Sabato 22 dicembre 2012
William
percepì una luce brillante al di là delle palpebre chiuse.
Per
un momento si sentì disorientato.
Un
momento prima si trovava nella sua casa, a Sheperd,
circondato dai suoi genitori adottivi, e dai suoi genitori biologici, che
conversavano amabilmente, poi si ritrovò steso in un letto, con le palpebre
chiuse e una luce fastidiosa che gli disturbava gli occhi.
Con
cautela provò a riaprirli. La luce gli provocò un immediato fastidio e fu
costretto a sbattere alcune volte le palpebre.
“William…”. La voce di Dana gli arrivò alle orecchie, pacata
e tranquillizzante.
Girò
la testa verso la provenienza della voce, lentamente, lasciandosi dietro la
testa il raggio di sole che entrava dalla finestra.
Il
sorriso di Dana era radioso. La vide allungare una mano e sentì il suo tocco
lieve accarezzargli la guancia.
“Ciao..”
gli disse.
William
si inumidì le labbra e si schiarì la voce.
“Ciao… “.
William
si guardò furtivamente attorno.
La
stanza era piccola, le pareti bianche e spoglie, nell’aria aleggiava odore di
disinfettante.
“Dove
siamo?”.
Scully
continuò ad accarezzargli la guancia e i capelli scompigliati.
“Siamo
nell’ospedale di Washington, quello dove lavoravo…”.
William
si fece forza e si mise a sedere. Scully, prontamente, lo aiutò a sistemare il
cuscino dietro la schiena. Poi lo guardò con aria seria.
“Finalmente
ti sei svegliato… ero preoccupatissima…”.
William
la osservò per alcuni istanti. Le occhiaie marcate sotto i begli occhi blu
testimoniavano nottate insonni e scomode su quella sedia di plastica, il volto
era serio, solcato da rughe di ansia e preoccupazione. I capelli erano sciatti,
spenti e i vestiti sgualciti.
Doveva
aver passato giorni terribili…
Le
sorrise rassicurante, poi la abbracciò stretta, allacciandole le braccia
intorno al collo.
Scully
lo strinse al petto con gentilezza e respirò a pieni polmoni l’odore familiare
della sua pelle.
Quando
si separarono, William le prese una mano tra le sue.
“Da
quanto tempo sono qui?”.
“Quasi
quattro giorni… abbiamo davvero avuto paura…”.
Quando
Scully usò il plurale, William si guardò nuovamente attorno e un brivido di
paura gli corse lungo la schiena.
Guardò
Dana.
“Dov’è
Mulder?”. Strinse un po’ più forte del lecito la mano di sua madre. Temeva la risposta…
Scully
gli sorrise rassicurante.
“L’ho
mandato a mangiare qualcosa. Fosse stato per lui sarebbe morto di fame stando
ad aspettare che ti svegliassi!”.
William
si rilassò contro il cuscino e allentò la stretta delle mani.
“E
gli altri?”.
“Monica,
John e Skinner stanno bene. Per ora alloggiano
all’FBI, ma passano spesso qui a trovarti. Gibson sta un po’ peggio… ma sono ottimista sulle sue condizioni. L’ho
visitato personalmente e penso che presto si riprenderà”.
William
alzò il viso ad osservare il soffitto, e con la mente tornò alla foresta.
Gli
ultimi ricordi che aveva erano legati all’incredibile potenza che gli era
ritornata nel petto, dopo che era riuscito ad uccidere tutti quegli alieni.
Ricordava che si era sentito completamente privo di forze e che si era
accasciato al suolo… poi più nulla.
I
ricordi erano sfuocati, sbiaditi, come fossero permeati da un’aurea onirica. Se
non fosse stato certo al 100% che quello che era accaduto era reale, avrebbe
pensato ad un sogno stranissimo.
“Cos’è
successo?”.
Scully
si alzò dalla sedia e iniziò a camminare verso la finestra, dove si fermò,
appoggiandosi al cornicione. Aprì le tapparelle e un bellissimo sole di
mezzogiorno inondò completamente la camera con la sua allegra luce.
