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Autore: Mannu    03/01/2010    1 recensioni
Non sempre per tutti è bene ciò che finisce bene. Per qualcuno dovrà pure finire male... Per chi si è chiesto cosa succede dopo che i nostri eroi arrivano al lieto fine!
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ferraglia spaziale'
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In nebula: epilogo
IN NEBULA: EPILOGO

- Posso capire le armi... ma la macchina!
- Smettila di lamentarti.
- Ma è da un'ora che stiamo camminando!
Non era da un'ora che stavano camminando, ma molto meno. Il più alto e più anziano dei due, il viso scabro indurito dal sole e scavato da solchi che ricordavano certe vecchie foto della superficie di Marte, nemmeno si voltò verso il compagno per rimproverarlo. L'altro, giovane ed elegante, si pizzicò la costosa camicia bianca dal colletto decorato da sottili e sofisticati ologrammi appena visibili. Il sudore gliela stava appiccicando addosso e già si potevano vedere le chiazze più scure allargarsi sotto le ascelle.
- Ma come fai a resistere con quella giacca? Mi fai svenire solo guardandoti.
L'uomo dal viso scuro continuò a camminare guardandosi intorno. Stava soffrendo il caldo anche lui, ma contrariamente al compagno più giovane non ne faceva un dramma. Era nato e cresciuto in strada ed era abituato a ben altre sofferenze. Si chiese come mai il Capo non l'avesse mandato da solo a dire “no” alla cicciona. Se la sarebbe cavata ugualmente, anzi.
- Non mi hai nemmeno detto se questo viaggio vale un piccolo extra... divento nervoso se mi infilano un fucile d'assalto nel naso. Peggio se è gratis!
Non gli rispose, limitandosi a continuare a camminare con passo regolare per non affaticarsi. Non era un caso se la megera aveva accettato di riceverli all'ora di pranzo: non intendeva certo offrire loro da mangiare, ma fargli fare quella camminata sotto il feroce sole a perpendicolo. Fortunatamente quella sembrava un'amante della natura, a giudicare dal rigoglioso giardino di cui si era circondata. C'erano palme anche molto alte che offrivano ombra e mitigavano i raggi del sole cocente, che quel giorno parevano intenzionati a sterminare la vita sul pianeta. Sapeva che quel terreno era stata strappato all'inquinamento e alle radiazioni dal duro lavoro dei Bonificatori. Nonostante ciò e a dispetto della vicinanza del fiume, non v'era un solo metro del verde lussureggiante che circondava il serpeggiante viale di sassi bianchi che non fosse raggiunto da un tubo di gomma nera. Era l'impianto di irrigazione: l'acqua non mancava davvero da quelle parti.
- Divento nervoso anche quando non mi ascolti! Ma si può sapere cos'hai? Non avrai paura della cicc...
- Taci, Tsenbawi! Non hai capito che ci sta ascoltando? - sputò le parole con rabbia, velocemente, a denti stretti.
Il giovane non aveva occhi per vedere. Lui aveva già individuato almeno quattro telecamere piuttosto evidenti lungo il tragitto, il che significava che ce n'erano almeno altrettante nascoste molto meglio. C'erano di certo anche dei microfoni, oppure un computer in grado di elaborare le immagini e tradurre i movimenti labiali in parole. O tutt'e due le cose.
Barak piegò le labbra in una smorfia di disgusto vedendo il suo compagno far saettare gli occhi da ogni parte, aspettandosi di vedere led rossi e lenti elettroniche puntate su di lui.
- Sei proprio un pivello – gli disse sprezzante. Non lo stimava: troppo arrogante e pieno di sé. Aveva fortuna, certo: per esempio lavorava per l'Azienda e non era al soldo della mafia o degli yakuza. E non certo grazie al colore della sua pelle, scura come il cioccolato. Aveva sentito che i figli del crisantemo non facevano troppe differenze quando avevano bisogno di gente dal grilletto facile. Aveva sentito che pagavano piuttosto bene, ma anche che facevano spesso uso di spade rituali antiche. Mozzavano ancora le dita a chiunque dei loro commettesse errori. Tsenbawi sarebbe durato poco: anche cominciando dai mignoli, sarebbe arrivato presto il momento in cui non avrebbe più potuto impugnare la pistola.
Si ricordò di quella volta che per un soffio non aveva mandato a monte un'operazione quasi terminata, un lavoro importante per conto di un grosso cliente. Il Capo lo voleva uccidere, e non per modo di dire. Ma Tsenbawi era riuscito a rimettere le cose sui binari giusti appena in tempo per salvarsi il culo. In quello era bravo.
