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Autore: CowgirlSara    29/06/2005    5 recensioni
“…solo una lettera…” Sì, ma le parole possono ferire come una spada, segnare come bruciature, dividere ben più delle miglia percorse, non è forse così Efestione?
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Alessandro il Grande, Efestione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la mia seconda ff su Alessandro Magno, ha uno stile un po’ diverso dall’altra e sarà articolata in due parti, ma spero che vi piacerà altrettanto (anzi, già che ci sono: GRAZIE PER I COMMENTI a “Il richiamo”!). Per chi non l’avesse riconosciuta la canzone in introduzione è “Too much love will kill you” dei Queen, pezzo che io adoro. Buona lettura.

Sara

 

Prima parte

 

I'm far away from home
And I've been facing this alone
For much too long...

Il dolore gli faceva pulsare tutto il braccio, caldo e pungente; avrebbe dovuto almeno lavarsi la ferita, ma ora era occupato a pensare ad altro.

L’arrivo dei rifornimenti era sempre un evento, ovunque fosse l’accampamento, i soldati, gli schivai, le donne, si assiepavano in attesa di novità, notizie, forse, messaggi da casa; Efestione, invece, sperava sempre che arrivassero un giorno più tardi.

Lui era un generale di Alessandro, il suo braccio destro a detta di molti, e la sua parte razionale si opponeva a quest’idea, ma un uomo non è fatto solo di logica, per questo, ogni rifornimento per lui era una pena. Certo non lo dava a vedere, non era nel suo carattere, nessuno sospettava quello che gli stava accadendo, nessuno doveva sapere. Specialmente lui.

Una fitta al braccio lo distrasse dalla lettura della lettera; fece una smorfia infastidita, non era proprio il momento per essere scocciati dalla lacerazione provocata da una freccia… e vallo a dire agli assediati!

Il sangue gli colava lungo il braccio, se lo tamponò con un panno, senza quasi togliere gli occhi dalla pergamena che aveva in mano; si chiedeva come potesse ancora continuare a leggere quegli scritti, nonostante tutto. Avrebbe potuto semplicemente ignorarli, ma non voleva.

Le parole gli bruciavano negl’occhi come fossero scritte col fuoco. Lo stesso effetto ogni volta. Si sentiva offeso, ferito nell’orgoglio, impotente, ma, allo stesso tempo, pronto a difendere con i denti tutto ciò che riteneva importante.

Finì di leggere la lettera sospirando, accorgendosi che quella firma gli si era come stampata con violenza nella mente; con un gesto di stizza gettò la pergamena sul letto, e rimase in piedi, immobile.

“Efestione, Alessandro ti sta…” La voce profonda di Tolomeo interruppe il corso dei suoi pensieri; il giovane chinò pesantemente il capo, sbuffando.

“Sì, lo so.” Mormorò quindi, interrompendo l’amico con un gesto della mano. “Devo andare da Filippo, per la ferita.”

L’altro, infatti, aveva fermato la frase proprio vedendo la ferita al braccio di Efestione. “Stai perdendo molto sangue…”

“Lo so.” Rispose secco lui. “Dovevo fare una cosa.” Aggiunse poi, quindi si avvicinò ad un bacile pieno d’acqua e si lavò il viso.

Tolomeo si guardò intorno, domandandosi la ragione per cui, una persona attenta e curata come Efestione, stesse lì a farsi colare il sangue addosso; vagando con lo sguardo si accorse del rotolo gettato sul materasso.

“Hai ricevuto una lettera?” L’amico annuì. “E chi ti ha scritto?” Continuò quindi, ben sapendo che Efestione non aveva parenti; gli rispose una specie di via di mezzo tra una risata e un gemito.

Tolomeo, incuriosito, continuava a fissarlo; l’altro si asciugò il viso, poi lo raggiunse vicino all’uscita della tenda.

“Mi accompagni?” Gli chiese.

“Direi, non voglio certo che mi svieni in mezzo al campo, con tutto quel sangue che hai perso, ci rischio i gioielli di famiglia se Alessandro lo scoprisse…” Fece ironico, mentre Efestione gli faceva una smorfia depressa.

