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Autore: Mue    04/01/2010    7 recensioni
Quando uno dei concorrenti di una gara clandestina di auto volanti si schianta e finisce al San Mungo senza una gamba, la sua comparsa davanti al Wizengamot sembra inevitabile.
Ma grazie a un celebre avvocato, viene invece spedito a un Magazzino di Disincantamento e Smaltimento Magico per fare otto mesi di lavori socialmente utili.
E qui, in mezzo alle brughiere solitarie di Ilkley Moor, troverà l'occasione per riscattare i suoi peccati e forse, finalmente, perdonare se stesso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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- Questa storia fa parte della serie 'Policromia' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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In estremo ritardo, lo so, ma ci sono.
Scusatemi se vi ho fatto aspettare tanto, ma non sono riuscita di sottrarmi a un sequestro all'ultimo minuto per una gita in montagna, perciò riesco a mettere le mani al pc e aggiornare solo oggi.
Rimando al fondo per i commenti finali e non vi faccio attendere oltre.
Buona lettura!


 
Capitolo XIV



Silsden, diversi anni dopo

Cho Chang non era mai apparsa come qualcosa di diverso da una moglie e una madre ordinaria, una persona tra tante.
Ed effettivamente lei stessa non si riteneva nulla di più.
Eppure la sera, quando i suoi bambini si riunivano attorno al camino e suo marito sedeva nella poltrona davanti a lei mentre era intenta a rammendare i pantaloni bucati di Robin, che se li strappava in continuazione giocando a Quidditch, o smacchiare la camicia di Eric, che amava rotolarsi nelle pozzanghere, emergeva il suo talento fuori dal comune: raccontare storie.
E non storie qualunque, ma racconti che parlavano di avventure bizzarre e strane: una ragazza e i suoi due pretendenti al ballo di Natale, un bacio rubato all’eroe dagli occhi verdi, un’abile Cercatrice a cavallo di una vecchia scopa che rifiutava di uscire con il suo capitano per amore del ragazzo perduto.
Spesso i suoi figli, affascinati, le chiedevano se fossero vere.
Cho rideva e rispondeva che c’era ben poca verità in esse, e quando loro insistevano per sapere cosa, tra tutto, fosse attinente alla realtà, lei li lasciava provare a indovinare, ma in qualche modo riusciva sempre a evitare di dare una risposta.
E il mistero rimaneva, irrisolvibile.
Poi, quando i bambini andavano a letto, suo marito le si sedeva di fianco, la abbracciava e le chiedeva di raccontare qualcosa anche a lui.
E allora Cho smetteva di sorridere e tirava fuori altre storie, vicende che i bambini non potevano ancora capire, piene di soprusi, di perdite, di rimorso, di colpe senza perdono e amore non ricambiato. Vicende che avevano il sapore amaro della realtà.
Raccontava di un uomo cupo e senza alcuna attrattiva che tuttavia sotto l’aspetto rude conservava un amore puro e saldo come diamante, e di come aveva aspettato la ragazza che amava per mesi e mesi, fino a che, un giorno, i loro sentieri si erano uniti di nuovo.
E di un giovane troppo orgoglioso, cresciuto senza il padre e con una madre troppo cieca per capire ciò di cui aveva bisogno, e delle sue corse clandestine e di come aveva finalmente ritrovato quel cielo tanto bramato dopo essere uscito di prigione, creando dal nulla la più grande azienda al mondo di scope sportive.
Tutte quelle storie erano intrise di sensazioni, di suoni, di profumi. E, soprattutto, di colori: il ramato, come la ruggine che increspa le vecchie carrozzerie di auto disusate, e il verde, come l’erba delle colline di campagna e dei prati dello Yorkshire.
Ogni volta, suo marito si chiedeva se qualcuno di quei racconti non fosse poi così irreale, e se quei luoghi suggestivi non fossero poi più vicini di quanto non sembrasse.
«Potrebbe essere successo a Ilkley Moor» diceva, indicando la finestra, da cui si scorgeva nella notte la sagoma scura della montagna contro le stelle.
Cho, a quel punto, fissava lo sguardo verso l’esterno e i suoi occhi si perdevano in qualche posto che suo marito non poteva vedere.
Anche lui fissava l’esterno, cercando di interrogare l’ombra di Ilkley Moor.
Ma, come Cho, la montagna si teneva i suoi segreti.
«Si, potrebbe.»

Fine



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So che è un finale forse troppo velato e labile per trarre davvero le conclusioni di una storia come Verderame e so che ci sono molte cose in sospeso o non trattate al meglio –la madre di Roger e il loro rapporto, come Marietta si sia a sua volta innamorata di Ruben nel tempo, quanto Roger abbia sofferto la perdita della gamba sono solo alcuni dei tanti aspetti che ho tralasciato-, ma è l’unico epilogo che mi sento di dare a questa vicenda.
Come ho detto all’inizio di questa storia, non sono abituata a scrivere introspettive o a indagare la psicologia umana, ma ho voluto provare.
E ho provato con questi due personaggi per due motivi principali. Il primo è che da sempre sono convinta che Roger Davies sia l’unico, genuino “bello e dannato” del canon di Harry Potter. Il secondo è io preferisco il perdono alla giustizia, e quando lessi, in un’intervista di J.K. Rowling che Marietta avrebbe conservato tutta la vita le cicatrici perché “odio i traditori” (cit. di J.K. Rowling stessa), ho sentito il bisogno di darle una possibilità non dico di rivalsa, ma almeno di conforto.
Inoltre sebbene questa vicenda possa benissimo essere orientata all’angst, essendo io poco amante del senso di angoscia, ho cercato di renderla piuttosto malinconica, umana e il più delicata possibile; se sono riuscita nel mio intento, dovrete essere voi a dirmelo.
Se siete arrivati qui, comunque, suppongo che questa storia non debba esservi dispiaciuta, quindi mi ritengo soddisfatta di essere almeno stata capace di trattenervi con me fino alla fine.
E ora vi ringrazio di aver letto, seguito o recensito e vi saluto, sperando di ritrovarvi anche in futuro.
Arrivederci!

Credits:
Verderame è un pigmento di un colore tra l'azzurro e il verde; Ilkley Moor e Silsden sono posti realmente esistenti ma non essendoci mai stata, non posso dire se il modo in cui li immagino è attinente o meno alla realtà; i Magazzini di Disincantamento sono una creazione ispirata alle comuni discariche di auto e rifiuti Babbane, e la condanna di Roger a lavorarci è un parallelismo all'Inferno di Dante, in cui a certo peccato corrisponde una pena inversa o estremizzata. La frase “la montagna si teneva i suoi segreti” è tratta e riadattata da un libro di Neil Gaiman, Il figlio del cimitero.
 




   
 
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