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Autore: Slits    06/01/2010    4 recensioni
Il passato del biondo riaffiora fra ricordi di neve e sangue.
« Cuoco! » i passi del biondo rallentarono fino ad arrestarsi del tutto. Almeno questo, si ritrovò a pensare, glielo avrebbe dovuto concedere.
« Sintetico, spadaccino. »
« Attento a non perderti. »

Solo pezzi infinitesimali. A Zoro non sarà concesso nient'altro per salvarlo.
[Zoro/Sanji]
[!Angst]
{~ Moving into the past: #1}
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una ZoSan.
Dio, ormai credo di aver dimenticato perfino come se ne scriva una anche solo decentemente. Ma questo era un tentativo che dovevo fare, lo dovevo a me stessa.
Detta così sembra ancor peggio della promessa fatta da quell’idiota a Kuina, quindi vediamo di metter, almeno in parte, le cose in chiaro.

Questa storia, nata inizialmente come un’unica One Shot, è stata divisa successivamente in più paragrafi.
Avendo oltrepassato le quindici pagine postarla intera mi sarebbe parsa come una violenza bella che buona a voi poveri lettori, ragion per cui ho deciso di suddividerla in più parti.
Un viaggio nel passato del biondo. Non mi son voluta riproporre nulla di più.
Attraverso dialoghi, attraverso silenzi, attraverso quel rapporto di odio ed amore che sempre ha caratterizzato i modi di fare fra cuoco e spadaccino.



---

Run away from nothing.


- Ma non ti fa paura? -
- Cosa? –
- Il non avere più un nome…-
- No. –
- Ma… ma non è un male? –
- No. –
- E perché? –
- Posso essere chi voglio. Quando e come voglio. –
- Oh! –
- Non è un male.