Camminavano attraverso il campo, tra le attività di quella fine giornata; Efestione si stringeva il panno intorno alla ferita, Tolomeo gli camminava accanto, preoccupato, ma la curiosità era molta di più. Voleva sapere della lettera.

“Non erano buone notizie, vero?” Si decise, infine, a chiedergli.

“Sempre le stesse.” Rispose Efestione, senza guardarlo.

Tolomeo s’incuriosì ancora di più. “Che vuol dire? Ma chi ti ha scritto?” Domandò con urgenza.

Efestione si fermò, sospirando, alzò gli occhi verso il sole che stava tramontando, incerto se confidarsi con l’amico e compagno d’armi di una vita.

“Olimpiade.” Affermò infine; Tolomeo spalancò gli occhi, completamente stupito.

L’uomo si scostò di un passo, per guardarlo meglio. “Mi stai prendendo in giro?!” Esclamò allibito.

Efestione scosse il capo con un sorriso divertito. “No di certo.” Rispose tranquillo.

“Scusa, ma…” Riprese Tolomeo, posando le mani sui fianchi. “…per quale motivo ti avrebbe scritto?” Aveva la fronte aggrottata, era perplesso. Giustamente.

“Per lo stesso identico motivo per cui lo ha fatto tutte le altre volte.” Dichiarò l’altro, allargando le braccia e riprendendo a camminare.

“Ah, perché non è la prima volta…” Mormorò l’amico.

“No.” Disse solo Efestione.

“Ma che cosa vuole da te? Insomma, non capisco…”

“Un cosa sola, Tolomeo.” Affermò l’altro, precedendolo davanti alla tenda di Filippo. “Che me ne torni in Macedonia con la coda tra le gambe.”

“Tu?!” Sbottò l’uomo, indicandolo; lui annuì.

“Sarei deleterio per la causa di Alessandro.” Aggiunse Efestione.

“Ha sbagliato uomo.” Proclamò Tolomeo, negando col capo; l’amico non rispose, mentre copriva i pochi passi che lo separavano dal medico. “Scusa, ma lei non sa… insomma, credevo che lui le avesse… voi due…”

Efestione si voltò verso di lui, aggrottando la fronte. “Di cosa parli, Tolomeo?”

Si scambiarono uno sguardo. “Lo sai.” Rispose poi l’uomo. “Dico, tu e Alessandro… lo sappiamo, non si dice, ma…” Aggiunse vago, grattandosi la nuca.

Efestione gli fece un breve sorriso malinconico, poi si girò verso la tenda. “Devo farmi curare questo braccio.” Detto questo entrò, e Tolomeo capì che si era già aperto abbastanza.

Poco dopo, stringendo i denti mentre Filippo gli cuciva la ferita, Efestione rifletteva sull’opportunità di parlare ad Alessandro di tutta quella storia; si sarebbe tolto un bel peso, ma era certo di non peggiorare le cose?

 

Entrò nella tenda con un gesto naturale, un’abitudine tranquilla, familiare, in special modo a quell’ora del giorno, quando il sole tingeva d’arancio l’orizzonte. La tenda era vuota.

Su un tavolo scuro, sulla destra, c’era cibo, frutta, vino; a sinistra, in fondo, il grande letto con le coperte riccamente ricamate, i cuscini. Vicino all’entrata, invece, un tavolo ingombro di carte, mappe, tavolette per scrittura, pergamene; il lavoro di Alessandro. Di lui, però, nessuna traccia.

“Xandre?” Chiamò Efestione, avvicinandosi al tavolo col cibo.

Un fruscio brusco dal fondo della tenda lo fece sobbalzare: era il re, che procedeva a grandi passi verso di lui, con una coppa in una mano ed un papiro nell’altra. Efestione l’osservò, era in uno stato pietoso: impolverato, con i capelli color fango, la tunica sporca, lo sguardo distratto e, perfino, una traccia di sangue incrostato sulla coscia. Il giovane aggrottò la fronte, perplesso.