Scully
evitò di guardare al di là del vetro. Lo spettacolo che si estendeva intorno
all’ospedale era desolante, metteva addosso uno stato di tensione, di inutilità,
che non le piaceva.
“Dopo
che sei svenuto, in mezzo a quella foresta… io e
Monica non sapevamo cosa fare. Era sicuro portarti via di lì? Dovevamo
aspettare gli altri?...” Scully sospirò.
3 GIORNI PRIMA
Mulder arrivò al limitare della radura dov’era parcheggiato il furgone.
La pioggia lo sferzava con potenza e non lo lasciava respirare.
Oltrepassò la linea invisibile dei raggi X e sentì l’allarme scattare
nel presidio, ma non vi fece caso.
“Mulder?” la voce di Scully lo raggiunse al di sopra dello scrosciare
della pioggia.
Scavalcò la bassa sterpaglia e la vide.
Era assieme a Monica, china sul corpo di William.
Un terrore cieco si impadronì di lui… William…
Si accostò alle due donne con impazienza.
“Cos’è successo?”.
Scully scosse la testa.
“Non lo so! Ha ucciso tutti quegli alieni…”
con la mano indicò la distesa di cadaveri di fronte a lei. Mulder alzò lo
sguardo e spalancò gli occhi. Una serie infinita di piccoli corpi grigi
decapitati si estendeva per un bel po’ di metri oltre la sua visuale. L’odore
dolciastro del loro sangue impregnava l’aria e la rendeva pesante e densa.
Fu raggiunto da Doggett e Skinner
che si soffermarono esterrefatti a guardare lo scenario di morte presente nella
foresta. Gli alberi, sradicati e caduti al suolo incorniciavano la
raccapricciante scena.
Mulder si sforzò di prestare attenzione alle parole di Scully.
“… poi si è accasciato al suolo, senza forze. Il battito è debolissimo.
Dobbiamo portarlo via di qui, in ospedale!”. La sua voce era leggermente
isterica e Mulder la capì.
Ospedale… chissà se esistevano ancora ospedali nel mondo devastato dalla potenza aliena…
Monica guardò John, nello sguardo una tristezza che la faceva apparire
più vecchia di dieci anni.
“Portiamolo nel furgone intanto… all’asciutto”
disse Doggett, senza troppa convinzione.
Mulder si piegò e lo prese sotto le spalle, mentre John si occupava di
alloggiare le gambe di William sotto le sue braccia. Insieme si mossero verso
il furgone, dove lo adagiarono a terra. Scully si sedette sul freddo pianale
dell’automezzo e sistemò la testa del figlio sulle gambe.
Zar osservò immobile la scena. Guardò le persone che salivano sul
furgone, le scrutò attentamente ad una ad una. Quando vide che il suo padrone
non ritornava, si stese, appoggiando il muso schiacciato tra le zampe anteriori
e si lamentò piano, soffocando i suoi uggiolii tristi, quasi non volesse
disturbare il dolore altrui.
Mulder si sedette in fianco a Scully e la abbracciò stretta, facendole
appoggiare il capo contro il suo petto. Scully si adagiò con l’orecchio sul suo
cuore, sollevata di sentirlo battere con ritmo vitale.
John si mise alla guida del furgone, Skinner
al suo fianco.
Le ruote slittarono sul fango del terreno, poi il mezzo si mosse con
sicurezza lungo l’intricato sentiero poco battuto dalle auto.
Monica era seduta di fronte a Mulder e Scully e accarezzava con
movimenti ritmici e calmanti la testa di Zar.
Mulder baciò i capelli bagnati di Scully, poi vi appoggiò la guancia,
guardando il volto senza espressione di suo figlio.
“Stai bene?” la voce di Scully gli arrivò debole e preoccupata.
“Fisicamente si…”.
Scully voltò la testa per guardarlo, costringendolo a interrompere il
contatto con i suoi capelli.
Lo scrutò a lungo, notando nel suo sguardo il dolore e il tormento che
provava per la sorte di loro figlio. E probabilmente per la sorte di Gibson… abbandonato nelle mani degli alieni.