Non deve più esserlo. -



Il baule era di legno marcio, graffiato e rovinato in più punti.
Non era un fatto insolito, negli ultimi tempi, che il cecchino si scoprisse a lanciargli di tanto in tanto una languida occhiata, per poi tornare subito dopo sul ponte, con fare disinteressato. La ciurma, o gran parte di quelli che se n’erano accorti, era arrivata oramai a farvi un insolito callo.
E le reazioni non erano state epocali, a differenza di quanto Usopp continuasse a sostenere. Nessuno si era inginocchiato ai suoi piedi lodandolo e nessun altro aveva urlato sino allo stremo di esser un suo seguace.
Semplicemente erano rimasti impassibili, divertiti forse dall’insolita crociata che il ragazzo aveva deciso di intraprendere.
- Robe da pazzi! Ma non vede come mi è diventata chiara la lingua? Oh, ma ne sono sicuro! Un altro po’ e finirà con lo staccarsi esattamente come successe a quel mostro che sconfissi anni fa! -
- Che mostro, Usopp? –
- Ma come che mostro e mostro, Chopper! Possibile che ancora non ti abbia raccontato di quel re dei mari che annientai quando avevo sei anni? – ed ancora una volta, in barba all’imminente assideramento, la bocca del moro si aprì a dismisura, abbandonandosi all’ennesimo racconto delle sue gesta.
Da dietro la penisola cucina il cuoco non potè fare a meno di scuotere la testa, in un vago gesto di disappunto.
Era rimasto a sentire le sue ciarlanate sin dall’alba quando, con un livido tumefatto sulla nuca ed una coperta di cotone indosso, lo aveva visto spalancare teatralmente la porta della cambusa e lasciarsi cadere sulla sedia.
E nonostante avesse preferito di gran lunga non fare domande circa l’accaduto, si era ritrovato inconsapevolmente a divenire l’ascoltatore preferito delle avventure del prode capitan Usopp. Un’altra volta.
- Ancora non si è dato pace? – la lama del coltello scivolò sul tagliere pigramente, cadendo con un suono grave. Sanji sollevò il coperchio della pentola, grande, di proporzioni insolitamente maestose per appartenere ad un gruppo di semplici sei persone, e lasciò cadere il tritato nell’acqua in ebollizione. Poi volse lo sguardo al compagno.
- Evidentemente no. – questi di rimando si limitò ad annuire in silenzio, portandosi languidamente un braccio dietro la nuca.
- Capisco… - e la conversazione parve troncarsi lì.
Rimase a fissarlo senza parlare, quasi senza prestare attenzione. Lo spadaccino volle evitare volutamente di menzionare il verbo “osservare”. Con il biondo, del resto, aveva smesso da anni oramai di usarlo.
Stupidamente aveva creduto che poche occhiate potessero dar complicità, render le cose più chiare ai loro occhi e per qualche assurda ragione illeggibili a quelli di estranei. Aveva semplicemente creduto, basta.
In cosa ancora non gli era dato saperlo.
E si era ritrovato così tante di quelle volte a sbattere contro il muro di indifferenza del biondo, che quasi era arrivato a stupirsi del fatto che tutte le sue ossa fossero rimaste integre e non in frantumi, sparse un po’ ovunque.
- Da quando bevi prima di pranzo? –
La sua voce era rimasta calma, ponderata, come se alle spalle di quella domanda vi fosse stata una semplice constatazione.
Eppure Sanji la sentì scivolare in modo quasi mellifluo nella stanza e cercarlo forte di quell’ostinazione che sin da sempre aveva caratterizzato i modi di fare del compagno.
Ed il cuoco seppe, nel profondo, che non furono le sue parole a scuoterlo, come una presenza invisibile. Vi era dell’altro, in quella camera, che lentamente stesse incominciando ad infastidirlo.
E fu proprio quell’indefinito qualcosa che lo spinse a sorridere appena. Un ghigno, uno spacco indifferente delle labbra, che probabilmente avrebbe voluto nascondere molto più.
- Da quando quel che bevo e quando lo faccio ti crea problemi, marimo? – non ebbe bisogno di voltarsi per intuire l’espressione disegnata sul viso del verde. Del resto sapeva che Zoro poteva diventare una delle persone più irascibili che avesse mai visto in vita sua. Gli sarebbe semplicemente bastato sfiorare le giuste corde.
Ed allora provò a sfidarlo; si voltò per incrociare quelle iridi impenetrabili ed affrontarle ancora una volta. Eluderle ancora una volta.
Farle divenire grigie come la lega indistruttibile delle sue spade e fargli capire che era disposto a tutto pur di non permettere più a nessuno di varcare quella sottile soglia di confine che era la sua esistenza. Le poche volte in cui lo aveva fatto, del resto, le cose non erano mai andate per il verso giusto.
Ma ciò che voltandosi vide lo lasciò stupito.
Zoro non stava reagendo, non stava facendo niente per impedirgli di dilaniare ancora una volta quel nome costruito su una leggenda e diffamarlo. Zoro era semplicemente immobile, con entrambe le braccia incrociate al petto e gli occhi fissi sul calice stretto fra le lunga dita del biondo.
- Che hai combinato? – si limitò a chiedergli.
Il viso del cuoco cambiò improvvisamente espressione. Sentì quella domanda insinuarsi sin sotto la pelle, diretta, dilaniante, ed aggrapparvisi quasi come un cancro.
Perché in fondo aveva sperato dentro di sé che avvenisse una specie di miracolo ed il compagno tornasse alla sua solita vita; che magari, per qualche assurda legge fisica, si limitasse ad ignorare la bottiglia alle sue spalle e tornare con lo sguardo fisso al soffitto, perso nel vuoto.
Ed invece aveva lasciato scioccamente che quella morbosa incorruttibilità lo invadesse a tal punto da farglielo rivoltare contro. Dannato spadaccino.
- Niente, idiota. Perché me lo chiedi? – il verde gli si avvicinò guardandolo dritto negli occhi.
- Sei strano. –
- Sono sempre me stesso. Di strano in questa stanza, ti posso garantire, che c’è solo il tuo brutto muso. –
Richiuse lentamente lo sportello del frigo, versò dell’acqua in un bicchiere e ne prese un lungo sorso. Aveva bisogno allentare quel poco di l’alcool che ancora gli circolava in corpo.
La vista aveva incominciato ad esser appannata e le mani, nonostante fossero assicurate dal sottile cotone delle tasche, davano i primi segni di tremori.
Si maledisse mentalmente per esser stato talmente idiota da commettere un errore così banale in sua presenza.
- Sei ubriaco. – constatò semplicemente il compagno, distogliendo disgustato lo sguardo.
- Sono un cuoco. È mio dovere assicurarmi personalmente di quello che quotidianamente ti fai entrare nel gargarozzo, bevande comprese. Qualche problema a riguardo, spadaccino? –
- Figurati! Puoi anche strozzarti con quello che bevi per quel che mi riguarda! – lo conosceva da esattamente due anni e sapeva con certezza le conseguenze a cui quell’ultima affermazione avrebbe portato.
Si passò appena la lingua sulle labbra, ad inumidirle, pregustando il sapore del sangue scorrergli sulla pelle sino ad insinuarsi nei pensieri. Lottare era forse la cosa che meglio li accomunasse del resto, li si addiceva bene quanto le spade o il fumo.
Ma le sue speranze, quella fredda mattina, parvero perdersi inutilmente nel silenzio della stanza. Scosso ancora, seppur impercettibilmente, dal rumore della porta che il cuoco, uscendo sul ponte, aveva spalancato.
- Al diavolo, marimo! - e la conversazione parve concludersi lì.
Ancora una volta.