“Oh, finalmente! Traditore, che volevi fare stasera? Evitarmi?” Proclamò raggiungendolo, quindi gli sfiorò le labbra con un veloce bacio; quando si scostò, Efestione fece una smorfia. “Hai fame? Se vuoi mangiare, mangia, c’è tanta di quella roba!” Non era strano vedergli fare più cose insieme, ma era il modo a preoccuparlo. “Io ho una fame che non ci vedo, oggi!” Si muoveva per la tenda a scatti, come una mosca, sembrava incapace di fermarsi in un punto. “Sembrano due giorni che non mangio!”

“Forse perché sono due giorni che non mangi.” Intervenne calmo Efestione.

Alessandro si bloccò in mezzo alla tenda, con la coppa vicina alle labbra, e lo guardò con espressione scettica. “Dici?” Fece poi, lui annuì. “E’ che ho un sacco di cose da fare, carte da leggere, persone da gestire…” Continuò Alessandro, riprendendo a muoversi, ma poi alzò di nuovo gli occhi sull’altro. “Ma tu mangia, dai.”

“Mangio, mangio!” Proclamò arreso Efestione alzando le mani, quindi abbassò gli occhi su un vassoio dove era disposto qualcosa che sembrava carne, ma aveva un aspetto strano. “Che cos’è questa roba?” Domandò.

Alessandro fece una risatina furba. “Coccodrillo.” Rispose poi.

“Coccodrillo?!” Replicò allibito Efestione, spalancando gli occhi. “Quegli animali che…” Mimò con la mano la bocca del coccodrillo. “…sul fiume…”

“Sì.” Ribatté Alessandro soddisfatto. “Ma non fare quella faccia, è buono, sa di pollo.” L’incitò quindi, con un gesto; Efestione riabbassò gli occhi sulla carne, poco convinto.

L’altro, nel frattempo, continuò a muoversi nella tenda, si avvicinò al tavolo con le carte, rovistò tra papiri e pergamene, ne prese alcuni, svuotò la coppa, raggiunse Efestione e la riempì di nuovo, quindi alzò gli occhi e lo guardò; lui fece altrettanto.

“Non hai fame?” Chiese Alessandro.

“La smetti di chiedermelo!” Sbottò Efestione.

“Oh, stai calmo!” Replicò l’altro, divertito, adorava queste schermaglie verbali; però, poi, si accorse dell’espressione dell’amico, che arricciava platealmente il naso. “Cosa c’è?” Domandò dubbioso.

Efestione sospirò. “Alessandro…” Esordì quindi. “…non esiste un modo gentile per dirtelo…” Fece una pausa abbastanza lunga, fissandolo. “Tu puzzi.”

Alessandro spalancò i grandi occhi chiari, facendo un passo indietro, quindi aggrottò la fronte con espressione irata. “Ieri sera non puzzavo così tanto, per te, mi sembra.” Ribatté indignato, mettendosi le mani sui fianchi.

“Molto, ma molto, meno di oggi.” Rispose Efestione; sapeva di aver toccato un tasto pericoloso, ma sperava che non se la sarebbe presa troppo.

L’espressione di Alessandro si rilassò lievemente, si grattò la fronte, spostò gli occhi sul tavolo. “Beh… ma oggi ho avuto molto da fare…” Tentò di giustificarsi, poi rialzò gli occhi, in un moto di orgoglio, e si scostò dal tavolo, ricominciando a muoversi. “La costruzione del terrapieno è in ritardo, ho dovuto controllare la sistemazione degli animali, ho sudato molto… e poi…” Si girò di scatto verso Efestione, e stavolta lui lo vide piuttosto pallido e con lo sguardo strano. “E poi c’è stato quello stramaledetto attacco, non ce l’aspettavamo… cioè, sapevo che avrebbero attaccato ancora, ma non oggi, evidentemente hanno saputo che avremmo ricevuto i rifornimenti, si sono approfittati di un buco nelle nostre difese…” Continuava a parlare, ed il suo tono s’infervorava sempre più, come cresceva la preoccupazione di Efestione. “…ah, ma non passeranno, non sanno con chi hanno a che fare! Entrerò nella loro maledetta città, oh se mi faranno entrare in quel tempio, a costo di radere al suolo tutta l’isola, io…”