- Non mi prendere per il culo. Non ci sono telecamere.
- Sì che ci sono.
- Questo posto mi dà ai nervi... troppa roba che si muove.
Soffiava una leggera brezza calda che muoveva rami e cespugli. Quel tanto che bastava a mandare in confusione gli innesti, tarati per l'ambiente urbano. In questo il pivello aveva ragione: quella piccola giungla che li circondava metteva a disagio anche lui.
Superarono un'ampia curva che li portò in vista di alcuni edifici, ancora piuttosto lontani. I mercenari all'ingresso avevano costretto entrambi a lasciare in macchina anche gli occhiali tecnici e quindi non poteva né misurare le distanze né eseguire una ricognizione visiva significativa. Senza zoom digitale era impossibile dire cosa li aspettava tra quegli edifici bassi e sparsi senza una logica apparente. Invece di una sontuosa villa gigantesca, la strozzina aveva scelto tanti piccoli edifici di uno o due piani disposti in modo irregolare. I satelliti facevano finta di ignorare l'esistenza di quella zona e quindi non aveva avuto nemmeno una mappa generica del luogo. Era una dimostrazione di potere da parte del cliente e un notevole svantaggio tattico contemporaneamente. Ma era certo che non aveva motivo di aspettarsi brutte sorprese: la visita era ampiamente annunciata e così pure le motivazioni. Anche se la cliente avesse dei rancori nei confronti dell'Azienda, sfogarli su di lui e su quell'ignorante di Tsenbawi non avrebbe avuto senso alcuno. Non sarebbe stato economicamente conveniente far arrabbiare il Capo, e la cliente era una che sapeva fare affari.
- Oh, finalmente! - Tsenbawi si fermò, tergendosi il sudore dalla fronte lucida e dalla testa calva usando un fazzoletto bianco.
- Cammina! – lo rimproverò subito Barak. Non poteva esserne certo, ma se fosse stato al posto della cliente un paio di cecchini li avrebbe disposti proprio lì, a copertura dell'ultimo tratto del viale. Si guardò bene intorno, ma non vide traccie di attività alcuna. Porte e finestre chiuse, niente veicoli, nessuno in giro, nemmeno droidi di sorveglianza o manutenzione. Le telecamere, era certo che ce ne fossero, erano ben nascoste.
Malvolentieri si rivolse al compagno che lo aveva raggiunto: era ora di spiegargli il minimo indispensabile.
- Stammi bene a sentire. Questo è un cliente importante che ha versato un anticipo. Il lavoro non è stato fatto e dobbiamo restituire la somma. Lascia parlare me e fai la tua parte solo quando te lo dico io. Non dire niente, non fare niente se non te lo dico io.
Barak gettò al collega uno sguardo obliquo. Nella memoria dei propri innesti c'era metà della chiave di cifratura che sbloccava il denaro. L'altra metà ce l'aveva il collega.
- Lavoro non concluso? - si meravigliò Tsenbawi. Capitava, di tanto in tanto, che l'Azienda non riuscisse a rispettare un contratto. Ma era una cosa rara. Cercando di essere sintetico, Barak si costrinse a raccontare al collega cosa era successo.
- Sembrava una cosa facile: la solita mocciosa viziata che scappa di casa da recuperare e riportare indietro. Il Capo affida tutto ai cinghiali, convinto che siano più che sufficienti. Dopo meno di quarantotto ore invece il Capo è già in bestia perché sta autorizzando spese da capogiro per inseguimenti fra astronavi. Spese non coperte, naturalmente.
- Rischi del mestiere – affermò Tsenbawi, e Barak assentì prima di continuare.
- Dopo qualche giorno che i cinghiali non si fanno sentire, scopriamo che sono finiti su La Tana. Non riescono a terminare il recupero perché c'è altra gente che interferisce. Gente del posto, non gestibile facilmente senza spendere ancora soldi. Non siamo riusciti a capire esattamente chi, né perché si sono intromessi. Sta di fatto che quando la mocciosa, che ha una corvetta a sua disposizione, molla finalmente gli ormeggi riesce a fottere i cinghiali in qualche modo e a scappare. Per farla breve la ritrovano, credo per puro culo, su Apollo. Risultato: uno sfigurato e un ferito lieve.
- Ma chi è questa? Un paratrooper? Ho sentito dello sfigurato: per un soffio non ha perso l'occhio. Pare che sia stata una spaziale, una di quelle tutta pelle e ossa. Com'è riuscita a sfregiare...