Improvvisamente il motore del furgone si spense, senza nessun motivo
apparente.
John provò a girare e rigirare la chiave nel quadro, ma l’automezzo non
dette segni di vita.
Batté un colpo a palmo aperto contro il volante.
“Maledizione! Che diavolo è successo?”.
Monica aguzzò le orecchie poi fece segno di tacere alle altre persone.
“Non sentite?”.
Tutti rimasero immobili ad ascoltare.
Skinner scosse la testa.
“Io non sento niente…”.
“Appunto...” disse Monica “Non si sente più il rumore della pioggia, né
del vento, dei tuoni… né nient’altro…”.
John spalancò gli occhi, completamente sopraffatto. Il parabrezza del
furgone continuava a venire sferzato da fredde raffiche di pioggia, ma le gocce
non producevano alcun suono. I lampi continuavano ad illuminare l’oscurità del
cielo, ma nessun rombo di tuono li seguiva. Gli alberi venivano piegati dal
vento, ma nessun rumore sibilante arrivava alle loro orecchie.
“Ma com’è possibile?”. Il naturale scetticismo di John Doggett lo portò a porre la domanda, ma questa volta
nessuno seppe rispondere, erano tutti paralizzati dallo stupore. E dallo
spavento.
Il cielo, lentamente ma inesorabilmente, si fece sempre più buio, sempre
più nero. Uno spesso e denso strato di oscurità coprì i lampi che ancora si
ostinavano ad accompagnare la pioggia.
Quando il velo buio prese anche il furgone, penetrando all’interno e
avvolgendo i suoi occupanti, tutti si strinsero, si sedettero l’uno vicino
all’altro, impauriti, disillusi, sconfitti.
Il lugubre manto nero non lasciò agli occhi nemmeno un minimo spiraglio
di luce.
Tutto svanì…
E un istante dopo si ritrovarono nell’ospedale di Washington, al
capezzale di William…
“Che
cos’era successo?” chiese William perplesso.
Scully
scosse la testa.
“Non
lo sappiamo… nessuno lo sa…”.
William
aggrottò le sopracciglia.
“Nessuno?”.
“Alcune
stazioni radiofoniche hanno ripreso a trasmettere. Sembra che tutta la
popolazione mondiale abbia un buco nella mente di alcune ore…”.
William
si chiese distrattamente perché la cosa gli apparisse così strana. Dopo tutto
quello che aveva saputo e visto nelle precedenti settimane, non capiva perché
si stupisse per una cosa “banale” come un buco nella memoria.
“Ci
abbiamo riflettuto…” continuò Scully, dando una
veloce occhiata fuori dalla finestra “Non ci sono più astronavi aliene nei
cieli, nessun invasore per le strade, nessuna esplosione, nessuna arma strana
pronta ad uccidere… dev’essere
accaduto qualcosa di radicale… l’unica spiegazione a
cui siamo arrivati è che sia tutta opera degli alieni ribelli, quelli che si
sono sempre opposti all’invasione dell’olio nero, ma…
non saprei… non saprei proprio…”.
Scully sospirò, guardando il volto pensieroso di suo figlio.
William
aggottò la fronte.
“Non
mi convince… potevano arrivare anche prima, se
avevano il potere di riuscire a sconfiggerli…”.
Scully
si avvicinò e si sedette sul bordo del letto, osservandolo.
“Sono
d’accordo… secondo me non è opera loro…
ma… di qualcun altro…”. Il
suo sguardo si perse lontano, in pensieri astratti e speranzosi.
William
la osservò, e osservò soprattutto le sue mani che tormentavano la croce d’oro
che portava al collo.
“Pensi
sia opera di Dio?” chiese tranquillamente.
Scully
sorrise vagamente con un angolo della bocca.
“Non
lo so William, non lo so… So solo che qualcuno ci ha
aiutati a sopravvivere. Siamo feriti e decimati, ma vivi…
e chiunque sia stato, io non smetterò mai di ringraziarlo…”.