“Fermati.” Gli ordinò l’amico, lui si bloccò, guardandolo. “Calmati, sei troppo agitato.” Aggiunse, avvicinandosi e prendendolo per le spalle. “Non stai bene, non fai che muoverti, sei pallido, hai le pupille dilatate…” Alessandro lo fissava perplesso. “Dimmi, da quanto non dormi?”

L’uomo diede l’impressione di pensarci un momento. “Mah… da ieri notte, direi…” Rispose quindi.

“No.” Replicò sicuro Efestione, scuotendo il capo.

“Come no!” Sbottò Alessandro. “Cosa ne vuoi sapere tu, russavi!” Quando, a seguito del sorrisino dell’amico, si rese conto di aver ammesso la mancanza di sonno, lui roteò gli occhi e reclinò il capo all’indietro, arreso.

“Lo vedi che non sei lucido?” Affermò Efestione, mentre stringeva le mani sulle sue spalle.

“Io sono lucidissimo!” Protestò il re.

“Se vedessi la tua faccia in questo momento, non lo diresti.” Ribatté pronto l’altro.

“Ma cosa vuoi che ti dica?!” Sbottò lui, allargando le mani. “Sarà colpa di questi incensi egiziani!” Aggiunse, indicando il braciere vicino al letto; Efestione lo guardò.

“E allora, sai cosa?” Gli disse quindi. “Li buttiamo via, e poi ti fai un bagno.” Aggiunse deciso, scostandosi da lui.

Si avvicinò al tripode di bronzo, dentro cui fumavano le ceneri d’incenso, ed afferrò il bacile, quindi si diresse verso l’uscita della tenda; Alessandro, ridacchiando, si sedette su una panca decorata, proprio lì vicino. Efestione scostò il lembo di chiusura e lanciò la cenere fuori, senza stare troppo a guardare; l’altro osservava distrattamente.

“Oh, scusa Filota!” Lo sentì esclamare, mentre guardava da un’altra parte; si girò di scatto e intravide un imbarazzato Efestione, che teneva in mano in modo impacciato il bacile, mentre davanti a lui Filota, a braccia allargate, osservava depresso la sua figura piena di cenere. Alessandro scoppiò, ovviamente, a ridere, guadagnandosi un’occhiata gelida dell’amico.

“Filota…” Riprese, tornando a guardare l’altro soldato. “…dimmi che stavi andando a cambiarti…”

“Veramente…” Rispose quello. “…mi ero appena lavato…”

Qui, se possibile, Efestione arrossì ancora di più e la sua espressione si fece molto, molto, rammaricata; Alessandro non ne poteva più, lo sentivano benissimo anche da fuori.

“Do… domani ti prendo una nuova tunica e… e un vasetto di olii da bagno…” Balbettò imbarazzato Efestione, cercando un rimedio al suo errore, mentre Filota si scuoteva l’abito. “Adesso, se vuoi scusarmi, devo… devo risolvere una questione…” Detto questo rientrò nella tenda, chiudendo l’uscita alle sue spalle; al soldato non restò che andarsene mesto, borbottando tra se.

Alessandro, nel frattempo, si contorceva dal ridere, mezzo rannicchiato tra i cuscini della panca; Efestione, in un moto di stizza gli lanciò contro il bacile che ancora aveva in mano, prendendolo di striscio a un braccio.

"Oh, ma che fai?!" Esclamò l’altro ancora ridendo. "Mi vuoi ammazzare?! Quell’affare è di bronzo!"