L'erba dell’agrumeto si incrinò mestamente sotto il peso delle sue suole, scricchiolando e spezzandosi in piccoli scoppi. Fuori nevicava.
Nevicava sempre su quelle terre dimenticate persino da dio, non era di certo una novità.
Il paesaggio era spento, lugubre e con quella poetica vena di malinconia che forse, in passato, lo avrebbe spinto a sedersi sulla neve e continuare a fissare l'orizzonte, stranito.
Alzò gli occhi al cielo e rimase ad osservare un punto indefinito oltre le nuvole, nei brevi sprazzi di luce fra il turbinio del nevischio.
Cercava ancora di ricordare che sensazione dovesse dare il calore del sole sulla pelle. Ma la pallida luce che splendeva su di lui non poteva riscaldarlo, niente di quel luogo avrebbe probabilmente più potuto farlo.
Si arrese ed abbassò nuovamente la testa continuando a camminare.
Sentiva l'alcool scorrergli in corpo, sentiva la pelle sudata, gli occhi lucidi ed il calore prenderlo completamente. Eppure sentiva anche freddo, un gelo che partiva dal cuore e si diffondeva rapidamente in tutto il suo corpo facendo contrasto con il calore procurato dall'alcool.
Scosse la testa, con fare liberatorio, mentre nella sua mente una gelida consapevolezza aveva incominciato a farsi strada, annusando l’aria speranzosa.
E la certezza di esser tornato a casa, dopo così tanti anni, gli diede un ulteriore brivido, scivolando con voluttuoso piacere in ogni singola parte di sé. Credeva di aver dimenticato tutto, invece ricordava anche il più piccolo particolare.
Cercò con la sinistra il peso familiare delle fedeli bionde in una delle tante tasche del completo.
Sentiva il bisogno, folle ed inaspettato, di rivolgere la propria attenzione altrove, a qualsiasi cosa che non fosse quella landa bianca e luminosa. Aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa, qualsiasi cosa che gli impedisse di sprofondare nelle tenebre più nere.
Quelle stesse che così tanto gli aveva rimproverato, in passato, e che ora sentiva invece trascinarlo a se. Adesso le percepiva, le poteva scorgere nitidamente nei contorni sempre più nitidi e sicuri della costa.
Adesso, per la prima volta dopo un decennio, sentì di doverle temere.
Prese un lungo respiro e poggiando la fronte contro il legno della porta in un gesto stanco, dai tratti forse esasperati, si limitò a sussurrare appena il nome della compagna.
E quando una voce da dentro la camera gli rispose semplicemente di entrare, si sentì quasi sollevato. Il freddo adesso gli dava tremendamente fastidio, l'effetto dell'alcool non era più tanto forte.
Entrò nella cabina e fu avvolto dal silenzio e dal lieve bagliore di una candela, posta nel punto più alto della stanza. L'oblò era chiuso, la minuscola tendina tirata.
Sembrava non esserci nessuno.
- Nami-san? Ti ho portato un po’ di buon the, un toccasana con questo gelo. – poggiò il vassoio sul tavolo della stanza, con un movimento oramai meccanico delle mani. E si stupì quasi lui stesso della sicurezza di cui avesse voluto impregnare quel gesto, della forza con cui lo stesse ripetendo ancora una volta.
Ma la navigatrice non era di certo una sprovveduta e Sanji era conscio che ingannarla, anche se per brevi secondi, sarebbe stata una delle cose più difficili da fare. Era qualcosa che andava semplicemente contro natura del resto; le sue labbra glielo avrebbero anche potuto permettere ma il cuore, alimentato da quell’indomabile spirito cavaliere, si sarebbe limitato a frenare le sue parole, rimandandole indietro.
- Umph… - alzò lo sguardo verso il fondo della stanza riuscendo ad intravedere unicamente il baldacchino.
Non era nulla di particolarmente sofisticato, solo un insieme mal assortito di assi e legname che con qualche coperta la notte fungeva da letto. Sicuramente non il massimo dell’eleganza per una ragazza di grandi pretese come la navigatrice ma, con altrettanta certezza, decisamente più comodo delle brandine logore e consunte su cui i ragazzi erano costretti ogni sera a far ritorno.