- Non lo so. Ma l'ha fatto. Così facendo ha aiutato la mocciosa a scappare. Qui, sulla Terra. Ad al-Qahira.
Vide il collega inarcare le sopracciglia così tanto che la fronte gli si riempì di solchi profondi.
- Hai sentito di quei due... quello dell'ascensore e l'altro travolto da un carrello automatico? - proseguì Barak.
- Certo. Cosa ti aspetti dai cinghiali? Sono manodopera a basso costo, mica ragionano. Due incidenti stupidi che potevano essere evit...
- Incidenti un cazzo. L'ascensore è stato manomesso con un attacco informatico e il carrello idem: è stato manovrato da remoto. Quei due erano un bersaglio: qualcuno li ha fatti secchi.
- Occazzo – fu l'unica cosa che Tsenbawi riuscì a dire. Era girata la voce che il Capo fosse furioso per una questione che era sfuggita di mano ai cinghiali: così venivano chiamati i tirapiedi di bassa leva che l'Azienda usava per i lavori più sporchi. Gente spesso disperata, senza arte né parte, disposta a tutto per quattro soldi. Facilmente rimpiazzabili, tenuti all'oscuro di tutto a volte al punto da non sapere nemmeno che cosa fare esattamente, erano considerati sacrificabili senza rimpianti. Di solito portavano a termine i loro semplici incarichi senza tanti casini. Quella volta tutto era andato storto fin dall'inizio, ma nessuno poteva immaginare come stavano veramente le cose. Quella faccenda aveva di certo superato di almeno due o tre volte la cifra massima messa a bilancio per la chiusura del contratto.
- Quindi – riprese Tsenbawi dopo diversi passi fatti in silenzio a fianco del suo superiore – il Capo ha lasciato l'incarico? Incredibile.
- Vero. Non conosco i dettagli e non li voglio conoscere. Ma quando si è trovato di fronte ai conti da pagare e alla missione fallita, pare sia diventato una furia. E la cosa più bella è che nemmeno la cliente l'ha presa bene. Dovrà trovare qualcun altro che le faccia da baby sitter per la figlioletta: a noi non interessa più.
- Vuoi dire che stiamo andando a ficcare la mano in una tana di serpenti? - Tsembawi pareva più che sorpreso, oltraggiato.
- Sveglia, socio. Ci sei dentro da un pezzo nella tana dei serpenti. E sono tutti in casa, oggi. Ti presento Beatrice Funner e la sua corte.
L'uomo dalla pelle più scura seguì il cenno della testa fatto dal suo compagno Barak. A circa cento metri di distanza da loro erano comparse delle figure. Le più evidenti erano i quattro mercenari in assetto da guerra: esibivano una mimetica verde a chiazze cangianti, normale dotazione delle truppe speciali dell'Esercito, anfibi speciali e un basco verde con un fregio che non riuscì a riconoscere per la distanza. Le chiazze erano in lento movimento e cambiavano forma e colore entro certi limiti per adeguarsi all'ambiente circostante. I quattro imbracciavano quasi distrattamente armi da fuoco diverse: chi un ingombrante fucile d'assalto, chi una mitragliatrice da paracadutista, realizzata con materiali speciali e col calcio retrattile. Uno dei quattro aveva a tracolla perfino un calibro dodici automatico con caricatore maggiorato.
Davanti ai mercenari, che sembravano fermi lì per un caso, c'era la grossa poltrona galleggiante che ospitava la straripante padrona di casa e in piedi accanto a lei una figura nera, alta e snella, dai capelli bianchi. Erano stati messi in guardia contro di lui: anche se disarmato rappresentava una minaccia grave. In quel momento teneva le braccia incrociate dietro la schiena ma non era difficile immaginare la facilità con cui uno qualsiasi dei mercenari avrebbe potuto mettergli un'arma tra le mani.
- Non capisco perché ci hanno fatto lasciare le armi fuori – la voce di Tsenbawi si era fatta d'un tratto sottile e scricchiolante – non ci avremmo potuto combinare nulla nemmeno volendo.
- Non pensarlo nemmeno, stronzo. Se non ti ammazzano loro, lo faccio io. Continua a camminare. E zitto!
Tsenbawi e Barak si avvicinarono sempre seguendo il largo viale di sassi bianchi, tutti tondi e simili tra loro. Viale che li portò di fronte alla padrona di casa e ai suoi uomini che attendevano sotto una tenda. Constatando come non fosse stato lasciato un solo metro quadrato di ombra a loro disposizione, Barak ebbe l'ultima, ulteriore conferma di come era destinato a finire quell'incontro.
   
 
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