"Hm." Commentò l’amico, incrociando le braccia mentre gli dava le spalle. "Dovremmo invece preoccuparci di non scalfire il bacile, data la consistenza granitica della tua adorabile testolina bionda…" Alessandro scosse la sua chioma dorata, raddrizzandosi e infilando un’espressione offesa. "E poi…" Continuò Efestione, tornando a guardarlo. "…dovrei ucciderti davvero, per la figuraccia che mi hai fatto fare!"

"Senti, fino a prova contraria, sei tu che lo hai preso pieno!" Protestò l’altro, che restava mezzo sdraiato sulla panca; i suoi occhi chiari brillavano nella semi oscurità con un lampo divertito.

Efestione si avvicinò. "Avresti almeno potuto smettere di ridere, non hai visto che ero in imbarazzo?" Per tutta risposta, Alessandro ricominciò a ridere, prima sommessamente, poi sempre più forte; l’altro sbuffò, posandosi le mani sui fianchi. "Smettila, mi stai facendo perdere la pazienza." Lo redarguì Efestione.

L’espressione dell’altro cambiò, da divertita in maliziosa; socchiuse gli occhi con un sorrisino sbieco. "E sentiamo, che cosa vorresti farmi?" Domandò provocatorio.

Lui, che aveva afferrato subito il senso della frase, fece una smorfia sadica, pregustando l’effetto della sua risposta. "Da me non avrai un bel niente." Affermò secco. "Almeno finché non ti sarai lavato…" Aggiunse poi, senza nascondere una certa disponibilità.

Alessandro aggrottò la fronte, inarcando allo stesso tempo un sopracciglio, cosa che gli diede un’espressione alquanto poco raccomandabile, mentre Efestione, ridacchiando, chiamava un servo.

"Fai portare l’acqua per il bagno del Re, e che sia calda, molto calda, anzi direi… bollente…" Ordinò divertito l’uomo.

"Te la farò pagare!" Protestava nel frattempo il grande conquistatore.

 

Era mezzo sdraiato su un fianco, sul bordo del letto, il braccio gli faceva ancora un po’ male; davanti a lui c’era la vasca di legno in cui Alessandro stava facendo il bagno, vedeva solo la parte alta della sua schiena, il profilo delle braccia muscolose appoggiate sul bordo, il collo abbronzato, i capelli bagnati. La luce nella tenda era soffusa, le lampade tremolavano al vento che filtrava da fuori, l’aria era riempita dai vapori dell’acqua calda e dal profumo degl’olii; gli unici suoni il leggero muovere dell’acqua e il vento di mare, che gonfiava le coltri.

Le schermaglie con Alessandro lo avevano distratto dai suoi pensieri, come succedeva sempre; stare con lui era la cura ad ogni dolore, e lo era sempre stata, da anni e anni, sarebbe stato ancora così, era la sua unica certezza.

L’ennesima lettera, però, era reale, nelle sue mani, ed era come se le parole scritte avessero anche loro consistenza e solidità, gli pesavano sul cuore; adesso, pensandoci, non sapeva se aveva fatto bene a portarsela dietro. Scorse ancora una volta gli occhi sui quei rimproveri senza senso, sugli avvertimenti minacciosi, su consigli cui non avrebbe potuto attendere, perché c’era qualcosa di più grande ad impedirglielo; eppure non riusciva a farsi scorrere tutto addosso, quella situazione gli pesava, quell’astio lo addolorava, poiché veniva da quella persona.

Guardò Alessandro. Per lui avrebbe affrontato le orde degl’inferi. Senza paura.

Aveva taciuto la faccenda delle lettere perché non voleva creare ulteriori dissapori tra lui e sua madre. Amava Alessandro, e lui amava sua madre; il loro era un rapporto strano e contorto, ma l’amava. Era a conoscenza di avere il potere di dividerli, e non lo voleva.

Sospirò pesantemente, quindi posò la pergamena sul letto e si alzò, raggiunse la vasca, al centro della tenda, poi cominciò a massaggiare delicatamente il collo e le spalle del suo re, la pelle resa morbida dal bagno. Un gesto talmente familiare che, ormai, non c’era neanche più bisogno di chiedere. Alessandro si rilassò, reclinando il capo contro il suo ventre, gli occhi socchiusi.