- Tutto bene? – chiese con premura, come qualsiasi altra volta.
Nami si tirò su fra le coperte, stringendosi con fare infantile nella lana grossolana delle imbottiture. Poi, lanciando una semplice occhiata di rimando al cuoco, si limitò a sussurrare:
- Si gela. – il biondo sorrise appena, rassicurato. Stava bene.
- Le temperature sono effettivamente scese di parecchio. Ma non ti preoccupare, mio dolce fiore! Il tuo Sanji penserà a mantenerti al caldo ed al sicuro ed al… -
- Sanji…? –
- Sì, biscottino? –
- Stai zitto per favore. – ed il suo tono non ammetteva alcuna replica.
Il cuoco sospirò appena, un movimento sufficiente a far turbinare impercettibile l’aria attorno a sé, e si lasciò cadere stancamente su una sedia. Alzò gli occhi al cielo e rimase a guardare il soffitto, assente.
Nonostante fosse abituato a far fronte a qualsiasi tipo di clima il freddo di quelli ultimi giorni, non potè negare, era divenuto particolarmente fastidioso. Gli sembrava quasi di sentirlo entrare dentro le ossa, nei muscoli e nella carne fino infine riuscire a sfiorare le viscere.
Si strinse con fastidio nelle spalle quasi come se non fosse più abituato ad anni ed anni di quel freddo pungente.
- Non ti manca? – quella domanda arrivò graffiante, sicura.
Sanji chinò appena un po’ di più lo sguardo, quasi per accertarsi di non aver stupidamente immaginato anche quel suono. Non rispose, sapeva che non ve ne sarebbe stato bisogno del resto.
Le parole delle navigatrice, anche le più leggere, non nascevano mai per puro caso; non si limitavano a sfiorare e basta. Ma entravano, prepotenti, nella fonte di interesse della ragazza, sgretolandola pezzo dopo pezzo, frammento dopo frammento. E se alla fine di quelle costruzioni maestose rimaneva ancora qualcosa di cui poter far vanto allora se ne appropriavano, con ingordigia.
Potevano esser vuote, monotone, austere. Ma Sanji sapeva che mai, per alcuna ragione al mondo, sarebbero potute esser prive di motivazione.
- Cosa? – si limitò quindi a chiedere, senza più alcun infingimento.
- La tua isola. – per un attimo nel suo sguardo comparve il riflesso dello stupore.
- Dovrebbe? – non era stato un tono cordiale il suo, non si era limitato ad essere una semplice constatazione.
E fu solo un’amena impressione del biondo il peso di quello sguardo che parve trafiggerlo, come una lama incerta, quasi non sapendo dove esattamente colpire.
- Non credo, visto che ancora non mi hai proposto di deviare le rotta per approdarvi. Sempre a patto che la Merry necessiti di deviare la rotta per farlo. - ma erano occhi sicuri quelli di Nami. Occhi che conoscevano i punti esatti da sfiorare per far tremare le gambe del biondo ed obbligarlo a cedere e parlare.
Occhi che, per la prima volta, il giovane cuoco di bordo parve fare il possibile per evitare.
- La cambusa è ben fornita. Non è necessario che scenda anche tu questa volta. –
- Ma crostatina! Non dirmi che sei preoccupata per la mia salute! Sai che uomo forte sia il tuo Sanji-kun, n… -
- Ho semplicemente detto che se non vuoi scendere questa volta non sei obbligato. – mai, per alcuna ragione al mondo, sarebbero potute esser prive di motivazione.
Rimasero in silenzio a guardarsi semplicemente in volto, a scrutarsi alla ricerca di qualsiasi appiglio a cui aggrapparsi per poter sopraffare l’altro.
E la consapevolezza, l'assoluta certezza, di aver lasciato ancora una volta la propria cavalleria sopraffarlo, sino a costringerlo con le spalle al muro, fu quell'indefinibile qualcosa che questa volta spinse i passi del biondo fuori, nuovamente verso l'uscita.
- Fra dieci minuti è pronto. Dirò agli altri di aspettarti, Nami-san. –
La prima, grande, crepa aveva appena visto la luce nella sua maschera perfetta.
   
 
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