare i sentimenti.

Era una situazione al di fuori della sua portata.

Però non poteva lasciar crollare tutto così. Non poteva…

“Norja…”

Cercò avvicinarsi a lei. Una voce nella sua testa gli diceva di togliersi la giacca e mettergliela addosso, perché così poco vestita si sarebbe sicuramente ammalata, ma le sue mani cercavano solo lei. Elei, invece, arretrava.

“Norja, guardami.” Con uno scatto, Tom le afferrò le mani e le strinse tra le proprie.

“Lasciami andare, per favore!”

Ma lui la ignorò.

“Io sono reale e concreto, mi senti?” Le sue dita la strinsero più forte, e non gli importava se le faceva male; voleva che lei lo sentisse. “Abiterò anche in qualche sottospecie di Olimpo, lontano anni luce quanto vuoi, inarrivabile quanto vuoi… Ma sono qui. Io adesso sono qui, Norja, e sono qui per te. Solo per te.”

Per un attimo, lei sembrò troppo disorientata per ribattere, persa nei suoi occhi, ma poi un brivido la fece tornare in sé.

Adesso sei qui,” gli rispose rigidamente. “Domani sarai chissà dove, e io pure! Lo capisci quanto è paradossale anche solo sperarci?”

“Ma noi –”

“Lasciami andare…”

Non era una richiesta, e nemmeno una supplica. Era una preghiera.

“Ma io voglio stare con te!” sibilò Tom, e si rese conto con orrore di quanto suonasse come un mero capriccio.

“Sono io che non voglio stare con te!” esclamò lei.

“Ma hai detto –”

“Quello che ho detto non cambia le cose. Tu sei ancora dall’altra parte. Sei dove io non posso stare. Non è cambiato niente, Tom: tu sei sempre tu, e io sono sempre io. È tutto uguale a prima.” Norja non riuscì a sostenere più il suo sguardo. “Solo che adesso è peggio.”

Una goccia d’acqua le scivolò lungo la guancia, morendole sulle labbra. Tom non seppe mai se fosse solo pioggia, o se fosse l’estrema sincerità di una lacrima.

Aveva tutto quanto un sapore strano: l’aria, il temporale, i rumori attutiti e distanti della città… Sapeva tutto di fine.

“Svezia, non scherzare…” la implorò, e lei implorò lui con uno sguardo.
“Lasciami andare, Tom. Ti prego…”

Che scelta aveva?

Cosa poteva fare?

Non poteva certo costringerla a stare con lui se lei non voleva.

Fu come se cuore di Tom smettesse d’improvviso di battere quando la consapevolezza face breccia tra i suoi pensieri. Era così che doveva andare. Sperare ormai era inutile. Tutto sapeva di fine perché era quello che era.

Era finita.

E mentre le sue mani allentavano la prese su quelle di Norja, Tom si rese conto che in realtà non sarebbe mai riuscito a lasciarla andare.

 






--------------------------------------------------------------------------


Note: un grazie grosso così e di cuore a tutti voi che avete letto e recensito lo scorso capitolo! Davvero, penso che alcuni di voi sappiamo quando può essere gradito un commento, quindi non credo serva dirvi quanto apprezzi i cinque minuti che dedicate alle recensioni! Ovviamente spero tanto che ne avrete cinque da dedicare anche a questo nuovo capitolo. ;)
Vi informo già questa puntata numero quattro è la penultima della storia. Con la prossima saremo alla fine. ^^ So che è una ff veramente breve, ma l'avevamo detto, all'inizio, no? Quindi, nonostante sia una storia di ben poche prestese, mi auguro che vi sia stata comunque gradita.
Il titolo del capitolo, che avrete sicuramente riconosciuto, è tratto dall'omonima canzone di quell'oscura band tedesca che tutte noi disprezziamo con tanta dedizione: I tokio Hotel. XD
Per ora non mi resta che augurare a tutti un buon anno nuovo! Ci si risente nel 2010! ;)
   
 
Leggi le 16 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: _Princess_