"Va meglio, adesso?" Gli domandò l’uomo qualche istante dopo; Efestione si limitò a rispondere con un monosillabo. "Hai mangiato il coccodrillo?" Chiese quindi lui.

"Sì…" Il massaggio continuava, dolcemente. "…sa di pollo." Alessandro ridacchiò.

"Che cosa stavi leggendo, prima?" L’interrogò il re poco dopo; l’altro pensò, e non era la prima volta, che lui avesse gli occhi anche dietro la testa, o forse era solo merito dei suoi sensi sempre all’erta, come quelli di un gatto selvatico pronto a sfuggire ad ogni attacco del nemico.

"Niente d’importante, ne parliamo dopo." Rispose Efestione, senza riuscire a nascondere il suo tono malinconico; quindi fece per scostarsi, ma Alessandro gli afferrò la mano, costringendolo a guardarlo negl’occhi.

"Phai…" Mormorò preoccupato, aveva avvertito chiaramente un turbamento, in quella voce che conosceva persino meglio della sua.

"Ti ho sempre detto tutto, Xandre." Replicò lui con sincerità. "Ne parliamo dopo, ora devi mangiare e riposarti." Ripeté dopo una pausa.

Efestione si allontanò e Alessandro, rassegnato ma non domo, uscì dall’acqua, restando in piedi nella vasca; stava ancora riflettendo su come estorcere informazioni al suo reticente amico, quando si sentì avvolgere da un morbido panno di lino. Mani forti percorrevano delicatamente il suo corpo, asciugando l’acqua che ancora bagnava i suoi muscoli; avrebbe riconosciuto quel tocco anche senza poter vedere… Con un rapido gesto fermò con le proprie le mani di Efestione su di se, tirandolo contro la sua schiena, poi allentò la presa.

“Continua…” Ordinò con voluttà, reclinando il capo all’indietro.

Efestione, con sua sorpresa, però, si scostò, facendolo quasi ricadere in acqua. “No.” Gli rispose secco. “La tua cena è pronta…” Continuò indicandogli il tavolo. “Dopo.”

Alessandro, che non amava certo essere respinto, si avvolse il panno intorno ai fianchi sottili con un gesto brusco, quindi uscì dalla vasca, curandosi di bagnare in giro il più possibile; Efestione si limitò a scuotere la testa davanti al suo ennesimo, deprecabile, attacco d’infantile disappunto.

“Dai, non fare il bambino…” Gli disse.

“Non infastidirmi.” L’interruppe lui alzando una mano, mentre si avvicinava al tavolo. “Devo mangiare.” L’altro scosse nuovamente il capo.

Efestione tornò a sedersi sul letto, mentre Alessandro gli dava le spalle mangiando rumorosamente, un lieve sorriso gl’increspò le labbra. La lettera giaceva ancora sulle coperte, la riprese in mano, ancora una volta indeciso sul da farsi; lanciò un’occhiata di sfuggita al compagno e strinse la presa sulla pergamena. Sapeva che se decideva di non parlare, ormai, Alessandro sarebbe ricorso anche alla tortura pur di conoscere il contenuto della lettera, ma non voleva ferirlo. In alcun modo.

Aprì di nuovo la lettera, srotolandola piano, quindi si mise a fissarla assorto, cercando di decidere cosa fare.

“Allora, mi vuoi dire di che si tratta?” La voce autoritaria di Alessandro lo fece quasi sobbalzare; alzò gli occhi su di lui, richiudendo velocemente la pergamena.

“E’…” Rispose Efestione, abbassando il viso. “…solo una lettera…”

L’altro lo fissò per qualche istante, aggrottando la fronte. “Però, sembra che ti turbi, in qualche modo…” Ipotizzò poi, sedendosi accanto all’amico. “Posso leggerla?” Ecco, la domanda.

Efestione prese un lungo respiro, poi lo guardò. “Io, infine, credo di… no.” Rispose quindi.

 

CONTINUA…

   
 
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